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Autore: _ether    22/12/2010    1 recensioni
«Sii uno spirito libero, tesoro.»
«Sì, nonna.»
Chiuse gli occhi e fece un lungo respiro.
«Non lasciare che niente ti abbatti.»
«Ma significherebbe diventare insensibili», dissi crucciando la fronte.
Lei sorrise, quasi divertita, e si voltò a guardarmi con quei suoi occhi penetranti.
«No, significherebbe iniziare ad amarsi sul serio.»
A Norma, mia nonna.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- No need to say goodbye -


A Norma, mia nonna ..



Ciò che dovevi dire alla persona cara resta per sempre dentro di te;
lei sta là, sotto terra, e non puoi più guardarla negli occhi,
abbracciarla, dirle quello che non le avevi ancora detto.
Susanna Tamaro, va dove ti porta il cuore.

«Sii uno spirito libero, tesoro.»
«Sì, nonna.»
Chiuse gli occhi e fece un lungo respiro.
«Non lasciare che niente ti abbatti.»
«Ma significherebbe diventare insensibili», dissi crucciando la fronte.
Lei sorrise, quasi divertita, e si voltò a guardarmi con quei suoi occhi penetranti.
«No, significherebbe iniziare ad amarsi sul serio.»

Era una giornata soleggiata di inizio luglio, una di quelle giornate dal cielo chiaro e limpido con un sole alto che rifletteva raggi caldi e quasi rassicuranti.
Mi è sempre piaciuto il sole in estate, quando sprigiona tutto il suo calore e ti fa sentire protetta, rilassata.
Ero arrivata a Outer Banks, una lunga striscia sabbiosa nel North Carolina, solamente da una settimana, contro il consenso dei miei genitori che non volevano lasciarmi per un intero mese sola nella vecchia casa della mia cara nonna.
Sì, ero partita da sola; nessuna amica, nessun computer per rimanere in contatto con loro, niente Eric, che avevo lasciato pochi giorni prima della mia partenza. Solo io e quel posto magico.
Mia nonna era morta il mese prima e ancora non riuscivo a sopportare il vuoto che aveva lasciato. Provavo troppi rimpianti per credere che non c'era seriamente più.
Mentre ero seduta su una sdraia in riva al mare, il venticello fresco che rendeva maggiormente sopportabile la calda giornata estiva e lo sguardo fisso sull’orizzonte blu scuro del mare, ripensai alla sua figura.
Era sempre stata una bellissima donna, alta, un fisico asciutto dato dal tanto allenamento che aveva praticato nella sua giovinezza e un viso a forma di cuore.
Aveva degli occhi chiari profondi e cangianti a seconda del tempo, una bocca rossa e piena e dei lunghi capelli biondi che il tempo aveva mutato in bianchi.
Tutti sostenevano la mia netta somiglianza con lei, eppure io mi sentivo così diversa, così lontana dalla stupenda persona che era. Non meritavo tutti i complimenti che i vari amici dei miei genitori mi facevano inerenti alla somiglianza con mia nonna.
La grazia in qualsiasi azione compiuta, la dolcezza nello sguardo, il tagliente umorismo e l’amore per ogni creatura esistente. Era questo quello che tutti dicevano di lei e io ero pienamente d'accordo, così tanto che mi sembrava impossibile credere che anche in me vedessero tutto questo.
«Non sono perfetta come lei», avevo farfugliato acidamente durante il funerale alla milionesima amica di mia madre che per risultare simpatica aveva pronunciato la solita frase: «quanto le somigli».
In un attimo tutti si erano ammutoliti e avevano iniziato a fissarmi.
Io in risposta a quegli sguardi inquisitori me ne ero andata a passo svelto seguita dalla mia migliore amica.
«La vedi perfetta solamente perché è così che vediamo chi troppo amiamo», mi aveva rincuorato Katie spostandomi una ciocca dal viso.
«E sei troppo dura con te stessa.»
Avevo iniziato a piangere, davanti a lei, davanti all'unica persona che avrebbe potuto capire come mi sentivo, davanti alla mia migliore amica.
E guardando il mare pieno di colori, le varie navi in lontananza e gli aquiloni volare in alto nel cielo, potevo sentire gli occhi lucidi nel ricordare tutto ciò.
Solamente una caratteristica importante ero sicura di aver ereditato da lei; la scrittura. Mia nonna amava scrivere ogni giorno sul suo diario, appuntarsi anche solamente piccoli estratti della sua giornata e negli ultimi anni aveva comprato proprio quella casa nel North Carolina per poter guardare il mare mentre scriveva. La rilassava, aveva rivelato a mia madre.
