Ringraziamenti:
ranyare: Ciao! spero tu abbia asciugato tutte le lacrime e che sia pronta per questo nuovo capitolo del quale aspetto il tuo giudizio con dita incrociate! Sn felicissima che la scena della battaglia ti sia piaciuta perchè di solito mi vengono meglio le scene dove i personaggi riflettono sui loro sentimenti o le scene romantiche, quindi quando descrivo una scena d'azione ho sempre paura che nn sia venuta! Se il nostro caro Peter (tra l'altro sono andata a vedere il terzo film di narnia e mi è mancato tantissimo il mio amore biondo!!!! Ma perchè Aslan nn gli ha permesso di tornare, cosa accidenti gli cambiava a lui se entravano cinque persone nel suo regno e nn tre? Mah...! sob!) ti è piaciuto nei panni del re nell'ultimo cappy sn certa che ti piacerà anche a metà di questo dove si cala perfettamente di nuovo nei panni del mitico sovrano di Narnia^^ Spero di leggere presto il tuo parere su qst capitolo, ci sn molte rivelazioni e vorrei sapere cosa ne pensi! Grazie mille per la tua recensione e per i tuoi complimenti :-) love you! un bacione:-)!
sweetophelia: Ciao! hihhi, nn vorrei dire ma credo di aver intuito che tu sia contenta della morte della strega!!!!!!! XD! Anche Peter è felice, il momento dove la infilza è anche il suo preferito, ha provato un'enorme soddisfazione personale!!! x Cate superare la cosa sarà ovviamente più dura che per il ragazzo, però in qst capitolo troverà il modo di avere una consolazione, e poi ci sarà sempre Peter accanto a lei:-)! Tranquilla, la storia ha superato la metà però la parola fine è ancora lontana :-) cmq grazie di cuore per l'entusiasmo che dimostri per ogni capitolo, nn hai idea di quanto mi faccia piacere!!! thanks^^!!!!!!!!!! Gli interrogativi che hai posto prometto che presto o tardi verranno tutti risolti, uno in particolare già in questo capitolo e nn vedo l'ora di sapere cosa ne pensi della risposta :-)! Grazie mille ancora :-) ti mando un grande bacio!!!!!!
bex: Ciao! Sono felicissima che tu abbia apprezzato e letto tutti i capitoli della fan fiction scritti finora! E grazie mille per tutti i complimenti che mi hai fatto e per aver apprezzato l'idea che Jadis avesse una figlia, sei troppo buona :-)!!!!! Ho risposto alla tua mail :-) scusami se nn l'ho fatto subito, e che volevo aspettare di postare il nuovo capitolo prima, solo che speravo che l'operazione si svolgesse in tempi più brevi invece il capitolo nn finiva mai, aggiungevo sempre qualche pezzo con il risultato che ci ho messo una vita a pubblicare! Cmq grazie per la tua mail, è la prima che ricevo, quando ho visto che la casella postale aveva un mess mi sn emozionata! thanks^^ spero che anche questa cappy ti piaccia e spero di sapere presto le tue impressioni :-) un bacio grande!
Eve_Cla 84: Ciao!! Se volevi regalare un po' di felicità ti posso assicurare che ci sei riuscita perchè se già una recensione di per sé fa piacere, piena di apprezzamenti come la tua nn può che riempirmi il cuore di gioia, perciò grazie grazie :-)!!!!!! Sn contenta che i diari abbiano destato curiosità :-) la loro esistenza nn era programmata, l'idea è venuta praticamente fuori da sola mentre scrivevo dell'incursione di Cate nella camera di Jadis. Mi si è accesa la lampadina! E in questo capitolo avranno un largo spazio, largo abbastanza spero da saziare la tua curiosità sul loro contenuto e anche su altri quesiti :-)! Descrivere le emozioni di Cate durante il duello tra Peter e Jadis è stata la parte più difficile del cappy perciò sono felice di sapere di esserci riuscita alla fine, grazie :-)! Povera Cate, per lei vedere i due combattersi a vicenda nn è stato affatto bello e sarà dura andare oltre la morte di Jadis, però grazie all'aiuto di Peter e di alcune scoperte riuscirà a trovare una consolazione alla fine :-) Spero di leggere presto la tua recensione perchè nn vedo l'ora di sapre cosa pensi delle varie rivelazioni che il cappy contiene!! Ancora grazie per la tua recensione :-) ti mando un grande grande bacio cara ^^!
Grazie anche a tutti coloro che hanno inserito la storia tra preferiti o seguite e anche a coloro che leggono solo:-) chiunque voglia farmi sapre cosa pensa della storia ovviamente è più che ben accetto^^
Vi auguro buona lettura
kisskisses
68Keira68
19_Gigli e
segreti nascosti dal tempo
Un sospiro di sollievo le
fuoriuscì dalle labbra quando il rassicurante profilo
dell’edificio, loro
rifugio in quelle ultime settimane, si stagliò
all’orizzonte.
Erano solo mura usurate dal
tempo, eppure era stato il baluardo della loro resistenza, senza
contare che
dalla cella fredda e inospitale mai costruzione le era parsa
più simile ad una
casa se non quelle rovine.
“Una moneta per i tuoi
pensieri”
Il sussurro di Caspian le
giunse dolce come una carezza ad un soffio dal suo orecchio. Si
voltò per
specchiarsi in quei pozzi scuri che erano stati la sua ancora di
salvezza in
quei due terribili giorni.
“Riflettevo sul fatto che
non
vedo l’ora di abbracciare il mio cuscino” gli
rispose con un sorriso ilare.
Caspian rise. “Ti
capisco”.
Il mio
cuscino.
Un cuscino che si trovava nella sua camera, una stanza distante ben tre
porte
da quella del ragazzo dove egli avrebbe riposato. Quella sera avrebbe
dovuto
coricarsi senza le calde braccia di Caspian a cingerla.
Le labbra di Susan si
piegarono in una smorfia di disappunto a quel pensiero. Non voleva
dormire in
un letto da sola, non dopo che aveva costatato quanto bello fosse
assopirsi
accanto alla persona amata, sentire il calore del suo corpo contro il
proprio e
il soffio del suo respiro sul collo. Ma ora che erano stati liberati e
che non
erano più costretti a stare vicini nello stesso angusto
spazio poteva
azzardarsi di chiedere al principe di dormire con lei di sua libera
scelta?
Caspian non si era mostrato
per niente reticente a prendere sonno accanto a lei nella cella di
Jadis, ma
ora la situazione era mutata. Nella prigione il ragazzo non aveva
scelto di
stare con lei, era stato costretto, senza contare che in un frangente
del
genere avere una persona amica vicino poteva essere di conforto. Ma ora
che era
libero di dormire nella sua stanza, al sicuro, avrebbe potuto
desiderare di
dormire lo stesso con lei?
C’era un solo modo per
scoprirlo anche se per farlo occorreva prendere a due mani tutto il
coraggio di
cui disponeva.
“Caspian” lo
chiamò,
attirando la sua attenzione. Le sue guancie si imporporarono. Susan
odiò se
stessa per questa sua debolezza. Non le piaceva far trasparire
così chiaramente
ciò che provava, peccato che quando c’era di mezzo
Caspian indossare la sua
maschera da regina le risultava più difficile che affrontare
l’esercito di
Miraz. “Sai, il mio cuscino è molto grande. Mi
chiedevo se ti andava di
abbracciarlo insieme a me, nella mia stanza” il volume della
voce era
indirettamente proporzionale al rosso delle sue gote, tanto che
l’ultima parola
risultò quasi inudibile per chiunque fosse stato presente.
Per chiunque eccetto
per chi ascoltava la regina con il cuore.
Il volto di Caspian si
illuminò nell’udire la proposta che lui stesso
avrebbe voluto farle ma che non
aveva osato pronunciare. Decidere spontaneamente di condividere la
stessa camera
era un passo importante, in più rendeva ufficiale agli occhi
di tutti il loro
rapporto e il ragazzo aveva già sperimentato cosa succedeva
se faceva pressione
a Susan nel compiere determinate tappe. L’aveva allontanata
una volta, non
avrebbe commesso lo stesso errore. Ma questa volta era Susan stessa a
farsi
avanti e perciò, per quanto questo gli sembrasse incredibile
come un sogno, non
avrebbe avuto ulteriori indugi.
Le passò un braccio
attorno
alla vita e la attrasse a sé, posandole un bacio tra i
lunghi capelli castani.
“Non vedo l’ora
di
abbracciarlo. Anche perché, se ancora non lo avessi capito,
temo di non essere
più in grado di dormire se non ti ho vicina” le
confessò audace sussurrandole
all’orecchio.
Susan avvampò ancora di
più,
ma un sorriso sincero e di pura gioia curvò le sue labbra.
Labbra che furono
catturate per un rapido quanto tenero bacio da quelle del principe poco
prima
che il cocchio preso in prestito nella stalla della strega si fermasse.
Caspian scese con un agile
balzò poi si girò per porgere la mano a Susan e
aiutarla a scendere a sua volta
prima di incamminarsi verso la porta dell’edificio.
Quando entrarono, trovarono
i reduci dello scontro con l’esercito di Jadis stipati nella
sala comune usata
per i pasti, alcuni con espressione confusa, altri guardinga, altri
ancora
incredula. La domanda che passava per la mente di ogni presente era
limpida
come l’acqua. Perché la neve si era sciolta? Una
domanda che poteva avere una
sola risposta, una risposta tuttavia che era troppo meravigliosa anche
solo per
considerarla. Ecco perché gli abitanti di Narnia erano in
empasse ad attendere
qualcosa o qualcuno che chiarisse la nuova situazione. Ed ecco
perché l’arrivo
dei due regnanti fu accolto con un religioso silenzio che racchiudeva
tutte le
speranze e le aspettative nei cuori dei presenti.
“Regina Susan, principe
Caspian” mormorò qualche d’uno come se
sussurrare il loro nome li rendesse più
veri e meno simili ad un miraggio in una tempesta.
Susan sorrise fiera al suo
popolo, tornando a vestire i panni che più le si addicevano,
il rossore sulle
sue guancie improvvisamente scomparso.
“Popolo di Narnia. Sono
lieta di annunciare che la Strega Bianca è stata sconfitta
da Re Peter e da
Lady Cathrine e questa volta non tornerà mai più.
Narnia è definitivamente
libera dalla sua infausta presenza”
Seguirono cinque lunghi
secondi di silenzio, il tempo che occorse ai presenti per assimilare la
notizia, per comprendere che era la verità, che le loro
preghiere erano state
esaudite. Che erano davvero salvi. Poi, un’ovazione esplose.
Qualcuno gridò di gioia,
altri risero finalmente sollevati dall’enorme peso che si
erano portati addietro
negli ultimi giorni. Altri ancora inneggiarono al coraggio e alla forza
del
loro re che li aveva liberati da Jadis, mentre alcuni si limitavano a
sorridere, troppo sopraffatti per esprimere ciò che
provavano in un altro modo.
Anche Caspian e Susan risero
gustandosi quel meritato momento di catarsi. In
quell’istante, in mezzo al suo
popolo finalmente tornato a sorridere, Susan ebbe la consapevolezza che
avevano
veramente vinto. E il premio era la gioia che scorgeva nei volti degli
abitanti
della sua terra.
Sentì Caspian prenderle
la
mano e sospingerla verso la scala al fondo della sala conducente alle
camere.
La regina guardò in volto il principe, stanco e provato
quanto lei, e annuì.
Decisamente quella di andare a letto era un’ottima idea dopo
l’avventura
trascorsa.
Intercettò
Ricipì, che con
la spada rivolta verso l’alto continuava a decantare le lodi
del suo sovrano, e
gli si avvicinò.
“Ricipì, posso
affidarti un
compito?” gli chiese gentile.
Il topo, come prevedibile,
si inchinò profondamente con la spada sul cuore e si
affrettò a rispondere
“Ogni vostro desiderio è un ordine mia
regina”.
“Re Peter, re Edmund, la
regina Lucy e Lady Cathrine stanno per arrivare a bordo di una
carrozza, affido
a te il compito di organizzare un’accoglienza calorosa. Il
Principe Caspian ed
io invece ci ritiriamo nelle nostre stanze”.
“Sarà
fatto” promise il
valoroso cavaliere.
Susan annuì, infine si
accinse a seguire Caspian al piano superiore.
“Sai, quando hai un tetto
sotto la testa non riesci a comprendere la fortuna che hai
finché non ti
ritrovi a dormire su una lastra di ghiaccio”
commentò la ragazza salendo le
scale.
“Già, dai per
scontato anche
di poter godere di una temperatura superiore allo zero” si
accodò Caspian
sorridendo sarcastico.
Quando giunsero davanti alla
porta della camera di Susan, la ragazza si voltò a guardare
il principe per
assicurarsi che non avesse cambiato idea, ma la conferma delle
intenzioni del
giovane giunse veloce e in maniera inequivocabile. Caspian
aprì la porta e prense
la ragazza in braccio per farle varcare la soglia.
Susan, presa alla
sprovvista, rimase interdetta in un primo momento, ma poi decise di
godersi
l’attimo. Erano reduci da un’esperienza che avrebbe
potuto ucciderli e questo
le aveva insegnato che d’ora in poi doveva cercare di
lasciarsi andare un poco
di più, di vivere la sua vita in modo da non aver rimpianti
in caso un’altra
guerra minacciasse la sua sicurezza.
Cinse con le sue braccia il
collo del bel giovane moro che le regalò uno sguardo
così intenso e felice da
lasciarla senza fiato. Sentì il cuore balzarle in gola a
ricordarle più che mai
che se c’era qualcuno che poteva farla sentire viva, che le
poteva donare dei
ricordi indimenticabili, era proprio Caspian.
Il principe di Telmar chiuse
la porta con un lieve calcio poi si diresse verso il letto dove
adagiò la
giovane.
Susan però, vittima di
una
frenesia che i suoi stessi pensieri le avevano fornito, non sciolse il
suo
abbraccio, al contrario trascinò il ragazzo giù
con sé, sprofondando insieme a
lui nel morbido materasso.
Un sorriso sbarazzino,
malizioso ma così spontaneo da avere quasi
dell’infantile, si fece vedere sul
volto della regina che si illuminò di una luce insolita, a
lei estranea tanto
da lasciare Caspian ammaliato a fissarla. Era la luce della
spensieratezza, del
desiderio di cogliere l’attimo senza curarsi delle
conseguenze. Una luce
contagiosa poiché ben presto rischiarò anche il
volto del moro.
Susan fece scivolare una
delle due mani, che ancora cingevano la nuca del giovane, tra i capelli
corvini
di Caspian fino a giungere sulla sua guancia sulla quale poteva
avvertire la
lieve ruvidezza di un accenno di barba. Gli sfiorò lo
zigomo, scorse giù fino
alla mascella e poi accarezzò le sue labbra, morbide e
piene, in grado di
aprirgli un mondo di emozioni che mai avrebbe immaginato accessibili
per lei.
Gli occhi castani, nei quali
albergava un guizzo di malizia solitamente latente, si incontrarono con
quelli
di Caspian e ne rimasero stregati, imprigionati. Le sue due pozze
scure, di
solito pieni di genuinità, di innocenza e di
bontà ardevano come brace. Erano
uno scorcio del fuoco che gli stava incendiando il cuore, un fuoco
alimentato
dal desiderio che aveva della giovane, suscitato dalla sua pelle di
pesca,
dalle sue labbra di rosa e dal suo meraviglioso viso.
Il cuore di Susan batté
ancora più forte sotto quegli occhi che dichiaravano a gran
voce di volerla, ma
soprattutto di amarla. Uno sguardo che la contemplava come se fosse una
dea da
venerare e da desiderare, come se per lui fosse ciò che
più di prezioso il
mondo poteva avere.
