Libri > Le Cronache di Narnia
Segui la storia  |       
Autore: 68Keira68    19/12/2010    4 recensioni
Non ti accadrà niente, io ti posso giurare che non sarai mai più sola per davvero. Attraversa il varco e sarai protetta."... Volevo scoprire la verità e se il mio destino era dietro quella sfera, l’avrei afferrato senza altre esitazioni. Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo, dopodiché avanzai decisa all’interno del varco. Una ragazza con speciali e unici poteri magici cerca di vivere la sua esistenza nel nostro mondo, sentendosi perennemente isolata ed emarginata a causa delle sue capacità, finché un giorno le voci di due figure sconosciute, un leone e una donna, la invitano ad entrare nel loro mondo per non sentirsi più sola e per scoprire la verità che le era stata nascosta da sempre. La giovane accetta senza sapere le enormi conseguenze che avrà il suo gesto su tutti gli abitanti di Narnia, primo tra tutti il re Peter Pevensie, che incontra in circostanze burrascose ma con il quale instaurerà un legame dolce quanto pericoloso. In una Narnia già in lotta con il tiranno di Telmar, un nuovo male, proveniente direttamente dagli incubi più reconditi di ogni abitante magico, tornerà dal suo limbo più potente e assetato di vendetta che mai. NB: La storia segue gli eventi del secondo film e ci sono tutti i personaggi, anche se i principali sono Peter, Caspian, un nuovo personaggio e una vecchia conoscenza^^
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Aslan, Caspian, Jadis, Peter Pevensie
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Hola todos!! Sono tornata con il nuovo capitolo!! Iniziavo a temere che nn sarei riuscita a postare prima di Natale, ma per fortuna ci sn riuscita! :-) è il capitolo più lungo che ho scritto finora, spero che nn vi annoierete ora di arrivare alla fine! Anche perchè ci saranno diverse rivelazioni tra cui la risposta ad un interrogativo che si sono posti in molti... chissà cosa ci sarà scritto....^^ la prima parte però è semplicemente una parentesi romantica tra due personaggi che nn dicevano la loro da un po' di tempo, le fan della coppia trattata spero apprezzeranno :-)! Ora, dato che vi ho già fatto attendere abbastanza grazie alla mia super lentezza nell'aggiornare, vi lascio alla lettura nella speranza che quello che leggerete vi piacerà! Qst volta temo un po' il giudizio di chi sarà paziente e gentile nel dirmelo perchè le rivelazioni saranno parecchie e potrebbero stupire, spero però nn in senso negativo!

Ringraziamenti:
 ranyare: Ciao! spero tu abbia asciugato tutte le lacrime e che sia pronta per questo nuovo capitolo del quale aspetto il tuo giudizio con dita incrociate! Sn felicissima che la scena della battaglia ti sia piaciuta perchè di solito mi vengono meglio le scene dove i personaggi riflettono sui loro sentimenti o le scene romantiche, quindi quando descrivo una scena d'azione ho sempre paura che nn sia venuta! Se il nostro caro Peter (tra l'altro sono andata a vedere il terzo film di narnia e mi è mancato tantissimo il mio amore biondo!!!!  Ma perchè Aslan nn gli ha permesso di tornare, cosa accidenti gli cambiava a lui se entravano cinque persone nel suo regno e nn tre? Mah...! sob!) ti è piaciuto nei panni del re nell'ultimo cappy sn certa che ti piacerà anche a metà di questo dove si cala perfettamente di nuovo nei panni del mitico sovrano di Narnia^^  Spero di leggere presto il tuo parere su qst capitolo, ci sn molte rivelazioni e vorrei sapere cosa ne pensi! Grazie mille per la tua recensione e per i tuoi complimenti :-) love you! un bacione:-)!

sweetophelia: Ciao! hihhi, nn vorrei dire ma credo di aver intuito che tu sia contenta della morte della strega!!!!!!! XD! Anche Peter è felice, il momento dove la infilza è anche il suo preferito, ha provato un'enorme soddisfazione personale!!! x Cate superare la cosa sarà ovviamente più dura che per il ragazzo, però in qst capitolo troverà il modo di avere una consolazione, e poi ci sarà sempre Peter accanto a lei:-)! Tranquilla, la storia ha superato la metà però la parola fine è ancora lontana :-) cmq grazie di cuore per l'entusiasmo che dimostri per ogni capitolo, nn hai idea di quanto mi faccia piacere!!! thanks^^!!!!!!!!!! Gli interrogativi che hai posto prometto che presto o tardi verranno tutti risolti, uno in particolare già in questo capitolo e nn vedo l'ora di sapere cosa ne pensi della risposta :-)! Grazie mille ancora :-) ti mando un grande bacio!!!!!!

bex: Ciao! Sono felicissima che tu abbia apprezzato e letto tutti i capitoli della fan fiction scritti finora! E grazie mille per tutti i complimenti che mi hai fatto e per aver apprezzato l'idea che Jadis avesse una figlia, sei troppo buona :-)!!!!! Ho risposto alla tua mail :-) scusami se nn l'ho fatto subito, e che volevo aspettare di postare il nuovo capitolo prima, solo che speravo che l'operazione si svolgesse in tempi più brevi invece il capitolo nn finiva mai, aggiungevo sempre qualche pezzo con il risultato che ci ho messo una vita a pubblicare! Cmq grazie per la tua mail, è la prima che ricevo, quando ho visto che la casella postale aveva un mess mi sn emozionata! thanks^^ spero che anche questa cappy ti piaccia e spero di sapere presto le tue impressioni :-) un bacio grande!

Eve_Cla 84:  Ciao!! Se volevi regalare un po' di felicità ti posso assicurare che ci sei riuscita perchè se già una recensione di per sé fa piacere, piena di apprezzamenti come la tua nn può che riempirmi il cuore di gioia, perciò grazie grazie :-)!!!!!! Sn contenta che i diari abbiano destato curiosità :-) la loro esistenza nn era programmata, l'idea è venuta praticamente fuori da sola mentre scrivevo dell'incursione di Cate nella camera di Jadis. Mi si è accesa la lampadina! E in questo capitolo avranno un largo spazio, largo abbastanza spero da saziare la tua curiosità sul loro contenuto e anche su altri quesiti :-)! Descrivere le emozioni di Cate durante il duello tra Peter e Jadis è stata la parte più difficile del cappy perciò sono felice di sapere di esserci riuscita alla fine, grazie :-)! Povera Cate, per lei vedere i due combattersi a vicenda nn è stato affatto bello e sarà dura andare oltre la morte di Jadis, però grazie all'aiuto di Peter e di alcune scoperte riuscirà a trovare una consolazione alla fine :-) Spero di leggere presto la tua recensione perchè nn vedo l'ora di sapre cosa pensi delle varie rivelazioni che il cappy contiene!! Ancora grazie per la tua recensione :-) ti mando un grande grande bacio cara ^^!

Grazie anche a tutti coloro che hanno inserito la storia tra preferiti o seguite e anche a coloro che leggono solo:-) chiunque voglia farmi sapre cosa pensa della storia ovviamente è più che ben accetto^^
Vi auguro buona lettura
kisskisses
68Keira68

19_Gigli e segreti nascosti dal tempo

 

Un sospiro di sollievo le fuoriuscì dalle labbra quando il rassicurante profilo dell’edificio, loro rifugio in quelle ultime settimane, si stagliò all’orizzonte.

Erano solo mura usurate dal tempo, eppure era stato il baluardo della loro resistenza, senza contare che dalla cella fredda e inospitale mai costruzione le era parsa più simile ad una casa se non quelle rovine.

“Una moneta per i tuoi pensieri”

Il sussurro di Caspian le giunse dolce come una carezza ad un soffio dal suo orecchio. Si voltò per specchiarsi in quei pozzi scuri che erano stati la sua ancora di salvezza in quei due terribili giorni.

“Riflettevo sul fatto che non vedo l’ora di abbracciare il mio cuscino” gli rispose con un sorriso ilare.

Caspian rise. “Ti capisco”.

Il mio cuscino. Un cuscino che si trovava nella sua camera, una stanza distante ben tre porte da quella del ragazzo dove egli avrebbe riposato. Quella sera avrebbe dovuto coricarsi senza le calde braccia di Caspian a cingerla.

Le labbra di Susan si piegarono in una smorfia di disappunto a quel pensiero. Non voleva dormire in un letto da sola, non dopo che aveva costatato quanto bello fosse assopirsi accanto alla persona amata, sentire il calore del suo corpo contro il proprio e il soffio del suo respiro sul collo. Ma ora che erano stati liberati e che non erano più costretti a stare vicini nello stesso angusto spazio poteva azzardarsi di chiedere al principe di dormire con lei di sua libera scelta?

Caspian non si era mostrato per niente reticente a prendere sonno accanto a lei nella cella di Jadis, ma ora la situazione era mutata. Nella prigione il ragazzo non aveva scelto di stare con lei, era stato costretto, senza contare che in un frangente del genere avere una persona amica vicino poteva essere di conforto. Ma ora che era libero di dormire nella sua stanza, al sicuro, avrebbe potuto desiderare di dormire lo stesso con lei?

C’era un solo modo per scoprirlo anche se per farlo occorreva prendere a due mani tutto il coraggio di cui disponeva.

“Caspian” lo chiamò, attirando la sua attenzione. Le sue guancie si imporporarono. Susan odiò se stessa per questa sua debolezza. Non le piaceva far trasparire così chiaramente ciò che provava, peccato che quando c’era di mezzo Caspian indossare la sua maschera da regina le risultava più difficile che affrontare l’esercito di Miraz. “Sai, il mio cuscino è molto grande. Mi chiedevo se ti andava di abbracciarlo insieme a me, nella mia stanza” il volume della voce era indirettamente proporzionale al rosso delle sue gote, tanto che l’ultima parola risultò quasi inudibile per chiunque fosse stato presente. Per chiunque eccetto per chi ascoltava la regina con il cuore.

Il volto di Caspian si illuminò nell’udire la proposta che lui stesso avrebbe voluto farle ma che non aveva osato pronunciare. Decidere spontaneamente di condividere la stessa camera era un passo importante, in più rendeva ufficiale agli occhi di tutti il loro rapporto e il ragazzo aveva già sperimentato cosa succedeva se faceva pressione a Susan nel compiere determinate tappe. L’aveva allontanata una volta, non avrebbe commesso lo stesso errore. Ma questa volta era Susan stessa a farsi avanti e perciò, per quanto questo gli sembrasse incredibile come un sogno, non avrebbe avuto ulteriori indugi.

Le passò un braccio attorno alla vita e la attrasse a sé, posandole un bacio tra i lunghi capelli castani.

“Non vedo l’ora di abbracciarlo. Anche perché, se ancora non lo avessi capito, temo di non essere più in grado di dormire se non ti ho vicina” le confessò audace sussurrandole all’orecchio.

Susan avvampò ancora di più, ma un sorriso sincero e di pura gioia curvò le sue labbra. Labbra che furono catturate per un rapido quanto tenero bacio da quelle del principe poco prima che il cocchio preso in prestito nella stalla della strega si fermasse.

Caspian scese con un agile balzò poi si girò per porgere la mano a Susan e aiutarla a scendere a sua volta prima di incamminarsi verso la porta dell’edificio.

Quando entrarono, trovarono i reduci dello scontro con l’esercito di Jadis stipati nella sala comune usata per i pasti, alcuni con espressione confusa, altri guardinga, altri ancora incredula. La domanda che passava per la mente di ogni presente era limpida come l’acqua. Perché la neve si era sciolta? Una domanda che poteva avere una sola risposta, una risposta tuttavia che era troppo meravigliosa anche solo per considerarla. Ecco perché gli abitanti di Narnia erano in empasse ad attendere qualcosa o qualcuno che chiarisse la nuova situazione. Ed ecco perché l’arrivo dei due regnanti fu accolto con un religioso silenzio che racchiudeva tutte le speranze e le aspettative nei cuori dei presenti.

“Regina Susan, principe Caspian” mormorò qualche d’uno come se sussurrare il loro nome li rendesse più veri e meno simili ad un miraggio in una tempesta.

Susan sorrise fiera al suo popolo, tornando a vestire i panni che più le si addicevano, il rossore sulle sue guancie improvvisamente scomparso.

“Popolo di Narnia. Sono lieta di annunciare che la Strega Bianca è stata sconfitta da Re Peter e da Lady Cathrine e questa volta non tornerà mai più. Narnia è definitivamente libera dalla sua infausta presenza”

Seguirono cinque lunghi secondi di silenzio, il tempo che occorse ai presenti per assimilare la notizia, per comprendere che era la verità, che le loro preghiere erano state esaudite. Che erano davvero salvi. Poi, un’ovazione esplose.

Qualcuno gridò di gioia, altri risero finalmente sollevati dall’enorme peso che si erano portati addietro negli ultimi giorni. Altri ancora inneggiarono al coraggio e alla forza del loro re che li aveva liberati da Jadis, mentre alcuni si limitavano a sorridere, troppo sopraffatti per esprimere ciò che provavano in un altro modo.

Anche Caspian e Susan risero gustandosi quel meritato momento di catarsi. In quell’istante, in mezzo al suo popolo finalmente tornato a sorridere, Susan ebbe la consapevolezza che avevano veramente vinto. E il premio era la gioia che scorgeva nei volti degli abitanti della sua terra.

Sentì Caspian prenderle la mano e sospingerla verso la scala al fondo della sala conducente alle camere. La regina guardò in volto il principe, stanco e provato quanto lei, e annuì. Decisamente quella di andare a letto era un’ottima idea dopo l’avventura trascorsa.

Intercettò Ricipì, che con la spada rivolta verso l’alto continuava a decantare le lodi del suo sovrano, e gli si avvicinò.

“Ricipì, posso affidarti un compito?” gli chiese gentile.

Il topo, come prevedibile, si inchinò profondamente con la spada sul cuore e si affrettò a rispondere “Ogni vostro desiderio è un ordine mia regina”.

“Re Peter, re Edmund, la regina Lucy e Lady Cathrine stanno per arrivare a bordo di una carrozza, affido a te il compito di organizzare un’accoglienza calorosa. Il Principe Caspian ed io invece ci ritiriamo nelle nostre stanze”.

“Sarà fatto” promise il valoroso cavaliere.

Susan annuì, infine si accinse a seguire Caspian al piano superiore.

“Sai, quando hai un tetto sotto la testa non riesci a comprendere la fortuna che hai finché non ti ritrovi a dormire su una lastra di ghiaccio” commentò la ragazza salendo le scale.

“Già, dai per scontato anche di poter godere di una temperatura superiore allo zero” si accodò Caspian sorridendo sarcastico.

Quando giunsero davanti alla porta della camera di Susan, la ragazza si voltò a guardare il principe per assicurarsi che non avesse cambiato idea, ma la conferma delle intenzioni del giovane giunse veloce e in maniera inequivocabile. Caspian aprì la porta e prense la ragazza in braccio per farle varcare la soglia.

Susan, presa alla sprovvista, rimase interdetta in un primo momento, ma poi decise di godersi l’attimo. Erano reduci da un’esperienza che avrebbe potuto ucciderli e questo le aveva insegnato che d’ora in poi doveva cercare di lasciarsi andare un poco di più, di vivere la sua vita in modo da non aver rimpianti in caso un’altra guerra minacciasse la sua sicurezza.