La sua vita era stata piena di emozioni e gioie, l’avevo sempre guardata con occhi sognanti, piena di ammirazione, così bella e armoniosa. Era stata la prima ballerina dell'American Ballet di New York e aveva viaggiato per molti anni con la sua compagnia, anche dopo la nascita di mia madre.
Purtroppo anche se segretamente provavo tutta quella stima per lei non le ero mai stata vicina, troppo presa dai miei impegni.
Ora, proprio dopo la sua morte, mi ritrovavo lì, a pochi passi dalla sua casetta di legno sulla spiaggia. Ne avevo sentito il bisogno.
Una volta mi aveva detto che io ero uno spirito libero, ma solamente dopo la sua morte avevo capito che non lo ero affatto. Dipendevo dalla mia vita a Washigton e da tutte le persone che mi circondavano, così tanto da sentirmi oppressa in tal modo che avevo deciso di dovermene andare. Il mio desiderio ora era ritrovare me stessa, un equilibrio che mi avrebbe bilanciata e mi avrebbe fatto amare un po' di più.
Il primo giorno, appena arrivata, avevo pulito l’intera casa quasi sentendomi in dovere verso mia nonna, ma ero consapevole che il senso di colpa c'entrava poco o niente. In realtà lo stavo facendo solamente per me; pulire mi aveva sempre impedito di pensare. Quando qualcosa non andava nella mia vita io sistemavo la mia stanza, come se riorganizzare le mie cose avrebbe riorganizzato anche tutto il resto, così mettendomici d’impegno ero riuscita entro la sera a rimetterla al lucido.
Avevo cenato con un cheesburger che mi ero comprata in aeroporto, non avendo avuto tempo per la spesa, e quando avevo finito ero salita nella camera da letto dove aveva dormito fino al suo ultimo giorno di vita e mi ero ritrovata tremante mentre mi guardavo intorno. C’era ancora il suo dolce odore.
Avevo chiuso per un istante gli occhi e mi era sembrato di sentirla muoversi tra le stanze di quella vecchia casa, come se fosse ancora in vita, come se non se ne fosse mai andata.
Appena avevo riaperto gli occhi mi ero ritrovata leggermente più tranquilla di appena entrata.
La stanza era semplice e arredata in stile classico, con un’ampia finestra vicino al letto a baldacchino e un grande armadio nella parete destra vicino alla porta.
Ero stata subito incuriosita dalle foto poste sopra un mobile di fronte al letto. Foto, ricordi, emozioni, nonna mentre interpretava il lago dei cigni, sorridente e fiera. Mia madre tra le braccia di nonno. Mia nonna con i lunghi capelli biondi sciolti al vento e un candido vestito bianco. Infine io con lei.
Avevo sentito le lacrime riaffiorare e rendere i miei occhi umidi. Avevo solamente cinque anni, lo sguardo imbronciato sul piccolo volto, mentre lei mi teneva stretta al suo petto e rideva allegra.
Avevo notato subito la somiglianza, era assai notevole. Avevo allungato una mano per sfiorare il vetro freddo della foto mentre una lacrima era scorsa giù dai miei occhi rigandomi una guancia.
Avevo tirato su con il naso, mi ero asciugata gli occhi e appena mi fui ripresa avevo iniziato a curiosare qua e là. Avevo trovato tutto come aveva lasciato lei; le sue collane, orecchini, vestiti. Nessuno era entrato lì dentro dopo la sua morte, nessuno era venuto in quella casa oltre a me.
Quando avevo finito mi ero distesa sul letto con il suo diario tra le mani.
L'avevo letto fino a tardi finché avevo poggiato il diario sul comodino e mi ero addormentata dopo essere rimasta per diverso tempo inerme a fissare il soffitto consumato dal tempo, pensando a lei.
Ed ogni pagina era per me un piccolo tesoro che avrei custodito per sempre nel cuore.
Ma ormai era passato metà mese, il mio stato d’animo non era cambiato. Mi sentivo ancora persa.
Trascorrevo le giornate prendendo il sole vicino all’ombrellone di mia nonna, facendo lunghe passeggiate lungo la spiaggia per cercare alcune conchiglie e la sera leggevo sulla terrazza o scrivevo cullata dal rumore delle onde che mi tenevano compagnia.