Caspian le si avvicinò
con
il capo e prese a baciarle il collo. Erano baci lenti ma dolci, sentiva
solo la
lieve pressione delle sue labbra sulla sua pelle, baci in
contraddizione con la
bramosia che gli aveva scorto negli occhi, quasi come se avesse paura
di
assecondare i suoi desideri. O forse anche lui voleva godersi
l’attimo? Forse
voleva assaporarlo secondo per secondo e non bruciare nessuna tappa,
non avere
fretta.
La bocca di Caspian salì
su
e giunse a baciarle la guancia, il mento fino ad arrivare alla loro
meta, le
sue labbra, mentre la giovane gli accarezzava i capelli con una mano e
lo
stringeva sempre più a sé con l’altra
facendo pressione sulla schiena di lui.
Susan ricambiò il bacio
e
assaporò la morbidezza della labbra di Caspian per un
momento che le parve
infinitamente perfetto. Le loro bocche ormai si modellavano le une
sulle altre
come se fossero due pezzi complementari, come se volessero sottolineare
la
reciproca appartenenza dei loro proprietari.
Fu Caspian infine a
distanziarsi da lei quel tanto che bastava per incatenarla nuovamente
con il
suo sguardo. Il fuoco che precedentemente si era intravvisto in quelle
pupille
si era affievolito, parzialmente soddisfatto da quel bacio
appassionato, ed era
tornata a regnare la consueta genuina felicità che le
contraddistingueva.
“Ti amo Susan”
le sussurrò
ad un respiro dalle sue labbra.
La giovane tremò
nell’udire
la sua voce così profonda e rauca. “Ti amo
Caspian” bisbigliò in risposta. Una
risposta forse scontata, prevedibile, ma non per questo perdeva la sua
veridicità. E di certo non per questo il cuore del giovane
evitò di aumentare
il ritmo del suo battito all’ennesima conferma di essere
ricambiato da Susan.
Caspian le scivolò di
fianco
e le cinse la vita traendola a sé con dolcezza. Le
depositò un bacio sul capo e
appoggiò il suo viso tra i capelli della ragazza, inspirando
a fondo il suo
buono e inconfondibile odore di fiori di campo.
Susan accarezzò il
braccio
che la teneva prima di girarsi su se stessa e ritrovare il contatto con
le
labbra del bel principe.
Forse, dopotutto, il cuscino
avrebbe potuto aspettare, a differenza dell’amore che esigeva
per quella sera
di essere vissuto a pieno…
*
Allungai le braccia e cinsi
il cuscino, sprofondandoci il viso dentro. Stiracchiai le gambe, le
aprii e le
chiusi un paio di volte, godendomi la sensazione della morbidezza del
materasso. Decisamente non esisteva cosa più ristoratrice
del dolce
dormiveglia. Coccolarmi tra le lenzuola mi distendeva i nervi,
rilassava i muscoli
e mi illudeva di essere in un limbo dove esistevamo solo io, il mio
cuscino e,
da qualche giorno, Peter, che con me condivideva quei teneri e
rilassanti
risvegli.
Sfilai una mano da sotto il
guanciale e cercai a tentoni quella del biondo in questione dalla sua
parte del
letto. Corrucciai la fronte però quando mi resi conto che la
sua metà di
materasso era vuota.
Di malavoglia alzai il capo
e aprii gli occhi. Con delusione constatai che la mia impressione era
giusta.
Peter non c’era e a giudicare dalla temperatura del materasso
in quel punto, se
ne era andato da un pezzo.
Con un sospiro lanciai uno
sguardo al resto della stanza…e rimasi di sasso. Due colonne
al fondo del
materasso sosteneva un baldacchino. Un grande armadio di ghiaccio
riempiva
quasi tutta la parete bianca davanti a me insieme ad una panca aperta.
Chiusi gli occhi e scossi la
testa con il cuore che batteva a mille. Quando gli riaprii, i mobili
che aveva
visto erano scomparsi, sostituiti da un armadio in legno notevolmente
più
piccolo e un semplice letto.
Nascosi il viso tra le mani
e inspirai a lungo. La mia mente mi aveva giocato un brutto scherzo, il
mio
subconscio aveva sovrapposizionato l’immagine della mia
stanza al castello di
ghiaccio con quella che avevo lì alle rovine. Evidentemente
nel dormiveglia,
nel mio limbo protetto, avevo sperato che gli ultimi complicati e
incisivi
avvenimenti non fossero accaduti, che erano stati solo un incubo molto
lungo, e
di conseguenza la mia testa aveva immaginato di trovarsi ancora in
quella camera,
fornendomi quell’immagine al posto della realtà.
Deglutii e presi un ultimo
respiro per farmi forza. Ora ero sveglia, era inutile soffermarsi su
sciocche
allucinazioni dettate da una mente ancora addormentata. Piuttosto
sarebbe stato
meglio alzarsi e cercare di raggiungere Peter.
Infilai le ballerine poste
accanto al letto e mi posizionai di fronte allo specchio. Un debole
sorriso si
formò sul mio viso quando vidi i capelli tutti scompigliati.
Era bello constatare che
alcune cose non cambiavano mai. Con pazienza presi la spazzola sul
comò e
cominciai a districare la massa informe che avevo come acconciatura.
Quando
finalmente dei boccoli degni di tale nome tornarono a sfiorarmi le
spalle,
uscii dalla stanza.
Scesi le scale e cercai di
attraversare furtiva la sala comune. La sera precedente, quando Peter,
Edmund,
Lucy ed io eravamo rientrati, ero riuscita silenziosamente a
svignarmela ai
piani superiori mentre il popolo accoglieva i sovrani con i giusti
onori,
sperando che essendo impegnati a lodare i regnanti non avrebbero avuto
tempo
per incenerire me con occhiate maligne e sospettose. Sapevo che non
avevo nulla
da temere, che avendo il favore di Peter nessuno si sarebbe osato a
farmi del
male, ma non avevo voglia di sentirmi additare come una traditrice, una
strega
malvagia o un elemento da evitare, preferivo di gran lunga passare
inosservata
almeno finché l’astio e la diffidenza nei miei
confronti non fossero stati
dimenticati.
Un fauno però ruppe la
mia
rosea speranza di raggiungere indenne la sala della tavola di pietra
dove
certamente erano riuniti i miei amici.
Malauguratamente la creatura
incrociò il mio sguardo, sobbalzò e
sgranò gli occhi. Sbuffando io mi affrettai
a chinare la testa e aumentai il passo, ma mentre cercavo di
svignarmela,
l’abitante di Narnia mi prese in contro piede facendo
l’ultima cosa che mi
aspettavo. Inclinò il busto davanti e con tono rispettoso
mormorò “Buon giorno
principessa Cathrine”.
Rimasi spiazzata. Non aveva
estratto la spada. Non aveva incitato i suoi compagni a puntarmi contro
torce e
forconi. Non aveva pronunciato nemmeno un misero insulto. Si era
inchinato e mi
aveva salutata come “principessa”.
Ma ciò che fu ancora
più
sorprendente fu che altri si affrettarono ad imitarlo. Stavo forse
ancora
dormendo?
“Grazie, buongiorno anche
a
voi” sussurrai di risposta istintivamente grazie ad anni di
buona educazione
che mi salvarono dal fare scena muta.
Accennai ad un saluto con il
capo dopodiché mi dileguai il più velocemente
possibile lungo il corridoio che
portava alla sala adibita alle riunioni, scuotendo incredula la testa.
“Ben svegliata
dormigliona”
la voce energica di Lucy mi accolse nell’aula.
Mi sorrideva allegra dalla
sua postazione preferita, appollaiata sul bordo della tavola di pietra
a gambe
incrociate.
“ ‘Giorno
Cate”
“Buon giorno”
dissi ai
giovani sovrani “Caspian, Susan” aggiunsi poi con
un sorriso prima al moro poi
alla ragazza.
Passai al setaccio la stanza
sperando di catturare un paio di zaffiri luminosi ma restai delusa.
Peter non
si trovava nemmeno lì.
“Arriverà tra
poco” mi
informò Lucy intuendo i miei pensieri.
“Come mai
quell’aria stupefatta?”
mi domandò invece Susan.
Rivolsi la mia attenzione
alla giovane, posta alla destra della tavola e appoggiata con la
schiena sul petto
di Caspian. “Niente, è che mi aspettavo di essere
quasi linciata dai narniani
appena si fossero accorti della mia presenza, invece prima mi hanno
chiamata principessa e si sono
persino inchinati”
spiegai stranita.
Vidi la regina esprimersi in
una smorfia divertita mentre Caspian, Lucy ed Edmund ridacchiarono.
“Vedo che il discorso di
Peter ha sortito il suo effetto” commentò ilare
Caspian.
“Quale
discorso?” mi
informai corrucciando la fronte. Cosa mi ero persa?
“Stamattina sono tornati
tutti coloro che avevano combattuto al fianco di Jadis” mi
mise a parte Edmund.
“E Peter ha ritenuto
opportuno giustamente redarguirli e far loro giurare nuovamente
fedeltà a noi e
ad Aslan.” Aggiunse Lucy.
“Quindi sono stati tutti
perdonati?”
“Non proprio.
Combatteranno
di nuovo dalla nostra parte, ma sono tenuti sotto stretta sorveglianza
e al
primo sospetto verranno trattati come i traditori meritano”
il tono amaro con
la quale Susan si espresse mi fece deglutire.
“Comunque sia non
crediamo
ci sarà bisogno di adottare tali misure. La maggior parte di
loro ha disertato
le nostre file sotto minaccia o sotto un incantesimo. Pochi hanno
lottato per
Jadis convinti di quello che stavano facendo”
puntualizzò fiduciosa la più
piccola dei Pevensie.
Annuii sollevata. Non era
piacevole sapere che il proprio esercito era composto da un nutrito
numero di
traditori.
“Ma questo cosa
c’entra con
me?” chiesi tornando al discorso iniziale.
“Peter ha colto
l’occasione
anche per minacciare di morte chiunque ti avesse anche solo guardato in
modo
storto” il sorriso divertito di Lucy la diceva lunga sul modo
in cui il biondo
si fosse espresso. Poveri abitanti di Narnia… non osavo
immaginare in che modo
avesse formulato la sua “gentile” richiesta.
“E poi ha anche
formalizzato
il tuo nuovo status di principessa ora che si è scoperta la
tua vera identità.”
Concluse Caspian sorridendo anche lui probabilmente al ricordo
dell’arringa,
certamente molto infervorata, del sovrano.
“Come?!”
esclamai sorpresa.
Quindi era stato Peter a dire a tutti di chiamarmi con
quell’inappropriato
appellativo? Ma cosa gli era saltato in mente?
“Non sei
contenta?” Lucy mi
guardò stupita della mia reazione.
“Sono felice di non
dovermi
guardare le spalle da possibili attentatori, ma non sono una
principessa. Morta
Jadis credevo fosse abbastanza chiaro che Narnia sarebbe tornata a voi,
non
intendo essere la principessa di un trono usurpato” ribattei
con veemenza.
“Infatti è
così. I sovrani
di Narnia siamo tornati ad esserlo i miei fratelli ed io”.
Una voce ben conosciuta mi
giunse dalle spalle. Una voce che aspettavo di udire da quando mi ero
svegliata.
Mi voltai addolcendo la mia
espressione istintivamente alla vista di quei tratti angelici.
Peter mi venne incontro, mi
trasse a sé e mi donò un bacio a fior di labbra.
“Buon giorno”
mi sussurrò
all’orecchio.
“Buon giorno anche a
te”
ricambiai, lieta di potermelo finalmente sentir dire da lui.
Edmund si schiarì la
voce
sonoramente, richiamando la mia attenzione e facendomi ricordare le mie
obiezioni.
“Temo di aver perso il
filo
allora. Se i regnanti giustamente siete voi, perché
dovrebbero chiamarmi
principessa?” chiesi inarcando un sopraciglio.
“Jadis era già
regina prima
di allungare le mani su Narnia. Il castello di ghiaccio e le terre ad
esso
adiacenti sono dei suoi legittimi possedimenti, così come le
Isole Solitarie di
cui era imperatrice” mi illustrò paziente.
“E tu sei la legittima
principessa di quelle corone.” Affermò Susan.
Mi massaggiai le tempie.
Troppe informazioni assieme, mi stava venendo il mal di testa. Quindi,
riassumendo, la magia non era l’unica cosa che mia madre mi
lasciava in
eredità. Avevo appena scoperto di avere una corona sulla
testa. Anzi, due per
la precisione. Fantastico.
“Per ora sei solo
principessa perché non hai avuto una cerimonia di
incoronazione, al quale però
provvederemo appena possibile.” Promise Peter.
Un mugolio di
disapprovazione mi uscì prima che potessi fermarmi. Certo,
non vedevo proprio
l’ora di essere incoronata, era il sogno di una vita.
Sospirai e raccolsi le idee
per iniziare la mia presa di posizione. “Ascoltate, non ho
alcun interessa a
diventare regina, né ad essere una principessa. Nives era
l’erede di quei
possedimenti, ma Nives è morta insieme a Jadis. Sono rimasta
io, Cathrine, e
l’unica cosa che mi rallegro di aver ereditato e che
continuerò ad usare è la
mia magia. Quei possedimenti potete annetterli al regno di Narnia, non
mi
interessa. Se occorre posso firmare un documento di
concessione” obiettai
riflessiva.
Peter strabuzzò gli
occhi.
“Ma sono i tuoi territori, il tuo trono. Hai dei doveri verso
la gente che vi
abita, verso i tuoi sudditi.” Ribatté.
Sorrisi divertita dalla
reazione del giovane. Vedeva la situazione attraverso i suoi occhi, per
lui
rinunciare al trono sarebbe stato come lasciare in panne le persone che
gli
davano fiducia. Non riusciva a vederla dal mio punto di vista.
“Non ho idea di come si
amministri un regno Peter, non sono tagliata per quel ruolo. Ci vuole
una
forza, una lungimiranza e un’attitudine al comando che io non
ho. Non tutti
sono nati per governare come te. Faccio di più gli interessi
di quel popolo
mettendolo sotto la vostra guida che assumendomene la
responsabilità, fidati” ragionai
“e poi preferirei non avere qualcosa che mi ricorda Jadis
ogni giorno”
sussurrai a solo beneficio di Peter il quale aumentò la
stretta sul mio fianco
comprendendomi.
Il maggiore dei Pevensie
sospirò e fece passare qualche secondo di riflessivo
silenzio prima di
proporre: “Allora potremmo fare in questo modo. Noi ci
occuperemo di ogni
aspetto dell’amministrazione di quel regno, ma tu conserverai
il tuo titolo di
principessa e potrai richiedere il diretto controllo sulle tue terre in
qualunque momento. Cosa ne pensi?”
L’ultima frase era una
domanda, ma il tono avvertiva a chiare lettere che non avrebbe ammesso
repliche.
Storsi il labbro. Era
insulso essere chiamate con un appellativo onorifico senza far
alcunché per
meritarlo. Tuttavia acconsentii. Peter non mi avrebbe mai permesso
altrimenti.
Il ragazzo sorrise contento
della mia resa, poi si rivolse agli altri presenti.
“Perfetto, risolta questa
questione possiamo passare ad altro. Le nostre spie dicono che i
telmarini non
si sono accorti di essere stati congelati. Sciolto
l’incantesimo hanno ripreso
la loro vita come se niente fosse” li informò.
“Ed insieme ad essa anche
la
preparazione della guerra contro di noi, scommetto.” Aggiunse
amaro Edmund.
Peter annuì con
espressione
grave. Susan si morse il labbro frustrata e Caspian imprecò
a mezza voce.
Eravamo appena usciti da un grosso pericolo, ma un altro non meno
grande stava
di nuovo minacciando la nostra ritrovata pace. Chissà se
saremmo mai riusciti a
liberare questa terra da ogni influenza esterna e farle avere
un’esistenza
tranquilla?