Cinse con le sue braccia il collo del bel giovane moro che le regalò uno sguardo così intenso e felice da lasciarla senza fiato. Sentì il cuore balzarle in gola a ricordarle più che mai che se c’era qualcuno che poteva farla sentire viva, che le poteva donare dei ricordi indimenticabili, era proprio Caspian.

Il principe di Telmar chiuse la porta con un lieve calcio poi si diresse verso il letto dove adagiò la giovane.

Susan però, vittima di una frenesia che i suoi stessi pensieri le avevano fornito, non sciolse il suo abbraccio, al contrario trascinò il ragazzo giù con sé, sprofondando insieme a lui nel morbido materasso.

Un sorriso sbarazzino, malizioso ma così spontaneo da avere quasi dell’infantile, si fece vedere sul volto della regina che si illuminò di una luce insolita, a lei estranea tanto da lasciare Caspian ammaliato a fissarla. Era la luce della spensieratezza, del desiderio di cogliere l’attimo senza curarsi delle conseguenze. Una luce contagiosa poiché ben presto rischiarò anche il volto del moro.

Susan fece scivolare una delle due mani, che ancora cingevano la nuca del giovane, tra i capelli corvini di Caspian fino a giungere sulla sua guancia sulla quale poteva avvertire la lieve ruvidezza di un accenno di barba. Gli sfiorò lo zigomo, scorse giù fino alla mascella e poi accarezzò le sue labbra, morbide e piene, in grado di aprirgli un mondo di emozioni che mai avrebbe immaginato accessibili per lei.

Gli occhi castani, nei quali albergava un guizzo di malizia solitamente latente, si incontrarono con quelli di Caspian e ne rimasero stregati, imprigionati. Le sue due pozze scure, di solito pieni di genuinità, di innocenza e di bontà ardevano come brace. Erano uno scorcio del fuoco che gli stava incendiando il cuore, un fuoco alimentato dal desiderio che aveva della giovane, suscitato dalla sua pelle di pesca, dalle sue labbra di rosa e dal suo meraviglioso viso.

Il cuore di Susan batté ancora più forte sotto quegli occhi che dichiaravano a gran voce di volerla, ma soprattutto di amarla. Uno sguardo che la contemplava come se fosse una dea da venerare e da desiderare, come se per lui fosse ciò che più di prezioso il mondo poteva avere.

Caspian le si avvicinò con il capo e prese a baciarle il collo. Erano baci lenti ma dolci, sentiva solo la lieve pressione delle sue labbra sulla sua pelle, baci in contraddizione con la bramosia che gli aveva scorto negli occhi, quasi come se avesse paura di assecondare i suoi desideri. O forse anche lui voleva godersi l’attimo? Forse voleva assaporarlo secondo per secondo e non bruciare nessuna tappa, non avere fretta.

La bocca di Caspian salì su e giunse a baciarle la guancia, il mento fino ad arrivare alla loro meta, le sue labbra, mentre la giovane gli accarezzava i capelli con una mano e lo stringeva sempre più a sé con l’altra facendo pressione sulla schiena di lui.

Susan ricambiò il bacio e assaporò la morbidezza della labbra di Caspian per un momento che le parve infinitamente perfetto. Le loro bocche ormai si modellavano le une sulle altre come se fossero due pezzi complementari, come se volessero sottolineare la reciproca appartenenza dei loro proprietari.

Fu Caspian infine a distanziarsi da lei quel tanto che bastava per incatenarla nuovamente con il suo sguardo. Il fuoco che precedentemente si era intravvisto in quelle pupille si era affievolito, parzialmente soddisfatto da quel bacio appassionato, ed era tornata a regnare la consueta genuina felicità che le contraddistingueva.

“Ti amo Susan” le sussurrò ad un respiro dalle sue labbra.

La giovane tremò nell’udire la sua voce così profonda e rauca. “Ti amo Caspian” bisbigliò in risposta. Una risposta forse scontata, prevedibile, ma non per questo perdeva la sua veridicità. E di certo non per questo il cuore del giovane evitò di aumentare il ritmo del suo battito all’ennesima conferma di essere ricambiato da Susan.

Caspian le scivolò di fianco e le cinse la vita traendola a sé con dolcezza. Le depositò un bacio sul capo e appoggiò il suo viso tra i capelli della ragazza, inspirando a fondo il suo buono e inconfondibile odore di fiori di campo.

Susan accarezzò il braccio che la teneva prima di girarsi su se stessa e ritrovare il contatto con le labbra del bel principe.

Forse, dopotutto, il cuscino avrebbe potuto aspettare, a differenza dell’amore che esigeva per quella sera di essere vissuto a pieno…

 

*

 

Allungai le braccia e cinsi il cuscino, sprofondandoci il viso dentro. Stiracchiai le gambe, le aprii e le chiusi un paio di volte, godendomi la sensazione della morbidezza del materasso. Decisamente non esisteva cosa più ristoratrice del dolce dormiveglia. Coccolarmi tra le lenzuola mi distendeva i nervi, rilassava i muscoli e mi illudeva di essere in un limbo dove esistevamo solo io, il mio cuscino e, da qualche giorno, Peter, che con me condivideva quei teneri e rilassanti risvegli.

Sfilai una mano da sotto il guanciale e cercai a tentoni quella del biondo in questione dalla sua parte del letto. Corrucciai la fronte però quando mi resi conto che la sua metà di materasso era vuota.

Di malavoglia alzai il capo e aprii gli occhi. Con delusione constatai che la mia impressione era giusta. Peter non c’era e a giudicare dalla temperatura del materasso in quel punto, se ne era andato da un pezzo.

Con un sospiro lanciai uno sguardo al resto della stanza…e rimasi di sasso. Due colonne al fondo del materasso sosteneva un baldacchino. Un grande armadio di ghiaccio riempiva quasi tutta la parete bianca davanti a me insieme ad una panca aperta.

Chiusi gli occhi e scossi la testa con il cuore che batteva a mille. Quando gli riaprii, i mobili che aveva visto erano scomparsi, sostituiti da un armadio in legno notevolmente più piccolo e un semplice letto.

Nascosi il viso tra le mani e inspirai a lungo. La mia mente mi aveva giocato un brutto scherzo, il mio subconscio aveva sovrapposizionato l’immagine della mia stanza al castello di ghiaccio con quella che avevo lì alle rovine. Evidentemente nel dormiveglia, nel mio limbo protetto, avevo sperato che gli ultimi complicati e incisivi avvenimenti non fossero accaduti, che erano stati solo un incubo molto lungo, e di conseguenza la mia testa aveva immaginato di trovarsi ancora in quella camera, fornendomi quell’immagine al posto della realtà.

Deglutii e presi un ultimo respiro per farmi forza. Ora ero sveglia, era inutile soffermarsi su sciocche allucinazioni dettate da una mente ancora addormentata. Piuttosto sarebbe stato meglio alzarsi e cercare di raggiungere Peter.

Infilai le ballerine poste accanto al letto e mi posizionai di fronte allo specchio. Un debole sorriso si formò sul mio viso quando vidi i capelli tutti scompigliati.

Era bello constatare che alcune cose non cambiavano mai. Con pazienza presi la spazzola sul comò e cominciai a districare la massa informe che avevo come acconciatura. Quando finalmente dei boccoli degni di tale nome tornarono a sfiorarmi le spalle, uscii dalla stanza.

Scesi le scale e cercai di attraversare furtiva la sala comune. La sera precedente, quando Peter, Edmund, Lucy ed io eravamo rientrati, ero riuscita silenziosamente a svignarmela ai piani superiori mentre il popolo accoglieva i sovrani con i giusti onori, sperando che essendo impegnati a lodare i regnanti non avrebbero avuto tempo per incenerire me con occhiate maligne e sospettose. Sapevo che non avevo nulla da temere, che avendo il favore di Peter nessuno si sarebbe osato a farmi del male, ma non avevo voglia di sentirmi additare come una traditrice, una strega malvagia o un elemento da evitare, preferivo di gran lunga passare inosservata almeno finché l’astio e la diffidenza nei miei confronti non fossero stati dimenticati.

Un fauno però ruppe la mia rosea speranza di raggiungere indenne la sala della tavola di pietra dove certamente erano riuniti i miei amici.

Malauguratamente la creatura incrociò il mio sguardo, sobbalzò e sgranò gli occhi. Sbuffando io mi affrettai a chinare la testa e aumentai il passo, ma mentre cercavo di svignarmela, l’abitante di Narnia mi prese in contro piede facendo l’ultima cosa che mi aspettavo. Inclinò il busto davanti e con tono rispettoso mormorò “Buon giorno principessa Cathrine”.

Rimasi spiazzata. Non aveva estratto la spada. Non aveva incitato i suoi compagni a puntarmi contro torce e forconi. Non aveva pronunciato nemmeno un misero insulto. Si era inchinato e mi aveva salutata come “principessa”.

Ma ciò che fu ancora più sorprendente fu che altri si affrettarono ad imitarlo. Stavo forse ancora dormendo?

“Grazie, buongiorno anche a voi” sussurrai di risposta istintivamente grazie ad anni di buona educazione che mi salvarono dal fare scena muta.

Accennai ad un saluto con il capo dopodiché mi dileguai il più velocemente possibile lungo il corridoio che portava alla sala adibita alle riunioni, scuotendo incredula la testa.

“Ben svegliata dormigliona” la voce energica di Lucy mi accolse nell’aula.

Mi sorrideva allegra dalla sua postazione preferita, appollaiata sul bordo della tavola di pietra a gambe incrociate.

“ ‘Giorno Cate”

“Buon giorno” dissi ai giovani sovrani “Caspian, Susan” aggiunsi poi con un sorriso prima al moro poi alla ragazza.

Passai al setaccio la stanza sperando di catturare un paio di zaffiri luminosi ma restai delusa. Peter non si trovava nemmeno lì.

“Arriverà tra poco” mi informò Lucy intuendo i miei pensieri.

“Come mai quell’aria stupefatta?” mi domandò invece Susan.

Rivolsi la mia attenzione alla giovane, posta alla destra della tavola e appoggiata con la schiena sul petto di Caspian. “Niente, è che mi aspettavo di essere quasi linciata dai narniani appena si fossero accorti della mia presenza, invece prima mi hanno chiamata principessa e si sono persino inchinati” spiegai stranita.

Vidi la regina esprimersi in una smorfia divertita mentre Caspian, Lucy ed Edmund ridacchiarono.

“Vedo che il discorso di Peter ha sortito il suo effetto” commentò ilare Caspian.

“Quale discorso?” mi informai corrucciando la fronte. Cosa mi ero persa?

“Stamattina sono tornati tutti coloro che avevano combattuto al fianco di Jadis” mi mise a parte Edmund.

“E Peter ha ritenuto opportuno giustamente redarguirli e far loro giurare nuovamente fedeltà a noi e ad Aslan.” Aggiunse Lucy.

“Quindi sono stati tutti perdonati?”

“Non proprio. Combatteranno di nuovo dalla nostra parte, ma sono tenuti sotto stretta sorveglianza e al primo sospetto verranno trattati come i traditori meritano” il tono amaro con la quale Susan si espresse mi fece deglutire.

“Comunque sia non crediamo ci sarà bisogno di adottare tali misure. La maggior parte di loro ha disertato le nostre file sotto minaccia o sotto un incantesimo. Pochi hanno lottato per Jadis convinti di quello che stavano facendo” puntualizzò fiduciosa la più piccola dei Pevensie.

Annuii sollevata. Non era piacevole sapere che il proprio esercito era composto da un nutrito numero di traditori.

“Ma questo cosa c’entra con me?” chiesi tornando al discorso iniziale.

“Peter ha colto l’occasione anche per minacciare di morte chiunque ti avesse anche solo guardato in modo storto” il sorriso divertito di Lucy la diceva lunga sul modo in cui il biondo si fosse espresso. Poveri abitanti di Narnia… non osavo immaginare in che modo avesse formulato la sua “gentile” richiesta.

“E poi ha anche formalizzato il tuo nuovo status di principessa ora che si è scoperta la tua vera identità.” Concluse Caspian sorridendo anche lui probabilmente al ricordo dell’arringa, certamente molto infervorata, del sovrano.

“Come?!” esclamai sorpresa. Quindi era stato Peter a dire a tutti di chiamarmi con quell’inappropriato appellativo? Ma cosa gli era saltato in mente?

“Non sei contenta?” Lucy mi guardò stupita della mia reazione.

“Sono felice di non dovermi guardare le spalle da possibili attentatori, ma non sono una principessa. Morta Jadis credevo fosse abbastanza chiaro che Narnia sarebbe tornata a voi, non intendo essere la principessa di un trono usurpato” ribattei con veemenza.

“Infatti è così. I sovrani di Narnia siamo tornati ad esserlo i miei fratelli ed io”.

Una voce ben conosciuta mi giunse dalle spalle. Una voce che aspettavo di udire da quando mi ero svegliata.

Mi voltai addolcendo la mia espressione istintivamente alla vista di quei tratti angelici.

Peter mi venne incontro, mi trasse a sé e mi donò un bacio a fior di labbra.

“Buon giorno” mi sussurrò all’orecchio.

“Buon giorno anche a te” ricambiai, lieta di potermelo finalmente sentir dire da lui.

Edmund si schiarì la voce sonoramente, richiamando la mia attenzione e facendomi ricordare le mie obiezioni.

“Temo di aver perso il filo allora. Se i regnanti giustamente siete voi, perché dovrebbero chiamarmi principessa?” chiesi inarcando un sopraciglio.

“Jadis era già regina prima di allungare le mani su Narnia. Il castello di ghiaccio e le terre ad esso adiacenti sono dei suoi legittimi possedimenti, così come le Isole Solitarie di cui era imperatrice” mi illustrò paziente.

“E tu sei la legittima principessa di quelle corone.” Affermò Susan.

Mi massaggiai le tempie. Troppe informazioni assieme, mi stava venendo il mal di testa. Quindi, riassumendo, la magia non era l’unica cosa che mia madre mi lasciava in eredità. Avevo appena scoperto di avere una corona sulla testa. Anzi, due per la precisione. Fantastico.

“Per ora sei solo principessa perché non hai avuto una cerimonia di incoronazione, al quale però provvederemo appena possibile.” Promise Peter.

Un mugolio di disapprovazione mi uscì prima che potessi fermarmi. Certo, non vedevo proprio l’ora di essere incoronata, era il sogno di una vita.

Sospirai e raccolsi le idee per iniziare la mia presa di posizione. “Ascoltate, non ho alcun interessa a diventare regina, né ad essere una principessa. Nives era l’erede di quei possedimenti, ma Nives è morta insieme a Jadis. Sono rimasta io, Cathrine, e l’unica cosa che mi rallegro di aver ereditato e che continuerò ad usare è la mia magia. Quei possedimenti potete annetterli al regno di Narnia, non mi interessa. Se occorre posso firmare un documento di concessione” obiettai riflessiva.

Peter strabuzzò gli occhi. “Ma sono i tuoi territori, il tuo trono. Hai dei doveri verso la gente che vi abita, verso i tuoi sudditi.” Ribatté.

Sorrisi divertita dalla reazione del giovane. Vedeva la situazione attraverso i suoi occhi, per lui rinunciare al trono sarebbe stato come lasciare in panne le persone che gli davano fiducia. Non riusciva a vederla dal mio punto di vista.

