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Autore: lauramenta    10/12/2010    0 recensioni
(compiti in classe, risate, bigliettini sciocchi e talvolta insolenti fra amici, mille rumori e uno stridio di sedie. Ordinaria scuola.
L’odore del disinfettante che usano per i banchi mi riempie ancora le narici mentre con la penna traccio lettere tonde e un po’ sbavate sul foglio del mio quadernone a righe; e ti penso…) questa è la mia prima one-shot spero vi piaccia
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Compiti in classe, risate, bigliettini sciocchi e talvolta insolenti fra amici, mille rumori e uno stridio di sedie. Ordinaria scuola. L’odore del disinfettante che usano per i banchi mi riempie ancora le narici mentre con la penna traccio lettere tonde e un po’ sbavate sul foglio del mio quadernone a righe; e ti penso… Dovrei piuttosto prestare attenzione alla lezione e non ci riesco, non mi interessano i mormorii o le sporadiche battute dei miei vicini, in questo preciso istante penso al fatto che sei vicino e che nemmeno riesco a passarti accanto senza abbassare subitaneamente lo sguardo. Dovrei pensare agli esami, alla fine di questi stressanti cinque anni di liceo, eppure sul tuo viso sembra gravitare la massima importanza di questo mondo strano e volubile. E ti penso… Nel frattempo scorrono le ore, lentamente, senza pietà pur essendo mattina, complici di una noia tremenda che sembra infettare tutte le vestigi di questa giovane vitalità; poi finalmente la ricreazione. Sorrido alla mia vicina di banco e scambio qualche commento scherzoso sulla lezione appena finita, scuoto i capelli diventati elettrici a causa della pesante felpa grigia che indosso e mi alzo. E ti penso… Tu lo sai che ti penso? Probabilmente no, mi sorprenderei piuttosto se tu pensassi a ciò che potrei teoricamente pensare a mia volta. Perché per te sono trascurabile, una conoscente silenziosa, che ti guarda da lontano senza che tu ne sia al corrente; d’altronde non ne hai proprio idea… Esco dalla classe e cammino per il corridoio che mi condurrà alle solite e monotone scale. Una parte di me spera d’incontrarti e ricevere il tuo saluto come ogni volta, un’altra invece, quella più vera e tipica di me, timida, desidera non vederti comparire affatto. Sarebbe tremendo infatti doverti salutare velocemente e fare un mezzo sorriso prima di correre via per impedirti di vedermi arrossire. Dannazione, non è un romanzo, io arrossisco per davvero! Oh. Ho parlato troppo presto… Eccoti, eccoti lì, che vieni dalla direzione opposta, i miei occhi ti fissano con un barlume di speranza, benché discreta, e sperano di vedere le tue labbra muoversi e pronunciare un semplice “ciao”. Ma “ciao” non lo dici. Non dici niente. Muovi la mano però. Ricambio il tuo gesto e cammino dritta avanti a me, tormentando la mia testa con domande così stupide ed insignificanti che rabbrividirei in altre circostanze se non sapessi di farlo per non pensare a te, che forse hai visto più di quanto volevo vedessi. “Perché ho un naso così piccolo?” allora mi chiedo. “Perché la mia non è una 42?” continuo. “Perché sono così alta?” vado avanti. “Perché non potevo essere una ragazzina piccola ed esile?” persevero nella mia momentanea idiozia. E tu ragazzo, sai che ho dei pensieri? Ti interroghi mai sul perché di cose assai più concrete? Perché io lo faccio a dire il vero, sai? E così vedo scorrere la mia adolescenza, fra riflessioni stonate e interrogativi di una vita che deve ancora esser vissuta completamente, e tu ragazzo, hai un’idea della tua vita? Perché io no. Ho soltanto desideri. Ad ogni passo penso se un giorno mi ricorderò di quel corridoio, di quello scalpiccio di scarpe varie e multicolori sul pavimento; ne sarà valsa la pena? Mi chiederò. Tutto quello che ho vissuto mi avrà portata ad una giusta conclusione? Basterà ancora pensare al viso di un ragazzo, concreto o immaginario che sia, per sentirsi più leggeri? Perché a volte tutto gira e sembra così veloce, che si ha paura di perdere la coscienza delle piccole cose. Ed io non voglio perdere niente. Ragazzo dagli occhi grigi, mi chiedo cosa sia un giorno di pioggia. Stupido, vero? E’ un cielo triste, ragazzo. E sorride col sole. Non avrò mai il coraggio di chiederti d’uscire, ma faccio finta nella mia testa che sia così, che tu mi dica così, che durante una passeggiata mi prenderai una mano. E sarò felice. E continuerò a pensarti. Ma è impossibile, lo so, presto anche tu svanirai, ci sarà sempre lo stesso nuovo corridoio e gli stessi pensieri, ma forse io sarò cambiata e non sarai più in grado di torturarmi la mente. Intanto grazie, ragazzo, per quei sorrisi, per i sogni e per le illusioni, perché son belle e sono giuste alla mia età; purché i miei piedi restino a terra, certo. E’ finito il corridoio e ci sono le scale. Le scendo, ma a me attualmente appaiono sempre in salita. Prima o poi le scenderò davvero, e le risalirò, ogni volta ricca di nuovi saluti e di incontri. Cosa sarà di me uscita da qui? Diventerò davvero chi vorrò ardentemente diventare? Non sono nulla di speciale, mi dico, ma forse non c’è nulla di speciale nella felicità. Si vive, si piange, si ama, si ride, cosa c’è di speciale in questo? Nulla. E allora scendile queste scale, ragazza, prima o poi non ne avrai più bisogno. Continua a gustarti la felicità, come stai cercando di fare. Non c’è nulla di speciale. Continua… Continua… C’è un altro corridoio in fondo, vero? Ma non so quando arriverà e non so come lo percorrerò stavolta… E allora che posso fare? Niente suppongo, a parte camminare, con ideali e supposizioni. E gli ideali regolano me, non la mia vita… Che fare, dunque? Semplicemente camminare, ragazzo… E nel frattempo, essendo ancora oggi, continuo a pensarti…
  
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