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Autore: Yuri_e_Momoka    20/12/2010    6 recensioni
Avrebbe preferito ricordare il giorno in cui lui e Arthur erano stati sorpresi dalla pioggia e si erano riparati sotto lo stesso ombrello; il suo compleanno, quando l’inglese aveva cucinato per lui, o il giorno in cui avevano litigato per scegliere la carta da parati da mettere in soggiorno; la volta in cui avevano fatto un picnic in campagna e avevano dimenticato la tovaglia; la domenica mattina in cui Francis era rimasto a guardarlo dormire. Ma non poteva, non era accaduto niente di tutto ciò. Non c’era stato il tempo.
[FrUk/Germania x Francia]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Germania/Ludwig, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5-Cinquieme tranchee Titolo: Schützengraben, Capitolo 5 – Cinquième Tranchee
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Inghilterra (Arthur Kirkland), Francia (Francis Bonnefoy), Germania (Ludwig)
Genere: Storico, Drammatico, Guerra
Rating: Nc17, Arancione
Avvertimenti: Yaoi, Angst, Death, AU
Parole:   5,247 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction provengono da Axis Power Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: 1. Ripeto nuovamente: siamo nel 1915, non nel 1916, ma ho dovuto di nuovo posticipare per problemi logistici. Copritevi gli occhi.
2. Ho scritto questo capitolo ascoltando You raise me up. Se ce l’avete mettetela su perché ci sta bene *sniff*
3. Giunti al penultimo capitolo, mi sono finalmente resa conto che si tratta di un AU, perciò l’ho inserito tra gi avvertimenti. Faccio sempre fatica a decidere se si tratta o no di un AU quando scrivo di Hetalia, ma stavolta in effetti non era molto difficile… scusate.
4. Vi avverto che siamo arrivati alla parte angst della storia. Sì, avete capito, i capitoli precedenti erano delle leggere barzellette. Buona lettura!
5. Ho appena realizzato una fanart inerente al capitolo... se volete darci un'occhiatina, QUI
 
 
Cinquième  Tranchée: Le petit étoil
 

Ypres, aprile 1916

Il cielo minacciava pioggia, ma al suolo indugiava una pesante nebbia che rendeva il paesaggio spettrale. L’aria era impregnata dell’odore dell’umidità ma anche di quello del marcio e della decomposizione. Faceva freddo, per essere il 22 aprile.
La trincea era in fermento a causa delle operazioni di trasferimento dei reparti, le gallerie brulicavano, ma in superficie i movimenti erano limitati al minimo, a causa della costante paura di essere spiati dai tedeschi. Il silenzio che proveniva dalla trincea nemica era inquietante. Ogni tanto Francis udiva il lamento di un corvo.
Arthur impartiva ordini a destra e a sinistra, facendo spostare gli approvvigionamenti e le munizioni da una parte, le armi e i soldati in partenza dall’altra. Sembrava determinato e perfettamente padrone della situazione, ma Francis non poteva dimenticare il turbamento del giorno prima. Si era accorto della sua lotta interiore e delle lacrime trattenute, era consapevole di avergli chiesto troppo e si rendeva conto anche di essere stato precipitoso. Non sapeva se, nei suoi panni, avrebbe disertato o meno, ma era sicuro che Arthur non avrebbe mai potuto farlo: lui era un gentiluomo inglese, non sarebbe mai fuggito da un campo di battaglia, almeno non senza aver lasciato dietro di sé qualche freddura.
E stava proprio lì la sua vendetta personale verso coloro che avevano deciso quell’assurda missione: portarla a compimento e dimostrare di essere un bravo ufficiale.
Francis non approvava del tutto, secondo lui si trattava comunque di una pazzia, di  stupido orgoglio, ma lo capiva. Perciò ora si trovava sull’attenti assieme a quelli che sarebbero partiti per la vecchia trincea.
Arthur non avrebbe rinunciato a quella battaglia e Francis non lo avrebbe lasciato per nulla al mondo, non adesso che l’aveva appena ritrovato. Fino a qualche giorno prima aveva  abbandonato le speranze di rivederlo vivo, quando lo avevano spedito a Ypres non aveva avvertito alcun presentimento, eppure, dopo due anni di sofferenza, gli era bastato entrare in una stanza spoglia a mezzo chilometro sotto la superficie per trovarvi la più grande felicità che avesse mai sognato.
Adesso ciò che gli rimaneva da fare era aiutare Arthur come poteva e, sebbene a malincuore, esaudire il suo desiderio, restare indietro. Tuttavia, al primo segnale di pericolo, avrebbe percorso i due chilometri che li separavano in due minuti e sarebbe corso in suo aiuto.
Spostare tutte le migliaia di uomini era un’operazione che richiedeva tempo ed erano state organizzate varie ondate che trasportavano vari tipi di beni utili. Avevano deciso di spostare tutto, anche se non sapevano per quanto tempo sarebbero rimasti nella trincea vecchia. Si trattava di una scelta azzardata, ma ancora una volta Francis non aveva ribattuto, perché si fidava. Lui aveva temporeggiato fino all’ultimo e ora restava solo la sua compagnia a dover partire, assieme alle munizioni delle mitragliatrici.