“Cosa possiamo
fare?”
domandò pragmatica Susan.
“Prepararci alla
guerra”
rispose secco Peter.
La regina annuì, i
lineamenti del volto tesi. “Dobbiamo organizzarci
allora”.
Sotto i miei occhi, Peter si
trasformò da semplice ragazzo a re supremo. Postura dritta e
regale, sguardo e
tono fermi, sembrava quasi illuminato da una luce particolare mentre
dettava ordini
e organizzava il futuro della sua gente senza la benché
minima esitazione.
“Innanzitutto i bambini e
coloro che non possono combattere vanno messi al sicuro”
sentenziò guardando
Lucy.
La piccola regina annuì
seria. “Me ne occuperò io, non è un
problema” assicurò.
“Bene”
commentò il biondo.
“Passiamo alla difesa”.
“Io direi di piazzare gli
arcieri sulla balconata sopra l’ingresso. Offriranno una
buona copertura per i
fanti da quella postazione” propose Susan trovando subito
concordi i restanti.
“Te ne puoi occupare
tu?” le
chiese Peter, anche se già conosceva la risposta.
“Ma certo”
Con i lineamenti del volto
tesi e lo sguardo fermo, dubitavo seriamente che esistesse qualcosa che
non
sarebbe stata capace di fare. Lei come tutti gli altri. In quel momento
i
Pevensie mi parevano invincibili. Seri e determinati, le menti
perfettamente in
sincronia, ognuno conscio del proprio compito e del proprio dovere,
ognuno
pieno di fiducia verso le capacità degli altri. Formavano
una squadra
affiatata, perfettamente sintonizzata, unita dall’affetto e
dalla stima che
provavano tra loro.
“Per quanto riguarda
l’esercito di terra…” e si rivolse al
fratello minore.
Edmund fece un passo avanti.
“Dobbiamo evitare lo scontro frontale. La loro
superiorità numerica ci
schiaccerebbe” illustrò.
“Giusto,
perciò cosa
proponi?” concordò Peter.
Un silenzio meditabondo
piombò sulla stanza. Non avevamo soldati a sufficienza per
sopportare un corpo
a corpo, ma come potevamo sfoltire le file dei nostri nemici se non
sotto i
colpi delle nostre spade?
A sorpresa, Caspian si
schiarì la voce, catturando su di sé
l’attenzione. “Forse ho
un’idea” disse.
“Ovvero?” si
informò Susan
attenta.
“Sapete che
l’edificio oltre
al piano terreno e quello superiore comprende anche un piano
sotterraneo che si
estende per un paio di chilometri sotto la raduna qui fuori?”
“Si, e questo ci
è utile
perché…?” lo incalzò Peter,
non comprendendo l’introduzione del principe.
Il ragazzo si concesse un
sorriso. “Il soffitto del sotterraneo è retto da
delle colonne di pietra. Se
quelle colonne venissero distrutte il terreno crollerebbe come
niente” spiegò.
Ora anche Peter sorrideva
soddisfatto,
intuendo dove il giovane volesse andare a parare. “E se
accidentalmente quelle
colonne venissero distrutte mentre i telmarini passano sopra alla zona
che
sostengono…” proseguì per Caspian.
“Una parte
dell’esercito
cadrebbe insieme al soffitto e verrebbe seppellita dalle
macerie” concluse
Edmund, giunto anche lui alla medesima soluzione battendosi il pugno
sull’altra
mano, approvando il piano.
“Se siete
d’accordo allora
una parte dell’esercito aspetterà sotto con
Caspian che, quando i soldati di
Telmar saranno nella giusta posizione, darà
l’ordine di distruggere le colonne
portanti, mentre io ed Edmund saremo sul prato con il resto dei
fanti” decretò
Peter entusiasta dell’idea.
“Io potrei coordinarvi
facilmente con la magia” mi inserii timida nella discussione,
presa da un’idea
improvvisa. “Posso inviare una sfera di luce a Caspian per
comunicargli quando
è il momento di far crollare il soffitto.”
“Perfetto,
così il piano
dovrebbe funzionare e noi ci saremmo tolti di mezzo una parte
dell’esercito di
Miraz senza perdere un soldato” commentò il re
supremo.
“Il numero dei soldati
che
Telmar ha a disposizione non è l’unico dei nostri
problemi però. La città può
usufruire di macchine da guerra che Narnia non ha più da
secoli.” L’annotazione
di Susan fece tornare in toto il pessimismo appena alleggerito.
“Parli delle catapulte,
vero?” precisò Edmund. La regina annuì
tesa.
Effettivamente le catapulte
costituivano un ottimo mezzo per distruggere il nostro edificio e per
assottigliare le nostre fila. Erano grandi e inavvicinabili per
semplici fanti,
indistruttibili utilizzando solo piccole frecce. Ma il peggio era che
Narnia
non aveva nulla di simile da contrapporre. A meno che…una
lampadina mi si
accese, fornendomi la soluzione del problema su un piatto
d’argento. Una
soluzione tanto semplice che mi diedi della sciocca per non averci
pensato
prima.
“Quel problema credo di
potervelo risolvere io tranquillamente” affermai con
sfacciata convinzione.
“Davvero?” mi
chiese
sorpreso Peter.
Finsi un’aria offesa.
“Credi
davvero che qualche pezzo di legno possa mettere in
difficoltà la figlia della
Strega Bianca? Mi sottovaluti signor Pevensie” lo provocai
sorridendo
accattivante.
“Non dubitavo delle tue
capacità,
mia permalosa strega.” Ribatté stando al gioco.
“Non volevo coinvolgerti nella
battaglia. Finché si tratta di inviare un segnale va bene ma
oltre quello avrei
preferito che questa volte te ne stessi in disparte” aggiunse
scrutandomi.
Trattenni a stento uno
sbuffo. Era vero, l’ultima e la prima volta che avevo
partecipato ad una
battaglia avevo finito con il farmi catturare, però non per
questo avrebbe
potuto tenermi in una campana di vetro per il resto della mia
esistenza. Specie
ora che ero divenuta più consapevole dei miei poteri e che
potevo rivelarmi più
utile di prima.
“Peter, apprezzo il tuo
senso di protezione ma sono capace di badare a me stessa. E poi avrete
bisogno
di ogni aiuto possibile e negarti quello di una strega per un eccesso
di
scrupoli mi sembra una mossa stupida” cercai di farlo
riflettere.
“Ha ragione. Il suo
contributo potrebbe essere decisivo. Senza le catapulte la situazione
risulterà
molto meno impari” mi supportò logica Susan.
Le lanciai un’occhiata di
ringraziamento per il sostegno poi tornai a fissare il biondo che mi
guardava a
sua volta con brillanti zaffiri tormentati. Era diviso tra il dovere
verso il
suo popolo e quello di proteggermi che aveva sempre sentito da che ci
eravamo
incontrati.
Gli accarezzai il volto.
“Starò lontana dalla battaglia, non intendo
affrontare direttamente nessuno. Le
condizioni saranno quelle della volta scorsa, contributo magico in
cambio
dell’esonero dall’usare armi
contundenti.” Proseguii cercando ulteriori
motivazioni per la mia causa. Non volevo rimanere con le mani in mano
mentre
loro rischiavano la vita, però avrei perseverato con la mia
scelta di non
uccidere nessuno. Vidi la sua titubanza aumentare e decisi di aiutarlo
ulteriormente concludendo. “E poi i miei poteri si sono
raddoppiati, lo sai.
Dubito seriamente che qualcuno possa nuocermi ora come ora”
vantai peccando
appositamente di modestia.
Ciò parve convincerlo
definitivamente. “D’accordo. Ma starai sulla
balconata vicino a Susan, fuori
dalla mischia” ordinò aumentando la stretta
dell’abbraccio, probabilmente un
riflesso istintivo al pensiero che sarei stata di nuovo esposta al
pericolo.
L’ombra di un sorriso mi si dipinse in volto. Si poteva
essere più
iper-protettivi?
“Del resto
dovrà occuparsene
la fanteria.” Commentò Caspian, tornando
all’argomento principale.
“E se ne
occuperà nel
migliore dei modi.” Promise Peter e lanciò
un’occhiata allusiva al fratello.
Edmund comprese e annuì.
“Vado ad occuparmene immediatamente” ed
uscì dalla stanza.
“Io vado a scegliere un
gruppo di soldati per abbattere le colonne.”
Annunciò Caspian sparendo dietro
ad Edmund.
La terza ad uscire celere
dalla stanza fu la regina maggiore, diretta verso lo schieramento degli
arcieri
di sua competenza, seguita a ruota dalla piccola Lucy che si apprestava
ad
informare del nostro piano coloro che avrebbero dovuto seguirla ai
piani
superiori appena la battaglia fosse iniziata. Una battaglia decisiva,
che
avrebbe segnato le sorti di Narnia. Un’ennesima ferita su
quella terra florida
dalla quale sarebbe sgorgato il sangue dei suoi stessi abitanti,
abitanti che
forse avrebbero potuto estinguersi al tramonto di quel fatidico giorno.
Sospirai affranta. Altra
guerra, altri avversari, ma stesse paure e stesso dolore.
Sentii la pressione della
mano di Peter sollevarmi il mento, obbligandomi a fissarmi negli occhi.
“Non sei costretta a
partecipare” mormorò.
Un angolo della mia bocca si
piegò in su in un’amara smorfia. “Pensi
che resterei a guardare mentre voi
rischiate la vita?” risposi cercando di mascherare
l’afflizione con il sarcasmo.
Il re chinò lentamente
la
testa e mi baciò. Un bacio calmo e lento, un bacio di
conforto, puntato a farmi
comprendere che lui era vicino e che capiva ciò che provavo.
Un bacio che mi
ripeteva che non ero sola. Un bacio che voleva fornirmi una speranza
per il
futuro, che mi dettava di non arrendermi perché insieme ce
l’avremmo fatta.
Avremmo superato anche quest’ulteriore sfida.
“Lucy sarà
dentro
l’edificio, protetta da quelle mura. Caspian è un
bravo combattente e porterà a
termine la sua missione. Susan e tu sarete al sicuro sulla balconata,
impegnate
nei vostri incarichi che saprete eseguire alla perfezione. Edmund
sarà con me e
non permetterò a niente e a nessuno di nuocergli”
mi rassicurò poggiando la sua
fronte sulla mia.
Chiusi gli occhi e mi
inebriai del suo profumo che mi giungeva forte e dolce data la distanza
ravvicinata, come anche il suo respiro che mi raffreddava delicatamente
le
labbra ancora umide dal suo bacio.
Sollevai le palpebre e
sprofondai in quel cielo primaverile, profondo e infinito come i suoi
sentimenti. “E tu?” sussurrai.
Un sorriso sghembo gli
curvò
le labbra. “Non perderò la vita in un semplice
scontro.”
“Perché sei re Peter il Magnifico?” lo
canzonai, ritrovando quel poco di
spirito per scherzare oltre la coltre di preoccupazioni che mi
annebbiava la
mente.
“No, perché
sono troppo
egoista per permettere a qualcuno di privarmi del piacere di rivederti
dopo la
battaglia. O di accarezzare la tua pelle morbida” la sua mano
scorse lungo la
mia guancia, giù per il collo fino alla clavicola.
“giocare con i tuoi capelli
ricci e ribelli” le sue dita si intrecciarono con i miei
boccoli dietro la mia
nuca. Tirò piano una ciocca e un brivido mi percorse lungo
tutta la schiena.
Con imbarazzo fui incapace di trattenere un mugolio. “Di
stringerti a me e
sentire la dolce pressione del tuo corpo” l’altro
braccio si poggiò sulla mia
vita e con delicatezza mi avvicinò al suo petto caldo che si
abbassava e alzava
piano e ritmicamente, pregustando il passo successivo che entrambi
conoscevamo.
“o di rubarti mille baci, poi di nuovo cento, poi di seguito
mille, poi di
nuovo altri cento” mormorò citando i versi che
Catullo dedicò alla sua Clodia,
con il tono sempre più rauco, facendomi tremare il cuore e
le gambe.
Le nostre labbra si
riunirono come poco prima, ma in modo totalmente diverso. Se
precedentemente il
bacio era di comprensione e rassicurazione, ora era passionale,
energico, pieno
di vita, di voglia di godersi il momento, del desiderio che entrambi
nutrivamo
verso l’altro.
Allacciai le mie mani dietro
la sua nuca e ricambiai con tutta me stessa, dimenticando ogni problema
come
sempre mi accadeva quando le nostre lingue si univano in quella danza
ancestrale che tanti significati poteva celare e tante emozioni
trasmettere.
Un’aspra battaglia ci
attendeva. Il destino ci richiedeva di dimostrare ancora il nostro
coraggio e
la nostra determinazione. Ma noi eravamo pronti. Eravamo uniti e forti
del
sentimento che ci legava tra di noi e a quella terra. E proprio per
difendere
l’amore verso l’altro, verso i nostri amici, verso
le creature di Narnia e
verso Narnia stessa, avremmo vinto.
*
La mia
veste era sporca di sangue. Sangue che
continuava a scorrere. Sangue che non era mio.
Lentamente
alzai lo sguardo.
Jadis,
pallida e con le iridi dilatate, boccheggiava
in cerca d’aria. Le mani stringevano convulsamente una lama
affilata che le
fuoriusciva dal centro del petto incurante di ferirsi ulteriormente. Il
sangue
colava a fiotti dalla ferita e dalla punta della spada, finendo sulla
mia gonna
e imbrattandola.
Jadis
barcollò all’indietro di un paio di passi poi
cadde a terra con un tonfo. Tossì e altro sangue le
colò dalle labbra che a
poco a poco stavano perdendo il loro solito colorito acceso.
Incrociai
il suo sguardo e in quelle iridi cristalline
vidi qualcosa che non avrei mai dimenticato. Vidi orgoglio. Nei suoi
occhi
albergava l’orgoglio. Ma non sembrava l’ultimo
lampo di fierezza di una grande
combattente bensì pareva orgogliosa nel vedere
ciò che stava fissando, ovvero
me. Ma perché avrebbe dovuto esserlo? Non ne aveva motivo,
in fin dei conti
avevo contribuito alla sua disfatta, eppure…
“…Figlia…una
grande strega…”
Il suo
sguardo sempre fiero si fece vacuo, i
lineamenti si irrigidirono e il petto si abbassò per
l’ultima volta.
Jadis
era morta…
Mi svegliai di soprassalto,
ritrovandomi seduta sul mio letto, il cuore a mille e la fronte sudata. Mi misi una mano sul petto
che si alzava ed
abbassava a ritmo sostenuto. Davanti a me, solo l’immagine
ancora vivida di uno
sguardo che si faceva vacuo. Chiusi gli occhi nella speranza di
scacciare quella
visione e cercai di focalizzarmi sul respiro.
Mi concentrai sul diaframma
e tentai di regolarizzarne il movimento. Impiegai diversi minuti ma
alla fine
riuscii ad ottenere un risultato accettabile.
Titubante riaprii gli occhi.
L’immagine di prima era svanita, sostituita dal profilo
dell’armadio in legno
della mia stanza, illuminato appena da uno dei primi raggi di sole
della
giornata.
Mi girai verso la parte
destra del letto. Sorrisi quando scorsi l’espressione
rilassata dipinta sul
viso di Peter. Nonostante i problemi che lo tormentavano durante il
giorno,
almeno la notte il re sembrava trovare una meritata pace.
Peccato non potessi dire lo
stesso per me. Sospirai raccogliendo le ginocchia al petto. Il ricordo
della
morte di mia madre continuava a tormentarmi. Anche la notte scorsa la
mia mente
non mi aveva risparmiata dal farmela rivivere minuto per minuto. Avrei
tanto
voluto dimenticarlo. Desideravo esistesse un incantesimo per farmi
buttare il
triste ricordo in un cassetto da chiudere a chiave per non rivederlo
mai più.