A volte continuavo a leggere il diario di mia nonna e anche se solamente per pochi minuti la sentivo realmente vicino a me. Avevo scoperto tante vicende che prima mi erano ignote, tanti momenti brutti e di solitudine che però era riuscita a superare con determinazione e proprio questo, ai miei occhi, la rese ancora più forte di quanto già pensavo che fosse.
Quel giorno, come al solito, mi ero diretta all’ombrellone, avevo sistemato l’asciugamano e iniziato a leggere un nuovo libro.
Neanche mi accorsi quando una voce maschile parlò alle mie spalle.
«Scusami, prendo solamente il pallone», disse un ragazzo alto e dal fisico snello.
Lo guardai con aria interrogativa e capii solamente quando si piegò per prendere tra le mani una palla di cuoio che era finita sotto il mio ombrellone.
«Non preoccuparti», dissi prima di ritornare a leggere.
Non feci in tempo neanche a puntare lo sguardo sulle prima due parole che il ragazzo parlò di nuovo.
«Non vorrei disturbarti, ma..»
«..Lo stai facendo», lo bloccai io, piegando un lato delle labbra all'insù.
Lui sogghignò, abbassando lo sguardo imbarazzato.
«Sei nuova?» ritentò.
«Si nota così tanto?» chiesi e portai le mani sopra gli occhi per potermi proteggere dalla luce accecante. Il sole era vivido nel cielo quel giorno e forniva dei colori bellissimi al mare che brillava sotto i suoi raggi.
Lui abbassò lo sguardo nuovamente, iniziando a girarsi tra le mani il pallone.
«No, ma è una spiaggia privata questa.»
«E allora?» chiesi non capendo dove voleva arrivare.
«Abiti qui?» chiese e mostrandomi un mezzo sorriso.
Appena il sole lo colpì in viso notai i suoi occhi di un celeste chiarissimo, quasi vitreo, in netto contrasto con la carnagione olivastra.
«Bhè, sì, vivo proprio in quella casa di legno laggiù» e indicai la piccola casetta non molto lontana.
«La casa della signora Margaret Witney?»
A quel nome mi irrigidii e una domanda mi sorse in testa spontaneamente.
«Come fai a conoscere il nome di mia nonna?»
«Qui ci conosciamo tutti, anche se è da un po’ che non la vedo più in giro, come sta?»
Sentii il labbro tremarmi per l'emozione scaturita nel sentire anche solo il suo nome, così cercai di fermarlo mordendomelo.
«E’..è morta», provai a dire, ma la mia voce uscì tremolante.
Lo vidi spalancare gli occhi sconcertato, poi assumere un’espressione triste.
«Scusami. Sono stato veramente maleducato», sembrò seriamente mortificato.
«Non preoccuparti, come facevi a saperlo?» e gli sorrisi timida.
Rimase in silenzio, diritto vicino a me, così io riportai di nuovo l’attenzione sul libro di poco prima.
Dopo alcuni secondi, senza preavviso, si mise seduto al mio fianco a fissare le onde infrangersi sul bagnasciuga poco distante.
«Quindi tu sei..?» chiese girandosi verso di me.
Sbuffai, odiavo quando qualcuno si intrometteva tra me e la lettura, ma nuovamente cercai di essere cortese con quel ragazzo. I miei principi mi avevano insegnato che nessuno meritava una risposta acida solamente perché avevo la luna storta.
«Amanda, piacere, tu?» e gli porsi la mano in segno di cortesia.
«Ian» disse afferrandomi saldamente la mano.
Ora che il suo volto era più vicino notai il contorno di un blu più scuro intorno all'azzurrino dell’iride e alcune lentiggini su un naso diritto.
«Di dove sei?» continuò con le domande.
«Di Washigton, ho diciotto anni e starò qui fino a fine mese», scoppiai infine a ridere divertita.
Lui mi seguì nuovamente imbarazzato, «mi hai risparmiato molte domande».
«Lo immaginavo, sai?»
«Arguta!»
Gli sorrisi, per la prima volta provando un sentimento diverso dal dolore, sentendo un calore vero sulla pelle, non creato dai raggi del sole.
«E tu?»
«Ho diciannove anni, sono di Wilmington e starò qui per tutta l’estate fino agli inizi dei corsi.»
«Mi hai risparmiato molte domande», dissi imitando perfino il suo tono di voce.
«Lo immaginavo, sai?» disse lui restando al gioco.