“Non ho idea di come si amministri un regno Peter, non sono tagliata per quel ruolo. Ci vuole una forza, una lungimiranza e un’attitudine al comando che io non ho. Non tutti sono nati per governare come te. Faccio di più gli interessi di quel popolo mettendolo sotto la vostra guida che assumendomene la responsabilità, fidati” ragionai “e poi preferirei non avere qualcosa che mi ricorda Jadis ogni giorno” sussurrai a solo beneficio di Peter il quale aumentò la stretta sul mio fianco comprendendomi.

Il maggiore dei Pevensie sospirò e fece passare qualche secondo di riflessivo silenzio prima di proporre: “Allora potremmo fare in questo modo. Noi ci occuperemo di ogni aspetto dell’amministrazione di quel regno, ma tu conserverai il tuo titolo di principessa e potrai richiedere il diretto controllo sulle tue terre in qualunque momento. Cosa ne pensi?”

L’ultima frase era una domanda, ma il tono avvertiva a chiare lettere che non avrebbe ammesso repliche.

Storsi il labbro. Era insulso essere chiamate con un appellativo onorifico senza far alcunché per meritarlo. Tuttavia acconsentii. Peter non mi avrebbe mai permesso altrimenti.

Il ragazzo sorrise contento della mia resa, poi si rivolse agli altri presenti. “Perfetto, risolta questa questione possiamo passare ad altro. Le nostre spie dicono che i telmarini non si sono accorti di essere stati congelati. Sciolto l’incantesimo hanno ripreso la loro vita come se niente fosse” li informò.

“Ed insieme ad essa anche la preparazione della guerra contro di noi, scommetto.” Aggiunse amaro Edmund.

Peter annuì con espressione grave. Susan si morse il labbro frustrata e Caspian imprecò a mezza voce. Eravamo appena usciti da un grosso pericolo, ma un altro non meno grande stava di nuovo minacciando la nostra ritrovata pace. Chissà se saremmo mai riusciti a liberare questa terra da ogni influenza esterna e farle avere un’esistenza tranquilla?

“Cosa possiamo fare?” domandò pragmatica Susan.

“Prepararci alla guerra” rispose secco Peter.

La regina annuì, i lineamenti del volto tesi. “Dobbiamo organizzarci allora”.

Sotto i miei occhi, Peter si trasformò da semplice ragazzo a re supremo. Postura dritta e regale, sguardo e tono fermi, sembrava quasi illuminato da una luce particolare mentre dettava ordini e organizzava il futuro della sua gente senza la benché minima esitazione.

“Innanzitutto i bambini e coloro che non possono combattere vanno messi al sicuro” sentenziò guardando Lucy.

La piccola regina annuì seria. “Me ne occuperò io, non è un problema” assicurò.

“Bene” commentò il biondo. “Passiamo alla difesa”.

“Io direi di piazzare gli arcieri sulla balconata sopra l’ingresso. Offriranno una buona copertura per i fanti da quella postazione” propose Susan trovando subito concordi i restanti.

“Te ne puoi occupare tu?” le chiese Peter, anche se già conosceva la risposta.

“Ma certo”

Con i lineamenti del volto tesi e lo sguardo fermo, dubitavo seriamente che esistesse qualcosa che non sarebbe stata capace di fare. Lei come tutti gli altri. In quel momento i Pevensie mi parevano invincibili. Seri e determinati, le menti perfettamente in sincronia, ognuno conscio del proprio compito e del proprio dovere, ognuno pieno di fiducia verso le capacità degli altri. Formavano una squadra affiatata, perfettamente sintonizzata, unita dall’affetto e dalla stima che provavano tra loro.

“Per quanto riguarda l’esercito di terra…” e si rivolse al fratello minore.

Edmund fece un passo avanti. “Dobbiamo evitare lo scontro frontale. La loro superiorità numerica ci schiaccerebbe” illustrò.

“Giusto, perciò cosa proponi?” concordò Peter.

Un silenzio meditabondo piombò sulla stanza. Non avevamo soldati a sufficienza per sopportare un corpo a corpo, ma come potevamo sfoltire le file dei nostri nemici se non sotto i colpi delle nostre spade?

A sorpresa, Caspian si schiarì la voce, catturando su di sé l’attenzione. “Forse ho un’idea” disse.

“Ovvero?” si informò Susan attenta.

“Sapete che l’edificio oltre al piano terreno e quello superiore comprende anche un piano sotterraneo che si estende per un paio di chilometri sotto la raduna qui fuori?”

“Si, e questo ci è utile perché…?” lo incalzò Peter, non comprendendo l’introduzione del principe.

Il ragazzo si concesse un sorriso. “Il soffitto del sotterraneo è retto da delle colonne di pietra. Se quelle colonne venissero distrutte il terreno crollerebbe come niente” spiegò.

Ora anche Peter sorrideva soddisfatto, intuendo dove il giovane volesse andare a parare. “E se accidentalmente quelle colonne venissero distrutte mentre i telmarini passano sopra alla zona che sostengono…” proseguì per Caspian.

“Una parte dell’esercito cadrebbe insieme al soffitto e verrebbe seppellita dalle macerie” concluse Edmund, giunto anche lui alla medesima soluzione battendosi il pugno sull’altra mano, approvando il piano.

“Se siete d’accordo allora una parte dell’esercito aspetterà sotto con Caspian che, quando i soldati di Telmar saranno nella giusta posizione, darà l’ordine di distruggere le colonne portanti, mentre io ed Edmund saremo sul prato con il resto dei fanti” decretò Peter entusiasta dell’idea.

“Io potrei coordinarvi facilmente con la magia” mi inserii timida nella discussione, presa da un’idea improvvisa. “Posso inviare una sfera di luce a Caspian per comunicargli quando è il momento di far crollare il soffitto.”

“Perfetto, così il piano dovrebbe funzionare e noi ci saremmo tolti di mezzo una parte dell’esercito di Miraz senza perdere un soldato” commentò il re supremo.

“Il numero dei soldati che Telmar ha a disposizione non è l’unico dei nostri problemi però. La città può usufruire di macchine da guerra che Narnia non ha più da secoli.” L’annotazione di Susan fece tornare in toto il pessimismo appena alleggerito.

“Parli delle catapulte, vero?” precisò Edmund. La regina annuì tesa.

Effettivamente le catapulte costituivano un ottimo mezzo per distruggere il nostro edificio e per assottigliare le nostre fila. Erano grandi e inavvicinabili per semplici fanti, indistruttibili utilizzando solo piccole frecce. Ma il peggio era che Narnia non aveva nulla di simile da contrapporre. A meno che…una lampadina mi si accese, fornendomi la soluzione del problema su un piatto d’argento. Una soluzione tanto semplice che mi diedi della sciocca per non averci pensato prima.

“Quel problema credo di potervelo risolvere io tranquillamente” affermai con sfacciata convinzione.

“Davvero?” mi chiese sorpreso Peter.

Finsi un’aria offesa. “Credi davvero che qualche pezzo di legno possa mettere in difficoltà la figlia della Strega Bianca? Mi sottovaluti signor Pevensie” lo provocai sorridendo accattivante.

“Non dubitavo delle tue capacità, mia permalosa strega.” Ribatté stando al gioco. “Non volevo coinvolgerti nella battaglia. Finché si tratta di inviare un segnale va bene ma oltre quello avrei preferito che questa volte te ne stessi in disparte” aggiunse scrutandomi.

Trattenni a stento uno sbuffo. Era vero, l’ultima e la prima volta che avevo partecipato ad una battaglia avevo finito con il farmi catturare, però non per questo avrebbe potuto tenermi in una campana di vetro per il resto della mia esistenza. Specie ora che ero divenuta più consapevole dei miei poteri e che potevo rivelarmi più utile di prima.

“Peter, apprezzo il tuo senso di protezione ma sono capace di badare a me stessa. E poi avrete bisogno di ogni aiuto possibile e negarti quello di una strega per un eccesso di scrupoli mi sembra una mossa stupida” cercai di farlo riflettere.

“Ha ragione. Il suo contributo potrebbe essere decisivo. Senza le catapulte la situazione risulterà molto meno impari” mi supportò logica Susan.

Le lanciai un’occhiata di ringraziamento per il sostegno poi tornai a fissare il biondo che mi guardava a sua volta con brillanti zaffiri tormentati. Era diviso tra il dovere verso il suo popolo e quello di proteggermi che aveva sempre sentito da che ci eravamo incontrati.

Gli accarezzai il volto. “Starò lontana dalla battaglia, non intendo affrontare direttamente nessuno. Le condizioni saranno quelle della volta scorsa, contributo magico in cambio dell’esonero dall’usare armi contundenti.” Proseguii cercando ulteriori motivazioni per la mia causa. Non volevo rimanere con le mani in mano mentre loro rischiavano la vita, però avrei perseverato con la mia scelta di non uccidere nessuno. Vidi la sua titubanza aumentare e decisi di aiutarlo ulteriormente concludendo. “E poi i miei poteri si sono raddoppiati, lo sai. Dubito seriamente che qualcuno possa nuocermi ora come ora” vantai peccando appositamente di modestia.

Ciò parve convincerlo definitivamente. “D’accordo. Ma starai sulla balconata vicino a Susan, fuori dalla mischia” ordinò aumentando la stretta dell’abbraccio, probabilmente un riflesso istintivo al pensiero che sarei stata di nuovo esposta al pericolo. L’ombra di un sorriso mi si dipinse in volto. Si poteva essere più iper-protettivi?

“Del resto dovrà occuparsene la fanteria.” Commentò Caspian, tornando all’argomento principale.

“E se ne occuperà nel migliore dei modi.” Promise Peter e lanciò un’occhiata allusiva al fratello.

Edmund comprese e annuì. “Vado ad occuparmene immediatamente” ed uscì dalla stanza.

“Io vado a scegliere un gruppo di soldati per abbattere le colonne.” Annunciò Caspian sparendo dietro ad Edmund.

La terza ad uscire celere dalla stanza fu la regina maggiore, diretta verso lo schieramento degli arcieri di sua competenza, seguita a ruota dalla piccola Lucy che si apprestava ad informare del nostro piano coloro che avrebbero dovuto seguirla ai piani superiori appena la battaglia fosse iniziata. Una battaglia decisiva, che avrebbe segnato le sorti di Narnia. Un’ennesima ferita su quella terra florida dalla quale sarebbe sgorgato il sangue dei suoi stessi abitanti, abitanti che forse avrebbero potuto estinguersi al tramonto di quel fatidico giorno.

Sospirai affranta. Altra guerra, altri avversari, ma stesse paure e stesso dolore.

Sentii la pressione della mano di Peter sollevarmi il mento, obbligandomi a fissarmi negli occhi.

“Non sei costretta a partecipare” mormorò.

Un angolo della mia bocca si piegò in su in un’amara smorfia. “Pensi che resterei a guardare mentre voi rischiate la vita?” risposi cercando di mascherare l’afflizione con il sarcasmo.

Il re chinò lentamente la testa e mi baciò. Un bacio calmo e lento, un bacio di conforto, puntato a farmi comprendere che lui era vicino e che capiva ciò che provavo. Un bacio che mi ripeteva che non ero sola. Un bacio che voleva fornirmi una speranza per il futuro, che mi dettava di non arrendermi perché insieme ce l’avremmo fatta. Avremmo superato anche quest’ulteriore sfida.

“Lucy sarà dentro l’edificio, protetta da quelle mura. Caspian è un bravo combattente e porterà a termine la sua missione. Susan e tu sarete al sicuro sulla balconata, impegnate nei vostri incarichi che saprete eseguire alla perfezione. Edmund sarà con me e non permetterò a niente e a nessuno di nuocergli” mi rassicurò poggiando la sua fronte sulla mia.

Chiusi gli occhi e mi inebriai del suo profumo che mi giungeva forte e dolce data la distanza ravvicinata, come anche il suo respiro che mi raffreddava delicatamente le labbra ancora umide dal suo bacio.

Sollevai le palpebre e sprofondai in quel cielo primaverile, profondo e infinito come i suoi sentimenti. “E tu?” sussurrai.

Un sorriso sghembo gli curvò le labbra. “Non perderò la vita in un semplice scontro.”
“Perché sei re Peter il Magnifico?” lo canzonai, ritrovando quel poco di spirito per scherzare oltre la coltre di preoccupazioni che mi annebbiava la mente.

“No, perché sono troppo egoista per permettere a qualcuno di privarmi del piacere di rivederti dopo la battaglia. O di accarezzare la tua pelle morbida” la sua mano scorse lungo la mia guancia, giù per il collo fino alla clavicola. “giocare con i tuoi capelli ricci e ribelli” le sue dita si intrecciarono con i miei boccoli dietro la mia nuca. Tirò piano una ciocca e un brivido mi percorse lungo tutta la schiena. Con imbarazzo fui incapace di trattenere un mugolio. “Di stringerti a me e sentire la dolce pressione del tuo corpo” l’altro braccio si poggiò sulla mia vita e con delicatezza mi avvicinò al suo petto caldo che si abbassava e alzava piano e ritmicamente, pregustando il passo successivo che entrambi conoscevamo. “o di rubarti mille baci, poi di nuovo cento, poi di seguito mille, poi di nuovo altri cento” mormorò citando i versi che Catullo dedicò alla sua Clodia, con il tono sempre più rauco, facendomi tremare il cuore e le gambe.

Le nostre labbra si riunirono come poco prima, ma in modo totalmente diverso. Se precedentemente il bacio era di comprensione e rassicurazione, ora era passionale, energico, pieno di vita, di voglia di godersi il momento, del desiderio che entrambi nutrivamo verso l’altro.

Allacciai le mie mani dietro la sua nuca e ricambiai con tutta me stessa, dimenticando ogni problema come sempre mi accadeva quando le nostre lingue si univano in quella danza ancestrale che tanti significati poteva celare e tante emozioni trasmettere.

Un’aspra battaglia ci attendeva. Il destino ci richiedeva di dimostrare ancora il nostro coraggio e la nostra determinazione. Ma noi eravamo pronti. Eravamo uniti e forti del sentimento che ci legava tra di noi e a quella terra. E proprio per difendere l’amore verso l’altro, verso i nostri amici, verso le creature di Narnia e verso Narnia stessa, avremmo vinto.

 

*

 

La mia veste era sporca di sangue. Sangue che continuava a scorrere. Sangue che non era mio.

Lentamente alzai lo sguardo.

Jadis, pallida e con le iridi dilatate, boccheggiava in cerca d’aria. Le mani stringevano convulsamente una lama affilata che le fuoriusciva dal centro del petto incurante di ferirsi ulteriormente. Il sangue colava a fiotti dalla ferita e dalla punta della spada, finendo sulla mia gonna e imbrattandola.

Jadis barcollò all’indietro di un paio di passi poi cadde a terra con un tonfo. Tossì e altro sangue le colò dalle labbra che a poco a poco stavano perdendo il loro solito colorito acceso.

