Titolo:
By the light of the moon
Fandom:
The Vampire Diaries
Personaggi/Pairing(s):
Tyler Lockwood; Bonnie
Bennett, Caroline Forbes, Elena Gilbert/Matt Donovan (implied);
citati Richard e Carol Lockwood
Rating:
verde
Avvertimenti:
oneshot
Note
iniziali: 1.Non ho idea di che
effetti abbia la moonstone
sui licantropi non trasformati, ma credo che possa dar loro la
possibilità di controllare la rabbia (e forse
chissà, anche il dolore) durante il periodo di luna piena.
Ho immaginato perciò che avesse un effetto calmante ed
energetico sia su Tyler che su Richard.
2. Alcune frasi dei personaggi sono volutamente sgrammaticate, per
rendere meglio il linguaggio infantile (uh, è stato troppo
divertente immaginare i personaggi da bambini :P).
3.Dedicata a quell'adorabile donnacciah
di Alexiel_Fay,
come primo regalino natalizio. Perdonami se non è niente di
shipposo, ma arriverà qualcosa anche su Kat, più
avanti ^^
By the light of the moon
In
un pomeriggio assolato e più noioso degli altri, a Mystic
Falls, un
gruppetto di bambini vociava nella radura, nei pressi di un vecchio
pozzo diroccato.
Tyler
Lockwood, fiero di sé, stava mostrando agli amici una pietra
tonda e
biancastra, un po' più grossa di un uovo.
“Vi
presento...il più grande tesoro dei Lockwood!”
annunciò,
appollaiato sul muretto del pozzo, dondolando i piccoli piedi.
Sotto
di lui, Matt Donovan, Caroline Forbes, Elena Gilbert e Bonnie
Bennett, gli restituirono sguardi perplessi e un po' delusi, e Tyler
sbuffò.
Aveva
rubato quella pietra per gioco dallo studio di papà
– rischiando
una sgridata coi fiocchi - solo per mostrarla a loro, si meritava un
po' più di entusiasmo, accidenti!
“Tyler,
sei proprio sicuro
che questo sia un tesoro?” chiese
Caroline scettica, inarcando le sopracciglia bionde e masticando un
chewingum a bocca spalancata.
“Mi
aspettavo un diamante e non... bè, non so cosa
sia” azzardò
Elena, strisciando i piedi a terra, come scusandosi.
“Anche
io. Però se dici che è così
speciale...” fece eco Bonnie,
stringendosi nelle spalle – sempre a imitare le sue
amichette,
pensò Tyler seccato.
Di
sicuro si aspettavano cose come collane di diamanti, lingotti d'oro,
anelli o altre robe da femmine
– in particolare Caroline,
che non faceva che agghindarsi con monili che imitavano quelli degli
adulti – ma Tyler era certo che fosse quello il possedimento
più
prezioso della sua famiglia, perciò ovvio che fosse speciale!
Papà
lo custodiva in una scatoletta elegante ed elaborata, una specie di
scrigno che prima di andare a dormire chiudeva a chiave. Certi giorni
invece, la portava direttamente con sé, nelle tasche, e di
tanto in
tanto Tyler lo osservava giocherellarci distrattamente tra le mani.
Ma
soprattutto – ed era questo a dare al bambino la certezza che
quell'oggetto fosse di immenso valore – c'era un divieto che
gli
era stato imposto: non
giocarci e non toccarla, Ty. E' la cosa più
preziosa che possiedo.
Quel
giorno, solo per gioco, Tyler aveva disobbedito a papà. Era
riuscito
a sfilargliegli la chiave dello scrigno dalla tasca della giacca,
approfittando di un momento in cui l'uomo si era assopito sulla
poltrona, dopo pranzo.
Ma
non c'era niente di male, giusto?
Avrebbe
rimesso tutto a posto, subito dopo.
Papà
non se ne sarebbe nemmeno accorto.
“Io
non me ne intendo, Ty” ammise Matt, che stava grattando
distrattamente il terreno con un rametto secco “Ma credo che
una
roba che appartiene ai Lockwood vale almeno quanto casa mia”
rise,
mettendo in mostra un paio di denti da latte non ancora ricresciuti.
Almeno
il suo migliore amico gli dava man forte.
Elena,
incitata dal commento di Matt – Elena era d'accordo con ogni
cavolo
di sospiro
di Matt, pensava Tyler - si fece avanti e osservò
la pietra con un po' più di curiosità.
“Posso
toccarla?” chiese timidamente, e Tyler glielo concesse con la
pomposità di un re che concede a un suddito una grande
grazia.
“Sì,
ma stai attenta”
“Anch'io
voglio vederla, Tyler!” saltò su Caroline,
imitando l'amica. E ti
pareva?
“E'
strana...ma è bella, in fondo” commentò.
Tyler
si trovò d'accordo. Sì, era strana e non
somigliava a nessuna delle
pietre preziose ordinarie, ma splendeva di una bella luce
particolare, specie sotto i raggi del sole. Ricordava la luna, con
quel bianco pallido e lattiginoso. Liscia, tonda, robusta, tenerla
tra le dita dava un'inspiegabile sensazione di benessere, che il
lessico bambinesco di Tyler avrebbe riassunto semplicemente nella
parola coraggio.
“Papà
non la venderebbe per niente al mondo” spiegò
Tyler, riguadagnata
la spavalderia. “E' tipo innamorato di questa cosa, no? A
volte
credo che la ami più della mamma!”
ghignò, facendo ridacchiare
gli altri.
“Cosa
dovrebbe essere, comunque?” rimbeccò Bonnie,
incrociando le
braccia sul petto in una posa saccente che sfoderava troppo spesso a
sproposito per i suoi dieci anni.