Scoppiammo di nuovo a ridere, risate vere che rimbombavano in quella spiaggia vuota e quasi surreale.
«Ma Wilmington non è sulla costa?» chiesi curiosa.
Lui annuì, «ma la mia famiglia ha una casa anche qui ed è ormai abitudine venirci d'estate.»
«Bhè, la spiaggia è veramente stupenda.»
«Credevi che tua nonna fosse una stupida? Ha scelto una delle spiagge più bella del North Carolina», disse scherzando e gli sorrisi riconoscente per lo sforzo che stava compiendo. In fondo ero una sconosciuta, ma stava cercando in tutti i modi di alleviare il mio dolore.
Lo scetticismo che c'era inizialmente svanì a mano a mano che la chiacchierata proseguiva e anche se solamente per poco mi sentii veramente una ragazza in vacanza, senza nessuna preoccupazione al mondo.
Rimanemmo tutta la mattina a parlare, di lui, del luogo, di me e mi confidai anche su mia nonna.
«L’ho vista l’ultima volta poco prima della sua scomparsa, mi aveva salutato come sempre con un ampio sorriso e si era messa sotto l’ombrellone a fissare il mare», mi raccontò, «eravamo amici», sussurrò piano alla fine abbassando lo sguardo. Infilò le dita tra la sabbia, ne prese un pugnetto e infine la lasciò cadere lentamente.
«Pensa, non sei il nipote eppure l’avrai vista più volte di me», dissi amaramente.
«Non fartene una colpa.»
«Sono sempre stata presa dai miei impegni; la scuola, i corsi di danza, gli amici e non mi è mai importato nulla di lei. Ora mi manca, inspiegabilmente mi manca lei e i suoi discorsi, le favole che si inventava quando ero più piccola per farmi addormentare, le sue frittelle la mattina a colazione, i discorsi psicologici per farmi conoscere meglio, per farmi conoscere meglio la natura umana. Amava la psicologia..», non riuscii più a continuare perché scoppiai a piangere, sopraffatta dai ricordi.
Mi asciugai subito gli occhi, cercai in tutti i modi di fermare le lacrime, ma inutilmente così nascosi il viso tra le mani.
«Scusami», farfugliai imbarazzata. Odiavo farmi vedere fragile davanti alle persone.
Lui posò una mano sulla mia schiena, accarezzandola dolcemente.
«Non ti devi scusare di nulla, credimi.»
«Io...io non...non mi è mai capitato di piangere di fronte qualcuno che non conoscono nemmeno» e scoppiai a ridere nervosa.
«Certo che sei strana; prima piangi, poi ridi..», cercò di sdrammatizzare Ian.
«Grazie.»
Glielo dissi con il cuore in mano perché per la prima volta non mi diede fastidio avere al mio fianco un ragazzo sconosciuto mentre ero immersa nel mio dolore.
«Sei impegnata questa sera?»
Alzai un sopracciglio, «stai sfruttando il mio stato d'animo per chiedermi un appuntamento?»
«Se anche fosse, signorina?»
«Saresti un verme!» esclamai fingendomi indignata.
«Oh, andiamo», disse in una risata.
Mi finsi pensierosa, mentre lui mi fissava implorante per un sì.
«Sì, sono libera questa sera.»
«Allora che ne dici se ti passo a prendere alle nove e mezza?» propose.
«Dico che va bene», risposi semplicemente, ma veramente riconoscente.
E ancora non sapevo quanto quel giovane ragazzo di Wilmington mi avrebbe aiutata con il mio senso di colpa e ad andare avanti a superare il lutto. Non sapevo come lentamente sarebbe diventato mio amico e infine qualcosa di più. Non sapevo ancora che mi avrebbe letteralmente cambiato la vita.

Mi guardai per un’ultima volta allo specchio; le labbra piene velate da un chiaro lucidalabbra, i capelli raccolti da un fermaglio antico e un vestito bianco, leggero ed estivo che mi fasciava il corpo snello.
Quando sentii qualcuno bussare alla porta andai subito ad aprire.
Trovai l’alta figura sorridente di Ian dritta davanti la porta, le mani infilate nelle tasche dei jeans.
«Buonasera» lo salutai sorridente, prima di andare a prendere la borsa e chiudere la porta della casa alle mie spalle.
Ci incamminammo a piedi fino al piccolo paese non molto distante da dove ci trovavamo.
Non parlammo molto, forse presi dalla timidezza iniziale, ma stranamente mi trovai bene anche in quel silenzio notturno.