Come comandante della truppa fu Francis a dover aggiornare il Maggiore sullo stato dei preparativi, così, con molta fatica, sentendo le gambe pesanti come piombo, si avvicinò ad Arthur.
“Siamo pronti.”
Mentre si specchiava nei suoi occhi verdi cercava di rivivere più volte possibile gli ardenti momenti che avevano trascorso insieme, ancora e ancora, perché era stato tutto troppo breve e temeva che si fosse trattato solo di un sogno. Sperava che Arthur capisse, voleva che sapesse quanto tutto quello fosse stato importante per lui e quanto fosse doloroso adesso privarsene.
“Bene, allora partite.” Anche nella voce di Arthur Francis lesse una sfumatura di tristezza.
Si rivolsero il saluto militare e quando l’inglese abbassò la mano, Francis gliela sfiorò con la propria, indugiando qualche istante su quel contatto.
“Se succede qualcosa, chiamami in qualunque modo. Io arriverò.”
“Non ce ne sarò bisogno. Rimanete nella trincea e tenete liberi i bunker.”
Francis si sforzò di capire, ma Arthur si voltò senza fornire alcuna spiegazione sulla necessità di ricorrere ai rifugi.
Infine anche Francis si incamminò, ma si voltò indietro più volte a osservare la schiena di Arthur che si dissolveva nella nebbia.
 
Mentre marciava verso ovest, assieme ad altre centinaia di persone, cercava di calcolare il tempo che stava impiegando a percorrere quel tratto. Doveva affidarsi al suo istinto perché non aveva più l’orologio: l’aveva perso nelle gallerie di Vauquais. Stavano impiegando più di tre quarti d’ora a causa dei vari carichi che dovevano trasportare, ma Francis era sicuro di poter percorrere la stessa tratta in meno di mezzora, quindi, se avesse fatto più in fretta che poteva, in circa quaranta minuti sarebbe arrivato da Arthur. Era un lasso di tempo assurdamente lungo per soccorrere qualcuno, ma era tutto ciò che era in suo potere. Quanto avrebbe voluto voltarsi e tornare indietro, ogni passo che compiva era uno sforzo immane.
Forse Arthur aveva già dato inizio all’attacco. Forse si trovava già vicino al fronte nemico. Forse qualcuno gli aveva già sparato. Qualunque cosa fosse accaduta Francis era totalmente impotente, e anche se in quel momento si fosse trovato con lui non era sicuro di poter fare qualcosa di concreto per aiutarlo, perché l’esperienza gli aveva insegnato che l’esito di una battaglia era determinato dall’abilità, ma ancora di più dalla fortuna.
Era primo pomeriggio quando giunsero alla trincea, ma il sole non si mostrava ancora, se ne stava celato dietro una spessa coltre di nubi grigie. Una volta arrivato con la sua squadra, Francis dovette consultarsi con gli altri Sergenti per fare il punto della situazione e organizzare gli uomini. Quando scese nell’avvallamento si rese conto con irritazione che alcune provviste erano state portate all’interno dei bunker.
“Ehi!” gridò a un sottufficiale facendolo avvicinare. “Il Maggiore non aveva dato l’ordine di tenere sgomberi i bunker? Cosa ci fanno lì tutti quei sacchi?”
“Non… non ho in mano io la gestione degli approvvigionamenti, ma suppongo che abbiano ritenuto necessario tenere il cibo al riparo dalla pioggia.”
“Non mi interessa quello che ritenete necessario, gli ordini sono di tenerli fuori e voi farete così!” Non tollerava un inadempimento del genere. Non si rendevano conto del momento cruciale in cui si trovavano? Francis era consapevole di essere parecchio intrattabile a causa del nervosismo, ma gli altri avrebbero fatto bene ad essere più responsabili e a dare retta ad Arthur.
Le mitragliatrici furono piazzate, i soldati si sistemarono ai loro posti e i comandanti smisero di impartire ordini. Adesso potevano solo attendere che accadesse qualcosa. Ogni tanto Francis si recava dal messaggero a chiedere se ci fossero delle novità, ma la risposta era sempre negativa. Tentava di spingere il proprio sguardo il più lontano possibile, ma all’orizzonte si intravedevano solo le forme indefinite dei crateri lasciati dai cannoni, armi e oggetti abbandonati, basse collinette di avvistamento e altre deformazioni del terreno spoglio. E poi la nebbia, che ancora non accennava a diradarsi. Sebbene fossero a metà giornata, sembrava di dover rimanere per sempre sospesi nel breve istante che segue l’alba.
Per sottrarsi alla noia i soldati confabulavano tra di loro a bassa voce.
“Questa nebbia è strana” notò uno.
“Forse la nebbia belga è diversa da quella inglese.”
“Ma a rigor di logica dovrebbe essere uguale a quella francese, e questa mi sembra diversa.”
“Già… è troppo bassa.”
Incuriosito da questo scambio di opinioni, anche Francis iniziò a prestare attenzione alla nebbia ed, effettivamente, riscontrò in essa alcune anomalie. Prima di tutto sembrava più pesante del solito, aveva un tenue colore giallo e poi… era come se si avvicinasse sempre di più.