Incrociai il suo sguardo e in quelle iridi cristalline vidi qualcosa che non avrei mai dimenticato. Vidi orgoglio. Nei suoi occhi albergava l’orgoglio. Ma non sembrava l’ultimo lampo di fierezza di una grande combattente bensì pareva orgogliosa nel vedere ciò che stava fissando, ovvero me. Ma perché avrebbe dovuto esserlo? Non ne aveva motivo, in fin dei conti avevo contribuito alla sua disfatta, eppure…

“…Figlia…una grande strega…”

Il suo sguardo sempre fiero si fece vacuo, i lineamenti si irrigidirono e il petto si abbassò per l’ultima volta.

Jadis era morta…

 

Mi svegliai di soprassalto, ritrovandomi seduta sul mio letto, il cuore a mille e la fronte sudata.  Mi misi una mano sul petto che si alzava ed abbassava a ritmo sostenuto. Davanti a me, solo l’immagine ancora vivida di uno sguardo che si faceva vacuo. Chiusi gli occhi nella speranza di scacciare quella visione e cercai di focalizzarmi sul respiro.

Mi concentrai sul diaframma e tentai di regolarizzarne il movimento. Impiegai diversi minuti ma alla fine riuscii ad ottenere un risultato accettabile.

Titubante riaprii gli occhi. L’immagine di prima era svanita, sostituita dal profilo dell’armadio in legno della mia stanza, illuminato appena da uno dei primi raggi di sole della giornata.

Mi girai verso la parte destra del letto. Sorrisi quando scorsi l’espressione rilassata dipinta sul viso di Peter. Nonostante i problemi che lo tormentavano durante il giorno, almeno la notte il re sembrava trovare una meritata pace.

Peccato non potessi dire lo stesso per me. Sospirai raccogliendo le ginocchia al petto. Il ricordo della morte di mia madre continuava a tormentarmi. Anche la notte scorsa la mia mente non mi aveva risparmiata dal farmela rivivere minuto per minuto. Avrei tanto voluto dimenticarlo. Desideravo esistesse un incantesimo per farmi buttare il triste ricordo in un cassetto da chiudere a chiave per non rivederlo mai più. Purtroppo però sapevo che ciò non fosse possibile. Avrei rivissuto quella scena nella mia testa molte altre volte, potevo solo sperare che con il tempo mi facesse meno male rivedere il sangue che colava imperterrito e sentire quelle ultime parole che mi aveva rivolto: “Figlia…una grande strega”.

Parole alla quale non riuscivo a dare un senso e che probabilmente sarebbero per sempre rimaste senza significato essendo morta l’unica persona che avrebbe potuto spiegarmele. Sarebbe rimasta una questione irrisolta, un’altra da aggiungere al grande elenco che avevo, elenco che, guarda caso, aveva come centro la figura di Jadis stessa.

Forse era quello che principalmente mi toglieva il sonno, che più mi tormentava, il fatto di non essere riuscita a trovare una risposta ad ogni mia domanda, di avere ancora così tanti dubbi sulle mie origini, sulla mia natura, ma in particolare di non essere riuscita a conoscere la strega fino in fondo. Credevo di essere stata la sola ad entrare in contatto con la vera Jadis, di aver visto la donna dietro il mito, ma gli avvenimenti mi avevano chiaramente dimostrato di essermi sbagliata, che la figura buona e dolce che io accostavo alla persona di mia madre in realtà non era che una copertura. Eppure ero certa che Jadis fosse molto più della crudele tiranna che aveva messo in pericolo Narnia e i Pevensie. Alla fine avevo scorto dell’altro oltre l’odio che si ostinava ad ostentare. Quello sguardo pieno di orgoglio e soddisfazione diretto a me e quella frase enigmatica mi avevano fatto intravedere un altro aspetto della complessa e molteplice personalità di Jadis, un aspetto però che sarebbe rimasto sepolto assieme a lei, tormentandomi con la sua impossibilità di essere conosciuto.

Se solo avessi potuto risolvere i miei quesiti, se avessi potuto avere la possibilità di far luce per intero sul vero volto di Jadis, forse sarei riuscita a chiudere quel capitolo della mia vita e lasciarmelo alle spalle. Non avrei dovuto convivere con la terribile sensazione di aver lasciato una questione importante irrisolta.

Eppure dovevo riuscire a trovare il modo di farmene una ragione. La strega era morta insieme ad ogni mia possibilità di conoscere lei e me stessa e poiché, nonostante avessi imparato a compiere magie che non avrei mai creduto possibili, non ero ancora in grado di resuscitare i morti, né tanto meno di parlarci e purtroppo dubitavo esistessero altri modi per comunicare con lei a parte questi. Come poteva fornirmi le mie risposte se non parlandomi? Non c’erano libri su di lei dove avrei potuto trovare le informazioni che cercavo come a scuola.

Un momento. Libri, informazioni… i diari di Jadis!

Bingo.

In un lampo rividi il cassetto aperto nella stanza della strega. Il cassetto che conteneva una trentina di volumetti dalla copertina marrone custodi un tesoro per me inestimabile. I pensieri di mia madre, le sue idee, un pezzo della sua stessa anima.

Un sorriso si allargò sul mio volto, colta dalla frenesia di quell’illuminazione. Dovevo leggerli immediatamente, non potevo attendere oltre. Se avessi rimandato, con una guerra di tali proporzioni come quella che ci aspettava, avrei potuto perdere la mia ultima occasione per sempre.

Mi voltai verso Peter, ancora profondamente addormentato, e li posai una carezza leggera sulla guancia. Se avesse saputo cosa avevo in mente di fare, probabilmente avrebbe insistito per accompagnarmi ma era giusto che restasse con il suo popolo per prepararsi alla battaglia imminente. Era meglio tenerlo all’oscuro della mia piccola escursione mattutina, con un po’ di fortuna sarei tornata ancora prima che si accorgesse della mia assenza.

Scivolai silenziosa giù dal letto, percorsi con passo felpato i lunghi corridoi e mi trovai fuori in un baleno, inondata dai primi raggi di sole che lentamente si facevano strada all’orizzonte. Venni colta però poi da uno scrupolo improvviso. Se non fossi riuscita a tornare prima del risveglio di Peter, al ragazzo sarebbe venuto un colpo non vedendomi nel letto. Dovevo trovare un modo per fargli sapere dove mi fossi diretta o avrebbe incominciato a cercarmi per tutto il regno in un nanosecondo.

Andai alle scuderie e facendo attenzione a non fare rumore per non svegliare i cavalli addormentati, mi avvicinai a Fulmine, anch’esso appisolato.

“Ehi, Fulmine” bisbigliai.

Neanche un grugnito mi giunse in risposta.

“Fulmine!” lo chiamai alzando di poco la voce.

Con un nitrito infastidito il cavallo girò ostinatamente la testa, continuando a dormire.

Sbuffai. “Ti vuoi svegliare cavallo pigrone?” dissi dandogli un colpo sul collo tornito.

Questo parve funzionare. Il destriero aprì gli occhi di scatto, mi mise a fuoco e scalciò piano con espressione irritata.

“Cathrine! Si può sapere a cosa devo l’onore di una tua visita all’alba?!” mi apostrofò sarcastico.

Sfoggiando il mio miglior sorriso angelico risposi: “Ben svegliato Fulmine. Ecco, avrei bisogno di un piccolo favore” iniziai.

Fulmine nitrì sbuffando. “Il fatto che ti sopporto permettendoti di cavalcarmi ogni volta che esci con il re non è un favore già abbastanza grande?”.

Mi morsi il labbro e presi un bel respiro contando fino a dieci. Non dovevo rispondere alla provocazione, non adesso che dovevo chiedergli il mio piccolo favore.

“D’accordo, di mattina sei un poco irritabile…” lo scusai cercando di controllare la mia voce.

“Se per mattina intendi all’alba” mi interruppe caustico.

“…ma ho bisogno di te, per favore” proseguii ignorando deliberatamente l’ultimo commento.

L’equino sbuffò di nuovo. Lo guardai con espressione supplichevole incrociando le mani al petto. A quel punto Fulmine parve cedere.

“E cosa dovrei fare, di grazia?” mi domandò torvo.

Gli sorrisi di gratitudine. “Devo andare al castello di ghiaccio, ora” rivelai.

Fulmine indietreggiò come se lo avessi colpito. Scosse l’elegante e fulva criniera e mi aggredì con un energico “No!”.

Corrucciai la fronte. “Perché no? Non è più pericoloso adesso che Jadis è morta. Non c’è nemmeno il ghiaccio!” obiettai non giustificando tanta agitazione.

Il cavallo mi guardava con gli occhi fuori dalle orbite, come se fossi pazza.

“Non importa. Quel castello è stata la sua dimora ed è stata la tomba di tanti dei nostri, sa di morte e schiavitù. Nessuno di noi si avventurerebbe laggiù senza un valido motivo, rappresenta troppe sofferenze per il nostro popolo” mi spiegò convinto.

Sospirai afflitta. Non mi ero ancora totalmente abituata a vedere Jadis con i loro occhi e ogni volta che lo facevo sentivo una fitta al cuore.

“Ascolta, capisco perfettamente le tue ragioni, ma io un motivo valido per andarci ce l’ho” ribattei. Fulmine stava per aprir bocca ma io lo precedetti, sapendo già cosa volesse dirmi. “Non ti chiedo di accompagnarmi” a queste parole il cavallo si bloccò, stupito. Era sicuro che il mio favore consistesse in quello, non poteva certo sapere che non avevo bisogno di nessun mezzo tradizionale per spostarmi in quanto strega. Quello che volevo domandargli era altro. “Ho solo bisogno che nel caso in cui Peter mi cerchi per l’edificio tu gli dica che mi trovo al castello, che sono al sicuro e che tornerò presto. Puoi farlo?” gli chiesi.

Fulmine mi guardò contrariato, evidentemente non apprezzava nemmeno l’idea che fossi io ad andare al palazzo, però parve meno turbato nel sapere che non doveva recarsi lui stesso.

“Ma certo. Se dovesse chiedere glielo riferirò” mi promise.

“Grazie” e lo accarezzai scompigliandogli giocosamente la criniera.

“Ogni desiderio è un ordine, principessa” mi prese in giro abbozzando un goffo inchino, ottenendo lo scopo di alleggerire l’atmosfera.

“Ah. Ah” risposi stando al gioco. Gli feci la linguaccia, infine mi voltai e, silenziosa come ero venuta, me ne andai.

Perfetto, così se non fossi riuscita a tornare prima che Peter si svegliasse almeno avrebbe avuto modo di scoprire dove fossi finita. Appena fui nuovamente all’aria aperta, richiamai la mia magia facendola scorrere in ogni parte del mio corpo, lungo le mie vene insieme al sangue, in ogni singolo osso, e mi concentrai sull’immagine del palazzo l’ultima volta che lo avevo visto. Il familiare vento mi avvolse e mi sentii risucchiata in un turbine. Quando riaprii gli occhi, la luce del sole, che si stava facendo sempre più forte, risplendeva su una costruzione di marmo bianco.

Sciolta la neve, il palazzo, con torri color latte e finestre ampie e riflettenti i raggi solari, sembrava uscito da un libro delle favole. Nell’aria non c’era la benché minima traccia dell’odore di morte e schiavitù di cui aveva parlato Fulmine, ma le vecchie convinzioni erano dure a morire e probabilmente il popolo di Narnia non avrebbe mai apprezzato quel luogo che invece a me, con il bosco che mi inviava il profumo dei fiori, ispirava pace.

Mi incamminai verso l’interno, aprendo il pesante portone dell’ingresso. Ciò che vidi mi lasciò a bocca aperta. Strutturalmente non era cambiato nulla, eppure mi sembrava una sala del tutto diversa ora che la nebbia, che perennemente aveva ricoperto il pavimento, era scomparsa. Dalle vetrate filtrava la luce che illuminava le colonne, ora divenute di marmo bianco, e il trono di cristallo. Il salone era luminoso e incredibilmente caldo, due caratteristiche che mai avrei pensato di poter attribuire ad una stanza di quel palazzo.

Il mio sguardo corse sul colonnato di sinistra senza che potessi evitarlo. Non c’erano tracce evidenti, sembrava anzi che nessuno avesse mai abitato in quelle stanze, ma io sapevo che vicino alla quarta colonna dal portone si era svolto ciò che tormentava le mie notti, lo scontro che aveva ucciso Jadis.

Il sangue, il suo sguardo che si spegneva, la crudele espressione di Peter, il suo corpo che si dissolveva, tutto mi turbinò dinanzi agli occhi stordendomi. Chiusi gli occhi e mi presi la testa tra le mani.

“Figlia, una grande strega” “Figlia, una grande strega” “Figlia, una grande strega” “Figlia, una grande strega”.

La frase mi rimbombò nella mente. Pretendeva a gran voce di essere compresa, non potevo più rimandare, né volevo.

Iniziai a correre lungo il salone, raggiungendo il corridoio che mi avrebbe portata alla scala a chiocciola conducente alla stanza di Jadis. Mi fermai solo quando una porta bianca mi sbarrò la strada. Avevo il fiatone per la corsa, ma non era dovuto alla stanchezza il tremolio nella mia mano quando si allungò verso la maniglia. Una leggera pressione e i cardini cigolarono, mostrandomi per la seconda volta una camera circolare. Era ancora priva di finestra, ma anche lì, come in ogni altra ala del castello, gli elementi architettonici prima fatti di ghiaccio ora era divenuti di marmo bianco mentre i mobili e le colonne del letto a baldacchino erano fatti di cristallo.

La temperatura si era alzata, divenendo sopportabile, la fonte di luce invece era rimasta la stessa, una torcia con una fiamma azzurrina.

Presi un bel respiro e mi accostai al comò. Strinsi le dita attorno alle maniglie e feci scivolare il cassetto sui suoi supporti. I diari erano lì come lo erano stati per tutti quei secoli.

Il cuore accelerò il battito mentre lo sguardo accarezzava le copertine di quei fragili quanto preziosi libri. Afferrai il volume più vicino ma appena entrai in contatto con la carta lasciai cadere il libro come se mi fossi scottata, presa da un ripensamento improvviso. Cosa avrei trovato tra quelle pagine? La spiegazione per quel lampo d’orgoglio scorto all’ultimo negli occhi di Jadis? Il lato nascosto che ero solo riuscita a intravedere? O semplicemente la conferma del parere dei Pevensie, che la strega oltre che il rancore e l’odio nel suo cuore non poteva covare altro?

Strinsi le dita a pugno, facendomi forza. Qualsiasi verità si celasse in quei diari, l’avrei letta e accettata, bella o brutta che fosse stata. Almeno avrei chiuso quella faccenda e non mi sarei tormentata su interrogativi che mi avrebbero seguito altrimenti per sempre.

Riafferrai il libricino e lo aprii, stando attenta a non rompere la rilegatura già lesionata dal tempo. I fogli erano ingialliti come era prevedibile, ma l’inchiostro nero era ancora leggibile. La calligrafia era esattamente come me la immaginavo, elegante ed elaborata.

Faticando a deglutire mi apprestai a leggere la prima pagina.

“Oggi ho dovuto estinguere l’ennesimo focolaio di ribelli. Sembra incredibile, eppure, dopo dieci anni dalla scomparsa del Grande Felino e dalla nascita del mio regno, alcune creature di Narnia ancora mi si oppongono.”

Dieci anni dalla nascita del mio regno. Dunque quella pagina risaliva agli anni del suo dominio su Narnia, novant’anni prima dell’arrivo dei Pevensie.

