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Autore: CriminalDanage    18/12/2010    7 recensioni
{Happy D18 DAY!}
Una lapide di marmo, ecco cosa gli rimaneva di lui.
Una lapide di marmo, un anello e una promessa non mantenuta.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dino Cavallone, Kyoya Hibari
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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18 dicembre.

 

Una lapide di marmo, ecco cosa gli rimaneva di lui.

Una lapide di marmo, un anello e una promessa non mantenuta.

 

Dino venne a mancare esattamente un anno fa, durante una missione come un’altra per proteggere un bambino durante uno scontro fra la Famiglia Cavallone ed una Famiglia avversaria. In seguito a una ferita d’arma da fuoco le sue condizioni poco alla volta erano peggiorate ed infine, senza nemmeno soffrire particolarmente, si era spento.

Nessuno vide i suoi ultimi istanti poiché Dino stesso aveva richiesto di rimanere da solo, strano per la sua indole, lui amava stare in mezzo alle persone; un messaggio l’aveva lasciato però, aveva chiaramente espresso che l’unico che potesse vederlo fosse  Kyouya.

Sfortunatamente quando Kyouya tornò da una lunga missione di quasi una settimana intera, Dino era già deceduto.

Il funerale fu celebrato nella terra natale di Dino, in Italia e fu presente l’intera Famiglia Vongola così come altre numerose ed importanti Famiglie mafiose. Il posto di Boss dei Cavallone rimase vacante per parecchio tempo; Dino non aveva ne moglie ne figli, quindi il ruolo toccò a un cugino che diversamente da lui era meno adatto a quel posto e non riuscì a far rendere la Famiglia come il Decimo Boss ci era riuscito.

 

Hibari aveva continuato a vivere come se nulla fosse, le persone che lo circondavano non riuscirono a trovare una qualche differenza di qualsiasi tipo nel suo comportamento, nei suoi sentimenti. Yamamoto ricordava ancora la sua espressione fredda ed impassibile al funerale; Hibari non era una persona che riusciva a far trasparire facilmente i suoi sentimenti, non lo aveva mai fatto con nessun altro al di fuori di Dino e altre volte con Sawada Tsunayoshi, proprio perché Tsuna –come diceva Hibari stesso- non faceva altro che ficcare il naso negli affari altrui, quindi si era sentito quasi obbligato a parlargliene e ribadirgli che non voleva nessun tipo di trattamento speciale perché “non era una donna che aveva perso il marito in guerra”.

 

Nonostante si frequentassero da diversi anni, Hibari non era mai riuscito a dire che lui e Dino stavano “assieme” anche se la cosa era piuttosto evidente agli occhi degli altri. Inizialmente la loro relazione aveva lasciato in dubbio parecchie persone: Hibari era uno studente delle medie, Dino era decisamente più grande di lui, ma c’era chi come ad esempio Tsuna che non badava a questi particolari bigotti … in fondo era anche grazie a Dino se Hibari – seppur a modo suo – aveva iniziato ad aprire di più il suo cuore.

***

 

La mattina del diciotto dicembre, Hibari si trovò in Italia per le vacanze natalizie, quando ancora Dino era in vita spesso assieme andavano a portare dei fiori sulle tombe dei genitori del più grande, non aveva mai avuto l’occasione di conoscerli ma per rispetto lo faceva, anche dopo la morte di Dino aveva continuato quello che ormai era diventato un vero e proprio rituale.

«Grazie per avermi affidato vostro figlio.» Mormorò in un italiano un po’ insicuro, chinandosi verso le due lapidi per sostituire i due ceri consumati con due nuovi.

Fissò per alcuni secondi le fiammelle rosse bruciare posando poi lo sguardo sulla lapide subito a fianco, leggermente imbronciato.

Sostituì i fiori secchi con un mazzo di garofani, senza cambiare espressione nemmeno una volta, tenendo le labbra strette in una linea sottile, le mani in tasca e lo sguardo puntato sulla lapide, la sua lapide.  

«Tu invece non meriti ringraziamenti, mi hai lasciato solo. Hai preso il mio cuore e il mio orgoglio e te ne sei andato.»  

Una frase di circostanza, un modo come un altro per non ammettere che in fondo gli mancava, forse troppo.  

 

Ogni suo sguardo, ogni frase: cose preziose.