Purtroppo però sapevo che ciò non fosse
possibile. Avrei rivissuto quella scena
nella mia testa molte altre volte, potevo solo sperare che con il tempo
mi
facesse meno male rivedere il sangue che colava imperterrito e sentire
quelle
ultime parole che mi aveva rivolto: “Figlia…una
grande strega”.
Parole alla quale non
riuscivo a dare un senso e che probabilmente sarebbero per sempre
rimaste senza
significato essendo morta l’unica persona che avrebbe potuto
spiegarmele.
Sarebbe rimasta una questione irrisolta, un’altra da
aggiungere al grande
elenco che avevo, elenco che, guarda caso, aveva come centro la figura
di Jadis
stessa.
Forse era quello che
principalmente mi toglieva il sonno, che più mi tormentava,
il fatto di non
essere riuscita a trovare una risposta ad ogni mia domanda, di avere
ancora
così tanti dubbi sulle mie origini, sulla mia natura, ma in
particolare di non
essere riuscita a conoscere la strega fino in fondo. Credevo di essere
stata la
sola ad entrare in contatto con la vera Jadis, di aver visto la donna
dietro il
mito, ma gli avvenimenti mi avevano chiaramente dimostrato di essermi
sbagliata, che la figura buona e dolce che io accostavo alla persona di
mia
madre in realtà non era che una copertura. Eppure ero certa
che Jadis fosse
molto più della crudele tiranna che aveva messo in pericolo
Narnia e i
Pevensie. Alla fine avevo scorto dell’altro oltre
l’odio che si ostinava ad
ostentare. Quello sguardo pieno di orgoglio e soddisfazione diretto a
me e
quella frase enigmatica mi avevano fatto intravedere un altro aspetto
della
complessa e molteplice personalità di Jadis, un aspetto
però che sarebbe
rimasto sepolto assieme a lei, tormentandomi con la sua
impossibilità di essere
conosciuto.
Se solo avessi potuto
risolvere i miei quesiti, se avessi potuto avere la
possibilità di far luce per
intero sul vero volto di Jadis, forse sarei riuscita a chiudere quel
capitolo
della mia vita e lasciarmelo alle spalle. Non avrei dovuto convivere
con la
terribile sensazione di aver lasciato una questione importante
irrisolta.
Eppure dovevo riuscire a
trovare il modo di farmene una ragione. La strega era morta insieme ad
ogni mia
possibilità di conoscere lei e me stessa e
poiché, nonostante avessi imparato a
compiere magie che non avrei mai creduto possibili, non ero ancora in
grado di
resuscitare i morti, né tanto meno di parlarci e purtroppo
dubitavo esistessero
altri modi per comunicare con lei a parte questi. Come poteva fornirmi
le mie
risposte se non parlandomi? Non c’erano libri su di lei dove
avrei potuto
trovare le informazioni che cercavo come a scuola.
Un
momento. Libri, informazioni… i diari di Jadis!
Bingo.
In un lampo rividi il
cassetto aperto nella stanza della strega. Il cassetto che conteneva
una
trentina di volumetti dalla copertina marrone custodi un tesoro per me
inestimabile. I pensieri di mia madre, le sue idee, un pezzo della sua
stessa
anima.
Un sorriso si allargò
sul
mio volto, colta dalla frenesia di quell’illuminazione.
Dovevo leggerli
immediatamente, non potevo attendere oltre. Se avessi rimandato, con
una guerra
di tali proporzioni come quella che ci aspettava, avrei potuto perdere
la mia
ultima occasione per sempre.
Mi voltai verso Peter,
ancora profondamente addormentato, e li posai una carezza leggera sulla
guancia. Se avesse saputo cosa avevo in mente di fare, probabilmente
avrebbe
insistito per accompagnarmi ma era giusto che restasse con il suo
popolo per
prepararsi alla battaglia imminente. Era meglio tenerlo
all’oscuro della mia
piccola escursione mattutina, con un po’ di fortuna sarei
tornata ancora prima
che si accorgesse della mia assenza.
Scivolai silenziosa giù
dal
letto, percorsi con passo felpato i lunghi corridoi e mi trovai fuori
in un
baleno, inondata dai primi raggi di sole che lentamente si facevano
strada
all’orizzonte. Venni colta però poi da uno
scrupolo improvviso. Se non fossi
riuscita a tornare prima del risveglio di Peter, al ragazzo sarebbe
venuto un
colpo non vedendomi nel letto. Dovevo trovare un modo per fargli sapere
dove mi
fossi diretta o avrebbe incominciato a cercarmi per tutto il regno in
un
nanosecondo.
Andai alle scuderie e
facendo attenzione a non fare rumore per non svegliare i cavalli
addormentati,
mi avvicinai a Fulmine, anch’esso appisolato.
“Ehi, Fulmine”
bisbigliai.
Neanche un grugnito mi
giunse in risposta.
“Fulmine!” lo
chiamai
alzando di poco la voce.
Con un nitrito infastidito
il cavallo girò ostinatamente la testa, continuando a
dormire.
Sbuffai. “Ti vuoi
svegliare
cavallo pigrone?” dissi dandogli un colpo sul collo tornito.
Questo parve funzionare. Il
destriero aprì gli occhi di scatto, mi mise a fuoco e
scalciò piano con
espressione irritata.
“Cathrine! Si
può sapere a
cosa devo l’onore di una tua visita
all’alba?!” mi apostrofò sarcastico.
Sfoggiando il mio miglior
sorriso angelico risposi: “Ben svegliato Fulmine. Ecco, avrei
bisogno di un
piccolo favore” iniziai.
Fulmine nitrì sbuffando.
“Il
fatto che ti sopporto permettendoti di cavalcarmi ogni volta che esci
con il re
non è un favore già abbastanza grande?”.
Mi morsi il labbro e presi
un bel respiro contando fino a dieci. Non dovevo rispondere alla
provocazione,
non adesso che dovevo chiedergli il mio piccolo favore.
“D’accordo, di
mattina sei
un poco irritabile…” lo scusai cercando di
controllare la mia voce.
“Se per mattina intendi
all’alba” mi interruppe caustico.
“…ma ho
bisogno di te, per
favore” proseguii ignorando deliberatamente
l’ultimo commento.
L’equino
sbuffò di nuovo. Lo
guardai con espressione supplichevole incrociando le mani al petto. A
quel
punto Fulmine parve cedere.
“E cosa dovrei fare, di
grazia?” mi domandò torvo.
Gli sorrisi di gratitudine.
“Devo andare al castello di ghiaccio, ora” rivelai.
Fulmine indietreggiò
come se
lo avessi colpito. Scosse l’elegante e fulva criniera e mi
aggredì con un
energico “No!”.
Corrucciai la fronte.
“Perché no? Non è più
pericoloso adesso che Jadis è morta. Non
c’è nemmeno il
ghiaccio!” obiettai non giustificando tanta agitazione.
Il cavallo mi guardava con
gli occhi fuori dalle orbite, come se fossi pazza.
“Non importa. Quel
castello
è stata la sua dimora ed è stata la tomba di
tanti dei nostri, sa di morte e
schiavitù. Nessuno di noi si avventurerebbe
laggiù senza un valido motivo,
rappresenta troppe sofferenze per il nostro popolo” mi
spiegò convinto.
Sospirai afflitta. Non mi
ero ancora totalmente abituata a vedere Jadis con i loro occhi e ogni
volta che
lo facevo sentivo una fitta al cuore.
“Ascolta, capisco
perfettamente
le tue ragioni, ma io un motivo valido per andarci ce
l’ho” ribattei. Fulmine
stava per aprir bocca ma io lo precedetti, sapendo già cosa
volesse dirmi. “Non
ti chiedo di accompagnarmi” a queste parole il cavallo si
bloccò, stupito. Era
sicuro che il mio favore consistesse in quello, non poteva certo sapere
che non
avevo bisogno di nessun mezzo tradizionale per spostarmi in quanto
strega.
Quello che volevo domandargli era altro. “Ho solo bisogno che
nel caso in cui
Peter mi cerchi per l’edificio tu gli dica che mi trovo al
castello, che sono
al sicuro e che tornerò presto. Puoi farlo?” gli
chiesi.
Fulmine mi guardò
contrariato, evidentemente non apprezzava nemmeno l’idea che
fossi io ad andare
al palazzo, però parve meno turbato nel sapere che non
doveva recarsi lui
stesso.
“Ma certo. Se dovesse
chiedere glielo riferirò” mi promise.
“Grazie” e lo
accarezzai
scompigliandogli giocosamente la criniera.
“Ogni desiderio
è un ordine,
principessa” mi prese in giro abbozzando un goffo inchino,
ottenendo lo scopo
di alleggerire l’atmosfera.
“Ah. Ah”
risposi stando al
gioco. Gli feci la linguaccia, infine mi voltai e, silenziosa come ero
venuta,
me ne andai.
Perfetto, così se non
fossi
riuscita a tornare prima che Peter si svegliasse almeno avrebbe avuto
modo di
scoprire dove fossi finita. Appena fui nuovamente all’aria
aperta, richiamai la
mia magia facendola scorrere in ogni parte del mio corpo, lungo le mie
vene
insieme al sangue, in ogni singolo osso, e mi concentrai
sull’immagine del
palazzo l’ultima volta che lo avevo visto. Il familiare vento
mi avvolse e mi
sentii risucchiata in un turbine. Quando riaprii gli occhi, la luce del
sole,
che si stava facendo sempre più forte, risplendeva su una
costruzione di marmo
bianco.
Sciolta la neve, il palazzo,
con torri color latte e finestre ampie e riflettenti i raggi solari,
sembrava
uscito da un libro delle favole. Nell’aria non
c’era la benché minima traccia
dell’odore di morte e schiavitù di cui aveva
parlato Fulmine, ma le vecchie
convinzioni erano dure a morire e probabilmente il popolo di Narnia non
avrebbe
mai apprezzato quel luogo che invece a me, con il bosco che mi inviava
il
profumo dei fiori, ispirava pace.
Mi incamminai verso
l’interno, aprendo il pesante portone
dell’ingresso. Ciò che vidi mi lasciò a
bocca aperta. Strutturalmente non era cambiato nulla, eppure mi
sembrava una
sala del tutto diversa ora che la nebbia, che perennemente aveva
ricoperto il
pavimento, era scomparsa. Dalle vetrate filtrava la luce che illuminava
le
colonne, ora divenute di marmo bianco, e il trono di cristallo. Il
salone era
luminoso e incredibilmente caldo, due caratteristiche che mai avrei
pensato di
poter attribuire ad una stanza di quel palazzo.
Il mio sguardo corse sul
colonnato di sinistra senza che potessi evitarlo. Non c’erano
tracce evidenti,
sembrava anzi che nessuno avesse mai abitato in quelle stanze, ma io
sapevo che
vicino alla quarta colonna dal portone si era svolto ciò che
tormentava le mie
notti, lo scontro che aveva ucciso Jadis.
Il sangue, il suo sguardo
che si spegneva, la crudele espressione di Peter, il suo corpo che si
dissolveva, tutto mi turbinò dinanzi agli occhi stordendomi.
Chiusi gli occhi e
mi presi la testa tra le mani.
“Figlia,
una grande strega” “Figlia, una grande
strega” “Figlia, una grande strega”
“Figlia, una grande strega”.
La frase mi rimbombò
nella
mente. Pretendeva a gran voce di essere compresa, non potevo
più rimandare, né
volevo.
Iniziai a correre lungo il
salone, raggiungendo il corridoio che mi avrebbe portata alla scala a
chiocciola
conducente alla stanza di Jadis. Mi fermai solo quando una porta bianca
mi
sbarrò la strada. Avevo il fiatone per la corsa, ma non era
dovuto alla
stanchezza il tremolio nella mia mano quando si allungò
verso la maniglia. Una
leggera pressione e i cardini cigolarono, mostrandomi per la seconda
volta una
camera circolare. Era ancora priva di finestra, ma anche lì,
come in ogni altra
ala del castello, gli elementi architettonici prima fatti di ghiaccio
ora era
divenuti di marmo bianco mentre i mobili e le colonne del letto a
baldacchino
erano fatti di cristallo.
La temperatura si era
alzata, divenendo sopportabile, la fonte di luce invece era rimasta la
stessa,
una torcia con una fiamma azzurrina.
Presi un bel respiro e mi
accostai al comò. Strinsi le dita attorno alle maniglie e
feci scivolare il
cassetto sui suoi supporti. I diari erano lì come lo erano
stati per tutti quei
secoli.
Il cuore accelerò il
battito
mentre lo sguardo accarezzava le copertine di quei fragili quanto
preziosi
libri. Afferrai il volume più vicino ma appena entrai in
contatto con la carta
lasciai cadere il libro come se mi fossi scottata, presa da un
ripensamento
improvviso. Cosa avrei trovato tra quelle pagine? La spiegazione per
quel lampo
d’orgoglio scorto all’ultimo negli occhi di Jadis?
Il lato nascosto che ero
solo riuscita a intravedere? O semplicemente la conferma del parere dei
Pevensie, che la strega oltre che il rancore e l’odio nel suo
cuore non poteva
covare altro?
Strinsi le dita a pugno,
facendomi forza. Qualsiasi verità si celasse in quei diari,
l’avrei letta e
accettata, bella o brutta che fosse stata. Almeno avrei chiuso quella
faccenda
e non mi sarei tormentata su interrogativi che mi avrebbero seguito
altrimenti
per sempre.
Riafferrai il libricino e lo
aprii, stando attenta a non rompere la rilegatura già
lesionata dal tempo. I
fogli erano ingialliti come era prevedibile, ma l’inchiostro
nero era ancora
leggibile. La calligrafia era esattamente come me la immaginavo,
elegante ed
elaborata.
Faticando a deglutire mi
apprestai a leggere la prima pagina.
“Oggi
ho dovuto estinguere l’ennesimo focolaio di
ribelli. Sembra incredibile, eppure, dopo dieci anni dalla scomparsa
del Grande
Felino e dalla nascita del mio regno, alcune creature di Narnia ancora
mi si
oppongono.”
Dieci anni dalla nascita del
mio regno. Dunque quella pagina risaliva agli anni del suo dominio su
Narnia,
novant’anni prima dell’arrivo dei Pevensie.
“Poco
male, tanto oltre ad essere un fastidio non
possono costituire un serio pericolo ora che colui che chiamavano
sovrano è
sparito senza lasciar traccia. Dovranno rassegnarsi a dare la loro
fedeltà a
me, la vera e unica regina di Narnia, e se non lo faranno di loro
spontanea
volontà, ci penserò io stessa a persuaderli. Non
permetterò che un gruppo di idioti
con idee moraleggianti rovinino la quiete del mio regno, non ora che
dopo tutti
i miei sforzi sono riuscita ad ottenerlo per me e a plagiarlo secondo
la forma
che da sempre avrebbe dovuto avere, una terra perennemente ricoperta di
ghiaccio.”
Chiusi il libro con un colpo
secco. Quella parte la conoscevo, non occorreva che mi facessi del male
continuando a leggere.
Appoggiai il diario nel
cassettone e ne afferrai un altro, esternamente identico. Lo sfoglia
con
delicatezza, leggendo qualche frase o massimo un paragrafo per
comprendere a
grandi linee il contenuto. A prima vista mi parve identico al primo.
Era stata
scritto vent’anni dopo ma si parlava ugualmente dei problemi
del regno, delle
guerre al fronte contro i paesi confinanti, di qualche gruppo ribelle
determinato a non morire.
Sconsolata ne afferrai un
altro ancora ma dovetti giungere al quarto diario prima di incappare in
una
frase capace di destare la mia attenzione.