“Poco male, tanto oltre ad essere un fastidio non possono costituire un serio pericolo ora che colui che chiamavano sovrano è sparito senza lasciar traccia. Dovranno rassegnarsi a dare la loro fedeltà a me, la vera e unica regina di Narnia, e se non lo faranno di loro spontanea volontà, ci penserò io stessa a persuaderli. Non permetterò che un gruppo di idioti con idee moraleggianti rovinino la quiete del mio regno, non ora che dopo tutti i miei sforzi sono riuscita ad ottenerlo per me e a plagiarlo secondo la forma che da sempre avrebbe dovuto avere, una terra perennemente ricoperta di ghiaccio.”

Chiusi il libro con un colpo secco. Quella parte la conoscevo, non occorreva che mi facessi del male continuando a leggere.

Appoggiai il diario nel cassettone e ne afferrai un altro, esternamente identico. Lo sfoglia con delicatezza, leggendo qualche frase o massimo un paragrafo per comprendere a grandi linee il contenuto. A prima vista mi parve identico al primo. Era stata scritto vent’anni dopo ma si parlava ugualmente dei problemi del regno, delle guerre al fronte contro i paesi confinanti, di qualche gruppo ribelle determinato a non morire.

Sconsolata ne afferrai un altro ancora ma dovetti giungere al quarto diario prima di incappare in una frase capace di destare la mia attenzione.

“Sono riuscita ad ottenere quello che ho sempre voluto. Sono la regina di Narnia, sono la strega più potente che questa terra abbia mai visto, talmente potente che sono riuscita a far piombare un inverno eterno su tutto il paese, eppure oggi, combattendo contro il popolo dei Rhyers, mi sono ferita. Quel pusillanime di capitano è riuscito a ferirmi lungo il fianco con la spada, avendo successo là dove molti prima di lui avevano fallito. Ora il taglio si è completamente rimarginato, ma il sangue che scorreva dal fianco mi ha fatto riflettere. Per quanto la mia magia possa essere grande e impedirmi di invecchiare, io non sono immortale. Ho sconfitto molti nemici ma la morte è invincibile anche per me. Un colpo di spada, una malattia, e perderò tutto ciò che ho conquistato. Non è giusto, deve esistere un modo affinché io possa tornare indietro in caso di morte. Ma quale? Quale magia potrebbe operare tale miracolo?”

Dunque Jadis aveva paura di morire e perdere il regno e i suoi poteri? Comprensibile, molti altri sovrani giunti al culmine hanno poi il terrore di restare privi di ciò per cui hanno faticosamente lottato. Ma Jadis era riuscita a trovare un modo per resuscitare, per eludere la morte? La risposta mi giunse immediata. Ovviamente si, era stata uccisa da Aslan eppure era riuscita a tornare, una via la doveva aver trovata. Ma quale?

Girai veloce le pagine del diario in cerca di un paragrafo che potesse fornirmi la risposta che cercavo. Alla fine del libro, quando stavo per riporlo desolata, lo trovai.

La calligrafia era meno elegante, sembrava quasi febbrile come se Jadis fosse stata ansiosa di mettere nero su bianco i suoi pensieri.

Mi incollai alla pagina e con curiosità crescente iniziai a leggere.

“Ho trovato la soluzione. Dopo mesi di infruttuose ricerche, sono riuscita a scovare una magia antica che potrebbe risolvere il mio problema. È una magia potente eppure talmente ovvia che mi sento sciocca a non averci pensato subito.

Si basa sul concetto elementare che gli esseri viventi sono costituiti da anima e corpo. Una ferita o una malattia agiscono sul corpo ma nulla possono contro lo spirito che lascia la materia alla quale era legato in caso di morte di questa per disperdersi e unirsi all’Antica Magia che fornisce vita a questa terra. Esiste però un incantesimo capace di intrappolare quello spirito in un limbo, impedendogli di congiungersi con l’Antica Magia. L’anima così può essere richiamata a nuova vita in qualsiasi momento da una persona con la quale ha legami di sangue pronunciando una semplice formula indipendentemente dal fatto che sia versata o meno nelle arti magiche.

Questa è la mia soluzione. Se dovessi morire, prima di chiudere gli occhi per sempre rinchiuderò la mia anima in un limbo dove sarò protetta finché qualcuno non potrà richiamarmi, qualcuno unito a me da legami di sangue.

Non ho parenti in vita. I miei genitori sono morti da tempo e non ho idea di dove possano essere i discendenti della mia famiglia. Ma questo non è un problema. Ormai ho deciso, avrò un figlio, un figlio mio che mai mi tradirà e che costituirà la mia garanzia di tornare dal regno dei morti.”

Con un tonfo leggero mi lasciai cadere sul letto. Il diario mi scivolò dalle mani depositandosi sul materasso accanto a me. Per un lungo periodo di tempo fissai il vuoto, senza respirare, senza muovermi, ma soprattutto senza pensare. Non ne avevo la forza o forse mi mancava semplicemente il coraggio per elaborare ciò che avevo appena letto. Non avevo il cuore che batteva forte né sentivo le lacrime pizzicarmi al bordo degli occhi. Non provavo assolutamente niente, dentro di me c’era solo lo stesso vuoto che riempiva i miei occhi. Il mio cuore batteva al ritmo della desolazione, troppo stanco per provare emozioni più complesse. Solo dopo molto tempo una vocina nella mia testa riuscì a farsi strada azzittendo l’eco delle parole appena lette che ancora mi rimbombavano nella mente. Una vocina razionale, la quale infischiandosene degli avvertimenti del cuore che non desiderava mettersi alla prova ulteriormente affrontando il contenuto del diario, pretendeva di interiorizzare ciò che avevo letto. La verità, quella per la quale ero scappata dalla camera mia e di Peter all’alba, quella che mi tormentava da sempre, quella che ogni persona desidera apprendere. La verità sul perché ero nata.

Esistono di solito due motivi per giustificare la nascita di un bambino. Il più augurabile e il più nobile è quello di coronare il sogno d’amore di una coppia con un frutto tangibile del loro sentimento. È il motivo che ognuno desidera per sé anche se non sempre purtroppo avviene. Spesso un concepimento avviene per errore, per la premura e la disattenzione di due amanti, tuttavia seppur non programmato il bambino ha una buona percentuale di essere amato ugualmente dai genitori.

La mia nascita invece non rientrava in nessuno dei due casi. La mia nascita era stata premedita, voluta certo ma per un tornaconto prettamente personale. Non era stata dettata dal desiderio di crescere un figlio, di avere una discendenza o qualcuno da curare e amare, bensì era stata una scelta ponderata, calcolata secondo i suoi pro e i suoi contro, con un fine ben preciso.

La mia nascita serviva per impedire la morte di mia madre. Ero nata per quello, eppure, per ironia della sorte, ero stata proprio io a contribuire alla sua definitiva disfatta. La sua garanzia di tornare dal regno dei morti aveva aiutato Peter a spedircela con un biglietto di sola andata.

Dunque era solo questo che io ero stata per Jadis? Una chiave per l’immortalità? Un mero strumento? Aveva definitivamente ragione Peter nel dire che in quel cuore di ghiaccio non albergava nemmeno la più flebile fiammella d’amore?

“Figlia una grande strega”

La frase mi riecheggiò nelle orecchie con il suo ambiguo significato. Non aveva senso. Perché guardarmi con orgoglio e chiamarmi “figlia” se l’avevo tradita e delusa non rispettando i suoi progetti?

Scuotendo la testa confusa riafferrai il diario e sfogliai le pagine in cerca di un altro paragrafo che mi desse un spiegazione. Non poteva essere tutta lì la verità che cercavo, non poteva ridursi a quella scoperta orribile. Ci doveva essere dell’altro.

Il mio cuore sobbalzò quando scorsi tra le righe una parola che non mi aspettavo. Ero stata una sciocca a non immaginarlo, era una cosa del tutto logica trovare informazioni anche su quella cosa, dopotutto le motivazioni della mia nascita non cambiavano la meccanica, eppure fui colta totalmente alla sprovvista quando lessi le due sillabe che formavano la parola “padre”.

“Sono a Suavitas, la mia terra natia. Era più di un secolo che non vi tornavo e non ne sentivo la mancanza. Tutto è rimasto esattamente uguale a come lo ricordavo. Un agglomerato di case di media grandezza circondate da una florida vegetazione o dal ghiaccio perenne. Spero ardentemente che il mio soggiorno sia il più breve possibile. Troverò l’uomo degno di essere il padre di mio figlio e poi tornerò nel mio palazzo con la speranza di non rivedere mai più questo sperduto paese.”

Suavitas? Padre di mio figlio? La testa iniziò a girarmi.

Avevo un padre. Sapevo che fosse una considerazione stupida, era ovvio che non fossi stata concepita per mezzo dello spirito santo, eppure non avevo mai chiesto a Jadis chi fosse, né avevo tanto meno pensato a come potesse essere. Non avevo mai nemmeno riflettuto sul fatto che in un’epoca ormai remota fosse esistito. La notizia di essere stata adottata e che la strega fosse la mia vera madre mi aveva talmente assorbita da farmi dimenticare di dover per forza avere due figure genitoriali. Due figure che provenivano da Suavitas, la loro terra natale e, forse, anche la mia.

Risfogliai le pagine cercando di controllare il tremore alle mani. Il vuoto di prima era stato colmato dall’emozione di questa scoperta. Avevo un padre. Ed ora anelavo a saperne di più.

Un fiore scivolò a sorpresa dal diario al materasso. Corrugando la fronte lo sollevai. Era un giglio lasciato a seccare tra le pagine. Temendo di romperlo anche solo stringendolo tra le dita lo riadagiai sul piumone bianco. Incuriosita iniziai a leggere la pagina segnata dal fiore.

“è lui, ne sono sicura. Ha una quarantina d’anni, di poco più vecchio dell’età che mostro, ed è bello. È il più avvenente tra tutti gli uomini del cittadina, impossibile non notarlo. È molto alto e ha spalle ampie. Il fisico è muscoloso ma ben proporzionato. Ha gli occhi verdi che risaltano sulla carnagione chiara come i germogli delle foglie che cercano di lottare contro il manto di neve. I capelli sono folti e rossi come il fuoco, caratteristica che su chiunque altro mi avrebbe fatto storcere il naso in favore di un biondo chiaro, ma addosso a lui li trovo stranamente affascinanti. È uno Stregone Bianco, da quel che ho sentito al quanto potente, tanto da far parte del Concilium Rei Publicae. Decisamente, Ian Caerphilly è un partito perfetto per avere un figlio forte, potente e bello, ma soprattutto un mago bianco.

La conquista in più sembra non essere poi difficile come temevo. Ci siamo incontrati ieri vicino ai gigli, in riva al fiume e oggi è venuto da me con un mazzo di gigli appena colti in mano, con la scusa di voler profumare tutta la mia stanza con l’odore di quei fiori bianchi.

Solitamente odio i fiori, ma per fortuna il giglio fa eccezione. Bianco come la neve, delicatamente profumato, è lontano dai colori sgargianti e i profumi intensi e quasi nauseanti degli altri fiori. Sopportabile averne un vaso in casa dunque. E poi dimostrare di apprezzare un gesto romantico è un’ottima mossa per lanciare il messaggio che desidero, quello di farsi avanti. E a giudicare dallo sguardo acceso con la quale mi fissava non mancherà molto prima che Ian faccia la sua mossa.”

Ian Caerphilly. Il nome di mio padre era Ian Caerphilly. Nives Caerphilly invece era il mio. Avrei tanto desiderato vedere un suo ritratto, un’immagine, anche solo una volta per vedere quanto gli assomigliavo, se avevo ereditato altro oltre il rosso acceso dei capelli. E la magia. Perché ora sapevo che anche mio padre era uno stregone. Uno stregone potente. Ciò voleva dire che io e Jadis non eravamo le uniche due streghe in tutta quella grande terra. Ce n’erano stati altri. Altri che abitavano in questa città, Suavitas. Esisteva ancora? C’erano ancora altri maghi e altre streghe? Il cuore si accese per l’eccitazione a quel pensiero. Forse non ero l’ultima strega di Narnia.

L’occhio mi ricadde sui petali bianchi di quel giglio rivelatosi un regalo. Faceva parte del mazzo di fiori che mio padre aveva donato a mia madre per corteggiarla dopo appena un giorno che l’aveva conosciuta. Doveva esserne rimasto folgorato. Mi si compose nella mente l’immagine di mia madre con addosso un elegante e sobrio abito bianco che le fasciava le forme perfettamente modellate; questo assieme ad un viso dai tratti fini incorniciato da boccoli d’oro e agli occhi azzurri capaci di simulare la più dolce delle espressioni come la curva delicata delle labbra faceva senz’altro di Jadis una donna desiderabile fisicamente, mentre la sua mente astuta e brillante e la capacità di manipolare il prossimo bastavano e avanzavano per ottenebrare la mente di un uomo. Non c’era da stupirsi se Ian se ne era invaghito.

Ma, a discapito di quello che si potrebbe intendere da una lettura superficiale del diario, anche la strega non sembrava essere rimasta del tutto indifferente. Affermava di apprezzare le sue numerosi doti poiché facevano di lui un partito perfetto eppure aveva conservato uno dei gigli da lui regalatole. Avrebbe potuto limitarsi a tenere i fiori nel vaso finché doveva sottostare al corteggiamento invece aveva serbato un giglio custodendolo per tutti quei secoli.

Possibile che Jadis non fosse stata del tutto indifferente a Ian? Che non lo avesse considerato del tutto solo uno strumento per raggiungere il suo scopo ultimo, un insignificante mezzo? Possibile che quel cuore ritenuto inesistente dai più avesse in realtà in un tempo lontano battuto per qualcuno anche se a quel che pareva era lei per prima a non voler ammettere quella verità? Mi tornarono alla mente la linea dura delle sue labbra, lo sguardo crudele e l’espressione seria che aveva prima di duellare con Peter. Il viso di un’inflessibile assassina. Impossibile associare a quella persona sentimenti come l’amore che possono provare due persone tra loro. Ma c’era stato anche quello sguardo orgoglioso e… in un lampo la mia mente mi fornì il ricordo di un istante prima mai considerato.

Quando Jadis aveva levato lo scettro contro di me, riversa a terra, prima di colpirmi il suo sguardo aveva tentennato. C’era stata esitazione. E il tono con la quale aveva pronunciato la frase a seguire era stato velato dalla tristezza. Un altro momento a favore della teoria che quella della cinica tiranna fosse una maschera che nascondeva anche un altro lato di Jadis? Un lato che forse secoli prima poteva veramente aver provato affetto per qualcuno? Magari non ammettendolo nemmeno con se stessa, però provato, non di meno.

O forse mi stavo solo illudendo. Il mio bisogno di vedere nella strega un aspetto se non sentimentale almeno umano era talmente grande da farmi interpretare in maniera fantasiosa una realtà che invece era molto più semplice anche se crudele: Jadis si era presa gioco senza scrupoli del cuore di mio padre come del mio.

Mi morsi il labbro. Era meglio andare avanti nella lettura, formulare ipotesi su ipotesi serviva solo a tormentarmi maggiormente.

