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Autore: crazyfred    10/12/2010    11 recensioni
Questa ff è il seguito di Canto di Natale, ed i Robsten sono ben indaffarati a preparare il loro GIORNO MIGLIORE...dal capitolo1:… mio Dio, non posso ancora crederci, io ho sposato davvero Rob, e aspetto un figlio suo … sfacciatamente fortunata!!! ... nei miei pensieri queste parole ricorrevano spesso in quel periodo. Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, nè offenderle in alcun modo.I personaggi non noti della storia sono frutto della mia fantasia, e le loro interazoni con i personaggi noti sono assolutamente fittizie.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'My big complicated Robsten family'
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epilogo Devo dirvi la verità, potrei scoppiare in lacrime da un momento all'altro al solo pensiero che questo è l'ultimo scritto che posterò su The Best Day. Insieme a Rob e Kristen ho affrontato un percorso tortuoso, fatto di momenti belli e brutti, romantici e non, risate ma anche molte lacrime. E in questo percorso ho incontrato persone come voi, che mi avete supportata e pazientemente aspettata ogni volta che pubblicavo con ritardo. Mi dispiace concluderla qui, ma voglio evitare di arrivare ad una storia sterile, che non è capace di emozionare più né me, ne quindi tantomeno voi. Spero vi piacerà il finale e vi do l'appuntamento qua e là per delle shot che sicuramente scriverò ancora su questa magnifica coppia, a cui auguro di poterci donare ancora emozioni e momenti indimenticabili. Tanto per loro, quanto per noi. Per cui state all'erta, controllate le pagine che come sempre vi metto a disposizione, qui sul sito su FB e su Twitter, perché potrei tornare da un momento all'altro.
Per ora vi lascio ad un lungo epilogo.
BUONA LETTURA!!!!!