“Sono
riuscita ad ottenere quello che ho sempre
voluto. Sono la regina di Narnia, sono la strega più potente
che questa terra
abbia mai visto, talmente potente che sono riuscita a far piombare un
inverno
eterno su tutto il paese, eppure oggi, combattendo contro il popolo dei
Rhyers,
mi sono ferita. Quel pusillanime di capitano è riuscito a
ferirmi lungo il
fianco con la spada, avendo successo là dove molti prima di
lui avevano
fallito. Ora il taglio si è completamente rimarginato, ma il
sangue che
scorreva dal fianco mi ha fatto riflettere. Per quanto la mia magia
possa
essere grande e impedirmi di invecchiare, io non sono immortale. Ho
sconfitto
molti nemici ma la morte è invincibile anche per me. Un
colpo di spada, una
malattia, e perderò tutto ciò che ho conquistato.
Non è giusto, deve esistere
un modo affinché io possa tornare indietro in caso di morte.
Ma quale? Quale
magia potrebbe operare tale miracolo?”
Dunque Jadis aveva paura di
morire e perdere il regno e i suoi poteri? Comprensibile, molti altri
sovrani
giunti al culmine hanno poi il terrore di restare privi di
ciò per cui hanno
faticosamente lottato. Ma Jadis era riuscita a trovare un modo per
resuscitare,
per eludere la morte? La risposta mi giunse immediata. Ovviamente si,
era stata
uccisa da Aslan eppure era riuscita a tornare, una via la doveva aver
trovata.
Ma quale?
Girai veloce le pagine del
diario in cerca di un paragrafo che potesse fornirmi la risposta che
cercavo.
Alla fine del libro, quando stavo per riporlo desolata, lo trovai.
La calligrafia era meno
elegante, sembrava quasi febbrile come se Jadis fosse stata ansiosa di
mettere
nero su bianco i suoi pensieri.
Mi incollai alla pagina e
con curiosità crescente iniziai a leggere.
“Ho
trovato la soluzione. Dopo mesi di infruttuose
ricerche, sono riuscita a scovare una magia antica che potrebbe
risolvere il
mio problema. È una magia potente eppure talmente ovvia che
mi sento sciocca a
non averci pensato subito.
Si basa
sul concetto elementare che gli esseri viventi
sono costituiti da anima e corpo. Una ferita o una malattia agiscono
sul corpo
ma nulla possono contro lo spirito che lascia la materia alla quale era
legato
in caso di morte di questa per disperdersi e unirsi
all’Antica Magia che
fornisce vita a questa terra. Esiste però un incantesimo
capace di intrappolare
quello spirito in un limbo, impedendogli di congiungersi con
l’Antica Magia.
L’anima così può essere richiamata a
nuova vita in qualsiasi momento da una
persona con la quale ha legami di sangue pronunciando una semplice
formula
indipendentemente dal fatto che sia versata o meno nelle arti magiche.
Questa
è la mia soluzione. Se dovessi morire, prima di
chiudere gli occhi per sempre rinchiuderò la mia anima in un
limbo dove sarò
protetta finché qualcuno non potrà richiamarmi,
qualcuno unito a me da legami
di sangue.
Non ho
parenti in vita. I miei genitori sono morti da
tempo e non ho idea di dove possano essere i discendenti della mia
famiglia. Ma
questo non è un problema. Ormai ho deciso, avrò
un figlio, un figlio mio che
mai mi tradirà e che costituirà la mia garanzia
di tornare dal regno dei
morti.”
Con un tonfo leggero mi
lasciai cadere sul letto. Il diario mi scivolò dalle mani
depositandosi sul
materasso accanto a me. Per un lungo periodo di tempo fissai il vuoto,
senza
respirare, senza muovermi, ma soprattutto senza pensare. Non ne avevo
la forza
o forse mi mancava semplicemente il coraggio per elaborare
ciò che avevo appena
letto. Non avevo il cuore che batteva forte né sentivo le
lacrime pizzicarmi al
bordo degli occhi. Non provavo assolutamente niente, dentro di me
c’era solo lo
stesso vuoto che riempiva i miei occhi. Il mio cuore batteva al ritmo
della
desolazione, troppo stanco per provare emozioni più
complesse. Solo dopo molto
tempo una vocina nella mia testa riuscì a farsi strada
azzittendo l’eco delle
parole appena lette che ancora mi rimbombavano nella mente. Una vocina
razionale, la quale infischiandosene degli avvertimenti del cuore che
non
desiderava mettersi alla prova ulteriormente affrontando il contenuto
del
diario, pretendeva di interiorizzare ciò che avevo letto. La
verità, quella per
la quale ero scappata dalla camera mia e di Peter all’alba,
quella che mi
tormentava da sempre, quella che ogni persona desidera apprendere. La
verità
sul perché ero nata.
Esistono di solito due
motivi per giustificare la nascita di un bambino. Il più
augurabile e il più
nobile è quello di coronare il sogno d’amore di
una coppia con un frutto
tangibile del loro sentimento. È il motivo che ognuno
desidera per sé anche se
non sempre purtroppo avviene. Spesso un concepimento avviene per
errore, per la
premura e la disattenzione di due amanti, tuttavia seppur non
programmato il
bambino ha una buona percentuale di essere amato ugualmente dai
genitori.
La mia nascita invece non
rientrava in nessuno dei due casi. La mia nascita era stata premedita,
voluta
certo ma per un tornaconto prettamente personale. Non era stata dettata
dal
desiderio di crescere un figlio, di avere una discendenza o qualcuno da
curare
e amare, bensì era stata una scelta ponderata, calcolata
secondo i suoi pro e i
suoi contro, con un fine ben preciso.
La mia nascita serviva per
impedire la morte di mia madre. Ero nata per quello, eppure, per ironia
della
sorte, ero stata proprio io a contribuire alla sua definitiva disfatta.
La sua garanzia di tornare dal regno dei morti
aveva aiutato Peter a spedircela con un biglietto di sola andata.
Dunque era solo questo che
io ero stata per Jadis? Una chiave per
l’immortalità? Un mero strumento? Aveva
definitivamente ragione Peter nel dire che in quel cuore di ghiaccio
non
albergava nemmeno la più flebile fiammella d’amore?
“Figlia
una grande strega”
La frase mi riecheggiò
nelle
orecchie con il suo ambiguo significato. Non aveva senso.
Perché guardarmi con
orgoglio e chiamarmi “figlia” se l’avevo
tradita e delusa non rispettando i
suoi progetti?
Scuotendo la testa confusa
riafferrai il diario e sfogliai le pagine in cerca di un altro
paragrafo che mi
desse un spiegazione. Non poteva essere tutta lì la
verità che cercavo, non
poteva ridursi a quella scoperta orribile. Ci doveva essere
dell’altro.
Il mio cuore sobbalzò
quando
scorsi tra le righe una parola che non mi aspettavo. Ero stata una
sciocca a
non immaginarlo, era una cosa del tutto logica trovare informazioni
anche su
quella cosa, dopotutto le
motivazioni
della mia nascita non cambiavano la meccanica, eppure fui colta
totalmente alla
sprovvista quando lessi le due sillabe che formavano la parola
“padre”.
“Sono
a Suavitas, la mia terra natia. Era più di un
secolo che non vi tornavo e non ne sentivo la mancanza. Tutto
è rimasto
esattamente uguale a come lo ricordavo. Un agglomerato di case di media
grandezza circondate da una florida vegetazione o dal ghiaccio perenne.
Spero
ardentemente che il mio soggiorno sia il più breve
possibile. Troverò l’uomo
degno di essere il padre di mio figlio e poi tornerò nel mio
palazzo con la
speranza di non rivedere mai più questo sperduto
paese.”
Suavitas? Padre di mio
figlio? La testa iniziò a girarmi.
Avevo un padre. Sapevo che
fosse una considerazione stupida, era ovvio che non fossi stata
concepita per
mezzo dello spirito santo, eppure non avevo mai chiesto a Jadis chi
fosse, né
avevo tanto meno pensato a come potesse essere. Non avevo mai nemmeno
riflettuto sul fatto che in un’epoca ormai remota fosse
esistito. La notizia di
essere stata adottata e che la strega fosse la mia vera madre mi aveva
talmente
assorbita da farmi dimenticare di dover per forza avere due figure
genitoriali.
Due figure che provenivano da Suavitas, la loro terra natale e, forse,
anche la
mia.
Risfogliai le pagine
cercando di controllare il tremore alle mani. Il vuoto di prima era
stato
colmato dall’emozione di questa scoperta. Avevo un padre. Ed
ora anelavo a
saperne di più.
Un fiore scivolò a
sorpresa
dal diario al materasso. Corrugando la fronte lo sollevai. Era un
giglio
lasciato a seccare tra le pagine. Temendo di romperlo anche solo
stringendolo
tra le dita lo riadagiai sul piumone bianco. Incuriosita iniziai a
leggere la
pagina segnata dal fiore.
“è
lui, ne sono sicura. Ha una quarantina d’anni, di
poco più vecchio dell’età che mostro,
ed è bello. È il più avvenente tra
tutti
gli uomini del cittadina, impossibile non notarlo. È molto
alto e ha spalle
ampie. Il fisico è muscoloso ma ben proporzionato. Ha gli
occhi verdi che
risaltano sulla carnagione chiara come i germogli delle foglie che
cercano di
lottare contro il manto di neve. I capelli sono folti e rossi come il
fuoco,
caratteristica che su chiunque altro mi avrebbe fatto storcere il naso
in
favore di un biondo chiaro, ma addosso a lui li trovo stranamente
affascinanti.
È uno Stregone Bianco, da quel che ho sentito al quanto
potente, tanto da far
parte del Concilium Rei Publicae. Decisamente, Ian Caerphilly
è un partito
perfetto per avere un figlio forte, potente e bello, ma soprattutto un
mago
bianco.
La
conquista in più sembra non essere poi difficile
come temevo. Ci siamo incontrati ieri vicino ai gigli, in riva al fiume
e oggi
è venuto da me con un mazzo di gigli appena colti in mano,
con la scusa di
voler profumare tutta la mia stanza con l’odore di quei fiori
bianchi.
Solitamente
odio i fiori, ma per fortuna il giglio fa
eccezione. Bianco come la neve, delicatamente profumato, è
lontano dai colori
sgargianti e i profumi intensi e quasi nauseanti degli altri fiori.
Sopportabile averne un vaso in casa dunque. E poi dimostrare di
apprezzare un
gesto romantico è un’ottima mossa per lanciare il
messaggio che desidero,
quello di farsi avanti. E a giudicare dallo sguardo acceso con la quale
mi
fissava non mancherà molto prima che Ian faccia la sua
mossa.”
Ian Caerphilly. Il nome di
mio padre era Ian Caerphilly. Nives Caerphilly invece era il mio. Avrei
tanto
desiderato vedere un suo ritratto, un’immagine, anche solo
una volta per vedere
quanto gli assomigliavo, se avevo ereditato altro oltre il rosso acceso
dei
capelli. E la magia. Perché ora sapevo che anche mio padre
era uno stregone.
Uno stregone potente. Ciò voleva dire che io e Jadis non
eravamo le uniche due
streghe in tutta quella grande terra. Ce n’erano stati altri.
Altri che
abitavano in questa città, Suavitas. Esisteva ancora?
C’erano ancora altri
maghi e altre streghe? Il cuore si accese per l’eccitazione a
quel pensiero.
Forse non ero l’ultima strega di Narnia.
L’occhio mi ricadde sui
petali bianchi di quel giglio rivelatosi un regalo. Faceva parte del
mazzo di
fiori che mio padre aveva donato a mia madre per corteggiarla dopo
appena un
giorno che l’aveva conosciuta. Doveva esserne rimasto
folgorato. Mi si compose
nella mente l’immagine di mia madre con addosso un elegante e
sobrio abito
bianco che le fasciava le forme perfettamente modellate; questo assieme
ad un
viso dai tratti fini incorniciato da boccoli d’oro e agli
occhi azzurri capaci
di simulare la più dolce delle espressioni come la curva
delicata delle labbra
faceva senz’altro di Jadis una donna desiderabile
fisicamente, mentre la sua
mente astuta e brillante e la capacità di manipolare il
prossimo bastavano e
avanzavano per ottenebrare la mente di un uomo. Non c’era da
stupirsi se Ian se
ne era invaghito.
Ma, a discapito di quello
che si potrebbe intendere da una lettura superficiale del diario, anche
la
strega non sembrava essere rimasta del tutto indifferente. Affermava di
apprezzare le sue numerosi doti poiché facevano di lui un partito perfetto eppure aveva
conservato uno dei gigli da lui
regalatole. Avrebbe potuto limitarsi a tenere i fiori nel vaso
finché doveva
sottostare al corteggiamento invece aveva serbato un giglio
custodendolo per
tutti quei secoli.
Possibile che Jadis non
fosse stata del tutto indifferente a Ian? Che non lo avesse considerato
del
tutto solo uno strumento per raggiungere il suo scopo ultimo, un
insignificante
mezzo? Possibile che quel cuore ritenuto inesistente dai più
avesse in realtà
in un tempo lontano battuto per qualcuno anche se a quel che pareva era
lei per
prima a non voler ammettere quella verità? Mi tornarono alla
mente la linea
dura delle sue labbra, lo sguardo crudele e l’espressione
seria che aveva prima
di duellare con Peter. Il viso di un’inflessibile assassina.
Impossibile
associare a quella persona sentimenti come l’amore che
possono provare due
persone tra loro. Ma c’era stato anche quello sguardo
orgoglioso e… in un lampo
la mia mente mi fornì il ricordo di un istante prima mai
considerato.
Quando Jadis aveva levato lo
scettro contro di me, riversa a terra, prima di colpirmi il suo sguardo
aveva
tentennato. C’era stata esitazione. E il tono con la quale
aveva pronunciato la
frase a seguire era stato velato dalla tristezza. Un altro momento a
favore
della teoria che quella della cinica tiranna fosse una maschera che
nascondeva
anche un altro lato di Jadis? Un lato che forse secoli prima poteva
veramente
aver provato affetto per qualcuno? Magari non ammettendolo nemmeno con
se
stessa, però provato, non di meno.
O forse mi stavo solo
illudendo. Il mio bisogno di vedere nella strega un aspetto se non
sentimentale
almeno umano era talmente grande da farmi interpretare in maniera
fantasiosa
una realtà che invece era molto più semplice
anche se crudele: Jadis si era
presa gioco senza scrupoli del cuore di mio padre come del mio.
Mi morsi il labbro. Era
meglio andare avanti nella lettura, formulare ipotesi su ipotesi
serviva solo a
tormentarmi maggiormente.
Girai le pagine del diario,
leggendo solo i paragrafi che trovavo più rilevanti. A quel
che sembrava Ian
era stato un ottimo corteggiatore. L’aveva riempita di
complimenti e di regali
di vario genere, dai fiori ai vestiti. L’aveva portata a
vedere un lago di nome
Argecus, una distesa d’acqua con la peculiare caratteristica
di diventare
d’argento puro sotto i raggi solari, e…
“la
foresta Hiemaestas, poco distante da Suavitas, una
foresta dove alberi completamente in fiore si alternano a rami
ricoperti di
neve. Un’immagine molto suggestiva, l’estate contro
l’inverno, il caldo contro
il freddo, la personificazione della differenza che divide quelli come
noi.”
Quelli come noi? Corrucciai
la fronte cercando di interpretare quale significato potesse celare
quella
frase enigmatica. Ciò che però lessi di sfuggita
nelle righe successive fece
passare presto in secondo piano il mio interrogativo.
“Tornati
dalla foresta, Ian mi ha accompagnato a casa
dove finalmente è successo ciò desideravo da
quando lo avevo conosciuto.
