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Autore: Vandevoorde    14/12/2010    2 recensioni
[...] per il tuo stesso bene. (Citazione dal testo)
[Partecipante alla challenge “Il festival del Nonsenso” indetta da NonnaPapera! sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sai, penso sia scorso un anno dalla nostra ultima serata e penso che questo – questo periodo così lungo inserito fra noi – rappresenti un record di cui doverci necessariamente gloriare. Penso. Mononeurone pensa. Ma tu, del resto, sai che Mononeurone pensa troppo.
Ho parlato di te. Di nuovo. Pare che la mia bocca non sappia articolare altri suoni, se non quelli che compongono il tuo nome. Strano, non trovi? Le labbra si muovono, raccontano in che modo il tempo ci abbia ravvicinato e distanziato a suo piacimento, manovrandoci come inutili fantocci. Ho parlato di te; le mie labbra si muovevano celermente, hanno raccontato in che modo il mio comportamento abbia influito sul nostro rapporto umano: avrei cambiato regione e abbandonato senza rimpianti quanto di buono ero riuscita a concretare – così ti avevo detto, giusto per mettere le cose in chiaro –. Giusto per mettere le cose in chiaro ancora una volta. Poi tu hai cercato conferme, io ho convalidato il mio addio e tu non hai replicato: ti sei limitato a guardarmi diritto negli occhi. A causa del freddo, i miei muscoli vibravano quasi intendessero liberarsi dai tendini che anche allora li assicuravano alle ossa, e nelle mie orecchie echeggiava il tuo “davvero?”. Ho taciuto. Ho taciuto poiché posso fare innumerevoli cose, ma non sostenere il tuo sguardo e mentire allo stesso tempo.
Mi hanno interrogato; il dubbio che serpeggiava nella mente dei miei interlocutori era: “Lui sa che non sei partita?”. “No. Come potrebbe?” ho risposto. E, in effetti, tu non hai modo di sapermi talmente vicina che basterebbe stendere un braccio per avvertire il calore della mia presenza fisica.
Ho parlato di te, narrato i passaggi che ci hanno consentito di ottenere questo intruglio di vissuto: piegata, le mani poggiate sulle ginocchia, ho vomitato un discorso mediamente fluente. Ne sentivo il bisogno: avevo raccontato una serie di menzogne tale da portare il mio spirito a saturazione. “Tu sei pazza! Come puoi desiderare che lui abbia un’altra?”. Le parole sono morbidi sterpi che conficcano le loro spine nelle mie carni. Ho sorriso. I miei interlocutori non comprendono pienamente, si fanno guidare dalla luce di un faro che, da lontano, offusca loro la vista e preclude l’opportunità di seguire altre strade. Ho sorriso poiché tu ed io, invece, abbiamo scelto tra alternative.
“Non una ragazza qualsiasi”, ho puntualizzato. “Una ragazza migliore di me”. (Le parole sono sterpi che incidono solchi sulla mia pelle troppo morbida.)
E mi chiedi: “Perché non scordi queste sciocche convinzioni e non tenti di rintracciarmi?”.
Perché meriti una ragazza migliore di me: una ragazza che non abbia timore di riconoscere il tuo viso tra la folla; una ragazza che sia coerente e sappia dimostrarti la tangibilità del suo affetto.
Perché non amo le relazioni stabili; perché in una relazione stabile smarrisco la mia individualità e divento parte di una coppia; perché, quando divento parte di una coppia, tutti mi si rivolgono utilizzando il plurale (“Che dici, stasera sarete liberi?”). Per la mia caparbietà e leggerezza. Perché ti saresti dedicato con impegno a farci funzionare ed io, al contrario, avrei dato un trentesimo del mio impegno per farci funzionare. Perché il mio impegno non avrebbe mai eguagliato il tuo. Per il mio encefalo, Mononeurone, che non sviluppa attività cerebrale dal lontano 1991. Perché non rifletto abbastanza prima di schiudere le labbra. Perché il mio “non scegliere” ti ha fatto sciupare mesi e stagioni.
Perché quella sera ti ho detto che, per me, tu sei come chiunque altro.
Fondamentalmente, per il tuo stesso bene.
 
Respiro la nebbia, penso a te
Premiata Forneria Marconi – Impressioni Di Settembre
 
 
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