«Qua è così diverso da Washigton», parlai per prima io.
«Più bello?» chiese curioso.
«No, non più bello. Washigton è stupenda, ma caotica, piena di gente, negozi, è una realtà diversa, mentre qui..”, mi bloccai per guardarmi intorno. Si vedeva da un lato il mare in lontananza, mentre dall’altro le luci del paese che si avvicinavano.
«Qui è tutto più tranquillo, rilassante, una specie di parentesi dal mondo», dissi infine.
«Che ti sei presa per un mese» continuò lui.
«Esatto.»
Ancora il silenzio scese su di noi, quando fu lui questa volta a scioglierlo.
«E non ci vivrà nessuno lì, in quella casa?» chiese curioso.
«No, nonna l’ha lasciata in eredità alla nostra famiglia, ma mia madre vorrebbe venderla.»
«Come mai?»
«Lei è troppo attaccata alla città, la classica donna d’affari e sai; d’estate preferisce andare ai Caraibi» dissi storcendo il naso.
«A tutti piacciono i Caraibi!»
«Anche a me» affermai sicura.
«Dalla tua espressione non sembrava.»
Mi voltai a guardarlo; i capelli biondi scompigliati, gli zigomi alti e la bocca fina.
«Non voglio che la vendano» dissi sincera, quasi in un sussurro.
Si voltò anche lui e per un attimo i nostri sguardi furono incatenati, fui totalmente intrappolata da quell’azzurro vitreo.
«E perché non fai qualcosa per impedirlo?» chiese.
Ritornai in me stessa e distolsi lo sguardo, arrossendo imbarazzata.
«Non faranno mai come dirò io» dissi delusa.
«Tu provaci.»
Annuii e continuai a camminare pensierosa a pochi centimetri da lui.
Ritornai con la mente al giorno della mia partenza e all'ennesima litigata con mia madre. Non voleva che partissi e io l'avevo odiata con tutto il mio cuore sputandogli addosso parole che non pensavo, ma che avevo bisogno di dire.
Lei in fondo non poteva capire, non poteva capire il mio improvviso attaccamento per la nonna.
«Non ti è mai importato nulla di lei e ora vuoi andartene per un mese da sola in quella catapecchia?!» mi aveva urlato sul ciglio della porta.
Io avevo già in mano la mia valigia ed ero sicura di ciò che avevo in mente.
Il macigno appoggiato sopra il mio cuore era troppo pesante, non me lo sarei mai perdonata se non fossi partita.
«Sì, è vero hai ragione, mamma. Non mi è mai importato nulla della nonna, va bene? Ma ora voglio andarmene da qui, da te e papà, dalle tue insulse amiche pettegole e..» ..voglio andare a trovare la nonna, avrei voluto dire, ma sarebbe stato inutile, non avrebbe capito, così lasciando la frase in sospeso mi ero voltata dandole le spalle pronta ad uscire dal grande appartamento.
La sentii fare un profondo sospiro e poi parlare di nuovo.
«Venderemo la casa, Amanda, che tu lo voglia o no», sentii la voce di mia madre tirata, fredda, e io mi fermai all'istante sentendo le gambe tremare.
«Cosa?» sbottai.
«Hai sentito benissimo. Venderemo la casa.»
«Perché?»
«Cosa ci facciamo, Amanda?»
La rabbia era montata a poco a poco e le lacrime mi avevano appannato la vista. Come poteva vendere quella casa? Sapeva quanto nonna ci era affezionata, era stato lì che era morta e sempre in quella casa aveva vissuto i suoi ultimi anni. In un certo senso la sentivo un po' anche mia e lo so che poteva sembrare presuntuoso quel pensiero, ma mi sentivo immancabilmente legata a quella piccola casetta sulla spiaggia. Non l'avevo mai vista e anche se una volta mia nonna mi aveva invitata per un'estate avevo rifiutato. Avevo i corsi extra-scolastici a scuola, il saggio di fine anno del corso di danza da preparare ed Eric. Lui era stato il mio primo e unico ragazzo.
Sapete quelle storie dove lei sembra perdutamente innamorata, a tal punto di perderci anche la verginità? Da credere che lui sia tutto? Ebbene quella era anche la mia storia. Credevo nel nostro amore, ma appena avevo saputo la notizia della morte di mia nonna si erano capovolti completamente i miei piani; Eric non sembrava più così perfetto e il mio amore nei suoi confronti così vero. L'avevo lasciato due giorni dopo.
