18
dicembre.
Una
lapide di marmo, ecco cosa gli
rimaneva di lui.
Una
lapide di marmo, un anello e una
promessa non mantenuta.
Dino
venne a mancare esattamente un anno fa, durante una missione come
un’altra per
proteggere un bambino durante uno scontro fra la Famiglia Cavallone ed
una
Famiglia avversaria. In seguito a una ferita d’arma da fuoco
le sue condizioni
poco alla volta erano peggiorate ed infine, senza nemmeno soffrire
particolarmente, si era spento.
Nessuno
vide i suoi ultimi istanti poiché Dino stesso aveva
richiesto di rimanere da
solo, strano per la sua indole, lui amava stare in mezzo alle persone;
un
messaggio l’aveva lasciato però, aveva chiaramente
espresso che l’unico che
potesse vederlo fosse Kyouya.
Sfortunatamente
quando Kyouya tornò da una lunga missione di quasi una
settimana intera, Dino
era già deceduto.
Il
funerale fu celebrato nella terra natale di Dino, in Italia e fu
presente
l’intera Famiglia Vongola così come altre numerose
ed importanti Famiglie
mafiose. Il posto di Boss dei Cavallone rimase vacante per parecchio
tempo;
Dino non aveva ne moglie ne figli, quindi il ruolo toccò a
un cugino che
diversamente da lui era meno adatto a quel posto e non
riuscì a far rendere la
Famiglia come il Decimo Boss ci era riuscito.
Hibari
aveva continuato a vivere come se nulla fosse, le persone che lo
circondavano
non riuscirono a trovare una qualche differenza di qualsiasi tipo nel
suo
comportamento, nei suoi sentimenti. Yamamoto ricordava ancora la sua
espressione fredda ed impassibile al funerale; Hibari non era una
persona che
riusciva a far trasparire facilmente i suoi sentimenti, non lo aveva
mai fatto
con nessun altro al di fuori di Dino e altre volte con Sawada
Tsunayoshi,
proprio perché Tsuna –come diceva Hibari stesso-
non faceva altro che ficcare
il naso negli affari altrui, quindi si era sentito quasi obbligato a
parlargliene e ribadirgli che non voleva nessun tipo di trattamento
speciale
perché “non era una donna
che aveva perso
il marito in guerra”.
Nonostante
si frequentassero da diversi anni, Hibari non era mai riuscito a dire
che lui e
Dino stavano “assieme” anche se la cosa era
piuttosto evidente agli occhi degli
altri. Inizialmente la loro relazione aveva lasciato in dubbio
parecchie
persone: Hibari era uno studente delle medie, Dino era decisamente
più grande
di lui, ma c’era chi come ad esempio Tsuna che non badava a
questi particolari
bigotti … in fondo era anche grazie a Dino se Hibari
– seppur a modo suo –
aveva iniziato ad aprire di più il suo cuore.
***
La
mattina del diciotto dicembre, Hibari si trovò in Italia per
le vacanze
natalizie, quando ancora Dino era in vita spesso assieme andavano a
portare dei
fiori sulle tombe dei genitori del più grande, non aveva mai
avuto l’occasione
di conoscerli ma per rispetto lo faceva, anche dopo la morte di Dino
aveva
continuato quello che ormai era diventato un vero e proprio rituale.
«Grazie per avermi
affidato vostro figlio.» Mormorò in un
italiano un po’ insicuro, chinandosi
verso le due lapidi per sostituire i due ceri consumati con due nuovi.
Fissò
per alcuni secondi le fiammelle rosse bruciare
posando poi lo sguardo sulla lapide subito a fianco, leggermente
imbronciato.
Sostituì
i fiori secchi con un mazzo di garofani, senza
cambiare espressione nemmeno una volta, tenendo le labbra strette in
una linea
sottile, le mani in tasca e lo sguardo puntato sulla lapide, la sua lapide.
«Tu
invece non meriti ringraziamenti, mi hai lasciato
solo. Hai preso il mio cuore e il mio orgoglio e te ne sei
andato.»
Una
frase di circostanza, un modo come un altro per non
ammettere che in fondo gli mancava, forse troppo.
Ogni
suo sguardo,
ogni frase: cose preziose.
***
«Kyouya
mi vorresti sposare?» Gli chiese Dino con un tono
di voce spensierato, mentre fissava l’orizzonte: il cielo
rosso fuoco bruciava
intensamente riflettendosi nelle acque calme del mare. C’era
una leggera brezza
marina, di sottofondo le voci di alcuni bambini in lontananza
accompagnati dai
genitori per godersi quelle ultime giornate estive.