EPILOGO

Dietro le quinte del teatro della nostra scuola il via vai di studenti e professori era continuo e disordinatamente chiassoso. Le mie compagne erano troppo preoccupate per le sbavature del trucco o dall'orlo dei costumi che, durante le prove generali, potevano essersi scuciti, da badare a me.
La recita di fine anno all'Harrodian Private School era cominciata da poco e l'agitazione era palpabile. La vetrina di presentazione della scuola, in cui dimostrare il lustro ed il proprio prestigio alle famiglie degli iscritti. Le mie compagne, quelle più vanitose e maniache di protagonismo, attendevano e si preparavano a quell'evento nei nove mesi che lo precedevano, progettando ogni minimo dettaglio fin dai primi giorni di scuola in Settembre, neanche fosse la première dello spettacolo del secolo al Royal Albert Hall davanti alla famiglia reale.
Per me era quello che doveva essere: uno stupido spettacolo scolastico, fatto per appagare l'egocentrismo dei nostri insegnanti e soddisfare i genitori che sborsavano cifre esorbitanti per mantenerci agli studi in una delle scuole più in della città. Uno spettacolo il cui scopo, tra gli altri, era quello di riempire la memoria di qualche DVD imbarazzante, da rivedere tutti insieme in famiglia del giorno di Natale, compiacendo i parenti e lasciando che i protagonisti andassero a sotterrarsi da qualche parte per la vergogna.
Ero abituata a ben altri palcoscenici e la platea di un liceo mi passava davanti indifferente, tuttavia ci tenevo a fare bella figura davanti ai miei.
E proprio per questo, seduta su un baule vuoto di strumenti di scena dietro le quinte, me ne stavo, gambe a penzoloni, a fissare spaesata e ormai senza speranza un foglio immacolato.
Oltre alla canzone che avrei cantato, volevo dare un tocco di originalità alla mia performance con un breve discorso di chiusura. Mi ero detta, sulle prime, quando, abbozzando un discorso, la mia mente era completamente vuota, che ci avrei pensato all'ultimo minuto, aiutata dalle emozioni del palcoscenico. Invece l'unica emozione che provavo era l'ansia, per la prima volta in vita mia, e di certo non mi era d'aiuto.
Ero sempre stata abituata a stare al centro dell'attenzione, mio malgrado, fin da quando me la facevo ancora addosso nel pannolino. La mia nascita era stata salutata dalle prime pagine dei giornali di mezzo mondo e, per una mia foto, alcune riviste scandalistiche sono arrivate ad offrire mezzo milione di dollari per moltissimi anni. Fin da piccola, ed in parte per una sorta di emulazione di mamma e papà, avevo partecipato a spettacoli scolastici, ma sempre interpretando qualcun'altro, generalmente nascondendo me stessa dietro una maschera. Questa volta, per la prima volta, mi era stato chiesto di essere semplicemente me stessa; di mostrare, al pubblico astante, ciò a cui tenessi davvero e di farlo nella maniera che ritenessi migliore.
C'era una sola cosa al mondo a cui tenessi veramente, una sola che veniva prima di tutto il resto: la mia famiglia, quella pazza e grande tribù a cui appartenevo.
D'un tratto mi sentii tirare prer un braccio quasi venendo sbalzata giù dal baule.
"Dai Jew!"
Mio fratello Tom. Era la star della scuola, il ragazzo con cui tutte volevano uscire, l'amico che tutti si contendevano, l'aggancio giusto per le feste, la corsia preferenziale per la popolarità tra le quattro mura di quel liceo; eppure sembrava l'unico che non ne fosse a conoscenza, o semplicemente se ne fregava altamente della sua reputazione. L'unica cosa che per lui aveva davvero valore era la sua chitarra, sempre la stessa, quella che aveva ricevuto in regalo per il suo decimo compleanno. La trattava come fosse fatta d'oro, come se fosse una reliquia o un reperto archeologico da trattare con cura.
"Muoviti da lì tocca a noi!"
Ebbi un tuffo al cuore, che inciampò nei battiti e riprese la sua corsa, sempre più veloce.
Il nostro momento era arrivato e non avevo idea di cosa dire una volta sul palco, alla fine dell'esibizione. AVrei fatto una figura del cavolo, ne ero sicura. Sapevo che non avrei mai deluso i miei, ma avrei sopportato di deludere me stessa? Non credo proprio...
Così, senza troppe smancerie, venni catapultata sul palco dalla prof di musica e venni investita dritta negli occhi da un faro accecante, puntato direttamente su di me, e da uno scroscio di mani battenti.
Probabilmente ci avevano anche annunciati ma c'era talmente tanto chiasso nella mia mente, che non ebbi modo di accorgermene.
Andai verso il microfono al centro del palco, ma sembrava piuttosto che mi stessi avvicinando sempre più inesorabilmente verso un patibolo, data la mia lentezza, una spada di Damocle puntata giusto sulla mia testa.
Un ultimo sguardo d'intesa verso mio fratello che, poco più indietro, alle mie spalle, si sistemava sullo sgabello assieme alla chitarra. Non era mai stato un problema per noi lavorare assieme, l'esigua differenza d'età infatti  ci aveva fatti crescere praticamente come gemelli, a parte le naturali schermaglie adolescenziali tra fratello e sorella; mi veniva persino difficile considerarlo un fratello minore, talvolta, visto che mi superava tranquillamente di una spanna in altezza, ed i suoi tratti somatici assomigliavano di più a quelli di un giovane uomo che a quelli di una ragazzino di 16 anni.
Alla chitarra Tom era un piccolo virtuoso, aveva imparato da piccolo a suonarla, ed in pochissimo tempo, eppure si era sempre rifiutato di proseguire con degli studi più approfonditi, svogliato com'era. Nonna diceva sempre che nascere di domenica, giorno universalmente dedicato al riposo, aveva influito sul suo carattere. Mamma, invece, sosteneva che era semplicemente figlio di suo padre, e dunque non bisognava stupirsi troppo, né dei suoi pregi, né dei suoi difetti.
Un bel respiro prima di iniziare e poi via, le parole e le note scivolavano via senza paura, e finalmente anch'io ripresi quel naturale contegno che sul palco mi aveva sempre contraddistinta.
Avevo scelto una vecchia melodia, che aveva persino di più dei miei 17 anni, ma che suonava vagamente familiare, tornata a galla da ricordi di bambina.
Nei giorni di ricerca della canzone ideale e altro materiale per lo spettacolo mi imbattei, infatti, in uno scatolone tutto impolverato e nascosto nei meandri della nostra soffitta. A lettere cubitali c'era scritto il nome Jaymes, che sapevo essere il secondo nome di mia madre, ma non capivo per quale motivo fosse stato scelto come intestazione. Sapevo che probabilmente si sarebbe arrabbiata come una bestia feroce se mi avesse beccata in flagrante a frugare tra le sue cose, possessiva e gelosa com'era, per giunta dei ricordi, ma dovevo farlo ... causa di forza maggiore.
Così decisi di non indugiare oltre e mi risolsi di aprire la scatolae terminare quel lavoro "sporco" il prima possibile. C'erano un mucchio di oggetti tipicamente da ragazzina, come peluches o cuoricini che si ragalano tra fidanzatini, e alcuni quaderni, che riconobbi essere dei diari di mia madre. Non volli aprirli, perché rispettavo profondamente la sua vita privata, anche se passata. E poi ... non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.
Tra le altre cose scovai un CD, Fearless. Doveva essere un regalo di papà, perché all'interno della copertina c'era un biglietto con la sua calligrafia.