Complice qualche bicchiere di troppo di vino elfico, Ian si
è fatto avanti,
dichiarando di amarmi. Senza attendere una mia risposta mi ha baciata,
un bacio
molto più passionale di quelli fugaci e leggeri che si era
finora concesso. A
fatto scorrere la sua mano calda dalla mia nuca giù fino
alla schiena, alla
ricerca dei lacci che tenevano legato il mio vestito, e con poche e
abili mosse
lo ha sfilato. Deciso ma attento mi ha adagiata sul divano mentre lo
liberavo
dall’ingombro della camicia. Da lì in poi i miei
ricordi si fanno più confusi.
Ero ebbra dal vino, ma c’era anche dell’altro.
Rammento di aver cercato di
restare presente a me stessa. Mi ripetevo che ciò che stavo
facendo era solo un
lavoro, quello che dovevo compiere per ottenere il mio scopo, avere un
figlio,
eppure dentro di me ho iniziato a
provare…felicità. Ero compiaciuta, contenta,
e non solo perché stavo ottenendo ciò che volevo,
c’era anche un altro motivo.
Un motivo che giustificava anche il senso di appagamento che mi ha
investito
subito dopo. Non so spiegarmi questa strana emozione, ma non posso
dimenticare
come la sensazione delle sue labbra sulle mie, delle sue mani che mi
accarezzavano e del suo peso contro il mio corpo fosse stata piacevole.
Ciò
che conta tuttavia è che sia riuscita nel mio
intento, nient’altro.”
Ero senza parole. Il
contenuto di quelle pagine era di una portata eccezionale. Andava oltre
le mie
aspettative. E dimostrava che avevo ragione. Jadis possedeva un lato
nascosto,
un lato con un cuore non completamente di ghiaccio. Perché
Jadis aveva amato.
Non era nemmeno riuscita a scriverlo nel suo diario, a dirlo tra
sé e sé, ma la
verità si leggeva chiaramente anche tra le righe.
Probabilmente non era
perdutamente innamorata come Ian lo era di lei, né avrebbe
mai dato la sua vita
per lui o si sarebbe persa in sciocche fantasie romantiche,
però si era sentita
legata a lui, lo aveva visto come un suo pari e non come un oggetto
utile.
Istintivamente, un sorriso
beato mi curvò le labbra. Era vero che la mia nascita era
stata premeditata con
un preciso scopo, ciò non toglieva però che fosse
stata lo stesso il frutto di
un amore. E questa era una consapevolezza che risanava molte delle mie
ferite.
Con cuore più leggero
scorsi
le altre pagine ma non trovai nient’altro a parte descrizioni
di altri
pomeriggi trascorsi in luoghi particolari e magici e serate passate
l’uno tra
le braccia dell’altro. Notai però come le nottate
successive a quella prima
serata passionale erano state descritte con meno trasporto,
tralasciando la
maggior parte delle emozioni provate, come se la strega si vergognasse
di
provare sensazioni suscitate da un gesto d’amore e le
ammissioni fatte dopo la
prima volta fossero frutto solo di un momentaneo cedimento.
Chiusi il diario e lo rimisi
assieme agli altri, prendendo poi quello subito accanto immaginando
fosse il
proseguimento. La mia intuizione fu giusta, evidentemente i diari erano
disposti
in ordine cronologico.
Sfogliai avida le pagine, in
attesa di scorgere la frase che stavo aspettando da quando ero entrata
nella
stanza. Finalmente, verso metà diario, la trovai.
“Sono
incinta. Dopo tre mesi, sono riuscita a rimanere
incinta. Sono soddisfatta di me stessa, ogni cosa sta procedendo come
l’avevo
programmata. Presto avrò il mio bambino, darò
alla luce una nuova vita, una
vita che garantirà la mia per sempre. Potrebbe forse andar
meglio?
Oggi
l’ho comunicato ad Ian. Quando l’ha saputo ha
iniziato
a gridare per la felicità, stupido sentimentale. Ho dovuto
reggere il gioco, mi
sono dimostrata felice quanto e più di lui per non
insospettirlo. Il caro Ian
non immagina nemmeno di essere stato raggirato. Né tanto
meno immagina che
presto me ne andrò portandomi via nostro figlio e che non ci
rivedrà mai più.
Pensavo
di partire immediatamente dopo il
concepimento, però ora ho cambiato idea. Narnia è
lontana e non voglio
rischiare a fare un viaggio così lungo nella mia nuova
condizione, potrei perdere
il bimbo. Né posso teletrasportarmi e rischiare di
affaticarmi troppo. Resterò
qui finché non partorirò. Intanto
andrò a vivere a casa di Ian. Ora che aspetto
suo figlio, ha insistito affinché vivessimo assieme.
Ovviamente non ho potuto
non accettare l’offerta, tanto più che
converrà a me per prima avere un aiuto
vicino nei mesi futuri.”
Scossi piano la testa,
sorridendo mesta. Era stata felice di essere rimasta incinta,
ovviamente però
solo perché aveva un secondo fine come non aveva esitato a
sottolineare persino
con se stessa. Sospirai triste. Cosa potevo aspettarmi? Salti di gioia
perché
stava per divenire madre? Andava già oltre le mie
più rosee aspettative la
parentesi romantica avvenuta per il mio concepimento. Comunque sia
potevo trovare
conforto nel sapere che mio padre invece era stato genuinamente
contento
nell’apprendere che avrebbe presto avuto un figlio. Da quello
che avevo capito
era stata una sorpresa, non era nei suoi progetti, eppure era
ugualmente
felice.
Quello che mi lasciava
leggermente basita però era l’eccessiva prudenza
dimostrata da Jadis nel non
volere neppure affrontare il viaggio di ritorno a casa. Era vero che un
eccessivo sforzo fisico era altamente sconsigliabile ad una donna
incinta, ma
sapevo per esperienza che un incantesimo di teletrasporto non era
così faticoso
di per sé, figurarsi per una strega del calibro di Jadis.
Senza contare che
restare ancora a Suavitas voleva dire dimostrarsi follemente innamorata
di Ian
e lieta all’idea di diventare madre, due cose che mettevano a
dura prova la
capacità di fingere di Jadis da quello che scriveva.
Possibile che invece, a
discapito di tutte le sue lamentele, la prospettiva di soffermarsi
ancora per
un po’ in compagnia del mago non la ripugnasse poi
così tanto?
Saltai diverse pagine
riguardanti il procedere relativamente tranquillo della gravidanza che
andava
di pari passo con l’aumento delle attenzioni
dell’innamorato Ian. Attenzioni,
come era nel suo stile, mai eccessivamente sdolcinate o eclatanti, ma
presenti.
Non si perdeva in complimenti iperbolici o gesti clamorosi,
semplicemente le
stava accanto, la assisteva quando aveva bisogno di alzarsi e di
spostarsi,
evitava di farla affaticare e non le faceva mancare
alcunché. Attenzioni
fedelmente riportate da Jadis nel suo diario senza particolari
inflessioni che
facevano trapelare la sua gratitudine, ma nemmeno accompagnate da
sdegno o
indolenza.
Tornai a leggere quasi alla
fine del diario, quando i miei occhi furono catturati dalla parola
“bimba”.
“Ho
partorito una bimba. Una femmina. Una bambina che
diventerà una donna forte e bella come sua madre, per citare
Ian. Una Strega
Bianca come sua madre. Non potevo chiedere di meglio.
È
davvero bella, così tanto da sembrare una magia, la
più riuscita tra quelle che ho compiuto finora. Ha la
carnagione chiara come la
mia, eccetto che sulle guancie, dopo spiccano due pomini di un rosa
più scuro.
La boccuccia rossa sembra un bocciolo, mentre gli occhi grandi e vispi
sono identici
ai miei, hanno lo stesso azzurro chiaro. Invece i radi capelli, che le
coprono
la sommità del suo visino a cuore, hanno lo stesso colore
fuoco di quelli del
padre.
Sono
orgogliosa di me stessa, ho dato alla luce una
creatura bellissima, degna di diventare la principessa di Narnia.
Anche
Ian è felicissimo. È stato vicino a me per tutta
la durata del travaglio anche se il costume prevede che i compagni
stiano
lontani dalle loro donne durante il parto. Ha detto che la piccola ha i
miei
lineamenti. È stato lui a sceglierle il nome, Nives. Dice
che nell’antica
lingua del mondo parallelo vuol dire “neve” e che
perciò gli sembra il nome più
adatto ad una giovane strega bianca con la pelle candida, con
l’augurio che
quando crescerà saprà essere sia soffice che
fredda, a seconda di cosa la
situazione necessita, esattamente come lei.
L’unico
problema è che Nives per ora è piccola, troppo
piccola e fragile per affrontare il viaggio di ritorno a casa. Temo che
dovrò
rimandare ancora un poco. Devo resistere qualche mese massimo, poi
finalmente
potrò tornare nel mio regno.
Sento
dei lamenti. Mia figlia deve essersi svegliata,
è meglio che vada da lei. Mi sembra strano parlare di mia
figlia ora che è
nata, ora che sono davvero diventata madre. Forse perché non
ho mai realmente
pensato a ciò che avere un figlio avrebbe realmente
comportato. Non ho mai
immaginato che avrei dovuto allattarlo, cullarlo e prendermi cura di
lui, non
pensavo nemmeno di essere adatta a questo ruolo. I bambini solitamente
mi
infastidiscono. Per quello che so io i bambini piangono, mangiano,
sporcano e
disturbano, per questo me ne sono sempre tenuta a distanza. Eppure
Nives non mi
infastidisce. Non mi dispiace occuparmi di lei. Non piange quasi mai e
ha uno
sguardo intelligente. Forse perché non è una
bambina. È la mia bambina.”
Quindi il mio nome lo aveva
scelto mio padre. Mio padre, che era stato al settimo cielo nel momento
della
mia nascita. Mi sentii scaldare il cuore a quel pensiero. Mio padre mi
aveva
amata da subito disinteressatamente. Ma anche Jadis pareva felice.
Forse era
solo orgogliosa di ciò che lei era stata capace di fare,
però era felice.
Qualunque fosse la causa era soddisfatta di sua figlia. Era contenta
che avevo
i suoi occhi, la sua carnagione e i suoi tratti. In più non
aveva fatto alcun
accenno al fatto che le servivo principalmente per richiamarla in vita
in caso
di morte, semplicemente si era limitata a pensare a come sarei divenuta
un’ottima principessa, a come avrei seguito le sue orme come
strega e a come
ero bella. In più nell’ultima parte aveva
affermato di come le piacesse
occuparsi di me. Voleva allattare, cullare e prendersi cura di me, sua
figlia
Nives e non dell’oggetto che le serviva per essere
resuscitata. Non volevo
darmi false speranze, me ne ero già create fin troppe da
quando l’avevo
conosciuta e dopo qualche tempo ognuna di essa era stata distrutta,
però da
quello che si capiva da quelle ultime frasi c’era una
realtà diversa da quella
che cercavo di adattarmi senza successo. Forse allora non ero stata
solo uno
strumento per Jadis. Forse, almeno per qualche periodo, Jadis mi aveva
voluto
bene. Se non proprio disinteressatamente, almeno sinceramente.
Ma ciò che mi dava
principalmente
da pensare era che Jadis aveva nuovamente rimandato la sua partenza.
Aveva
ragione nel pensare che un viaggio in carrozza molto lungo non avrebbe
giovato
alla mia salute dopo pochi giorni di vita, ma se mi avesse
teletrasportata non
avrei patito nulla. Dopotutto poco tempo dopo avevo affrontato con
successo il
passaggio da una dimensione all’altra. Possibile che cercasse
solo delle scuse
con se stessa per rimandare il distacco da una situazione che in fin
dei conti
non le dispiaceva? Da uno stile di vita completamente diverso da
ciò che aveva tenuto
finora? Da Ian e dalle sue attenzioni? O mi stavo di nuovo illudendo
stupidamente e facevo congetture fantasiose mentre l’unico
pensiero di Jadis
era quello di non mandare all’aria per imprudenza un progetto
studiato e
portato a conclusione dopo mesi e mesi.
Proseguii con la lettura dei
miei primi giorni di vita. Se quello che la strega scriveva
corrispondeva al
vero, Ian e lei erano stati due genitori esemplari, almeno in quel
periodo.
Jadis mi dava il latte e Ian mi metteva a letto la sera. Mio padre mi
aveva
persino intagliato nel ghiaccio degli animaletti in miniatura per
giocare,
ghiaccio che grazie alla magia aveva perso la sua gelida temperatura e
la
capacità di sciogliersi. Ma la cosa più
sconvolgente era che dal diario
traspariva… felicità. Dal modo di scrivere, dalle
parole usate, dalle scene che
dipingeva, Jadis sembrava felice. Le giornate scorrevano tranquille.
Noi tre
passavamo in casa la maggior parte del tempo, con me che costituivo il
passatempo principale, altrimenti andavamo alla foresta Hiemaestas, in
giro per
la città o in casa di alcuni degli amici di Ian. Come una
famiglia qualsiasi.
Una normale e felice famiglia. Finchè…
“Ian
oggi mi ha portata di nuovo al lago Argecus. È da
quando è nata Nives che non vi tornavamo. Abbiamo preso una
barca e abbiamo
navigato tra le onde che si facevano argentee sotto i raggi solari del
primo
pomeriggio. Nives si è divertita molto, peccato non
serberà nessun ricordo
della sua prima gita in barca.
Quando
siamo giunti più o meno al centro del lago
però, Ian si è fermato e ha tirato fuori una
piccola scatola con un anello. Mi
ha chiesto di sposarlo. Mi ha chiesto di diventare sua moglie.
Gli ho
detto di si, non potevo rispondere altrimenti,
ma non lo sposerò ovviamente. È arrivato il
momento di partire, di tornare al
mio ruolo di regina, sono stata via fin troppo tempo. La bambina
è pronta, io
anche, partiremo questa notte stessa, rimandare ulteriormente non
avrebbe
senso. Domattina Ian si sveglierà e non troverà
né la sua fidanzata né sua
figlia. Ci cercherà ovunque probabilmente, ma dubito che
giungerà fino a
Narnia. Come potrebbe sospettare che la docile ragazza che ha amato
fino ad
oggi sia in realtà la regina di Narnia? Forse
però se lo avesse saputo non mi
avrebbe fatto quell’assurda proposta di matrimonio. Non
avrebbe creduto
realistico che rinunciassi a tutto, al mio trono, al mio regno, ai miei
sudditi, al mio titolo, per lui, per una semplice vita a Suavitas, il
regno
dalla quale sono scappata anni fa.
Mi
spiace Ian, sei stato un ottimo fidanzato e un
bravo padre, ma il tuo compito ora è finito. Io sono la
regina di Narnia, ed è
tempo che torni a regnare.”
Lenta ma inesorabile, la
consapevolezza di quello che avevo appena letto diventava da nebulosa
via via
più chiara, fino a diventare accecante e impossibile da non
guardare e
affrontare. Jadis non era rientrata a Narnia perché smaniava
dal desiderio di
ritornare ad essere una regina, Jadis era rientrata a Narnia per
scappare da
Suavitas e dalla vita tranquilla che il paese offriva. Dalla vita da
fidanzata
e da madre alla quale si stava assuefacendo senza nemmeno rendersene
conto, dalla
vita calma, priva di guerre, problemi, vendette, giochi e piani di
potere, che
si stava abituando a condurre e che cercava di prolungare
inconsapevolmente.
Finché la truffaldina e inaspettata proposta di matrimonio
non l’aveva messa
dinanzi alla spietata vista della meta dove l’avrebbe
condotta la via che aveva
intrapreso. A quel punto era ritornata sui suoi passi, rifiutando
quell’attimo
di debolezza che l’aveva spinta a rimandare la partenza.
Quell’attimo di
debolezza che le aveva fatto apprezzare le attenzione di Ian, le notti
che
avevano trascorso assieme, lo stringere sua figlia tra le braccia e
accorgersi
che aveva i suoi stessi occhi.