***

«Kyouya mi vorresti sposare?» Gli chiese Dino con un tono di voce spensierato, mentre fissava l’orizzonte: il cielo rosso fuoco bruciava intensamente riflettendosi nelle acque calme del mare. C’era una leggera brezza marina, di sottofondo le voci di alcuni bambini in lontananza accompagnati dai genitori per godersi quelle ultime giornate estive.

A quella domanda il moro si accigliò, odiava quel modo di fare di Dino, riusciva a dire le cose più imbarazzanti con una naturalezza fuori dal comune, il contrario di lui insomma.

«Siamo due uomini, non dire assurdità.»

Hibari era sempre piuttosto diretto nel dire ciò che pensava, oltretutto lui non prendeva mai seriamente Dino, quando lo faceva si trattava di altri argomenti ma non sicuramente l’amore.

Il biondo rise, portando una mano alla tasca della giacca di jeans che indossava, estraendone un piccolo cofanetto, una volta aperto rivelò contenere un piccolo anello con una piccola pietra d’opale incastrata al suo interno.

L’espressione che gli mostrò Hibari fu decisamente piacevole, tanto da fargli sfuggire una risata divertita. Il ragazzo moro portò lo sguardo prima sull’anello, poi incredulo sul viso dell’altro, confuso e allo stesso momento sorpreso dal gesto dell’altro, che in fondo anche se non lo dava a vedere … lo apprezzava.

«Sei solo uno stupido erbivoro, questo non cambierà niente.» Deviò lo sguardo, ma Dino notò ugualmente una lieve traccia di rossore sul viso di Hibari.

Prese la mano del moro e lentamente gli infilò l’anello all’anulare, senza distogliere per nemmeno un attimo lo sguardo dal suo. La mano di Kyouya tremò leggermente, come succedeva ogni volta che lo toccava con più decisione del solito, per questo cercò di essere il più tranquillizzante possibile.

 

«Io accolgo te come mio sposo, prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita ... »

 

Giurò Dino a voce bassa, accompagnando l’ultima parola da un lieve sorriso. Un sorriso che ancora oggi quando provava ad immaginare, faceva male.

 

«… finché morte non ci separi.»

 

Il biondo afferrò gentilmente il viso del moro fra le mani, notando un lieve senso di smarrimento negli occhi di Hibari, scivolò con un braccio attorno alle sue spalle per rassicurarlo. Lo baciò, notando dapprima un po’ di incertezza che non si riservava mai di nascondere, poi anche il moro ricambiò il contatto, stringendo i piccoli pugni sul petto di Dino. Una piccola sensazione di vertigini, ma pur sempre piacevole.

 

Lascio che sia tu a guidarmi a condurmi altrove, 
perché mi aspettano altri dubbi, nuove insidie, altre prove. 
Saprò sentire la tua voce anche se tace, 
sarò capace di inoltrarmi in posti senza luce, 
in mezzo a volti mai visti, trucchi tra illusionisti, 
ricorda questo: esisto solo perché esisti. 

 

***

Donare sentimenti, affetto … non era mai stato il suo forte, mettere da parte l’orgoglio poi!

Dino nonostante tutto l’aveva sempre accettato per quel che era; negli anni successivi non s’incontrarono molto spesso,  anzi a causa degli impegni con le relative Famiglie, Dino viaggiava spesso in Italia, mentre Kyouya rimaneva in Giappone.

Il loro rapporto si trasformò in un susseguirsi di lettere, telefonate, regali (quest’ultimi soprattutto da Dino verso Hibari.) e visite d’intanto in tanto, un rapporto a distanza per dirla in breve.

 

Non scorderò mai quel periodo in cui non c'eri, quando l'ultimo atto di fatto era il primo dei miei pensieri. 

 

La Famiglia arrivava prima di tutto.

I Doveri arrivavano prima di tutto.

Eppure Hibari si trovò in un momento in cui sentiva il bisogno di essere messo al di sopra di queste cose, per Dino. Un comportamento un po’ egoista per un uomo di ventidue anni; Dino d’altro canto aveva paura di soffocare l’altro con il suo carattere, anche se doveva ammettere che in quel lasso di tempo era cambiato notevolmente, fatto che gli rinfacciavano persino Romario e i suoi uomini.

Nessuno gli aveva chiesto di cambiare, tantomeno Hibari che nonostante si lamentasse spesso del suo carattere troppo estroverso, non aveva mai preteso un suo cambiamento.

In quel momento Hibari capì che Dino era prigioniero di un mondo che lo obbligava ad essere la persona che non era, prigioniero del marchio, del tatuaggio che copriva parte del suo corpo … prigioniero di un ruolo che era stato obbligato ad assumere.