“Cos’è quest’odore?”
“Sembra come… mostarda!”
“È impossibile.”
“Forse i tedeschi stanno facendo un barbecue.”
“Smettetela di dire stronzate! Qui sta succedendo qualcosa di strano…”
La nebbia avanzò come un’onda e ora che era più vicina Francis si rese conto che era molto più veloce di come gli era apparsa all’inizio. Adesso sentiva anche lui quell’odore di mostarda.
“Tutti nei bunker!” gridò qualcuno in preda al panico. “Questo è gas!”
I soldati iniziarono a spingersi e a dirigersi verso le aperture che conducevano ai rifugi, accalcandosi e schiacciandosi. Francis rimase paralizzato a osservare il gas che avanzava e che proveniva esattamente dalla trincea tedesca. Se era giunto fin da loro significava che…
“Sergente, non stia fuori!”
Venne trascinato per una spalla e spinto oltre la porta di ferro. Lo stretto corridoio era già stipato di persone, riuscirono ad aggiungersene ancora una decina, poi le porte si chiusero in faccia a coloro che ancora pregavano di entrare.
“No, no! Vi prego fatemi entrare, c’è posto ancora per uno!”
I più gentili si scusarono disperati, ma i più semplicemente cacciarono via a calci quelli che ostacolavano la chiusura delle porta.
Francis osservò con amarezza la velocità con cui persone che lottavano con intenti altruistici si tramutavano in bestie al primo segno di pericolo. Se fosse dipeso da lui, avrebbe volentieri ceduto il suo posto a qualcun altro e sarebbe corso fuori a cercare Arthur, ma era completamente bloccato. Ammassati com’erano in quelle basse stanzette avrebbero fatto prima a morire per mancanza di ossigeno che per le esalazioni, ma era inutile tentare di far ragionare degli uomini in preda al panico, perciò non rimaneva altro da fare che attendere e ascoltare quello che succedeva fuori.
“Scappiamo da qui!”
“Soldato, non lasciare la tua posizione! Non serve a niente fuggire, i gas ti raggiungeranno comunque!”
“State giù!”
“No! Il gas tende a stare in basso. Rimanete in piedi e cercate di non respirare.”
Qualcuno continuava a battere i pugni sulla porta di ferro.
“Rimanete calmi! Non sappiamo nemmeno cosa sia, potrebbe trattarsi di un semplice lacrimogeno.”
“Già… mi bruciano gli occhi.”
Iniziarono a tossire.
“Stiamo sbagliando tattica” disse qualcuno sottovoce, proprio di fianco a Francis. Si voltò: si trattava di un ragazzo biondo con gli occhiali dal particolare accento inglese. Fu così che Francis si rese conto di essere stato salvato dalla compagnia canadese che li appoggiava nella battaglia di Ypres, assieme ad altre colonie britanniche.
“Se davvero sono stati i tedeschi a rilasciare questi gas” proseguì il ragazzo, “allora il posto più sicuro è la trincea nemica, dato che il vento soffia a loro favore. Scappare non serve.”
Francis non poté che concordare, ma spiegarlo ora ai soldati sarebbe stato inutile e nessuno di loro avrebbe osato gettarsi di proposito in mezzo a dei gas sconosciuti.
Nel frattempo, da fuori iniziarono a provenire i primi lamenti di dolore.
“Oddio! Sto andando a fuoco! Brucia tutto!”
“I miei occhi!”
I colpi sulla porta si intensificarono.
“Fateci entrare, stiamo soffocando!”
Era davvero straziante, ma nessuno aprì la porta, non avrebbe avuto senso, a quel punto.
“Ehi… sento un odore strano” disse qualcuno che si trovava vicino all’entrata.
“Sta entrando! Il gas sta entrando dalle fessure!”
Si scatenò di nuovo il panico, da davanti iniziarono a spingere ma non c’era modo di muoversi. Piccole scie di vapore giallino serpeggiarono dentro al bunker. Francis aveva la sensazione di trovarsi dentro a un forno. Non aveva nessuna intenzione di morire schiacciato in un buco in quel modo vergognoso! D’istinto si coprì la bocca e il naso con la mano anche se era ovvio che non sarebbe servito a niente.
Gli uomini si strapparono pezzi di divisa e qualunque stoffa avessero a portata di mano e cercarono di rendere stagna la porta infilandoli in ogni fessura e attorno allo stipite.
“Così non resisteremo nemmeno dieci minuti. Non c’è aria!”
“Non voglio uscire! Non sentite come urlano quelli là fuori?! Siamo fottuti!”
“Ascoltate tutti!” Era stato un altro canadese a parlare. “Non possiamo stare qui dentro, dobbiamo uscire per forza e forse ho una soluzione! Questo gas è fatto di cloro. L’ammoniaca neutralizza il cloro.”
“E come fai ad esserne certo?”
“Dove la troviamo l’ammoniaca?”
Francis iniziava a intuire quale fosse la via di fuga. Era disposto a tutto pur di uscire di lì e andare alla ricerca di Arthur. Era una situazione disperata, ma l’unica speranza che aveva era che, trovandosi – in teoria – vicino alla trincea tedesca il suo inglese fosse scampato al gas.