Quella di Jadis non era
crudeltà innata, fine a se stessa. Gli atti crudeli che
aveva compiuto erano
stati fatti solo per ottenere e conservare il suo trono, non per
un’indole
profondamente malvagia perché ora era chiaro che quel cuore
che temevo totalmente
di ghiaccio in realtà era stato capace anche di battere. Era
anche chiaro
tuttavia come avesse infine volutamente scelto di proseguire a compiere
azioni
crudeli pur di tornare a regnare a discapito di una vita tranquilla e
pacifica.
Aveva avuto la possibilità di abbandonare la
crudeltà ma l’aveva rifiutata.
Jadis voleva essere una regina, e non sarebbe mai venuta a patti su
questo
punto.
Ciò nonostante, trovare
la
certezza dell’esistenza di un lato luminoso, seppur piccolo,
della sua
personalità, non poteva che rendermi felice. Jadis non era
stata solo la
crudele tiranna che tutti temevano, era stata anche una madre e
un’amante.
Inconsciemente, la mia mano
si allungò fino ad accarezzare la terza parola della
penultima righa. Ian.
Immaginai come dovesse
essersi sentito la mattina seguente. Era stato abbandonato senza
preavviso
dalla donna della sua vita e dalla figlia appena nata.
L’aggettivo “addolorato”
certamente non sarebbe bastato per descrivere ciò che doveva
aver provato. Mi
doleva il cuore per avergli procurato, anche se inconsapevolemente, un
tale
dolore. Doveva averci cercate a lungo e dappertutto, ma come aveva
immaginato
Jadis, non doveva averci trovate. Chissà se dopo qualche
tempo fosse riuscito a
metabolizzare l’accaduto, se fosse riuscito a rifarsi una
vita. Magari aveva
trovato un’altra ragazza, più sincera, meno
ambiziosa, con la quale coronare il
suo sogno di avere una famiglia. Forse aveva avuto altri figli, sorelle
e
fratelli di cui io non avrei mai saputo l’esistenza. Glielo
auguravo. Ian si
meritava di aver vissuto una vita lunga e felice, non di restare
intrappolato
per sempre nel trauma che Jadis gli aveva volontariamente causato.
Sospirando e cercando di non
pensare a mio padre, chiusi il libro e iniziai a leggere quello
seguente.
Parlava del ritorno a Narnia mio e di Jadis e di come…
“non
posso stare lontana dal mio regno nemmeno un
breve lasso di tempo, che la disgrazia incombe.
Appena
tornate, ho voluto fare un giro di ispezione
per accertarmi di persona che ogni cosa fosse in ordine, ma la mia
speranza è
stata preso infranta. Mentre mi avviavo verso il castello, ho
incontrato un
Figlio di Adamo. Un Figlio di Adamo! Qui a Narnia, nelle mie terre!
Come osa
mettere piede proprio nel mio regno uno stupido ragazzino? Ma non
è la parte
peggiore. Il moccioso ha detto di avere due sorelle e un fratello. Sono
in
quattro. Due Figlie di Eva e due Figli di Adamo sono entrati a Narnia.
Esattamente come la profezia aveva predetto.
Questo
è molto più di un problema, è una
disgrazia.
Devo adoperarmi per estirpare la minaccia all’origine. Non
deve diffondersi la
voce della loro presenza a Narnia o gli abitanti inizieranno a sperare
in un
colpo di stato. Si uniranno e si ribelleranno e non ho alcuna
intenzione di
dover debellare il focolaio di una guerra civile.
La
minaccia sarà spazzata prima che diventi realmente
tale.”
Chiusi il diario con un
colpo secco. La parte successiva la conoscevo fino alla nausa, leggerla
nuovamente dal punto di vista di Jadis, questa volta senza apposite
censure o
abbellimenti, non rientrava nei miei desideri. Non ci tenevo
particolarmente a conoscere
quanto mia madre avesse desiderato la morte dei Pevensie, ne avevo
avuto un
assaggio più che sufficiente.
Rimisi il libricino nel
cassettone accanto agli altri e afferrrai l’ultimo diario. La
rilegatura era
diversa da quella degli altri. Era più lucida, affatto
logora, segno che era il
più recente. L’ultimo diario di Jadis,
probabilmente quello che aveva iniziato
a scrivere dopo che l’avevo liberata dal limbo.
Mi riaccomodai sul piumone
bianco e aprii alla prima pagina.
“Terra,
cielo, stelle, applaudite, gioite, la vostra
regina è tornata. Sono passati milletrecento anni, ho dovuto
subito l’esilio
dalle mie terra ed essere costretta ad una non-vita per tredici secoli,
ma ora
sono di nuovo qui, viva e più potente che mai, pronta a
riprendermi tutto ciò
che è mio di diritto, il trono, Narnia e Nives.
Narnia
è molto cambiata da come la ricordavo. È
più
selvaggia. Gli alberi non mi parlano più, nemmeno alcuni dei
miei vecchi
alleati che ho scoperto ancora in vita. Si sono chiusi in loro stessi,
cadendo
in un sonno profondo. La maggior parte degli abitanti di Narnia invece
ha
disimparato a parlare, regredendo ad uno stato brado. Tutto questo per
colpa
degli invasori, di Telmar, che ha osato oltrepassare i confini
usufruendo di un
momentaneo periodo di debolezza di Narnia. Ma ora che questo paese ha
nuovamente una regina degna di questo nome, Telmar avrà
quello che si merita.
La congelerò per sempre, in modo che sia d’esempio
a chi intende sfidare queste
terre e la loro sovrana. E la loro principessa. Perché
adesso Narnia può
contare anche su una principessa, mia figlia Nives.
L’ultima
volta che l’ho vista, era una neonata, poco
più grande del mio avambraccio, con paffute guancie rosee e
vispi occhi
azzurri. Ora ha diciassette anni. È cresciuta. È
diventata una splendida
ragazza, non posso che essere orgogliosa. Ha ereditato i miei stessi
lineamenti
regali e delicati, il collo lungo, la pelle chiara, ma soprattutto gli
occhi,
che sono l’unica cosa rimasta invariata in lei, due iridi
azzurro-bianche come
il ghiaccio. La mia stessa identita tonalità e lo stesso
taglio. Lo sguardo
però è quello di Ian. Non è freddo,
distaccato e impenetrabile come il mio,
bensì profondo, morbido, luminoso come quello del padre.
Suoi sono anche il
colore dei capelli, rosso fuoco, e le labbra, piene e carnose.
In
più è molto potente. Quando ha praticato
l’incantesimo per liberarmi dal limbo ho sentito la magia
scorrere in lei come
un fiume in piena. Ha risposto immediatamente al suo richiamo e non ha
esitato
ad eseguire la sua volontà, anche in un incantesimo
complicato come quello per
far tornare una persona dall’aldilà. E non
è ancora stata sottoposta alla
Cerimonia! Non vedo l’ora di vedere quanto verranno
incrementati i suoi poteri
dopo che sarà stata riconosciuta come Strega Bianca
dall’Antica Magia. La sua
magia unità alla mia ci aprirà il mondo. Nessuno
potrà opporsi a noi.
L’unica
pecca è il suo cuore. Mi ero già accorta che
non possedeva la mia stessa indole mentre la osservavo da lontano, ma
ora ne ho
avuto la conferma.
Nives
è dannatamente buona, terribilmente ingenua,
dannosamente altruista. Non ha il cuore di una Strega Bianca. Ma
ciò che è
peggio è che i suoi sentimenti per benisti l’hanno
fatta affezionare ai
Pevensie. Nives, mia figlia, è amica degli Usurpatori, uno
dei miei peggiori
incubi che si avvera e io non sono stata abbastanza abile per
impedirlo. E non
sono nemmeno stata tanto accorta da vedere quanto profondo era il
legame che la
unisce a loro. Sarebbe pronta a dare la sua stessa vita per salvarli,
quella
piccola stupida! Senza contare il legame particolare che la unisce a
Peter. Si
è innamorata di quel ragazzino impertinente, lo crede un
eroe e non accetterà
mai una diversa versione dei fatti a meno che non veda lei stessa
qualcosa che
va contro le sue aspettative su di lui. Ma come ha potuto lei, mia
figlia,
farmi questo affronto? Innamorarsi del mio peggior nemico?
Devo
fare qualcosa, assolutamente. Devo escogitare un
piano per allontanarla dai Pevensie, ma devo stare attenta, agire con
cautela e
furbizia. Non posso separarla da loro usando la forza o si ribellerebbe
schierandosi dalla loro parte e io perderei tutta l’influenza
che ho su lei
della quale godo ora. Devo trascinarla completamente alla mia causa
giocando
d’astuzia.
Non
pensavo dovessi ricorrere a questi mezzi per
assicurarmi la sua assoluta fedeltà. Sapevo che il suo
carattere fosse diverso
dal mio, ma non credevo al punto da avere priorità e
desideri persino opposti
ai miei. È una Strega Bianca anche se ancora non
riconosciuta. Dovrebbe amare
la neve e il ghiaccio, essere algida, calcolatrice, non fidarsi del
prossimo,
non esitare a compiere qualsiasi azione pur di ottenere ciò
che vuole, e
invece… Temo che la lontananza da me e il soggiorno sulla
Terra l’abbia
rovinata. Poco male, finché non sarà capace di
capire ciò che è meglio per lei,
ciò che più si addice ad una Strega Bianca, le
farò credere di comportarmi come
la persona più altruista e generosa di tutto il regno.
Incanterò il giardino,
risvegliando gli alberi che sembrano esserle tanto cari e
fingerò di non voler
torcere un capello ai Pevensie. Confido che prima o poi le sue
inclinazioni
naturali emergeranno dal torpore in cui paiono essere cadute, a quel
punto
smetterò di recitare e le dirò la
verità sui miei piani, piani che finalmente
potrà apprezzare e condividere, a differenza di quello che
farebbe ora con
quella sua indole dannatamente e terribilmente buona.”
Mi morsi il labbro, forte e
a lungo, finché il dolore fisico non assordò per
un attimo la paura che quelle
ultime righe mi avevano suscitato.
Prima o
poi le sue inclinazioni naturali emergeranno
dal torpore in cui paiono essere cadute.
Io ero una Strega Bianca e
in quanto tale Jadis si era aspettata determinate caratteristiche
caratteriali.
Avrei dovuto essere fredda, cinica, distaccata, incapace di provare un
affetto
profondo e disinteressato per qualcuno. Invece ero dannatamente
buona, terribilmente ingenua, dannosamente altruista.
Ma avrei continuato ad esserlo?
L’idea di essere
destinata a
trasformarmi in una donna senza scrupoli, prigioniera della mia
crudeltà e del
mio egoismo, mi soffocava. Mi sentivo mancare il respiro nel pensare di
avere
una tale condanna nel mio futuro.
Chiusi gli occhi e cercai di
focalizzare nella mia mente l’immagine di ciò che
più mi faceva sentire viva,
amata e amante, di ciò che mi procurava calore e fiducia.
Il volto sorridente di Peter
fece capolino tra i miei ricordi. I lisci capelli d’oro
lucenti al sole, gli
zaffiri luminosi rivolti a me, le labbra piene curvate
all’insù. Sentii il
suono vellutato e basso della sua voce sussurrare il mio nome, le sue
mani che mi
stringevano riscaldandomi dentro e fuori, la sua bocca morbida poggiata
con
dolcezza sulla mia. E il grande, immisurabile e infinito amore che
provavo
verso di lui.
No, il mio cuore non poteva
diventare come il suo. Il mio cuore avrebbe per sempre battuto per
Peter. Non
avrei smesso di amare, di provare compassione e affetto. Non sarei di
certo mai
diventata santa, né mi vedevo così dannatamente
buona come scriveva lei, però non sarei diventata
crudele. Se necessario
avrei sfatato il mito che vedeva ogni Strega Bianca come una sadica
folle,
sarei andata contro secoli di radicate convinzioni, ma avrei mantenuto
la mia
indole.
Aggrappandomi a questa
solida fermezza, girai la pagina del diario e appena lessi la prima
frase il
mio muscolo cardiaco aumentò il ritmo talmente tanto da
assoldare la mia
opinione appena formulata.
“Sono
tornata a Suavitas. Non avrei dovuto farlo, è
stata un’inutile perdita di tempo. Però volevo
vedere se anche lì fosse giunto
il cataclisma che ha colpito Narnia, se la magia fosse stata scacciata
anche
dove era più radicata. Fortunatamente no. Suavitas risplende
della sua gloria
pacifica oggi come milletrecento anni fa e come probabilmente
farà per sempre,
con il suo lago d’argento e la sua foresta con alberi
invernali e primaverili.
Sono
andata nella città dove ho conosciuto Ian. Volevo
vedere se era rimasto qualcosa della sua casa. Ovviamente si,
lì il tempo pare
non scorrere. La villetta a due piani è ancora in piedi, pur
con qualche
modifica apportata dai vari proprietari che si sono succeduti. Ora vi
abitano
una giovane coppia di ventenni, una strega e uno stregone bianco. Ho
girato per
le varie strada, dove nulla pare essere cambiato, finché non
ho raggiunto il
cimitero. I nomi sulle lapidi sono le uniche cose che sono mutate,
comprensibile dopo tredici secoli, ma sapevo che per i membri del
Consilium le
tombe vengono conservate in onore ai servizi resi al paese. Difatti la
tomba di
Ian Caerphilly era presente, in perfetto stato grazie alla magia. Una
semplice
lastra di marmo bianco recante il suo nome, i suoi meriti, le date di
nascita e
di morte e la frase marito e padre
amato, segno che doveva essersi poi
sposato e che doveva aver avuto altri figli. Ho lasciato una corona di
gigli.
Non ho mai amato ricordare chi è morto, mi sembra inutile
commemorare chi non
c’è più, privo di scopo e di beneficio,
ma mi è parso giusto rendere un omaggio
alla memoria del padre di mia figlia ora che è tornata a
casa.
Non
credo andrò mai più a Suavitas. Ora con quel
luogo
ho definitivamente chiuso. Per sempre.”
“Ho
delle faccende da sbrigare” Le parole con la quale mi aveva
salutato qualche
giorno prima mi tornarono alla mente per essere collegate a quella
nuova
scoperta.
Una goccia cadde sulla
pagina del diario. Poi un’altra e un’altra ancora.
Lo chiusi e lo allontani per
non bagnarlo, incapace di frenare le lacrime che lente e silenziose
scendevano
lunga la guancia.
Ecco dove Jadis era andata.
Si era diretta a Suavitas per rendere omaggio a mio padre. Ian, che
come mi ero
augurata era riuscito a superare la nostra perdita e rifarsi una vita.
Ian, che
non avrebbe mai saputo che la sua primogenita aveva le sue stesse
labbra e il
suo stesso sguardo, ma che forse il suo spirito aveva avvertito che era
tornata
a casa e che aveva riportato in vita anche la donna da lui amata.
Era strano per me pensarci,
però per quella terra e per mia madre erano passati tredici
secoli dal mio
concepimento. Milletrecento lunghi anni, eppure Jadis non aveva smesso
di
pensare a Ian e si era sentita in dovere di andare a rendergli un
ultimo saluto
prima di “chiudere definitivamente
con
quel luogo”. Secondo i suoi standard io ero quella dannatamente buona, ma non si era
evidentemente accorta che lei per
prima non era quel concentrato di crudeltà e distacco che
credeva se secoli e
secoli non erano riusciti a toglierle dalla mente l’immagine
del viso di Ian.
“Cathrine!
CATHRINE!”
Un grido eccheggiò per
le
pareti marmoree fino a giungere da me alla torre. Sorrisi affatto
stupita.
Peter. Probabilmente agitato per non avermi trovato nel letto accanto a
lui.
Alzai una mano e una sfera
apparve a mezz’aria.