Girai le pagine del diario, leggendo solo i paragrafi che trovavo più rilevanti. A quel che sembrava Ian era stato un ottimo corteggiatore. L’aveva riempita di complimenti e di regali di vario genere, dai fiori ai vestiti. L’aveva portata a vedere un lago di nome Argecus, una distesa d’acqua con la peculiare caratteristica di diventare d’argento puro sotto i raggi solari, e…

“la foresta Hiemaestas, poco distante da Suavitas, una foresta dove alberi completamente in fiore si alternano a rami ricoperti di neve. Un’immagine molto suggestiva, l’estate contro l’inverno, il caldo contro il freddo, la personificazione della differenza che divide quelli come noi.”

Quelli come noi? Corrucciai la fronte cercando di interpretare quale significato potesse celare quella frase enigmatica. Ciò che però lessi di sfuggita nelle righe successive fece passare presto in secondo piano il mio interrogativo.

“Tornati dalla foresta, Ian mi ha accompagnato a casa dove finalmente è successo ciò desideravo da quando lo avevo conosciuto. Complice qualche bicchiere di troppo di vino elfico, Ian si è fatto avanti, dichiarando di amarmi. Senza attendere una mia risposta mi ha baciata, un bacio molto più passionale di quelli fugaci e leggeri che si era finora concesso. A fatto scorrere la sua mano calda dalla mia nuca giù fino alla schiena, alla ricerca dei lacci che tenevano legato il mio vestito, e con poche e abili mosse lo ha sfilato. Deciso ma attento mi ha adagiata sul divano mentre lo liberavo dall’ingombro della camicia. Da lì in poi i miei ricordi si fanno più confusi. Ero ebbra dal vino, ma c’era anche dell’altro. Rammento di aver cercato di restare presente a me stessa. Mi ripetevo che ciò che stavo facendo era solo un lavoro, quello che dovevo compiere per ottenere il mio scopo, avere un figlio, eppure dentro di me ho iniziato a provare…felicità. Ero compiaciuta, contenta, e non solo perché stavo ottenendo ciò che volevo, c’era anche un altro motivo. Un motivo che giustificava anche il senso di appagamento che mi ha investito subito dopo. Non so spiegarmi questa strana emozione, ma non posso dimenticare come la sensazione delle sue labbra sulle mie, delle sue mani che mi accarezzavano e del suo peso contro il mio corpo fosse stata piacevole.

Ciò che conta tuttavia è che sia riuscita nel mio intento, nient’altro.”

Ero senza parole. Il contenuto di quelle pagine era di una portata eccezionale. Andava oltre le mie aspettative. E dimostrava che avevo ragione. Jadis possedeva un lato nascosto, un lato con un cuore non completamente di ghiaccio. Perché Jadis aveva amato. Non era nemmeno riuscita a scriverlo nel suo diario, a dirlo tra sé e sé, ma la verità si leggeva chiaramente anche tra le righe. Probabilmente non era perdutamente innamorata come Ian lo era di lei, né avrebbe mai dato la sua vita per lui o si sarebbe persa in sciocche fantasie romantiche, però si era sentita legata a lui, lo aveva visto come un suo pari e non come un oggetto utile.

Istintivamente, un sorriso beato mi curvò le labbra. Era vero che la mia nascita era stata premeditata con un preciso scopo, ciò non toglieva però che fosse stata lo stesso il frutto di un amore. E questa era una consapevolezza che risanava molte delle mie ferite.

Con cuore più leggero scorsi le altre pagine ma non trovai nient’altro a parte descrizioni di altri pomeriggi trascorsi in luoghi particolari e magici e serate passate l’uno tra le braccia dell’altro. Notai però come le nottate successive a quella prima serata passionale erano state descritte con meno trasporto, tralasciando la maggior parte delle emozioni provate, come se la strega si vergognasse di provare sensazioni suscitate da un gesto d’amore e le ammissioni fatte dopo la prima volta fossero frutto solo di un momentaneo cedimento.

Chiusi il diario e lo rimisi assieme agli altri, prendendo poi quello subito accanto immaginando fosse il proseguimento. La mia intuizione fu giusta, evidentemente i diari erano disposti in ordine cronologico.

Sfogliai avida le pagine, in attesa di scorgere la frase che stavo aspettando da quando ero entrata nella stanza. Finalmente, verso metà diario, la trovai.

“Sono incinta. Dopo tre mesi, sono riuscita a rimanere incinta. Sono soddisfatta di me stessa, ogni cosa sta procedendo come l’avevo programmata. Presto avrò il mio bambino, darò alla luce una nuova vita, una vita che garantirà la mia per sempre. Potrebbe forse andar meglio?

Oggi l’ho comunicato ad Ian. Quando l’ha saputo ha iniziato a gridare per la felicità, stupido sentimentale. Ho dovuto reggere il gioco, mi sono dimostrata felice quanto e più di lui per non insospettirlo. Il caro Ian non immagina nemmeno di essere stato raggirato. Né tanto meno immagina che presto me ne andrò portandomi via nostro figlio e che non ci rivedrà mai più.

Pensavo di partire immediatamente dopo il concepimento, però ora ho cambiato idea. Narnia è lontana e non voglio rischiare a fare un viaggio così lungo nella mia nuova condizione, potrei perdere il bimbo. Né posso teletrasportarmi e rischiare di affaticarmi troppo. Resterò qui finché non partorirò. Intanto andrò a vivere a casa di Ian. Ora che aspetto suo figlio, ha insistito affinché vivessimo assieme. Ovviamente non ho potuto non accettare l’offerta, tanto più che converrà a me per prima avere un aiuto vicino nei mesi futuri.”             

Scossi piano la testa, sorridendo mesta. Era stata felice di essere rimasta incinta, ovviamente però solo perché aveva un secondo fine come non aveva esitato a sottolineare persino con se stessa. Sospirai triste. Cosa potevo aspettarmi? Salti di gioia perché stava per divenire madre? Andava già oltre le mie più rosee aspettative la parentesi romantica avvenuta per il mio concepimento. Comunque sia potevo trovare conforto nel sapere che mio padre invece era stato genuinamente contento nell’apprendere che avrebbe presto avuto un figlio. Da quello che avevo capito era stata una sorpresa, non era nei suoi progetti, eppure era ugualmente felice.

Quello che mi lasciava leggermente basita però era l’eccessiva prudenza dimostrata da Jadis nel non volere neppure affrontare il viaggio di ritorno a casa. Era vero che un eccessivo sforzo fisico era altamente sconsigliabile ad una donna incinta, ma sapevo per esperienza che un incantesimo di teletrasporto non era così faticoso di per sé, figurarsi per una strega del calibro di Jadis. Senza contare che restare ancora a Suavitas voleva dire dimostrarsi follemente innamorata di Ian e lieta all’idea di diventare madre, due cose che mettevano a dura prova la capacità di fingere di Jadis da quello che scriveva. Possibile che invece, a discapito di tutte le sue lamentele, la prospettiva di soffermarsi ancora per un po’ in compagnia del mago non la ripugnasse poi così tanto?

Saltai diverse pagine riguardanti il procedere relativamente tranquillo della gravidanza che andava di pari passo con l’aumento delle attenzioni dell’innamorato Ian. Attenzioni, come era nel suo stile, mai eccessivamente sdolcinate o eclatanti, ma presenti. Non si perdeva in complimenti iperbolici o gesti clamorosi, semplicemente le stava accanto, la assisteva quando aveva bisogno di alzarsi e di spostarsi, evitava di farla affaticare e non le faceva mancare alcunché. Attenzioni fedelmente riportate da Jadis nel suo diario senza particolari inflessioni che facevano trapelare la sua gratitudine, ma nemmeno accompagnate da sdegno o indolenza.

Tornai a leggere quasi alla fine del diario, quando i miei occhi furono catturati dalla parola “bimba”.

“Ho partorito una bimba. Una femmina. Una bambina che diventerà una donna forte e bella come sua madre, per citare Ian. Una Strega Bianca come sua madre. Non potevo chiedere di meglio.

È davvero bella, così tanto da sembrare una magia, la più riuscita tra quelle che ho compiuto finora. Ha la carnagione chiara come la mia, eccetto che sulle guancie, dopo spiccano due pomini di un rosa più scuro. La boccuccia rossa sembra un bocciolo, mentre gli occhi grandi e vispi sono identici ai miei, hanno lo stesso azzurro chiaro. Invece i radi capelli, che le coprono la sommità del suo visino a cuore, hanno lo stesso colore fuoco di quelli del padre.

Sono orgogliosa di me stessa, ho dato alla luce una creatura bellissima, degna di diventare la principessa di Narnia.

Anche Ian è felicissimo. È stato vicino a me per tutta la durata del travaglio anche se il costume prevede che i compagni stiano lontani dalle loro donne durante il parto. Ha detto che la piccola ha i miei lineamenti. È stato lui a sceglierle il nome, Nives. Dice che nell’antica lingua del mondo parallelo vuol dire “neve” e che perciò gli sembra il nome più adatto ad una giovane strega bianca con la pelle candida, con l’augurio che quando crescerà saprà essere sia soffice che fredda, a seconda di cosa la situazione necessita, esattamente come lei.

L’unico problema è che Nives per ora è piccola, troppo piccola e fragile per affrontare il viaggio di ritorno a casa. Temo che dovrò rimandare ancora un poco. Devo resistere qualche mese massimo, poi finalmente potrò tornare nel mio regno.

Sento dei lamenti. Mia figlia deve essersi svegliata, è meglio che vada da lei. Mi sembra strano parlare di mia figlia ora che è nata, ora che sono davvero diventata madre. Forse perché non ho mai realmente pensato a ciò che avere un figlio avrebbe realmente comportato. Non ho mai immaginato che avrei dovuto allattarlo, cullarlo e prendermi cura di lui, non pensavo nemmeno di essere adatta a questo ruolo. I bambini solitamente mi infastidiscono. Per quello che so io i bambini piangono, mangiano, sporcano e disturbano, per questo me ne sono sempre tenuta a distanza. Eppure Nives non mi infastidisce. Non mi dispiace occuparmi di lei. Non piange quasi mai e ha uno sguardo intelligente. Forse perché non è una bambina. È la mia bambina.”

Quindi il mio nome lo aveva scelto mio padre. Mio padre, che era stato al settimo cielo nel momento della mia nascita. Mi sentii scaldare il cuore a quel pensiero. Mio padre mi aveva amata da subito disinteressatamente. Ma anche Jadis pareva felice. Forse era solo orgogliosa di ciò che lei era stata capace di fare, però era felice. Qualunque fosse la causa era soddisfatta di sua figlia. Era contenta che avevo i suoi occhi, la sua carnagione e i suoi tratti. In più non aveva fatto alcun accenno al fatto che le servivo principalmente per richiamarla in vita in caso di morte, semplicemente si era limitata a pensare a come sarei divenuta un’ottima principessa, a come avrei seguito le sue orme come strega e a come ero bella. In più nell’ultima parte aveva affermato di come le piacesse occuparsi di me. Voleva allattare, cullare e prendersi cura di me, sua figlia Nives e non dell’oggetto che le serviva per essere resuscitata. Non volevo darmi false speranze, me ne ero già create fin troppe da quando l’avevo conosciuta e dopo qualche tempo ognuna di essa era stata distrutta, però da quello che si capiva da quelle ultime frasi c’era una realtà diversa da quella che cercavo di adattarmi senza successo. Forse allora non ero stata solo uno strumento per Jadis. Forse, almeno per qualche periodo, Jadis mi aveva voluto bene. Se non proprio disinteressatamente, almeno sinceramente.  

Ma ciò che mi dava principalmente da pensare era che Jadis aveva nuovamente rimandato la sua partenza. Aveva ragione nel pensare che un viaggio in carrozza molto lungo non avrebbe giovato alla mia salute dopo pochi giorni di vita, ma se mi avesse teletrasportata non avrei patito nulla. Dopotutto poco tempo dopo avevo affrontato con successo il passaggio da una dimensione all’altra. Possibile che cercasse solo delle scuse con se stessa per rimandare il distacco da una situazione che in fin dei conti non le dispiaceva? Da uno stile di vita completamente diverso da ciò che aveva tenuto finora? Da Ian e dalle sue attenzioni? O mi stavo di nuovo illudendo stupidamente e facevo congetture fantasiose mentre l’unico pensiero di Jadis era quello di non mandare all’aria per imprudenza un progetto studiato e portato a conclusione dopo mesi e mesi.  

Proseguii con la lettura dei miei primi giorni di vita. Se quello che la strega scriveva corrispondeva al vero, Ian e lei erano stati due genitori esemplari, almeno in quel periodo. Jadis mi dava il latte e Ian mi metteva a letto la sera. Mio padre mi aveva persino intagliato nel ghiaccio degli animaletti in miniatura per giocare, ghiaccio che grazie alla magia aveva perso la sua gelida temperatura e la capacità di sciogliersi. Ma la cosa più sconvolgente era che dal diario traspariva… felicità. Dal modo di scrivere, dalle parole usate, dalle scene che dipingeva, Jadis sembrava felice. Le giornate scorrevano tranquille. Noi tre passavamo in casa la maggior parte del tempo, con me che costituivo il passatempo principale, altrimenti andavamo alla foresta Hiemaestas, in giro per la città o in casa di alcuni degli amici di Ian. Come una famiglia qualsiasi. Una normale e felice famiglia. Finchè…

“Ian oggi mi ha portata di nuovo al lago Argecus. È da quando è nata Nives che non vi tornavamo. Abbiamo preso una barca e abbiamo navigato tra le onde che si facevano argentee sotto i raggi solari del primo pomeriggio. Nives si è divertita molto, peccato non serberà nessun ricordo della sua prima gita in barca.

Quando siamo giunti più o meno al centro del lago però, Ian si è fermato e ha tirato fuori una piccola scatola con un anello. Mi ha chiesto di sposarlo. Mi ha chiesto di diventare sua moglie.

Gli ho detto di si, non potevo rispondere altrimenti, ma non lo sposerò ovviamente. È arrivato il momento di partire, di tornare al mio ruolo di regina, sono stata via fin troppo tempo. La bambina è pronta, io anche, partiremo questa notte stessa, rimandare ulteriormente non avrebbe senso. Domattina Ian si sveglierà e non troverà né la sua fidanzata né sua figlia. Ci cercherà ovunque probabilmente, ma dubito che giungerà fino a Narnia. Come potrebbe sospettare che la docile ragazza che ha amato fino ad oggi sia in realtà la regina di Narnia? Forse però se lo avesse saputo non mi avrebbe fatto quell’assurda proposta di matrimonio. Non avrebbe creduto realistico che rinunciassi a tutto, al mio trono, al mio regno, ai miei sudditi, al mio titolo, per lui, per una semplice vita a Suavitas, il regno dalla quale sono scappata anni fa.

Mi spiace Ian, sei stato un ottimo fidanzato e un bravo padre, ma il tuo compito ora è finito. Io sono la regina di Narnia, ed è tempo che torni a regnare.”