“Ne hai quanta ne vuoi.”
“E dove la terrei?!”
“Il tuo piscio è ammoniaca! Fatela su un fazzoletto e mettetevelo davanti al naso.”
“Ma stai scherzando?! Non mi metto il piscio in faccia!”
“E allora muori soffocato dal gas, idiota!”
Quella minaccia fu sufficiente a spingere tutti a strapparsi un lembo della manica e a sbottonarsi i pantaloni. Per quanto fosse spiacevole mettersi quel coso puzzolente sotto al naso, Francis non esitò nemmeno un secondo. Era stata un’idea geniale e le alternative erano due: uscire annusando piscio o morire soffocati rinchiusi lì dentro.
“Siete tutti pronti?”
La porta si spalancò e l’ambiente si riempì di fumo. Uscirono velocemente e gli occhi di Francis iniziarono subito a bruciare. Il suo primo respiro gli si bloccò a metà ed iniziò a tossire, sentiva ancora quell’inquietante odore di mostarda. Tuttavia andò meglio del previsto: la nube stava diminuendo e si stava lentamente depositando sul fondo della trincea.
Gli uomini che erano rimasti fuori erano di meno, molti dovevano essere scappati. Di quelli che erano rimasti alcuni erano privi di sensi – o morti – mentre gli altri mostravano ancora qualche segno di vita, ma respiravano a fatica, tossivano, si tenevano le mani sugli occhi per il dolore oppure si strappavano i vestiti. Francis non aveva tempo di stare a soccorrerli, così come i canadesi, che stavano già organizzando il contrattacco e stavano andando a liberare gli altri soldati ancora barricati nei bunker.
Uscì con un salto dalla trincea immersa nel gas. Se avesse piovuto sarebbe stato tutto più semplice, invece l’umidità premeva i fumi al suolo impedendo di vedere bene il terreno. Francis iniziò a correre verso il nemico, senza armi, senza niente, e i canadesi dovettero prenderlo ad esempio perché li sentì incitare gli altri a seguirlo.
“La trincea tedesca è sicuramente al sicuro quindi attacchiamo ora e respingiamoli!”
“Compagnia, caricate!”
Francis fu superato da una moltitudine di canadesi armati e con i fazzoletti legati attorno alla testa; lui però rimase più indietro: sebbene bramasse raggiungere il prima possibile Arthur, se avesse esaurito le sue forze in quella corsa non sarebbe stato in grado di aiutarlo, ma anche perché le esalazioni lo costringevano a rallentare continuamente per riprendere fiato. In quel modo non sarebbe arrivato molto lontano. Lungo il tragitto superò alcuni canadesi che non erano sopravvissuti al gas, temeva che ogni passo potesse essere l’ultimo e che sarebbe morto ancor prima di raggiungere l’avamposto alleato.
Si lasciò cadere sulle ginocchia: doveva vomitare. Quando risollevò la testa notò che la nebbia gialla si era abbassata, l’alimentazione del gas doveva essersi interrotta. Riprese a camminare più motivato di prima, se le sue condizioni non fossero peggiorate ce l’avrebbe fatta, e se era stato fortunato forse era rimasto solo un po’ intossicato. Non doveva arrendersi, se si fosse abbandonato per terra sarebbe soffocato di sicuro, doveva restare in piedi finché la nube non si fosse del tutto diradata. E doveva sbrigarsi a trovare Arthur.
Più procedeva e più aumentavano i corpi sparpagliati scompostamente e Francis notò che erano orientati tutti verso un’unica direzione, come se avessero cercato di fuggire dal nemico.  I cadaveri non finivano mai, sembrava che sul campo fosse calata l’apocalisse. Molti di loro erano ammassati lungo una specie di corridoio: era la trincea. Ma come avrebbe trovato Arthur? Erano troppi! Se si fosse messo a controllarli tutti sarebbe stato troppo tardi.
Osservò con disperazione la strage che si estendeva davanti a lui senza sapere cosa fare, quando dalla foschia all’orizzonte vide apparire una figura. Chiunque fosse gli avrebbe chiesto aiuto, quindi gli corse incontro cercando di attirare la sua attenzione, ma questi non stava guardando avanti perché avanzava barcollando tenendosi le mani sulla faccia.
“Ehi!” Francis lo raggiunse e lo bloccò tenendolo per le spalle. “Hai visto il Maggiore? Dov’è?”
L’altro rispose con dei lamenti e si inginocchiò. Francis lo costrinse a scoprirsi il volto nella speranza di farlo ragionare. “Devo sapere dove si trova!” Si pentì subito di averlo voluto vedere in viso. Era coperto di sangue, ciò che restava degli occhi era un grumo scarlatto. Se li era strappati?!
Francis capì che non avrebbe ottenuto alcuna risposta, lo lasciò andare e il suo panico ritornò a crescere. Non poteva fare altro che procedere e cercarlo dappertutto, finché non l’avesse trovato. Iniziò a chiamarlo perché era sicuro – voleva esserlo – che Arthur fosse ancora in grado di rispondergli.