«Sei senza cuore» e con quelle uniche parole me ne andai, sbattendo la porta alle mie spalle.
«Amanda?» mi chiamò improvvisamente Ian.
Scossi la testa e mi accorsi di non essere più in quel lussuoso appartamento che io chiamavo casa, ma a Outers Banks con un bel ragazzo biondo al mio fianco e l'odore della salsedine nell'aria.
«Scusami, mi sono un attimo persa» dissi imbarazzata.
«A cosa pensavi?» e la sua domanda sembrava trasparire tutta la sua sincera curiosità.
Sorrisi spostando lo sguardo verso il mare il lontananza.
«All'ultima litigata con mia madre prima di venire qui.»
Arrivammo fino ad un promontorio con delle panchine, così ci fermammo al parapetto per ammirare il paesaggio.
«Perché non voleva che tu partissi?»
Appoggiai le mani alla balaustra di legno mentre lui si appoggiò con i gomiti su di essa e rimase muto a fissarmi.
«Sono arrivata alla conclusione che non poteva comprendere il perché del mio voler venire a tutti i costi proprio qui, dove la nonna è morta.»
In fondo non lo capivo neanch'io, sapevo solo che era il mio modo per starle vicino, per dimostrarle il mio affetto anche se non c'era più.
«E' stato lì che mi ha annunciato di voler vendere la casa e lo farà, so com'è fatta» continuai amaramente.
Ringraziai il suo attento silenzio.
«Ma, credimi, io ci metterò tutta la mia buona volontà per non permetterglielo.»
«Tua nonna per caso ha lasciato in eredità qualcosa?»
Che c'entrava quella domanda?
«Perché?» chiesi guardinga.
«Tu rispondimi.»
«Bhè...sì, mi sembra che i miei genitori ne parlavano.»
«Tu controlla» disse con un sorriso sulle labbra. Non capii quel suo atteggiamento, ma preferii non fare domande lasciando la conversazione finire lì.

Erano passati ormai diversi giorni da quando conoscevo Ian e ogni giorno mi meravigliavo di ogni suo gesto.
Mi ero accorta che quando rideva gli si formava sempre una tenera fossetta sulla guancia destra o che aveva lo strano vizio di toccarsi i capelli quando era nervoso.
Avevamo passato le giornate in spiaggia, a far volare gli aquiloni come due bambini, o anche a fare compere in città. Avevo conosciuto i suoi amici e la compagnia con cui stava d'estate. Tutti ragazzi molto simpatici, dovevo ammetterlo.
Quel giorno mi trovavo in veranda a fare un po' di quei compiti che mi ero portata da casa. Erano le due del pomeriggio, il sole picchiava forte ed era troppo caldo per stendersi sulla sdraia a prendere la tintarella.
«Oh, ma che ragazza studiosa!»
Sobbalzai al suono di quella esclamazione, ma appena vidi Ian che stava salendo gli scalini della veranda mi tranquillizzai.
«Non aspettavo di vederti. Non andavi fuori città con Sam oggi?» gli chiesi curiosa.
Mi aveva detto che Sam, un suo amico, voleva andare a surfare in una spiaggia lì vicino perciò non ci sarebbe stato per tutto il giorno. In verità mi aveva anche invitata, ma io avevo preferito rifiutare. L'ultima volta che avevo provato a montare su una tavola da surf avevo sbattuto il viso su di essa e da quel giorno non volli più neanche vedere l'ombra di una di quelle lunghe tavole.
«Abbiamo rimandato ad agosto, quando non ci sarai più», sentii il suo tono cambiare verso la fine della frase.
In quel momento ci pensai. Ormai ero quasi alla fine della mia permanenza lì, avevo solo un'ultima settimana.
«Giusto.»
Si avvicinò e si sedette vicino a me su una delle sedie di legno rivolte verso il mare.
«Perché non rimani ancora un po'? In fondo è casa tua.»
«Non è mia.»
«Tu credi?» e si voltò a guardarmi con un sopracciglio alzato.
Socchiusi gli occhi in due fessure.
«Cosa intendi?»
«Quello che ho detto» e ritornò a fissare il mare, come se niente fosse.
Gli diedi un pizzicotto scherzoso sul braccio, «dimmi immediatamente cosa intendi, Ian!» ordinai.
Scoppiò a ridere divertito, mentre io impaziente aspettavo una sua risposta.
«Ti ricordi quando la prima sera ti ho chiesto se tua nonna ti aveva lasciato in eredità qualcosa?»