A
quella domanda il moro si accigliò, odiava quel modo di
fare di Dino, riusciva a dire le cose più imbarazzanti con
una naturalezza
fuori dal comune, il contrario di lui insomma.
«Siamo
due uomini, non dire assurdità.»
Hibari
era sempre piuttosto diretto nel dire ciò che
pensava, oltretutto lui non prendeva mai seriamente Dino, quando lo
faceva si
trattava di altri argomenti ma non sicuramente l’amore.
Il
biondo rise, portando una mano alla tasca della giacca
di jeans che indossava, estraendone un piccolo cofanetto, una volta
aperto
rivelò contenere un piccolo anello con una piccola pietra
d’opale incastrata al
suo interno.
L’espressione
che gli mostrò Hibari fu decisamente
piacevole, tanto da fargli sfuggire una risata divertita. Il ragazzo
moro portò
lo sguardo prima sull’anello, poi incredulo sul viso
dell’altro, confuso e allo
stesso momento sorpreso dal gesto dell’altro, che in fondo
anche se non lo dava
a vedere … lo apprezzava.
«Sei
solo uno stupido erbivoro, questo non cambierà
niente.» Deviò lo sguardo, ma Dino notò
ugualmente una lieve traccia di rossore
sul viso di Hibari.
Prese
la mano del moro e lentamente gli infilò l’anello
all’anulare, senza distogliere per nemmeno un attimo lo
sguardo dal suo. La
mano di Kyouya tremò leggermente, come succedeva ogni volta
che lo toccava con
più decisione del solito, per questo cercò di
essere il più tranquillizzante
possibile.
«Io
accolgo te
come mio sposo, prometto di esserti fedele sempre,
nella gioia e nel
dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i
giorni
della mia vita ...
»
Giurò
Dino a voce bassa, accompagnando l’ultima parola da
un lieve sorriso. Un sorriso che ancora oggi quando provava ad
immaginare,
faceva male.
«…
finché morte
non ci separi.»
Il
biondo afferrò gentilmente il viso del moro fra le
mani, notando un lieve senso di smarrimento negli occhi di Hibari,
scivolò con
un braccio attorno alle sue spalle per rassicurarlo. Lo
baciò, notando dapprima
un po’ di incertezza che non si riservava mai di nascondere,
poi anche il moro
ricambiò il contatto, stringendo i piccoli pugni sul petto
di Dino. Una piccola
sensazione di vertigini, ma pur sempre piacevole.
Lascio
che sia tu a guidarmi a
condurmi altrove,
perché mi
aspettano altri dubbi, nuove insidie,
altre prove.
Saprò sentire la
tua voce anche se tace,
sarò capace di
inoltrarmi in posti senza luce,
in mezzo a volti mai visti,
trucchi tra
illusionisti,
ricorda questo: esisto solo
perché esisti.
***
Donare
sentimenti, affetto … non era mai stato il suo forte,
mettere da parte
l’orgoglio poi!
Dino
nonostante tutto l’aveva sempre accettato per quel che era;
negli anni
successivi non s’incontrarono molto spesso,
anzi a causa degli impegni con le relative Famiglie, Dino
viaggiava
spesso in Italia, mentre Kyouya rimaneva in Giappone.
Il
loro rapporto si trasformò in un susseguirsi di lettere,
telefonate, regali
(quest’ultimi soprattutto da Dino verso Hibari.) e visite
d’intanto in tanto,
un rapporto a distanza per dirla in breve.
Non
scorderò mai quel periodo in cui
non c'eri, quando l'ultimo
atto di fatto era il primo
dei miei pensieri.
La
Famiglia arrivava prima di tutto.
I
Doveri arrivavano prima di tutto.
Eppure
Hibari si trovò in un momento in cui sentiva il bisogno di
essere messo al di
sopra di queste cose, per Dino. Un comportamento un po’
egoista per un uomo di
ventidue anni; Dino d’altro canto aveva paura di soffocare
l’altro con il suo
carattere, anche se doveva ammettere che in quel lasso di tempo era
cambiato
notevolmente, fatto che gli rinfacciavano persino Romario e i suoi
uomini.
Nessuno
gli aveva chiesto di cambiare, tantomeno Hibari che nonostante si
lamentasse
spesso del suo carattere troppo estroverso, non aveva mai preteso un
suo
cambiamento.
In
quel momento Hibari capì che Dino era prigioniero di un
mondo che lo obbligava
ad essere la persona che non era, prigioniero del marchio, del
tatuaggio che
copriva parte del suo corpo … prigioniero di un ruolo che
era stato obbligato
ad assumere.