Gettò via il fazzoletto ormai inutile, superò la trincea e procedette verso i tedeschi, in lontananza sentiva già i rumori della battaglia con i canadesi. Controllava ogni corpo che sembrava assomigliare ad Arthur, ma non era mai lui. Francis non sapeva se esserne sollevato o afflitto, ma ciò che lo turbava sempre più era il non udire mai una risposta ai suoi richiami.
“Arthur!” C’erano tanti biondi tra gli inglesi e Francis aveva paura di guardare i loro volti straziati. “Arthur!”
Poi vide qualcuno che attirò la sua attenzione, gli assomigliava… sì, ne era certo! Era sdraiato a faccia in giù ma era sicuro che fosse lui. Lo raggiunse di corsa e lo liberò dal peso di un altro corpo. Ormai si trovava nelle vicinanze della trincea nemica, poteva udire distintamente gli spari, non era un luogo sicuro.
“Alzati subito, Arthur! Ce ne dobbiamo andare!” Una raffica di mitragliatrice piovve a pochi metri di distanza da loro. Si mise un suo braccio attorno al collo e se lo trascinò dietro.
“Non ce la farò a portarti fino alla base, devi camminare!” Era assurdo parlargli così, non sapeva nemmeno se fosse vivo… ma non aveva tempo per chiederselo. Si allontanò il più veloce possibile dalla traiettoria dei proiettili, ma poi inciampò su qualcosa – sicuramente era un cadavere. Caddero entrambi e il colpo dovette risvegliare Arthur perché tossì.
“Arthur! Avanti, svegliati. Ora ti porto… dal medico.” Lo guardò in viso e si sentì mancare il fiato: metà faccia era ustionata, ma non era stata opera di un lanciafiamme, poiché i capelli e i vestiti erano intatti. Era stato il gas, e l’aveva preso in pieno. Non poteva aspettare oltre, lo afferrò di nuovo e riprese a camminare.
“Ci penso io, però… però devi promettermi che resterai vivo finché non ti avrò portato dal medico. Hai capito? Arthur!”
“…sì.”
Quell’unica parola rappresentò un sollievo insperato.
“Promettilo!”
“Sì.”
Con fatica superarono la prima trincea. Francis continuava a ripetersi che mancava solo un chilometro, non era molto, ce l’avrebbero fatta. Alla base c’era il medico che si sarebbe occupato di Arthur, bastava solo sbrigarsi.
“Sei un idiota… Un idiota! Cosa volevi dimostrare?! Te l’avevo detto che era una pazzia. E adesso mi tocca trascinarti e guai a te se muori adesso, vanificando tutta la fatica che sto facendo!”
“…perché lo fai?”
Sentirlo parlare gli infondeva nuove energie. “Come sarebbe? Dopo quello che abbiamo fatto insieme pensi che ti lascerei morire così?”
“No, ma… perché?”
Francis aveva capito ciò che Arthur voleva sentirsi dire. Era ridicolo, gli sembrava di stare con una ragazzina insicura, ma comprendeva le sue incertezze e il suo bisogno di rassicurazioni.
“Perché… perché tu sei l’unico inglese che riesco a sopportare. Mi piacciono i tuoi occhi, perché trasmettono tutto il contrario di ciò che dici. E mi piace il colore dei tuoi capelli, anche se sono sempre in uno stato pietoso, mi fanno venire voglia di sistemarteli. Hai una bella pelle e dei lineamenti morbidi, e le tue labbra che dicono tante cattiverie sembrano fatte apposta per essere zittite con le mie.” Parlare lo distraeva dalla fatica e colmava il silenzio che lo terrorizzava. “Poi… adoro il tuo corpo forte ma acerbo allo stesso tempo, sembra qualcosa di proibito.”
Gli occhi gli bruciavano e gli lacrimavano, non sapeva se fosse a causa del gas o per la tristezza, ma il pensiero di poter perdere tutto ciò che stava adulando lo struggeva.
“Hai delle dita lunghe… le trovo sensuali. Sei testardo e orgoglioso, ma questo ti permette di non pentirti delle tue scelte e di essere responsabile. E poi… mantieni sempre le promesse. Vero, Arthur?”
Non giunse risposta. Francis continuò a camminare.
La vista della trincea alleata fu come un lieto miraggio, trovò la forza di sorridere pensando che poteva esserci ancora speranza per entrambi e che il peggio era passato, ora doveva solo far visitare Arthur.
“Devi giurarmi… che questa sarà l’ultima volta” disse col fiato corto. “L’ultima battaglia, Arthur. Che tu lo voglia o no… ti trascinerò lontano da qui e vivremo in  pace.”
Si lasciò cadere nel fossato e riprese fiato mentre faceva sedere l’inglese con la schiena addossata alla parete rivestita di rami verdi, come un grande cesto di vimini.
“Un medico qui! Presto!” chiamò Francis a gran voce, poi scostò delicatamente i capelli dal volto di Arthur per osservare meglio le ferite. Fu contento di vedere che almeno gli occhi erano ancora al loro posto, ma il respiro era debole e affaticato.
“Guardami, avanti! Ora siamo al sicuro, ti farò curare. Coraggio, guardami.”
Arthur rispose alle sue suppliche e aprì gli occhi. Francis ringraziò Dio mille volte.