Annuii e lui continuò.
«Ecco; tua nonna era malata, lo sapevi?»
Spalancai gli occhi.
«No, lei è morta d'infarto nel suo letto. Che stai dicendo?»
«Noi eravamo amici», disse sorridendo, «non sai quante volte mi ha parlato di te.»
In quel momento, mentre stava parlando, sembrava distante, come se rivivesse davanti gli occhi quei giorni insieme a mia nonna.
Io lo fissavo sconcertata, ero rimasta sconvolta da quelle parole e non saprei se in bene o in male.
«E uno degli ultimi giorni in cui l'ho vista lei sapeva che sarebbe morta di lì a poco», continuò, «ma aveva ancora un sorriso stampato in volto. La morte non le metteva paura.»
Io rimasi immobile a fissarlo, senza riuscire a pensare qualcosa che avesse un senso compiuto, così lui parlò di nuovo.
«Non ha mai creduto che tu non le volessi bene», si voltò verso di me inchiodandomi con lo sguardo.
Fece un bel respiro poi disse quella fatidica frase, quella che fece crollare tutto ciò che avevo costruito in quei giorni insieme a lui.
«E' stata lei a dirmi di prendermi cura di te, era certa che saresti venuta e il primo giorno che ci siamo parlati in spiaggia io già sapevo chi eri.»
Sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi e non ci misero molto a scendere per bagnarmi le guance infuocate. Mi sentivo tradita.
«Poi mi ha detto di voler lasciare la casa a te, per cui nel testamento c'è scritto che è tua, se tu non vuoi tua madre non potrà venderla.»
Rimasi immobile e muta mentre le lacrime continuavano a scendere dai miei occhi senza la mia volontà.
«Perché? Perché me lo dici solo ora?»
«Scusa, ma non sapevo quando sarebbe stato il momento migliore..»
«Subito!» e mi meravigliai del mio tono di voce. Stavo urlando.
«Dovevi dirmelo subito, dovevi dirmelo che la conoscevi bene, dovevi dirmi subito che ti eri avvicinato a me solo perché la tua cara amica defunta te l'aveva chiesto come ultima volontà; mi hai mentito» e altre lacrime sgorgarono dai miei occhi.
«Che stai dicendo? Io..»
«Io cosa? Ti credevo mio amico, credevo che i giorni passati insieme avessero un significato e non solo per me. Se per te tutto questo è un dovere vattene, adesso», mi alzai dalla sedia, strisciandola a terra in modo che produsse un sordo rumore, e indicai un punto lontano con il dito indice.
Lui non si mosse di un centimetro, la mascella serrata e lo sguardo duro.
«Non hai capito nulla», bisbigliò.
«Oh, invece ho capito benissimo. Vattene, ho detto! Qui non devi niente a nessuno.»
Si alzò di scatto e io, sobbalzando, indietreggiai di diversi passi.
«Secondo te io avrei perso del tempo utile dietro una qualunque ragazza solo perché una vecchietta simpatica me l'aveva chiesto come piacere?» e detto questo fece gli scalini della veranda e a passo veloce se ne andò, senza voltarsi indietro.
Rimasi a guardarlo per diversi secondi mentre si allontanava da quella che ora era casa mia e io mi sentii marcia. Dentro e fuori.
Girai sui tacchi ed entrai in casa sbattendo la porta.
«Maledizione!» e il mio urlo risuonò per l'intera casa vuota.
Le lacrime non volevano smetterla di scendere e i singhiozzi si fecero sempre più intensi.
Con rabbia salii al piano superiore, in camera di mia nonna. Non mi guardai neanche intorno, andai diretta verso il letto e mi ci buttai a peso morto.
Strinsi forte il cuscino mentre continuavo a piangere convulsamente.

Ultimo giorno in quella bellissima striscia di sabbia.
Nuvole nere si stavano avvicinando alla costa, il mare si agitava violento formando alte onde e il vento mi scarmigliava i capelli che mi finivano davanti agli occhi.
Il tempo rispecchia il mio stato d'animo, pensai.
Non volevo andarmene, quel luogo era una specie di piccolo paradiso personale, ma dovevo. In fondo non vedevo le mie amiche da così tanto tempo e, anche se mi costava ammetterlo, mi mancavano i miei genitori.
