Chi cerca trova
In classe non si
sente volare una mosca. Il sole entra caldo dalla finestra battendo impietoso
sulle nostre schiene curve.
E’ maggio, e questo
è l’ultimo compito di greco: per molti, la speranza della salvezza, per pochi fortunati, la differenza fra il sette e l’otto. Anche se faccio parte di questa categoria privilegiata, sono
nervosissima. Potrei sempre fare come un aeroplano in avaria e precipitare giù
strillando S.O.S verso la cupa terra del quattro e del
cinque, una landa brulla e desolata dove in non-sufficienti si aggirano come
anime in pena.
Il frusciare
ansioso delle pagine del GI soffia sopra di noi come
una brezza notturna. La versione parla dello spartano Lisone, che per qualche
ragione a me sconosciuta volle andare in battaglia già vecchio e morì al primo
assalto. I greci erano eruditi e intelligenti e tutto, ma non si risparmiavano
un sacco di azioni completamente prive di senso come
questa. Ora, compatendo il povero Lisone che tanto erudito e intelligente non
doveva essere, mi imbatto in un verbo straniero
dall’aria aoristica che ghigna sapendo che nessuno mai lo riconoscerà.
Il malvagio verbo
in questione è ειποέσθην. Poco
speranzosamente vado alla π di ποιέω ma come mi
aspettavo, non è ciò che sto cercando. Sospiro. Dev’essere un politematico. I
politematici sono l’incubo di tutti gli studenti di greco: hanno mille forme
diversissime fra loro, e per la Legge Generale dell’Aoristo non ti entreranno
mai in testa finchè la prof non te li chiederà, te
sparerai una stupidaggine assoluta e lei ti correggerà scandalizzata mettendoti
un meno.
Sento un lamento
dietro di me e mi volto. Il nostro illustre rappresentante di classe Francesco mi indica con la punta della penna il verbo. - Che diavolo di verbo è? - mi sussurra senza guardarmi. Io
scuoto impercettibilmente la testa per fargli capire che non ne ho la più vaga
idea. La lancette ticchettano verso l’ora del giudizio
universale, ovvero le 13:05.
Controllo tutti i
verbi che rassomigliano al mio, ma nessuno di loro ha la forma di aoristo giusta. L’unica speranza è la mia amica Ludovica che
siede davanti a me. Le tiro un ricciolo e lei mi soffia: - Che c’è? -.
- Il verbo alla riga 18,
l’hai trovato? -.
Ma purtroppo il finissimo udito della prof
capta il mormorio, e siccome non è sicura di chi è stato, squadra tutta la
nostra fila con uno sguardo che farebbe tacere anche mia sorella Beatrice, che
notoriamente è la parlantina fatta persona.
Oddio, sono da sola
a combattere contro il verbo misterioso, e ancora mancano tre righi alla fine
della versione. Decido di lasciare uno spazio e finire, poi mi dedicherò al mio
nemico. Tic toc, mancano dodici minuti e quarantadue secondi. Quando ormai ho seppellito Lisone e fatto gli onori funebri, ne
mancano sette.
- Ok, maledetto politematico, scoprirò chi
sei - mi rimbocco le maniche e mi spremo le meningi. Sicuramente è una seconda
persona duale medio-passiva indicativo aoristo. - Oh dea Atena, te che presiedi
alle arti e alla saggezza, dimmi da dove spunta fuori ‘sto verbo! -. Magari se
faccio l’offerta di un pezzetto di cotto e fontina del paninaro Sileno del
secondo piano la dea mi aiuterà.
Dai,
ειποέσθην,
ειποέσθην,
ειποέσθην…a cosa ti fa pensare? La
mia memoria sta cercando di farmi capire qualcosa, ma ora come ora non arrivo
fino ai recessi della mia mente dove sta pagina 237
del libro di teoria “I principali verbi politematici”. Però
qualcosa scatta e le mie mani corrono speranzose a οραω,
che so essere un alfiere del temibile esercito.
Dai, dai, sbrigati…mancano quattro minuti.
ορατός,
οραυγέομαι…οραω!
Eccolo, il piccolo sadico. Ebbene, l’aoristo
fa…είδον! Mi accascio sul banco
disperata. Ormai i più stanno chiudendo il foglio protocollo e scrivono
il nome e la data. Mi arrendo. Lascerò in bianco e pregherò che non sia un
errore da due voti. In quel momento, infilando il testo accanto alla
traduzione, con il gomito urto il vocabolario che cade a terra con uno
schianto. Tutti si voltano verso di me e la prof corruccia le
sopracciglia infastidita.
- Scusi - mormoro arrossendo. E in quel momento…rullo di tamburi, prego.
Il
GI schiantandosi a terra
si è aperto alla lambda. In un vortice mi rivedo china alla scrivania, il libro
aperto davanti. Siamo a pagina 237. Copio sugli
appunti il primo verbo politematico con la lambda. Il
formidabile…λεγω! Non ci posso credere, l’ho trovato, l’ho
sconfitto! Uno a zero per me! La campanella suona e la prof comincia a
raccogliere i compiti, per fortuna parte dall’altro capo della classe. In
fretta e furia controllo il significato, completo la
traduzione e con il sorriso sulle labbra aspetto che la prof mi ritiri il
compito. Poi mi ricordo…
- Ehi, Franci, il verbo è λεγω
- gli sussurro mentre è la prof è di spalle.
- Grazie! - Scrive freneticamente e quando è
il nostro turno ha appena finito.
- Dammi un penta -
Mi dà il cinque e io abbraccio la Ludo che mi ha confessa di avere la lista con
i verbi politematici sotto il banco.
- No…sul serio? Potevo pensarci anch’io…-
Ciao!
Come avrete capito,
questo è ciò che mi è successo all’ultimo compito in
classe dell’anno scorso. Se voi studiate greco, potete capire
quando odio ispirino gli aoristi tematici, se non lo studiate, beh, vi
consiglio di stare alla larga da queste bestie feroci.
Alla fine, il compito
è andato bene: ho preso 8+, grazie al cielo.
Mi lasciate una
recensioncina? Per favore…
Grazie
Un bacio
Elothieriel