“Non posso…”
“Come no? Sono qui, non ti preoccupare.”
Arthur sollevò incerto lo sguardo. “Non ti vedo.”
Francis avvertì il gelo affondargli nel petto e colpirlo direttamente al cuore. Passò lentamente una mano davanti agli occhi di Arthur senza ottenere alcuna reazione.
“Sei cieco” appurò con la voce incrinata.
L’inglese fu piegato da un attacco di tosse, Francis lo sostenne, lo abbracciò stretto mentre l’altro si aggrappava alla sua spalla alla ricerca di ossigeno. Si accorse subito che era grave perché le sue labbra erano macchiate di sangue.
“Il medico!” gridò ancora con rabbia.
“Sono… dei vigliacchi…” Arthur usava tutto il fiato che aveva per parlare. “Sapevano che avevano… il gas… ma ci hanno mandati lo stesso. E io li ho… mandati a morire.”
“Non dire così, non è stata colpa tua se quegli uomini sono morti.” Francis intravide alcune lacrime scendere da quegli occhi ciechi.
“Quelli che ho ucciso oggi… potevano… essere gli stessi che avrebbero fucilato… se fossi scappato con te…”
Francis chiamò ancora aiuto, vederlo in quello stato lo struggeva.
“Sono tutti uguali… vogliono solo… ucciderci tutti.”
“Smettila di parlare, adesso. Concentrati e basta e vedrai che ce la farai.”
Arthur si lamentava e Francis credette che stesse ancora piangendo, ma si accorse con orrore che non era così. Gridava come se lo stessero torturando.
“I vestiti… mi bruciano! Aaaah! Toglili!”
Privo della vista e senza fiato non riusciva a gestire bene i movimenti, ma ci pensò Francis a strappargli prima la giacca della divisa e poi la camicia sotto, mettendo a nudo la pelle bruciata. La osservò incredulo e sconvolto, senza sapere cosa fare: il gas lo stava corrodendo dall’interno e qualunque cosa provasse non serviva a nulla.
“Stai… stai calmo, adesso. Lo so che fa male ma resisti. Ecco, senti? Il cuore ti batte a mille, è un buon segno! Stai tranquillo, tra poco passerà.” Ma continuava a peggiorare e tossiva sempre più sangue. Francis lo prese in braccio. “Dal medico ti ci porto io. Tu concentrati e non ti agitare. Penso a tutto io…”
Poteva anche continuare a parlare a raffica, ma sentiva che non sarebbe servito a nulla. Corse lungo la trincea con Arthur tra le braccia.
“Ah… F-Francis…”
“Non parlare, pensa a respirare!”
“Vattene… da qui. Scappa e nasconditi… lascia che si uccidano tutti… ma tu vattene… è tutto inutile.”
“Dottore!” chiamò Francis dopo aver individuato il giovane con i baffi arricciati e gli occhiali che visitava altri soldati intossicati. “È il Maggiore! Devi curarlo subito!”
Il medico, che appariva già piuttosto sconvolto dagli avvenimenti, si avvicinò subito senza fare domande e appoggiò le dita sul collo di Arthur.
“No. È in shock ipovolemico, è troppo tardi.”
Francis non riuscì a credere a ciò che aveva sentito. “Co-cosa?! Avanti… dagli un’occhiata! Ce la può fare, il cuore batte…”
“È shock ipovolemico, non c’è niente da fare!” insistette il medico spazientito e ansioso di tornare ad altri pazienti.
“Ma fai qualcosa! Tenta di salvarlo!” Francis era fuori di sé, ma l’altro gli si parò davanti altrettanto furioso.
“Non posso! È morto! Portalo via e lasciami lavorare!” Si voltò lasciandolo lì e subito altri soldati lo spintonarono per prendere il suo posto.
Francis si addossò alla parete senza parole e senza forze, le braccia gli tremavano, ma non a causa del peso di Arthur. Aveva bisogno di riflettere, ma il suo cervello sembrava incapace di produrre alcun tipo di pensiero, non riusciva a credere a nulla di quello che stava succedendo.
Scivolò a terra senza lasciare la presa sul suo delicato carico. Infine si decise ad abbassare lo sguardo e a cercare di capire ciò che era accaduto. Posò la mano sul petto nudo di Arthur, proprio dove l’aveva posta qualche minuto prima, là dove aveva appena sentito il suo cuore battere così forte, ora c’erano solo il silenzio e l’immobilità. E il suo corpo che bruciava ora era freddo e pallido, così perfetto in quell’agognato sollievo da apparire come una statua.
Pensò a tutto ciò che gli aveva detto con tanta leggerezza e a ciò che di più importante non gli aveva mai rivelato. Gli aveva detto che sarebbe stata l’ultima battaglia, che l’avrebbe portato lontano, gli aveva detto che era un idiota e un egoista. Non gli aveva detto quanto lo amasse e quanto fosse importante, perché gli era sempre sembrato scontato.
Guardando il suo viso e i suoi occhi che, nonostante la morte e la cecità, sembravano vedere oltre la realtà, pensò che tra i due, in quel momento, Arthur fosse il più fortunato.