Mi piacerebbe poter dire che la nostra storia e le nostre canzoni sono tutte racchiuse qui.
Ma non abbiamo una storia, né una canzone tutta nostra.
Ascoltale bene però, una ad una, perché, per quanto possa sembrare strano, c'è un po di noi tra queste note.

Lo sai che ti amo, per sempre tuo
                                                                                           Rob



Con un sorriso ebete stampato sulla faccia richiusi la scatola e tornai nella mia stanza, per cercare le canzoni di quell'album su internet, per studiarne testo e note, e trovare anche gli accordi per Thom, che si era offerto di accompagnarmi con la chitarra, all'unico scopo di risparmiarsi un lavoro da solo. Come al suo solito, il massimo risultato con il minimo sforzo.
Ascoltando le varie tracce la mia faccia scema non poté fare altro che aumentare, sconvolta dal quel romanticismo e dall''infinita dolcezza, insospettabili in mio padre.
Che lui e mamma si amassero ancora come il primo giorno, se non di più, dopo quasi 18 anni di matrimonio e 4 figli, non l'avevo mai messo in dubbio, ma immaginarli carini e coccolosi mi riusciva davvero troppo difficile. Dovetti imparare però, in quelle settimane di preparazione, che con i miei niente è scontato. Da allora, infatti, iniziai a notare tanti piccoli dettagli ... sguardi, gesti, parole non dette o semplicemente soffiate all'orecchio dell'altro ... a cui fino a quel momento non avevo mai dato troppa importanza, che mi fecero capire che non erano cambiati poi così tanto, da quando erano due più che ragazzini, e solo per la grande gelosia che avevano del loro amore, non amavano mostrarlo agli altri. Bolla privata la chiamavano i giornalisti: finalmente ne capii il significato.
E dunque la canzone che avevo scelto e che stavo cantando proprio in quel preciso istante era proprio presa da quel CD.
Presa sicurezza dopo le battute iniziali, sfilai il microfono dall'asta e iniziai a muovermi sul palco, con le luci che mi seguivano e il pubblico sempre in silenzio ad ascoltarmi, avvicinandomi a Tom che continuava a suonare sicuro, come al solito menefreghista dell'intera situazione, totalmente rapito dalla musica. Appoggiandomi allo schienale del suo sgabello per non perdere l'equilibrio, chiusi gli occhi per un'istante e le parole della canzone, le scene che i suoi versi evocavano, presero vita nella mia mente. Piccoli affreschi di vita quotidiana, ricordi in parte sbiaditi dal tempo, ma vivi nella mia mente e caldi nel mio cuore.
 

I'm five years old, it's getting cold, I've got my big coat on

I hear your laugh and look up smiling at you, I run and run
Past the pumpkin patch and the tractor rides, look now, the sky is gold
I hug your legs and fall asleep on the way home


Non c'era una stagione ideale, né un motivo ben preciso, ma durante l'anno era d'obbligo una settimana di relax e divertimento in campagna, nella casa dei tuoi nonni papà. La cosa più bella erano i colori, e nel passare per le stradine sterrate era facile vedere come cambiavano, di giorno in giorno, per diventare sempre più brillanti, o sempre più scuri. Attaccati al cristallo dei finestrini guardavamo il paesaggio senza fiatare, e tu ci dicevi di guardare di qua e di là, e non sapevamo più dove mettere gli occhi, tanto lo stupore sempre nuovo per ogni cosa che ci circondava. Era per noi l'età dei perché, con cui noi bambini riempivamo la vostra testa di domande, stupiti da tutto ciò che non fosse tecnologico o che, semplicemente, faceva parte della natura che noi, figli della fumosa Londra, non vedevamo se non nei libri delle favole. E ci sembrava davvero di vivere una favola, seppur per pochi giorni, perché voi finalmente eravate lì con noi, lontani dal vostro lavoro, e perché il cottage dei bisnonni sembrava davvero la casetta nel bosco dei racconti della buona notte e nonna Victoria era la fata Smemorina, capelli bianchi e voce squillante, sempre sorridente buona e generosa con noi "piccini", come ci chiamava lei. Le corse nei prati e l'aria fresca ci toglievano il freno che la città imponeva e voi eravate sicuri nel lasciarci liberi e a sera, puntuali, non si finiva nemmeno di mangiare che si crollava tra le vostre braccia.