Lenta ma inesorabile, la consapevolezza di quello che avevo appena letto diventava da nebulosa via via più chiara, fino a diventare accecante e impossibile da non guardare e affrontare. Jadis non era rientrata a Narnia perché smaniava dal desiderio di ritornare ad essere una regina, Jadis era rientrata a Narnia per scappare da Suavitas e dalla vita tranquilla che il paese offriva. Dalla vita da fidanzata e da madre alla quale si stava assuefacendo senza nemmeno rendersene conto, dalla vita calma, priva di guerre, problemi, vendette, giochi e piani di potere, che si stava abituando a condurre e che cercava di prolungare inconsapevolmente. Finché la truffaldina e inaspettata proposta di matrimonio non l’aveva messa dinanzi alla spietata vista della meta dove l’avrebbe condotta la via che aveva intrapreso. A quel punto era ritornata sui suoi passi, rifiutando quell’attimo di debolezza che l’aveva spinta a rimandare la partenza. Quell’attimo di debolezza che le aveva fatto apprezzare le attenzione di Ian, le notti che avevano trascorso assieme, lo stringere sua figlia tra le braccia e accorgersi che aveva i suoi stessi occhi.

Quella di Jadis non era crudeltà innata, fine a se stessa. Gli atti crudeli che aveva compiuto erano stati fatti solo per ottenere e conservare il suo trono, non per un’indole profondamente malvagia perché ora era chiaro che quel cuore che temevo totalmente di ghiaccio in realtà era stato capace anche di battere. Era anche chiaro tuttavia come avesse infine volutamente scelto di proseguire a compiere azioni crudeli pur di tornare a regnare a discapito di una vita tranquilla e pacifica. Aveva avuto la possibilità di abbandonare la crudeltà ma l’aveva rifiutata. Jadis voleva essere una regina, e non sarebbe mai venuta a patti su questo punto.

Ciò nonostante, trovare la certezza dell’esistenza di un lato luminoso, seppur piccolo, della sua personalità, non poteva che rendermi felice. Jadis non era stata solo la crudele tiranna che tutti temevano, era stata anche una madre e un’amante.

Inconsciemente, la mia mano si allungò fino ad accarezzare la terza parola della penultima righa. Ian.

Immaginai come dovesse essersi sentito la mattina seguente. Era stato abbandonato senza preavviso dalla donna della sua vita e dalla figlia appena nata. L’aggettivo “addolorato” certamente non sarebbe bastato per descrivere ciò che doveva aver provato. Mi doleva il cuore per avergli procurato, anche se inconsapevolemente, un tale dolore. Doveva averci cercate a lungo e dappertutto, ma come aveva immaginato Jadis, non doveva averci trovate. Chissà se dopo qualche tempo fosse riuscito a metabolizzare l’accaduto, se fosse riuscito a rifarsi una vita. Magari aveva trovato un’altra ragazza, più sincera, meno ambiziosa, con la quale coronare il suo sogno di avere una famiglia. Forse aveva avuto altri figli, sorelle e fratelli di cui io non avrei mai saputo l’esistenza. Glielo auguravo. Ian si meritava di aver vissuto una vita lunga e felice, non di restare intrappolato per sempre nel trauma che Jadis gli aveva volontariamente causato.

Sospirando e cercando di non pensare a mio padre, chiusi il libro e iniziai a leggere quello seguente. Parlava del ritorno a Narnia mio e di Jadis e di come…

“non posso stare lontana dal mio regno nemmeno un breve lasso di tempo, che la disgrazia incombe.

Appena tornate, ho voluto fare un giro di ispezione per accertarmi di persona che ogni cosa fosse in ordine, ma la mia speranza è stata preso infranta. Mentre mi avviavo verso il castello, ho incontrato un Figlio di Adamo. Un Figlio di Adamo! Qui a Narnia, nelle mie terre! Come osa mettere piede proprio nel mio regno uno stupido ragazzino? Ma non è la parte peggiore. Il moccioso ha detto di avere due sorelle e un fratello. Sono in quattro. Due Figlie di Eva e due Figli di Adamo sono entrati a Narnia. Esattamente come la profezia aveva predetto.

Questo è molto più di un problema, è una disgrazia. Devo adoperarmi per estirpare la minaccia all’origine. Non deve diffondersi la voce della loro presenza a Narnia o gli abitanti inizieranno a sperare in un colpo di stato. Si uniranno e si ribelleranno e non ho alcuna intenzione di dover debellare il focolaio di una guerra civile.

La minaccia sarà spazzata prima che diventi realmente tale.”

Chiusi il diario con un colpo secco. La parte successiva la conoscevo fino alla nausa, leggerla nuovamente dal punto di vista di Jadis, questa volta senza apposite censure o abbellimenti, non rientrava nei miei desideri. Non ci tenevo particolarmente a conoscere quanto mia madre avesse desiderato la morte dei Pevensie, ne avevo avuto un assaggio più che sufficiente.

Rimisi il libricino nel cassettone accanto agli altri e afferrrai l’ultimo diario. La rilegatura era diversa da quella degli altri. Era più lucida, affatto logora, segno che era il più recente. L’ultimo diario di Jadis, probabilmente quello che aveva iniziato a scrivere dopo che l’avevo liberata dal limbo.

Mi riaccomodai sul piumone bianco e aprii alla prima pagina.

“Terra, cielo, stelle, applaudite, gioite, la vostra regina è tornata. Sono passati milletrecento anni, ho dovuto subito l’esilio dalle mie terra ed essere costretta ad una non-vita per tredici secoli, ma ora sono di nuovo qui, viva e più potente che mai, pronta a riprendermi tutto ciò che è mio di diritto, il trono, Narnia e Nives.

Narnia è molto cambiata da come la ricordavo. È più selvaggia. Gli alberi non mi parlano più, nemmeno alcuni dei miei vecchi alleati che ho scoperto ancora in vita. Si sono chiusi in loro stessi, cadendo in un sonno profondo. La maggior parte degli abitanti di Narnia invece ha disimparato a parlare, regredendo ad uno stato brado. Tutto questo per colpa degli invasori, di Telmar, che ha osato oltrepassare i confini usufruendo di un momentaneo periodo di debolezza di Narnia. Ma ora che questo paese ha nuovamente una regina degna di questo nome, Telmar avrà quello che si merita. La congelerò per sempre, in modo che sia d’esempio a chi intende sfidare queste terre e la loro sovrana. E la loro principessa. Perché adesso Narnia può contare anche su una principessa, mia figlia Nives.

L’ultima volta che l’ho vista, era una neonata, poco più grande del mio avambraccio, con paffute guancie rosee e vispi occhi azzurri. Ora ha diciassette anni. È cresciuta. È diventata una splendida ragazza, non posso che essere orgogliosa. Ha ereditato i miei stessi lineamenti regali e delicati, il collo lungo, la pelle chiara, ma soprattutto gli occhi, che sono l’unica cosa rimasta invariata in lei, due iridi azzurro-bianche come il ghiaccio. La mia stessa identita tonalità e lo stesso taglio. Lo sguardo però è quello di Ian. Non è freddo, distaccato e impenetrabile come il mio, bensì profondo, morbido, luminoso come quello del padre. Suoi sono anche il colore dei capelli, rosso fuoco, e le labbra, piene e carnose.

In più è molto potente. Quando ha praticato l’incantesimo per liberarmi dal limbo ho sentito la magia scorrere in lei come un fiume in piena. Ha risposto immediatamente al suo richiamo e non ha esitato ad eseguire la sua volontà, anche in un incantesimo complicato come quello per far tornare una persona dall’aldilà. E non è ancora stata sottoposta alla Cerimonia! Non vedo l’ora di vedere quanto verranno incrementati i suoi poteri dopo che sarà stata riconosciuta come Strega Bianca dall’Antica Magia. La sua magia unità alla mia ci aprirà il mondo. Nessuno potrà opporsi a noi.

L’unica pecca è il suo cuore. Mi ero già accorta che non possedeva la mia stessa indole mentre la osservavo da lontano, ma ora ne ho avuto la conferma.

Nives è dannatamente buona, terribilmente ingenua, dannosamente altruista. Non ha il cuore di una Strega Bianca. Ma ciò che è peggio è che i suoi sentimenti per benisti l’hanno fatta affezionare ai Pevensie. Nives, mia figlia, è amica degli Usurpatori, uno dei miei peggiori incubi che si avvera e io non sono stata abbastanza abile per impedirlo. E non sono nemmeno stata tanto accorta da vedere quanto profondo era il legame che la unisce a loro. Sarebbe pronta a dare la sua stessa vita per salvarli, quella piccola stupida! Senza contare il legame particolare che la unisce a Peter. Si è innamorata di quel ragazzino impertinente, lo crede un eroe e non accetterà mai una diversa versione dei fatti a meno che non veda lei stessa qualcosa che va contro le sue aspettative su di lui. Ma come ha potuto lei, mia figlia, farmi questo affronto? Innamorarsi del mio peggior nemico?

Devo fare qualcosa, assolutamente. Devo escogitare un piano per allontanarla dai Pevensie, ma devo stare attenta, agire con cautela e furbizia. Non posso separarla da loro usando la forza o si ribellerebbe schierandosi dalla loro parte e io perderei tutta l’influenza che ho su lei della quale godo ora. Devo trascinarla completamente alla mia causa giocando d’astuzia.

Non pensavo dovessi ricorrere a questi mezzi per assicurarmi la sua assoluta fedeltà. Sapevo che il suo carattere fosse diverso dal mio, ma non credevo al punto da avere priorità e desideri persino opposti ai miei. È una Strega Bianca anche se ancora non riconosciuta. Dovrebbe amare la neve e il ghiaccio, essere algida, calcolatrice, non fidarsi del prossimo, non esitare a compiere qualsiasi azione pur di ottenere ciò che vuole, e invece… Temo che la lontananza da me e il soggiorno sulla Terra l’abbia rovinata. Poco male, finché non sarà capace di capire ciò che è meglio per lei, ciò che più si addice ad una Strega Bianca, le farò credere di comportarmi come la persona più altruista e generosa di tutto il regno. Incanterò il giardino, risvegliando gli alberi che sembrano esserle tanto cari e fingerò di non voler torcere un capello ai Pevensie. Confido che prima o poi le sue inclinazioni naturali emergeranno dal torpore in cui paiono essere cadute, a quel punto smetterò di recitare e le dirò la verità sui miei piani, piani che finalmente potrà apprezzare e condividere, a differenza di quello che farebbe ora con quella sua indole dannatamente e terribilmente buona.”

Mi morsi il labbro, forte e a lungo, finché il dolore fisico non assordò per un attimo la paura che quelle ultime righe mi avevano suscitato.

Prima o poi le sue inclinazioni naturali emergeranno dal torpore in cui paiono essere cadute.

Io ero una Strega Bianca e in quanto tale Jadis si era aspettata determinate caratteristiche caratteriali. Avrei dovuto essere fredda, cinica, distaccata, incapace di provare un affetto profondo e disinteressato per qualcuno. Invece ero dannatamente buona, terribilmente ingenua, dannosamente altruista. Ma avrei continuato ad esserlo?

L’idea di essere destinata a trasformarmi in una donna senza scrupoli, prigioniera della mia crudeltà e del mio egoismo, mi soffocava. Mi sentivo mancare il respiro nel pensare di avere una tale condanna nel mio futuro.

Chiusi gli occhi e cercai di focalizzare nella mia mente l’immagine di ciò che più mi faceva sentire viva, amata e amante, di ciò che mi procurava calore e fiducia.

Il volto sorridente di Peter fece capolino tra i miei ricordi. I lisci capelli d’oro lucenti al sole, gli zaffiri luminosi rivolti a me, le labbra piene curvate all’insù. Sentii il suono vellutato e basso della sua voce sussurrare il mio nome, le sue mani che mi stringevano riscaldandomi dentro e fuori, la sua bocca morbida poggiata con dolcezza sulla mia. E il grande, immisurabile e infinito amore che provavo verso di lui.

No, il mio cuore non poteva diventare come il suo. Il mio cuore avrebbe per sempre battuto per Peter. Non avrei smesso di amare, di provare compassione e affetto. Non sarei di certo mai diventata santa, né mi vedevo così dannatamente buona come scriveva lei, però non sarei diventata crudele. Se necessario avrei sfatato il mito che vedeva ogni Strega Bianca come una sadica folle, sarei andata contro secoli di radicate convinzioni, ma avrei mantenuto la mia indole.

Aggrappandomi a questa solida fermezza, girai la pagina del diario e appena lessi la prima frase il mio muscolo cardiaco aumentò il ritmo talmente tanto da assoldare la mia opinione appena formulata.

“Sono tornata a Suavitas. Non avrei dovuto farlo, è stata un’inutile perdita di tempo. Però volevo vedere se anche lì fosse giunto il cataclisma che ha colpito Narnia, se la magia fosse stata scacciata anche dove era più radicata. Fortunatamente no. Suavitas risplende della sua gloria pacifica oggi come milletrecento anni fa e come probabilmente farà per sempre, con il suo lago d’argento e la sua foresta con alberi invernali e primaverili.

Sono andata nella città dove ho conosciuto Ian. Volevo vedere se era rimasto qualcosa della sua casa. Ovviamente si, lì il tempo pare non scorrere. La villetta a due piani è ancora in piedi, pur con qualche modifica apportata dai vari proprietari che si sono succeduti. Ora vi abitano una giovane coppia di ventenni, una strega e uno stregone bianco. Ho girato per le varie strada, dove nulla pare essere cambiato, finché non ho raggiunto il cimitero. I nomi sulle lapidi sono le uniche cose che sono mutate, comprensibile dopo tredici secoli, ma sapevo che per i membri del Consilium le tombe vengono conservate in onore ai servizi resi al paese. Difatti la tomba di Ian Caerphilly era presente, in perfetto stato grazie alla magia. Una semplice lastra di marmo bianco recante il suo nome, i suoi meriti, le date di nascita e di morte e la frase marito e padre amato, segno che doveva essersi poi sposato e che doveva aver avuto altri figli. Ho lasciato una corona di gigli. Non ho mai amato ricordare chi è morto, mi sembra inutile commemorare chi non c’è più, privo di scopo e di beneficio, ma mi è parso giusto rendere un omaggio alla memoria del padre di mia figlia ora che è tornata a casa.

Non credo andrò mai più a Suavitas. Ora con quel luogo ho definitivamente chiuso. Per sempre.”

“Ho delle faccende da sbrigare” Le parole con la quale mi aveva salutato qualche giorno prima mi tornarono alla mente per essere collegate a quella nuova scoperta.

Una goccia cadde sulla pagina del diario. Poi un’altra e un’altra ancora. Lo chiusi e lo allontani per non bagnarlo, incapace di frenare le lacrime che lente e silenziose scendevano lunga la guancia.

Ecco dove Jadis era andata. Si era diretta a Suavitas per rendere omaggio a mio padre. Ian, che come mi ero augurata era riuscito a superare la nostra perdita e rifarsi una vita. Ian, che non avrebbe mai saputo che la sua primogenita aveva le sue stesse labbra e il suo stesso sguardo, ma che forse il suo spirito aveva avvertito che era tornata a casa e che aveva riportato in vita anche la donna da lui amata.

Era strano per me pensarci, però per quella terra e per mia madre erano passati tredici secoli dal mio concepimento. Milletrecento lunghi anni, eppure Jadis non aveva smesso di pensare a Ian e si era sentita in dovere di andare a rendergli un ultimo saluto prima di “chiudere definitivamente con quel luogo”. Secondo i suoi standard io ero quella dannatamente buona, ma non si era evidentemente accorta che lei per prima non era quel concentrato di crudeltà e distacco che credeva se secoli e secoli non erano riusciti a toglierle dalla mente l’immagine del viso di Ian.

“Cathrine! CATHRINE!”