Ricordava
bene i momenti in cui Dino gli raccontò che da ragazzino
alla morte del padre
aveva provato paura, forse anche risentimento, quando per successione
aveva
ricevuto tutto il suo potere, obbligandolo a diventare quindi Boss dei
Cavallone.
Hibari
che aveva sempre fatto tutto di testa sua senza ascoltare gli altri,
non sapeva
cosa si provava, persino nei confronti di Dino e dei suoi sentimenti
non si era
mai lasciato travolgere più del dovuto … o
almeno, aveva evitato di farlo
pubblicamente.
Dopo
la morte di Dino tornò a chiudersi, reprimendo i suoi
sentimenti, forse più di
prima. Quando stava da solo invece arrivava a fare cose che non aveva
mai
fatto, urlava e piangeva per la frustrazione; malediceva lui perché dopo
avergli
dato tutto, dopo avergli promesso la Luna
alla fine era morto … in maniera persino
patetica secondo Kyouya,
considerando quanto l’altro era forte.
Lacrime
spese cercando un senso, cose
preziose.
***
S’inginocchiò
di fronte alla lapide, protraendo il
braccio in avanti, verso la lapide.
Sfiorò
il suo nome inciso, l’ultimo dei ricordi che gli
rimaneva di lui – l’ultimo suo ricordo terreno.
Improvvisamente
si sollevò in piedi, un rumore sospetto
aveva attirato la sua attenzione; il suo sguardo cadde su un cane di
razza
Labrador, che lo fissava da chissà quanti minuti seduto a
poca distanza.
Lo
fissò per un paio di minuti, notando un qualcosa di
famigliare nel suo sguardo, ma scosse la testa pensando a quanto fosse
stupido
il pensiero di rivedere lo sguardo di una persona in un cane.
Il
cucciolo si avvicinò al ragazzo, strusciando con fare
affettuoso la testa contro la sua mano e leccandogli le dita.
Solleticato dal
gesto, Kyouya si lasciò sfuggire un piccolo sorriso,
accarezzandogli la
schiena.
«Dino!
Dove sei
Dino?»
In lontananza la voce di una signora
anziana attirò la sua attenzione e a sentir quel nome
istintivamente sollevò lo
sguardo, guardandosi attorno – sul suo viso vi era
un’espressione sorpresa,
quasi speranzosa.
Che
stupido.
Il
cucciolo al richiamo della donna iniziò ad abbaiare
come a voler attirare la sua attenzione, al che Kyouya si
sollevò in piedi con
l’intento di andarsene, ma quando la donna si
avvicinò alla tomba dei Cavallone
portando lo sguardo prima sulla lapide di Dino, poi su Hibari, decise
di
rimanere.
«Era
un vostro conoscente?» Chiese l’anziana donna,
inaspettatamente
in giapponese; Kyouya s’accigliò, inizialmente
restio nel parlare con la
signora, ma poi annuì.
«Questo
cane è quasi un anno che gira da queste parti,
ogni giorno scappa da casa mia … e lo trovo vicino alla
lapide di quest’uomo,
per questo ho deciso di chiamarlo Dino.» spiegò
nonostante il moro non le
avesse chiesto nulla, la donna osservò il cucciolo con la
coda dell’occhio: da
quando era arrivata non aveva smesso un attimo di fissare Hibari.
«Sembra
piacere al signorino … perché non lo porta via
con se?» Gli domandò con un sorriso alla buona;
Kyouya riportò lo sguardo sul
cucciolo che sembrò capire le parole della donna ed
iniziò a scodinzolare,
quando si trattava di animali diventava piuttosto sensibile,
così dopo un breve
scambio di sguardi (si, con il cane.) annuì.
Durante
il viaggio di ritorno in Giappone, più volte
aveva avuto la sensazione che quel cucciolo lo conoscesse …
da diverso tempo.
Se era per merito del fato o del caso probabilmente non
l’avrebbe mai saputo,
ma quando vide il cucciolo inciampare vorticosamente sulla porta
d’ingresso
della sua abitazione, una strana sensazione prese il sopravvento in lui
… anche a Dino succedeva spesso.
Rimanere
legati al passato, a qualcuno che non c’è
più
forse era da stupidi erbivori, certamente non da Hibari Kyouya
… eppure aveva
bisogno di qualcuno a cui potersi aggrappare, un appiglio, un sostegno.
«
… anzi non “finché
morte non ci separi” … ma “Per
sempre”.»
Ogni
tanto le promesse le manteneva, quello stupido
Cavallone.