“Cioè,
a cosa
serve? E' un fermacarte, un soprammobile o...”
A
questo, Tyler non sapeva rispondere, ma decisamente il tono di Bonnie
“Saputella” Bennett gli stava dando sui nervi, per
non parlare
della risatina scema di Caroline che era seguita a quel commento.
“Senti,
chi se ne frega! Se il mio papà dice che è
importante, è così ”
replicò, con un po' di aggressività, stringendo
forte la pietra nel
pugno.
Ecco
uno dei motivi per cui non voleva mai stare col gruppo delle femmine:
erano delle smorfiosette insopportabili, certe volte. Tyler di tanto
in tanto accettava solo perchè Matt ed Elena erano moltomolto
uniti – o come preferiva chiamarli lui 'sposini' - , e Tyler
non
avrebbe fatto mai un dispiacere al proprio migliore amico.
Il
problema era che Elena Gilbert voleva dire automaticamente anche
Caroline Forbes e Bonnie Bennett.
Ecco,
Elena era okay, ma le sue amiche no. La prossima volta avrebbe
chiesto a Matt di giocare senza di loro, e basta.
Ma
quel problema sarebbe stato l'ultimo dei suoi pensieri, di
lì a
poco.
“Tyler!
RAGAZZO, VIENI FUORI!”
Quel
richiamo rabbioso fece gelare tutti quanti i bambini, ma più
che mai
l'interpellato, che riconobbe all'istante la voce del padre.
Tyler
deglutì e si pentì all'istante di ciò
che aveva fatto.
Ora
era in guai seri.
Molto,
molto seri.
“Richard,
non puoi chiuderlo ancora lassù...L'ultima volta ha avuto
gli incubi
e...”
“Non
mi interessa! Mi ha disobbedito, Carol! E ora imparerà la
lezione!”
Le
ginocchia strette al petto e i pugni chiusi, Tyler era rannicchiato
contro la parete della soffitta, circondato da vecchia mobilia
coperta da lenzuoli e polvere, da ombre che sembravano muoversi e
rumori sinistri.
Cercava
disperatamente di non piangere, perchè già lo
aveva fatto prima –
imbarazzato - quando il padre lo aveva preso a schiaffi davanti ai
suoi amici, ed ora che era solo forse provava ancora più
vergogna.
Sì,
perchè era buio. Troppo buio, e Tyler non l'aveva mai
sopportato.
Sapeva
che era da perdenti e
femminucce averne ancora paura,
alla sua
età, ma non riusciva a impedirselo.
C'erano
cose,
lì, che prendevano vita e non c'era modo di capirle o
combattere – per quanto coraggiosi si fosse.
C'erano
pensieri, immagini e incubi che prendevano le sagoma degli oggetti
attorno a lui, e gli sembrava di sentire sussurri bassi, ringhianti,
disumani.
Conficcandosi
le unghie nei piccoli palmi, le guance ancora brucianti dove le mani
di Richard lo avevano colpito, Tyler si ripetè che non
doveva
piangere, che era grande ormai, che non sarebbe successo nulla.
Ma
due grosse lacrime gli sfuggirono ugualmente dagli occhi scuri.
Papà
lo avrebbe lasciato lì per almeno due ore, come l'ultima
volta in
cui Tyler aveva fatto una marachella.
I
minuti scorrevano lenti, e il bambino sentiva sempre più
prepotente
la voglia di mettersi a picchiare i pugni contro la porta, urlando
che lo facessero uscire.
Ma
non sarebbe servito, lo sapeva. Se c'era una cosa in cui Richard
Lockwood era serio, era sulle punizioni da infliggere al figlio. Non
si sarebbe mai intenerito di fronte a cose del genere.
Men
che mai quando diventava così.
Normalmente
era un padre buono, affettuoso al punto da viziare Tyler anche
troppo, proteggendolo a spada tratta anche quando, per via del
carattere impulsivo, il figlio finiva ad azzuffarsi con i compagni di
scuola. Eppure, c'erano momenti in cui Richard Lockwood perdeva le
staffe e diventava un'altra persona, arrivando a punire fisicamente
Tyler e ricorrendo a punizioni così crudeli.
Era
come se si trasformasse in un'altra persona: del proprio
papà, Tyler
non riconosceva niente.
Gli
occhi diventavano due fessure rabbiose, prive della luce calda che di
solito avevano; la voce gli fuoriusciva come un ringhio basso,
spaventoso, che Tyler chiamava voce-da-mostro,
e
non c'era modo di convincerlo a fermarsi piangendo e chiedendo scusa
– nemmeno Carol Lockwood ci riusciva.
A
Tyler scesero altre lacrime rassegnate.
Fuori,
la notte era ormai totale, e uno spicchio di luna ad un tratto
fece capolino dietro le nubi scure.
I
suoi raggi illuminavano debolmente le assi di legno della soffitta,
attraverso la finestra, e Tyler si spostò appena un poco
affinchè
anche lui ne fosse sfiorato.
Non
era come essere nella propria camera, con la lampada accesa, al
sicuro, ma era meglio di niente.
E,
riflettè, stranamente era come tenere la pietra di
papà in mano –
dava coraggio.
Tirò
su col naso e alzò gli occhi sulla luna.
Gli
vennero in mente le parole di Caroline: “E'
strana...ma è
bella, in fondo”
Emanava
una luce fredda e misteriosa, un richiamo irresistibile agli occhi di
Tyler, che la fissava come se non l'avesse mai osservata realmente,
prima di allora.
Il
bambino smise di piangere all'istante, sentendosi meno solo.
Finchè
ci sarebbe stata quella presenza amica, non c'era motivo di avere
paura.