Ricordava bene i momenti in cui Dino gli raccontò che da ragazzino alla morte del padre aveva provato paura, forse anche risentimento, quando per successione aveva ricevuto tutto il suo potere, obbligandolo a diventare quindi Boss dei Cavallone.

Hibari che aveva sempre fatto tutto di testa sua senza ascoltare gli altri, non sapeva cosa si provava, persino nei confronti di Dino e dei suoi sentimenti non si era mai lasciato travolgere più del dovuto … o almeno, aveva evitato di farlo pubblicamente.

 

Dopo la morte di Dino tornò a chiudersi, reprimendo i suoi sentimenti, forse più di prima. Quando stava da solo invece arrivava a fare cose che non aveva mai fatto, urlava e piangeva per la frustrazione; malediceva lui perché dopo avergli dato tutto, dopo avergli promesso la Luna  alla fine era morto … in maniera persino patetica secondo Kyouya, considerando quanto l’altro era forte.

 

Lacrime spese cercando un senso, cose preziose.    

 

***

S’inginocchiò di fronte alla lapide, protraendo il braccio in avanti, verso la lapide.

Sfiorò il suo nome inciso, l’ultimo dei ricordi che gli rimaneva di lui – l’ultimo suo ricordo terreno.

Improvvisamente si sollevò in piedi, un rumore sospetto aveva attirato la sua attenzione; il suo sguardo cadde su un cane di razza Labrador, che lo fissava da chissà quanti minuti seduto a poca distanza.

Lo fissò per un paio di minuti, notando un qualcosa di famigliare nel suo sguardo, ma scosse la testa pensando a quanto fosse stupido il pensiero di rivedere lo sguardo di una persona in un cane.

Il cucciolo si avvicinò al ragazzo, strusciando con fare affettuoso la testa contro la sua mano e leccandogli le dita. Solleticato dal gesto, Kyouya si lasciò sfuggire un piccolo sorriso, accarezzandogli la schiena.

«Dino! Dove sei Dino?» In lontananza la voce di una signora anziana attirò la sua attenzione e a sentir quel nome istintivamente sollevò lo sguardo, guardandosi attorno – sul suo viso vi era un’espressione sorpresa, quasi speranzosa.

 

Che stupido.

 

Il cucciolo al richiamo della donna iniziò ad abbaiare come a voler attirare la sua attenzione, al che Kyouya si sollevò in piedi con l’intento di andarsene, ma quando la donna si avvicinò alla tomba dei Cavallone portando lo sguardo prima sulla lapide di Dino, poi su Hibari, decise di rimanere.

«Era un vostro conoscente?» Chiese l’anziana donna, inaspettatamente in giapponese; Kyouya s’accigliò, inizialmente restio nel parlare con la signora, ma poi annuì.

«Questo cane è quasi un anno che gira da queste parti, ogni giorno scappa da casa mia … e lo trovo vicino alla lapide di quest’uomo, per questo ho deciso di chiamarlo Dino.» spiegò nonostante il moro non le avesse chiesto nulla, la donna osservò il cucciolo con la coda dell’occhio: da quando era arrivata non aveva smesso un attimo di fissare Hibari.

«Sembra piacere al signorino … perché non lo porta via con se?» Gli domandò con un sorriso alla buona; Kyouya riportò lo sguardo sul cucciolo che sembrò capire le parole della donna ed iniziò a scodinzolare, quando si trattava di animali diventava piuttosto sensibile, così dopo un breve scambio di sguardi (si, con il cane.)  annuì.

 

Durante il viaggio di ritorno in Giappone, più volte aveva avuto la sensazione che quel cucciolo lo conoscesse … da diverso tempo. Se era per merito del fato o del caso probabilmente non l’avrebbe mai saputo, ma quando vide il cucciolo inciampare vorticosamente sulla porta d’ingresso della sua abitazione, una strana sensazione prese il sopravvento in lui … anche a Dino succedeva spesso.

 

Rimanere legati al passato, a qualcuno che non c’è più forse era da stupidi erbivori, certamente non da Hibari Kyouya … eppure aveva bisogno di qualcuno a cui potersi aggrappare, un appiglio, un sostegno.

 

« … anzi non “finché morte non ci separi” … ma “Per sempre”.»

 

Ogni tanto le promesse le manteneva, quello stupido Cavallone.

   
 
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