“Portalo qui”
le ordinai in
un sussurro. La bolla di luce schizzò fuori dalla stanza per
eseguire il suo
compito.
Cercai di asciugarmi con il
dorso della mano le lacrime per non farmi vedere in quello stato dal
ragazzo,
ma era inutile. Appena ne toglievo una, un’altra scorreva
giù in un flusso
ininterrotto. Non riuscivo a smettere di piangere. Ma non per un
eventuale
dolore suscitato dalle scoperte appena fatte. Semplicemente la lettura
di quei
diari mi aveva procurato un calderone così grande di
emozioni che ero incapace
di assorbirle e catalogarle. Gioia, tristezza, sollievo,
preoccupazioni,
perplessità, soddisfazione, paura, tutto si mescolava
insieme rendendo al mio
cuore impossibile il compito di trattenere tutto al suo interno,
costringedo le
emozioni a trovare un altro luogo o un’altra via per uscire.
E l’unica via
alternativa che il mio fisico aveva trovato era sfogarsi con le
lacrime, far
fuoriuscire con quelle goccie salate poco alla volta tutto
ciò che provavo.
Rumore di passi, il clangore
di una spada contro l’armatura, il respiro affaticato. Peter
apparve presto sulla
soglia della camera di mia madre.
Gli sorrisi contenta di
vederlo, bagnandomi le labbra con i lucciconi che scendevano come un
fiume.
“Cathy”
Peter sospirò sollevato
dal
vedermi intera. Poi però il suo sguardo si fece afflitto nel
vedermi in
lacrime. Mi si avvicinò e mi abbracciò stretta.
“Perché stai piangendo? Perché
sei venuta qui scappando all’alba dalla stanza?” mi
chiese mormorando tra i
miei capelli.
“Avevo bisogno di tornare
al
castello di ghiaccio. Dovevo fare una cosa e la dovevo fare da sola. Se
ti sei
preoccupato per me mi dispiace, non pensavo di impegarci tanto, credevo
di
tornare addirittura prima che ti svegliassi” risposi godendo
della sensazione
delle sue braccia che mi circondavano.
Peter si scostò un poco
per
guardarmi negli occhi incredulo. “Preoccupato?” mi
riprese. “è un eufemismo. Mi
sveglio convinto di averti accanto a me e invece trovo un letto vuoto.
Ti cerco
per tutto l’edificio e tu non sei da nessuna parte. Quando
ormai al limite
dell’agitazione raggiungo le scuderie, un cavallo con tutta
tranquillità mi si
fa avanti dicendomi che se ti cercavo ti avrei trovata al palazzo della
strega
dove ti eri recata all’alba. Sono mezzo morto dalla paura,
Cathy! Non ti avrei
impedito di venire ma almeno potevi avvertirmi prima se ci tenevi alla
mia
salute”.
Mi concessi un sorriso mezzo
divertito. “Mi spiace, davvero. È stata una
decisione presa all’improvviso, non
era un viaggio programmato, altrimenti te lo avrei detto. E poi stavi
riposando
così bene, non volevo svegliarti.” Mi difesi.
“Comunque vostra altezza mi
sottovaluta. Dovrebbe sapere che la sua strega è
più che capace di difendersi
da una semplice pattuglia e che comunque di certo smaterializzandosi
non ne
avrebbe trovate lungo il tragitto” lo presi in giro, cercando
di smorzare
l’ansia che ancora provava.
Sorrise abbassando la testa
in segno di scusa. “Cosa vi posso dire, principessa? Tengo
molto alla mia vita
e voi la possedete. Devo assicurarmi che ne abbiate cura”.
Ribatté.
L’improvviso cambio di
tono
mi sorprese, lasciandomi senza risposte sagaci o incapace di
ricambiare. O
semplicemente di pensare. Erano le parole più belle che
avevo mai udito. Ma ciò
che le rendevano ancora più speciali era che erano state
pronunciate senza un
motivo specifico, una ricorrenza o una giustificazione diverse oltre il
fatto
che le pensava sul serio e che aveva il desiderio di farmelo sapere.
Impossibilitata da formulare
una qualsiasi frase, compii l’unico gesto che gli avrebbe
fatto capire quanto
mi avesse colpito. Lo baciai, con slancio, con desiderio, con amore.
Quando ci separammo, il suo
sguardo si era fatto malandrino. “Se ottengo questo
risultato, dovrei chiamarti
principessa più spesso” ironizzò.
Abbozzai una risata, un
suono leggero che strideva con le lacrime che ancora mi rigavano le
guancie
come notò Peter per primo.
“Perché sei
qui?” domandò di
nuovo, tornando serio.
Allungai una mano e presi
uno dei libricini. “Questo è il diario di
Jadis” gli rivelai mentre glielo
porgevo. “E nel cassettone ce ne sono altri”.
Peter sgranò gli occhi,
osservando con stupore il quaderno che stringeva tra le dita.
“Il suo diario
segreto?” chiese conferma.
Annuii. “Li ho scoperti
mentre cercavo la chiave per la vostra cella. In quel momento
ovviamente non
potevo fermarmi a leggerli, ma mi ero ripromessa di farlo appena ne
avessi
avuto la possibilità. Stamattina mi sono svegliata per colpa
di un incubo su
mia madre e in un lampo mi sono ricordata dei diari. Dovevo leggerli,
ne avevo
bisogno” gli spiegai.
Il ragazzo scosse la testa
desolato.
Corrucciai la fronte.
“Cosa
c’è che non va?”
“Perché ti sei
voluta far
del male leggendo queste pagine? Quello che avevi visto non ti aveva
fatto
soffrire abbastanza mostrandoti quando Jadis potesse essere crudele,
dovevi per
forza ricevere un’ulteriore conferma?” mi chiese
addolorato.
Gli accarezzai una guancia,
negando le sue parole con il capo. “Stai traendo conclusioni
sbagliate. Non sto
piangendo perché quello che ho letto mi ha sconvolta
sottolineando il lato
malvagio di Jadis, bensì il contrario.” Affermai
con calma.
Peter inarnò un
sopraciglio,
sospettoso. “Cosa intendi?”
Presi un bel respiro e gli
strinsi forte una mano. Quello che avevo da raccontargli richiedeva
tempo, ma
soprattutto la forza di rivivere per la seconda volta tutte le scoperte
che
avevo fatto in poche ore. Gli rivelai il motivo per cui Jadis aveva
voluto un
figlio, del viaggio a Suavitas, di mio padre e dei sentimenti che la
strega
aveva nutrito per lui. Questo punto fu il più difficile.
Peter pareva non voler
accettare la possibilità che Jadis fosse stata capace di
amare qualcuno, seppur
nel suo modo contorto. Dovetti andare a recuperare il diario dentro il
quale
aveva conservato il giglio rivelatore per iniziare almeno a incrinare
il muro
ferreo delle sue convinzioni. Non arrivò ad ammettere che
forse Jadis possedeva
un altro lato oltre quello universalmente riconosciuto, però
almeno una mezza
idea che contraddiceva il pensiero comune ora la possedeva. Gli
raccontai poi
della mia nascita e del nostro ritorno a Narnia fino a quello che
pensava di me
diciassettenne e della sua visita alla lapide di Ian.
“Capisci quindi che avevo
ragione? Certo mia madre ha sempre visto i vantaggi che avere un figlio
le
avrebbe portato, però teneva a me anche in quanto a Nives,
non solo come
assicurazione sulla vita o potente alleata, e questo mi basta. Sapere
di aver
avuto una madre che era fiera di me, di quello che sono diventata
crescendo, mi
fa stare bene. Adesso so anche cosa intendeva con l’ultima
frase che mi ha
rivolto” conclusi, eccitata dal mio stesso racconto.
“Ovvero?” si
informò Peter,
non riuscendo a starmi dietro.
“Ha mormorato: figlia,
una
grande strega. Voleva che io diventassi ancora più forte,
che fossi una grande
strega. Era un augurio per il futuro. Ed ho anche la conferma che quel
lampo
d’orgoglio che le ho scorto negli occhi all’ultimo
è esistito veramente, non me
lo sono solo immaginato! Lei era orgogliosa di quello che sono
diventata
crescendo.”
Peter sospirò. Sembrava
non
volersi arrendere alla prova dell’esistenza di
un’altra Jadis, della donna
dietro la sovrana. Una donna capace di provare orgoglio per sua figlia
e
affetto per un uomo. “Eppure stava per ucciderti”
rifletté.
Il mio sguardo si
adombrò.
“È vero, ma non perché mi odiava o
perché non gliene importava nulla di me.
Semplicemente perché mi ero schierata contro di lei, ero
divenuta un ostacolo
tra lei e la sua corona, che è la cosa alla quale ha sempre
tenuto di più e per
la quale ha sacrificato tutta se stessa.” Ribattei. Poi
sospirai frustrata dallo
scetticismo di Peter, gli afferrai entrambe le mani ed esclamai.
“Ascoltami,
non voglio giustificare gli atti orrendi che ha commesso, il suo
dominio di
terrore e gli omicidi compiuti senza scrupoli. Non ti dico nemmeno che
la
crudeltà che dimostrava in realtà era una
maschera che nascondevano un altro
aspetto di lei, non sono così stupida”
“Voglio ben
sperare”
commentò, ma proseguii ignorandolo.
“Dico solo che tra un
misfatto e l’altro, che tu ci creda o meno, è
stata capace di affezionarsi ad
Ian, di assaporare per qualche tempo una vita pacifica e di provare la
gioia di
avere una figlia. So benissimo che la cosa alla quale teneva di
più al mondo è
sempre stata il potere e che per esso era disposta a fare ogni cosa,
ciò non
esclude però che mia madre possa aver tenuto a me a modo suo
o a mio padre.
Riesci a comprendermi?” chiesi, quasi con una nota
d’esasperazione e di supplica.
Peter mi fissò dritto
negli
occhi. Era combattuto tra il credermi e il restare attaccato a
ciò che aveva
sempre pensato su Jadis. Sapevo che l’odio che nutriva nei
confronti della
strega era profondo, ma possibile che fosse radicato al punto da non
riuscire
nemmeno ad ammettere che mia madre potesse aver avuto un briciolo di
umanità
nella sua personalità?
Alla fine sospirò e mi
accarezzò una guancia. “Se ti fa piacere, posso
darti il beneficio del dubbio.
È il massimo che posso concedere”.
Sorrisi e lo abbracciai. Era
abbastanza. Mi accontentavo di non sentirlo negare punto per punto ogni
mia
nuova scoperta sull’identità di mia madre ora che
finalmente ero riuscita a
formularne una.
“Ascolta, dobbiamo
tornare
all’edificio. Dobbiamo prepararci ad una guerra, non posso
assentarmi più di
quello che ho già fatto. Susan darebbe di matto”
disse cercando di
sdrammatizzare.
“Certo”
concordai, alzandomi
dal letto.
Riposi l’ultimo diario al
suo posto e chiusi il cassettone. Mi allontanai sfiorando la superficie
di
cristallo con le dita come se volessi accarezzarla. Quelle pagine mi
avevano
rivelato più di quello che speravo di sapere. Non avrei mai
ringraziato
abbastanza la buona stella che mi aveva condotto da loro.
Con Peter ripercorsi la
scala a chiocciola e in breve fummo nel salone.
“Sai, non mi ero mai
accorto
di quale bellezza nascondesse il ghiaccio” asserì
il biondo indicando la sala
del trono mentre superavamo il colonnato in direzione del portone.
“Il marmo lo rende un
posto
molto regale, e le finestre ampie lo innondano di luce.”
Concordai, lieta che
Peter fosse riuscito a formulare un commento positivo su un qualcosa
che
riguardasse la strega.
Appena fuori, il sole
primaverile ci investì tanto che impiegai qualche istante a
distinguere le due
figure piumate che ci aspettavano davanti al castello.
“Rihys, come mai non sei
all’edificio?” la voce di Peter era stupita quanto
la mia espressione, però si
rivolse ad uno solo dei due grifoni presenti.
“Perdonate
maestà, ma la
regina Susan mi ha inviato per recarvi un urgente messaggio.
L’esercito di
Telmar è alle porte, dovete rientrare immediatamente. Teme
che l’attacco tanto
atteso sia prossimo” annunciò.
Sentii il sangue gelarsi
nelle vene. Telmar vicina? Attacco prossimo? Quindi la guerra che
stavamo aspettando
e paventando era arrivata. Possibile che non potessi avere qualche
giorno di
pace e tranquillità, che le battaglie non finissero mai in
quella terra?
Sentii il re imprecare
sottovoce. “Dobbiamo muoverci allora. Halder, riesci ad
andare più veloce di come
hai fatto all’andata?” domandò
rivolgendosi al secondo grifone e informandomi
su come fosse giunto al castello precedentemente.
“Certo
maestà” rispose senza
esitare la creatura.
“Temo però che
non potremmo
percorrere la via diretta per l’edificio” si
intromise Rihys.
“Perché?”
il tono di Peter
era tornato ad essere quello del sovrano. Sicuro, impassibile, adatto a
comandare.
“Perché
l’esercito di Telmar
percorre proprio quella via e se noi la adottassimo ci vedrebbero
arrivare e
potrebbero cercare di colpirci mentre siamo in volo. È
pericoloso, altezza” gli
spiegò.
“Correremo il rischio,
non
possiamo indugiare oltre”
“Oppure voi due potreste
prendere la via che ritenete più sicura mentre io e il re
potremmo prendere una
scorciatoia” mi inserii io rivolgendomi a Halder e Rihys.
Il ragazzo mi guardò
sorpreso. “Quale scorciatoia?”
“Potrei provare a
smaterializzare entrambi e a materializzarci nella sala della tavola di
pietra”
proposi con semplicità.
Gli occhi di Peter si
illuminarono. “Perfetto, faremo così allora.
Presto Cathy”
Sorridendo per la fiducia
con la quale Peter mi si affidava, gli afferrai le mani e mi concentrai
chiudendo gli occhi. Non mi ero mai materializzata con
un’altra persona ma ero
convinta di potercela fare. O almeno lo speravo.
Richiamai la magia,
facendola scorrere nelle gambe, lungo il torace, su per il collo e per
le
braccia. Poi la feci fuoriuscire dai palmi della mia mani e avvolsi con
essa le
braccia di Peter, il suo petto, la testa e le sue gambe
finché non fu
interamente dentro l’alone della mia magia. Per istinto
sapevo di non dover
penetrare il suo scudo come per le guarigioni, poiché per
teletrasportarlo non
dovevo agire internamente al suo corpo, bensì esteriormente,
come per la
lievitazione. Focalizzai la sala della tavola di pietra e lanciai
l’incantesimo.
Il famigliare vortice ci
circondò. Mi sentii risucchiare via e poi in
un’istante il vento cessò. Aprii
gli occhi e sorrisi. Ci ero riuscita, le pareti color ocra della sala
adibita
alle riunioni mi circondava. Ma cosa ancora più importante,
Peter era in piedi
davanti a me ed era tutto intero. Per mia fortuna possedeva ancora due
braccia,
due gambe e una testa.
“Sei stata
grande” mormorò
Peter costatando il mio successo.
“Inezie”
sminuii. “Ora viene
la parte difficile” commentai con un’involontaria
nota amara. Peter si fece
serio e aumentò la stretta sulle mie mani come se avesse
bisogno di forza.
Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, si stava preparando da quando
era
tornato, ma ciò non rendeva più facile
affrontarlo. Ancora una volta il suo
popolo era in pericolo e avrebbe dovuto combattere una guerra. Altri
narniani
sarebbero morti sotto le spade nemiche e lui stesso avrebbe di nuovo
rischiato
la sua vita. Ma non si sarebbe tirato indietro, questo mai. Re Peter il
Magnifico
avrebbe combattuto anche questa guerra con la stessa fierezza e lo
stesso
coraggio di sempre.
Un’altra sfida stava per
iniziare.