I'm thirteen now and don't know how my friends could be so mean

I come home crying and you hold me tight and grab the keys
And we drive and drive until we found a town far enough away
And we talk and window shop 'til I've forgotten all their names


Ma il vostro lavoro vi portava sempre lontani e per non lasciarci da soli eravate costretti a selezionare il vostro lavoro, separandovi, così da non lasciarci mai senza uno di voi. Ma separare voi era troppo e, anche se non lo davate a vedere, vi ho visti piangere più di una volta davanti allo schermo del pc, più di una volta a notte fonda, vi ho sentiti sussurrare "mi manchi" alla cornetta del telefono. E così ce ne siamo andati da Londra, alla conquista della California che, per noi, era da sempre sinonimo di vacanze estive dai nonni e tacchino arrosto nel giorno del Ringraziamento. "Andiamo in un posto dove c'è sempre il sole" avete detto ai più piccoli, ma io e Tom, già abbastanza grandi, sapevamo che sarebbe stato più nuvoloso dell'Inghilterra. "Arrivano i Lord" ci dicevano a scuola, e nessuno la smetteva di prenderci in giro per il nostro accento, forse invidiosi della nostra educazione e della nostra migliore preparazione scolastica. Eravamo considerati da tutti dei raccomandati, figli snob e spocchiosi di due celebrità di Hollywood, ma nessuno capiva che ci mancavano solo i nostri vecchi amici, le nostre divise da personalizzare, le attese dell'autobus passate sotto l'ombrello insieme ai propri amici, sperando che le macchine non ci bagnassero. Così Tom si è sempre più chiuso nella sua stanza a suonare la chitarra ed io ho iniziato a piangere e l'unica spalla che avevo a disposizione era la tua, mamma. Hai preso le chiavi della tua vecchia mini, che usavi per le strade della tua vecchia Los Angeles, e mi hai portata a fare shopping e a prendere il mio primo caffé da Starbuck. Mi hai fatta ridere, divertire come non mi succedeva da tanto. A sera, quando il sole spariva nell'oceano, mi hai detto: "Si torna a casa". E siamo tornati a casa, a Londra, e ci hai protetti di nuovo, e ci hai ridato il sorriso.


I have an excellent father, his strength is making me stronger

God smiles on my little brother, inside and out, he's better than I am
I grew up in a pretty house and I had space to run
And I had the best days with you



Ho il padre migliore del mondo, e riempiti pure d'orgoglio papà, perché è davvero così che ti vedo. Non l'amico che vorresti essere, combinando guai a non finire, ma un genitore speciale. Il tuo sorriso, il tuo sguardo protettivo su di noi, la tua presa sicura è tutto ciò di cui ho bisogno per affrontare il mondo. Sei la mia roccia, le mie radici, non potrò mai fare a meno di te.
Thomas (Richard, come di tradizione) è il mio quasi fratello gemello, nato un anno dopo la mia nascita, ed ero troppo piccola per poter capire cosa fosse la gelosia. Ma in braccio a mamma e papà finivamo sempre per strapparci i giocattoli di mano, o prenderci a pizze in faccia, per il puro gusto di farlo o rivendicare la proprietà esclusiva dei nostri genitori. "MIO MIO" ripetevo in continuazione quando il piccolo Tom aveva imparato ad afferrare gli oggetti soprattutto i miei giocattoli, troppo belli e colorati per passare inosservati.
E casa nostra, la grande e antica casa di Barnes, divenne negli anni sempre più stretta e confusionaria, man mano che la famiglia si allargava. Prima Julie (Juliet Mary) e poi Chris (Christopher John). Con loro il legame è stato più difficile, data la differenza d'età più grande, rispettivamente più piccoli di me di 5 e 6 anni, ma quando è stato possibile sono sempre stati dei buoni compagni di giochi, ed io per loro una sorta di guida, un'orgogliosa e sempre disponibile e affettuosa sorella maggiore, a parte quando i miei primi trucchi e i poster che cercavo di appendere in camera venivano macchiati dai loro pennarelli impertinenti. Difficile raccontare dei segreti a chi è più piccolo di te, confidarsi quando non ti possono capire, ma è bello poter ascoltare la mia piccola Julie ora e sperare che, magari più in là, lei potrà farlo con me.
La nostra casa, con il discreto giardino e la sua piccola torretta rifiugio è sempre stata la nostra sicurezza, il posto in cui tornare a sera quando è tardi, dove trovare sempre il frigo pieno o il forno caldo di leccornie della mamma.
Con voi ho davvero vissuto i miei giorni migliori!