“Sergente.” Non si voltò nemmeno quando lo chiamarono. “Deve portare il corpo là in fondo. I cadaveri verranno bruciati mentre ci troviamo sottovento, perché non c’è tempo di sotterrarli e non possiamo rischiare che ci contaminino.”
“Un minuto” sussurrò e chiunque gli avesse parlato si allontanò. Voleva rimediare a tutto ciò che non aveva fatto o detto in quel poco tempo che restava ancora da condividere e cercò di concentrare tutto in un solo bacio. Non fu nemmeno in grado di capire se avesse provato qualcosa o no. Quelle labbra gli parevano estranee.
Senza più pensare si diresse verso il luogo in cui i corpi di chi era riuscito a tornare o che non aveva trovato rifugio erano raccolti l’uno sull’altro. Sicuramente se ne sarebbero aggiunti molti altri.
Francis depositò Arthur con delicatezza e fu lui stesso a prendere dalle mani dell’uomo incaricato la torcia già accesa. Dopo qualche istante di esitazione appiccò il fuoco, ripetendo a se stesso che non c’era altro da fare, che stava per bruciare solo un semplice corpo. Il corpo che aveva tanto amato e accarezzato.
Il fuoco gli scaldò le lacrime sul viso e quando  iniziò ad ardere intensamente, Francis si allontanò perché non voleva che l’ultima immagine di Arthur fosse quella di un oggetto disfatto.
Dal fondo della trincea vide il fumo salire in cielo, lontano dalla terra corrotta, portando con sé le ceneri di Arthur.
 
Dei canadesi che quel pomeriggio si erano lanciati eroicamente all’attacco ne erano tornati solo alcune decine. Tra loro non c’era il ragazzo che gli aveva fatto compagnia durante i terribili momenti nel bunker, il ragazzo che sarebbe rimasto per sempre senza nome.
Quella notte era stata pianificata un’altra incursione, e così il giorno dopo e quello dopo ancora. Si erano tutti stupiti del fatto che i tedeschi non avessero approfittato della strage per avanzare, ma probabilmente nemmeno loro avevano previsto l’effetto devastante che i gas avrebbero avuto. In fondo, si era trattato solo di uno spreco di vite.
Francis non aveva preso parte a nessuna delle operazioni, non aveva fatto altro che starsene seduto nello stesso punto in cui aveva tenuto stretto Arthur. Quando calava la notte alzava lo sguardo al cielo e vedeva sempre la stessa stella che splendeva col suo chiarore discreto proprio sopra di lui. Non era una stella particolarmente grande o importante, per quello che ne sapeva non apparteneva nemmeno a nessuna costellazione. Ma era una delle prime a splendere quando il cielo si tingeva di rosso e rimaneva a vegliarlo per tutta la notte.
Ora che era solo – terribilmente solo – aveva ricominciato a pensare, ma l’unica cosa a cui la sua mente riusciva a rivolgersi erano le ultime parole che Arthur gli aveva lasciato. Le aveva custodite durante quegli ultimi, indefiniti tre giorni, e meditate e rielaborate. E mentre pensava osservava gli effetti della battaglia, gli uomini che andavano e non tornavano, la distruzione di Ypres, il dolore di tutti, il proprio corpo provato dal veleno… Più rifletteva e meno riusciva a trovarvi un senso.
Avrebbe preferito ricordare il giorno in cui lui e Arthur erano stati sorpresi dalla pioggia e si erano riparati sotto lo stesso ombrello; il suo compleanno, quando l’inglese aveva cucinato per lui, o il giorno in cui avevano litigato per scegliere la carta da parati da mettere in soggiorno; la volta in cui avevano fatto un picnic in campagna e avevano dimenticato la tovaglia; la domenica mattina in cui Francis era rimasto a guardarlo dormire. Ma non poteva, non era accaduto niente di tutto ciò. Non c’era stato il tempo.
Lascia che si uccidano tutti… ma tu vattene.
Quella era la sofferenza che la gente procurava a se stessa. Quella era la guerra che aveva ucciso Arthur, e Francis non voleva averci più nulla a che fare.
Si guardò indietro, verso ovest, dove il rosso del cielo cedeva velocemente il posto al buio, verso l’orizzonte. Da qualche parte doveva ancora esistere un luogo che si era salvato dalla follia collettiva, il posto che Francis decantava all’inglese quando tentava di convincerlo a vivere.
Si alzò e uscì allo scoperto. Si diresse verso il sole morente iniziando a correre. Avrebbe ascoltato Arthur e avrebbe lasciato che la morte cogliesse chi la desiderava, ma lui non voleva più prendere parte a quello sterminio. Corse veloce verso la bassa collina che si stagliava verso il tramonto perché sentiva che al di là di quella poteva esserci un mondo diverso.
Sentì a malapena le grida dietro di sé, non ci badò e proseguì la sua corsa.
“Che sta facendo?!”
“Disertore! Tradimento!”
Voleva sapere se non era troppo tardi per tentare di vivere una vita lontana dalla sofferenza, voleva vivere in quel luogo anche per Arthur, che non ci aveva creduto.
“Puntate!”
Bastava superare quella collina per accertarsene.
“Fuoco!”