Un grido eccheggiò per le pareti marmoree fino a giungere da me alla torre. Sorrisi affatto stupita. Peter. Probabilmente agitato per non avermi trovato nel letto accanto a lui.

Alzai una mano e una sfera apparve a mezz’aria.

“Portalo qui” le ordinai in un sussurro. La bolla di luce schizzò fuori dalla stanza per eseguire il suo compito.

Cercai di asciugarmi con il dorso della mano le lacrime per non farmi vedere in quello stato dal ragazzo, ma era inutile. Appena ne toglievo una, un’altra scorreva giù in un flusso ininterrotto. Non riuscivo a smettere di piangere. Ma non per un eventuale dolore suscitato dalle scoperte appena fatte. Semplicemente la lettura di quei diari mi aveva procurato un calderone così grande di emozioni che ero incapace di assorbirle e catalogarle. Gioia, tristezza, sollievo, preoccupazioni, perplessità, soddisfazione, paura, tutto si mescolava insieme rendendo al mio cuore impossibile il compito di trattenere tutto al suo interno, costringedo le emozioni a trovare un altro luogo o un’altra via per uscire. E l’unica via alternativa che il mio fisico aveva trovato era sfogarsi con le lacrime, far fuoriuscire con quelle goccie salate poco alla volta tutto ciò che provavo.

Rumore di passi, il clangore di una spada contro l’armatura, il respiro affaticato. Peter apparve presto sulla soglia della camera di mia madre.

Gli sorrisi contenta di vederlo, bagnandomi le labbra con i lucciconi che scendevano come un fiume.

“Cathy”

Peter sospirò sollevato dal vedermi intera. Poi però il suo sguardo si fece afflitto nel vedermi in lacrime. Mi si avvicinò e mi abbracciò stretta. “Perché stai piangendo? Perché sei venuta qui scappando all’alba dalla stanza?” mi chiese mormorando tra i miei capelli.

“Avevo bisogno di tornare al castello di ghiaccio. Dovevo fare una cosa e la dovevo fare da sola. Se ti sei preoccupato per me mi dispiace, non pensavo di impegarci tanto, credevo di tornare addirittura prima che ti svegliassi” risposi godendo della sensazione delle sue braccia che mi circondavano.

Peter si scostò un poco per guardarmi negli occhi incredulo. “Preoccupato?” mi riprese. “è un eufemismo. Mi sveglio convinto di averti accanto a me e invece trovo un letto vuoto. Ti cerco per tutto l’edificio e tu non sei da nessuna parte. Quando ormai al limite dell’agitazione raggiungo le scuderie, un cavallo con tutta tranquillità mi si fa avanti dicendomi che se ti cercavo ti avrei trovata al palazzo della strega dove ti eri recata all’alba. Sono mezzo morto dalla paura, Cathy! Non ti avrei impedito di venire ma almeno potevi avvertirmi prima se ci tenevi alla mia salute”.

Mi concessi un sorriso mezzo divertito. “Mi spiace, davvero. È stata una decisione presa all’improvviso, non era un viaggio programmato, altrimenti te lo avrei detto. E poi stavi riposando così bene, non volevo svegliarti.” Mi difesi. “Comunque vostra altezza mi sottovaluta. Dovrebbe sapere che la sua strega è più che capace di difendersi da una semplice pattuglia e che comunque di certo smaterializzandosi non ne avrebbe trovate lungo il tragitto” lo presi in giro, cercando di smorzare l’ansia che ancora provava.

Sorrise abbassando la testa in segno di scusa. “Cosa vi posso dire, principessa? Tengo molto alla mia vita e voi la possedete. Devo assicurarmi che ne abbiate cura”. Ribatté.

L’improvviso cambio di tono mi sorprese, lasciandomi senza risposte sagaci o incapace di ricambiare. O semplicemente di pensare. Erano le parole più belle che avevo mai udito. Ma ciò che le rendevano ancora più speciali era che erano state pronunciate senza un motivo specifico, una ricorrenza o una giustificazione diverse oltre il fatto che le pensava sul serio e che aveva il desiderio di farmelo sapere.

Impossibilitata da formulare una qualsiasi frase, compii l’unico gesto che gli avrebbe fatto capire quanto mi avesse colpito. Lo baciai, con slancio, con desiderio, con amore.

Quando ci separammo, il suo sguardo si era fatto malandrino. “Se ottengo questo risultato, dovrei chiamarti principessa più spesso” ironizzò.

Abbozzai una risata, un suono leggero che strideva con le lacrime che ancora mi rigavano le guancie come notò Peter per primo.

“Perché sei qui?” domandò di nuovo, tornando serio.

Allungai una mano e presi uno dei libricini. “Questo è il diario di Jadis” gli rivelai mentre glielo porgevo. “E nel cassettone ce ne sono altri”.

Peter sgranò gli occhi, osservando con stupore il quaderno che stringeva tra le dita. “Il suo diario segreto?” chiese conferma.

Annuii. “Li ho scoperti mentre cercavo la chiave per la vostra cella. In quel momento ovviamente non potevo fermarmi a leggerli, ma mi ero ripromessa di farlo appena ne avessi avuto la possibilità. Stamattina mi sono svegliata per colpa di un incubo su mia madre e in un lampo mi sono ricordata dei diari. Dovevo leggerli, ne avevo bisogno” gli spiegai.

Il ragazzo scosse la testa desolato.

Corrucciai la fronte. “Cosa c’è che non va?”

“Perché ti sei voluta far del male leggendo queste pagine? Quello che avevi visto non ti aveva fatto soffrire abbastanza mostrandoti quando Jadis potesse essere crudele, dovevi per forza ricevere un’ulteriore conferma?” mi chiese addolorato.

Gli accarezzai una guancia, negando le sue parole con il capo. “Stai traendo conclusioni sbagliate. Non sto piangendo perché quello che ho letto mi ha sconvolta sottolineando il lato malvagio di Jadis, bensì il contrario.” Affermai con calma.

Peter inarnò un sopraciglio, sospettoso. “Cosa intendi?”

Presi un bel respiro e gli strinsi forte una mano. Quello che avevo da raccontargli richiedeva tempo, ma soprattutto la forza di rivivere per la seconda volta tutte le scoperte che avevo fatto in poche ore. Gli rivelai il motivo per cui Jadis aveva voluto un figlio, del viaggio a Suavitas, di mio padre e dei sentimenti che la strega aveva nutrito per lui. Questo punto fu il più difficile. Peter pareva non voler accettare la possibilità che Jadis fosse stata capace di amare qualcuno, seppur nel suo modo contorto. Dovetti andare a recuperare il diario dentro il quale aveva conservato il giglio rivelatore per iniziare almeno a incrinare il muro ferreo delle sue convinzioni. Non arrivò ad ammettere che forse Jadis possedeva un altro lato oltre quello universalmente riconosciuto, però almeno una mezza idea che contraddiceva il pensiero comune ora la possedeva. Gli raccontai poi della mia nascita e del nostro ritorno a Narnia fino a quello che pensava di me diciassettenne e della sua visita alla lapide di Ian.

“Capisci quindi che avevo ragione? Certo mia madre ha sempre visto i vantaggi che avere un figlio le avrebbe portato, però teneva a me anche in quanto a Nives, non solo come assicurazione sulla vita o potente alleata, e questo mi basta. Sapere di aver avuto una madre che era fiera di me, di quello che sono diventata crescendo, mi fa stare bene. Adesso so anche cosa intendeva con l’ultima frase che mi ha rivolto” conclusi, eccitata dal mio stesso racconto.

“Ovvero?” si informò Peter, non riuscendo a starmi dietro.

“Ha mormorato: figlia, una grande strega. Voleva che io diventassi ancora più forte, che fossi una grande strega. Era un augurio per il futuro. Ed ho anche la conferma che quel lampo d’orgoglio che le ho scorto negli occhi all’ultimo è esistito veramente, non me lo sono solo immaginato! Lei era orgogliosa di quello che sono diventata crescendo.”

Peter sospirò. Sembrava non volersi arrendere alla prova dell’esistenza di un’altra Jadis, della donna dietro la sovrana. Una donna capace di provare orgoglio per sua figlia e affetto per un uomo. “Eppure stava per ucciderti” rifletté.

Il mio sguardo si adombrò. “È vero, ma non perché mi odiava o perché non gliene importava nulla di me. Semplicemente perché mi ero schierata contro di lei, ero divenuta un ostacolo tra lei e la sua corona, che è la cosa alla quale ha sempre tenuto di più e per la quale ha sacrificato tutta se stessa.” Ribattei. Poi sospirai frustrata dallo scetticismo di Peter, gli afferrai entrambe le mani ed esclamai. “Ascoltami, non voglio giustificare gli atti orrendi che ha commesso, il suo dominio di terrore e gli omicidi compiuti senza scrupoli. Non ti dico nemmeno che la crudeltà che dimostrava in realtà era una maschera che nascondevano un altro aspetto di lei, non sono così stupida”

“Voglio ben sperare” commentò, ma proseguii ignorandolo.

“Dico solo che tra un misfatto e l’altro, che tu ci creda o meno, è stata capace di affezionarsi ad Ian, di assaporare per qualche tempo una vita pacifica e di provare la gioia di avere una figlia. So benissimo che la cosa alla quale teneva di più al mondo è sempre stata il potere e che per esso era disposta a fare ogni cosa, ciò non esclude però che mia madre possa aver tenuto a me a modo suo o a mio padre. Riesci a comprendermi?” chiesi, quasi con una nota d’esasperazione e di supplica.

Peter mi fissò dritto negli occhi. Era combattuto tra il credermi e il restare attaccato a ciò che aveva sempre pensato su Jadis. Sapevo che l’odio che nutriva nei confronti della strega era profondo, ma possibile che fosse radicato al punto da non riuscire nemmeno ad ammettere che mia madre potesse aver avuto un briciolo di umanità nella sua personalità?

Alla fine sospirò e mi accarezzò una guancia. “Se ti fa piacere, posso darti il beneficio del dubbio. È il massimo che posso concedere”.

Sorrisi e lo abbracciai. Era abbastanza. Mi accontentavo di non sentirlo negare punto per punto ogni mia nuova scoperta sull’identità di mia madre ora che finalmente ero riuscita a formularne una.

“Ascolta, dobbiamo tornare all’edificio. Dobbiamo prepararci ad una guerra, non posso assentarmi più di quello che ho già fatto. Susan darebbe di matto” disse cercando di sdrammatizzare.

“Certo” concordai, alzandomi dal letto.

Riposi l’ultimo diario al suo posto e chiusi il cassettone. Mi allontanai sfiorando la superficie di cristallo con le dita come se volessi accarezzarla. Quelle pagine mi avevano rivelato più di quello che speravo di sapere. Non avrei mai ringraziato abbastanza la buona stella che mi aveva condotto da loro.

Con Peter ripercorsi la scala a chiocciola e in breve fummo nel salone.

“Sai, non mi ero mai accorto di quale bellezza nascondesse il ghiaccio” asserì il biondo indicando la sala del trono mentre superavamo il colonnato in direzione del portone.

“Il marmo lo rende un posto molto regale, e le finestre ampie lo innondano di luce.” Concordai, lieta che Peter fosse riuscito a formulare un commento positivo su un qualcosa che riguardasse la strega.

Appena fuori, il sole primaverile ci investì tanto che impiegai qualche istante a distinguere le due figure piumate che ci aspettavano davanti al castello.

“Rihys, come mai non sei all’edificio?” la voce di Peter era stupita quanto la mia espressione, però si rivolse ad uno solo dei due grifoni presenti.

“Perdonate maestà, ma la regina Susan mi ha inviato per recarvi un urgente messaggio. L’esercito di Telmar è alle porte, dovete rientrare immediatamente. Teme che l’attacco tanto atteso sia prossimo” annunciò.

Sentii il sangue gelarsi nelle vene. Telmar vicina? Attacco prossimo? Quindi la guerra che stavamo aspettando e paventando era arrivata. Possibile che non potessi avere qualche giorno di pace e tranquillità, che le battaglie non finissero mai in quella terra?

Sentii il re imprecare sottovoce. “Dobbiamo muoverci allora. Halder, riesci ad andare più veloce di come hai fatto all’andata?” domandò rivolgendosi al secondo grifone e informandomi su come fosse giunto al castello precedentemente.

“Certo maestà” rispose senza esitare la creatura.

“Temo però che non potremmo percorrere la via diretta per l’edificio” si intromise Rihys.

“Perché?” il tono di Peter era tornato ad essere quello del sovrano. Sicuro, impassibile, adatto a comandare.

“Perché l’esercito di Telmar percorre proprio quella via e se noi la adottassimo ci vedrebbero arrivare e potrebbero cercare di colpirci mentre siamo in volo. È pericoloso, altezza” gli spiegò.

“Correremo il rischio, non possiamo indugiare oltre”

“Oppure voi due potreste prendere la via che ritenete più sicura mentre io e il re potremmo prendere una scorciatoia” mi inserii io rivolgendomi a Halder e Rihys.

Il ragazzo mi guardò sorpreso. “Quale scorciatoia?”

“Potrei provare a smaterializzare entrambi e a materializzarci nella sala della tavola di pietra” proposi con semplicità.

Gli occhi di Peter si illuminarono. “Perfetto, faremo così allora. Presto Cathy”

Sorridendo per la fiducia con la quale Peter mi si affidava, gli afferrai le mani e mi concentrai chiudendo gli occhi. Non mi ero mai materializzata con un’altra persona ma ero convinta di potercela fare. O almeno lo speravo.

Richiamai la magia, facendola scorrere nelle gambe, lungo il torace, su per il collo e per le braccia. Poi la feci fuoriuscire dai palmi della mia mani e avvolsi con essa le braccia di Peter, il suo petto, la testa e le sue gambe finché non fu interamente dentro l’alone della mia magia. Per istinto sapevo di non dover penetrare il suo scudo come per le guarigioni, poiché per teletrasportarlo non dovevo agire internamente al suo corpo, bensì esteriormente, come per la lievitazione. Focalizzai la sala della tavola di pietra e lanciai l’incantesimo.

Il famigliare vortice ci circondò. Mi sentii risucchiare via e poi in un’istante il vento cessò. Aprii gli occhi e sorrisi. Ci ero riuscita, le pareti color ocra della sala adibita alle riunioni mi circondava. Ma cosa ancora più importante, Peter era in piedi davanti a me ed era tutto intero. Per mia fortuna possedeva ancora due braccia, due gambe e una testa.

“Sei stata grande” mormorò Peter costatando il mio successo.

“Inezie” sminuii. “Ora viene la parte difficile” commentai con un’involontaria nota amara. Peter si fece serio e aumentò la stretta sulle mie mani come se avesse bisogno di forza. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, si stava preparando da quando era tornato, ma ciò non rendeva più facile affrontarlo. Ancora una volta il suo popolo era in pericolo e avrebbe dovuto combattere una guerra. Altri narniani sarebbero morti sotto le spade nemiche e lui stesso avrebbe di nuovo rischiato la sua vita. Ma non si sarebbe tirato indietro, questo mai. Re Peter il Magnifico avrebbe combattuto anche questa guerra con la stessa fierezza e lo stesso coraggio di sempre.

Un’altra sfida stava per iniziare.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Le Cronache di Narnia / Vai alla pagina dell'autore: 68Keira68