And Daddy's smart and you're the prettiest lady in the whole wide world


E quando ci sono le premiazioni in tv ci piace starvi a guardare, contenti che non ci abbiate portati con voi. Ti vediamo bella come sei mamma, e ridiamo per le facce buffe e le frasi sconnesse che papà dice durante le interviste. Forse non lo sapete, ma anche Tom vede e vostre interviste. L'ho beccato in camera una volta, mentre guardava per conto suo gli MTV Movie Awards: mi ha detto che era per un cantante, ma l'ho sentito urlare di gioia, mamma, mentre dicevano che avevi vinto.


And now I know why the all the trees change in the fall
I know you were on my side even when I was wrong
And I love you for giving me your eyes
For staying back and watching me shine
And I didn't know if you knew, so I'm takin' this chance to say
That I had the best day with you today


"Ora conosco tanto di questo mondo" le parole uscirono incontrollate dalle mie labbra, prima che un'azione volontaria potesse fermarle. Mio fratello astutamente, continuò l'arpeggio con le sue corde liddove stava per terminare.
"So perché gli alberi cambiano in autunno e so perché tra Americani ed Inglesi a volte non scorre buon sangue" e qui un leggero sorriso si impose sulle mie labbra. Riconobbi nella platea la sagoma di mio padre, e la sua risata spontanea e, di fianco a lui, quella timida e minuta di mia madre, imbarazzata ma al contempo divertita.
"Conosco tutte quelle parole che da bambina non riuscivo a pronunciare, ed ho anche imparato a distinguere gli amici dagli approfittatori. Ma ci sono tante cose che ancora non so, e tante altre che forse non imparerò mai, ma una cosa la so con certezza: che voi sarete lì, mamma e papà, magari dietro la cortina di un palco, o nascosti all'angolo di una parete di un'aula, e sarete pronti a venirci in aiuto. Ci avete insegnato a rialziarci, ma sarete i primi a tenderci una mano. Abbiamo avuto per anni i vostri piedi per camminare, le vostre mani per prendere gli oggetti più in alto, i vostri occhi per vedere il mondo nella maniera più bella e semplice. Ed è per questo che oggi vi dico grazie, per avermi ... averci fatti così come siamo, insegnandoci l'umiltà, il sacrificio, doti che ho sempre riconosciuto come vostre. Because my best day is YOU, today"










ANGOLO DELL'AUTRICE

Eccomi pronta a scrivere l'ultimo angolo dell'autrice. Non scrivo grandi spiegazioni perché non credo che ce ne sia bisogno. Spero vivamente di non aver rovinato la storia con l'epilogo, ma volevo dare spazio anche alla piccola Jew, che tanto piccola ora non lo è più.
Colgo l'occasione per dirvi grazie e mandarvi un bacio ed un abbraccio virtuali.
Ho un desiderio per quest'ultima parte della storia: che possiate salutarmi tutte attraverso le recensioni dicendomi qual è il vostro capitolo preferito, perché, cosa vi è piaciuto e cosa no.
Comunque non disperate rivedremo tutta questa bella e ormai grande famiglia al più presto non appena avrò un po' di tempo e di ispirazione per scrivere. Poi mi piacerebbe anche scrivere dei Robsten come li conosciamo ora, giovani e innamorati.
Ho in mente una raccolta di one shot o forse due. Una si chiamerà sicuramente "And so they kissed" per cui state sempre all'erta perché potrei tornare da un momento all'altro.
à bientot
Federica
   
 
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