Provò una sensazione strana di formicolio in tutto il corpo, soprattutto sulla schiena. Ad un tratto gli mancò l’aria e le gambe si rifiutarono di procedere. Cadde per terra. Che coincidenza, si trovava proprio di fronte alla collinetta.
Gli sembrava di avere il corpo bagnato e iniziò a sentire più freddo. Era la notte che calava. Strisciò sull’altura e si issò con la forza delle braccia, si arrampicò verso la cima, ma più avanzava e più le energie gli venivano meno. Non mancava molto, però, voleva solo dare un’occhiata oltre.
Raggiunse l’apice, si ritrovò il sole proprio davanti e mentre lo osservava svanire si rendeva conto che oltre alla collina il paesaggio non cambiava. C’erano ancora distruzione e desolazione, dolore e morte. Non serviva proseguire, il luogo in cui lui e Arthur avrebbero voluto fuggire non esisteva più.
Si sdraiò privo di energie, sopra la montagna di corpi bruciati, a guardare il cielo, consapevole che sotto di lui, da qualche parte, ci fosse anche Arthur.
La luna apriva un ironico sorriso nel cielo oscuro e contemplava il mondo con crudele divertimento. Di fianco ad essa, però, Francis individuò la solita, piccola stella, che lo vegliava dall’alto e lo rassicurava.
Sollevò la mano verso di essa ed intrappolò la sua debole luce, sentendola vicina. Per la prima volta, dopo tanto, era felice e sollevato.
Arthùr… tu es ma petite étoil.
Quando infine calò il buio, Francis non si sentì più solo.
 
 
 


Continua
 


 
Se vi dicessi che ho pubblicato questo capitolo per farvi un regalo di Natale probabilmente mi pioverebbero addosso accette e pomodori *schiva* Buon Natale!
Che ci crediate o no, sono stata buona. Ho diminuito di molto il numero delle effettive perdite di questa battaglia, perché gestire compagnie da 10.000 persone mi risultava difficile. Ho anche allungato di parecchio la sopravvivenza dei personaggi. Il 22 aprile del 1915 a Ypres morirono 5.000 inglesi in dieci minuti a causa del gas, da allora ribattezzato “iprite” o “gas mostarda”.
Avrete anche riconosciuto un certo canadese di cui ora mi sfugge il nome. Sapevo fin dall’inizio che alla battaglia avevano preso parte anche parecchie colonie inglesi, ma avevo deciso di non inserire altri personaggi per non distogliere l’attenzione dai tre protagonisti, che avevano già abbastanza problemi. Quando però ho scoperto che i poveri, obliati canadesi avevano condotto un eroico attacco durante l’uso dell’iprite non ho potuto fare a meno di inserire anche Matthew. Tanto ve ne dimenticherete tra poco.
Invece, per quanto riguarda il rogo dei corpi, è una mia licenza personale, non credo proprio che li abbiano bruciati davvero.
Per chi non lo sapesse, lo shock ipovolemico è provocato dal cuore che batte all’impazzata per compensare la pressione che precipita ma alla fine cede (detta molto in sintesi). Gli effetti che l’iprite aveva sui soldati sono quelli che manifesta Arthur e i suoi vestiti lo bruciano perché assorbono il gas che viene poi liberato lentamente.
E ora, prima di passare alle recensioni – che sono sempre meno! Ho paura di avervi convinti del tutto ad abbandonare questa fiction! – una piccola anticipazione del prossimo capitolo: sarà totalmente dedicato a Ludwig, ma essendo rimasto solo vi avverto che sarà soltanto un paranoico soliloquio col quale vorrei imprimere la morale a tutta questa deprimente storia. Se non vi piace la Storia o se odiate le elucubrazioni mentali lasciatelo perdere!! Non vorrei trovarmi dopo piena di commenti del tipo: “Che palle di capitolo! Dov’è il romanticismo??”
In ogni caso ho già deciso di accorciarlo di molto per evitare di annoiarvi troppo, sarà giusto un breve epilogo.
Passiamo a cose più allegre!



@GinkoKite:  Grazie davvero per i tuoi incoraggiamenti, sei davvero gentilisisma :D Hai colto bene la malinconia generale che aleggiava su questa storia e adesso, come hai visto, si è manifestata. Mi dispiace di avervi fatte soffrire tutte, ma se adorate l'angst come me penso di avervi fatte felici. In ogni caso c'è anche tanta romanticheria che gira :)

@Miristar: Beh sai, Francis è capitato un po' così, ma mi sono accorta che tentare si spiegare tutti i passaggi che occorrerebbero per scrivere una bella fiction di guerra sono davvero troppi quindi qui ci concentriamo specialmente sul lato del romanzo.. qui ho spiegato in breve che Francis era stato trasferito ad Ypres, era una cosa abbastanza frequente quindi non crucciarti :) Il mega orgione nnnnnnnnnnno....... mi dispiace.... ma sono convinta che d'ora in poi copuleranno felici in paradiso u_u

@Julia Urahara: Credo che qui l'IC dei personaggi sia stato messo a dura prova e spero di essermi destreggiata bene!  Date libero sfogo ai vostri insulti, attendo le vostre recensioni!!! :D




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