Al mio ritorno mi aspettavano tante pratiche ed ero certa, tante litigate con i miei. Mia madre avrebbe lottato per vendere quella casa. Non l'aveva mai ammesso, ma la morte della nonna l'aveva turbata parecchio e avevo capito che in quel momento non voleva avere niente a che fare con qualcosa che le ricordasse lei, ma io ero certa che se ne sarebbe pentita.
Camminai lentamente lungo la passerella del molo, amareggiata dal pensiero che sarebbe stata l'ultima volta. Per ora, almeno.
Volevo ammirare il mare da lì, non dalla spiaggia come facevo di solito, ma proprio in quel molo dove pochi giorni prima mi ero tuffata con Ian.
«Buttati, l'acqua non è poi così fredda oggi» mi aveva urlato dopo essersi tuffato in mare dalla passerella.
Io l'avevo guardato impaurita e supplicante.
«Ti prego non farmi fare questo!» avevo piagnucolato.
«Ma di cosa hai paura?»
«Se non dovessi più riemergere?»
«Ci sono io, Amanda» e quelle parole furono dette con così tanta intensità che mi ero fidata all'istante.
Mi ero tolta velocemente la maglietta leggera e i pantaloncini, prima che cambiassi idea. Infine avevo preso un bel respiro profondo e mi ero buttata.
L'impatto con l'acqua fredda era stato elettrizzante, avevo potuto sentire l'adrenalina in circolo nel corpo.
Ero riemersa quasi subito e avevo sentito immediatamente le grandi mani di Ian cingermi per la vita.
«Vedi che ce l'hai fatta, piagnucolona?!» aveva detto, ridendo.
«Cosa sono io?»
Non avevo aspettato neanche una sua risposta. Gli avevo dato una spinta sul capo facendolo andare a fondo.
Avevo riso divertita quando avevo sentito le sue dita solleticarmi i fianchi e infine portarmi sotto insieme a lui.
Appena eravamo riemersi scoppiammo ancora a ridere, insieme.
Avevamo giocato come due bambini, dimenticandoci del mondo.
Oh, Ian, pensai.
Riportare alla mente quei ricordi fu un colpo al cuore. Non l'avevo più sentito dall'ultima litigata e durante quegli ultimi giorni ero rimasta in solitudine a rivedere la scena mille volte nella mente fino ad arrivare ad una conclusione.
Ero stata una stupida, non l'avevo neanche fatto parlare. Eppure anche se sapevo che la colpa era tutta mia non ero andata a trovarlo, né l'avevo cercato.
Stupido orgoglio!
Proprio mentre stavo pensando a Ian sentii alle mie spalle la sua calda voce e provai un brivido che mi fece chiudere gli occhi.
«Ti ho trovata, finalmente», il suo tono di voce non tradiva nessuna emozione.
«Perché mi cercavi?»
Lui mi affiancò, ma rimase con lo sguardo rivolto verso il mare.
«Bhè, è il tuo ultimo giorno qui, no?»
Annuii.
«Ascolta..», iniziò a dire, ma mi voltai guardandolo in volto e appoggiando una mano sul suo braccio.
«Senti, è tutta colpa mia. Non ti ho fatto neanche parlare.»
«Sinceramente lo stai facendo anche ora», constatò.
Sorrisi amaramente e lui continuò.
«Hai ragione, non mi hai fatto parlare, ma io non mi sono spiegato bene» e mi prese una mano.
Il contatto con la sua pelle calda mi rincuorò un poco.
«Certo, tua nonna voleva che mi prendessi cura di te quando saresti venuta, ma perché già sapeva che se lo avresti fatto, se saresti seriamente venuta qui, voleva dire solamente una cosa, ovvero soffrivi. Ma lei non mi ha chiesto questo favore per egoismo o per compassione nei tuoi confronti..», si bloccò un attimo, distolse il suo sguardo dai miei occhi e lo vidi arrossire. Non mi era mai successo di vedere un ragazzo farlo.
«Allora perché?» lo spronai.
«Può sembrare palesemente stupido, ma conosco tua nonna dalla scorsa estate. Inizialmente l'aiutavo con qualche lavoretto per la casa, ma in seguito mi ritrovai a raccontarle i miei problemi e lei mi capiva. Tu stessa mi hai detto che lei conosceva bene la natura umana e ti aveva aiutato a comprenderla e comprenderti. Bene, aveva fatto lo stesso con me, era la nonna che non avevo mai avuto. Poi un giorno mi parlò della bellissima nipote che abitava a Washigton e che le mancava tanto. Mi ha raccontato ogni cosa, so tutto sul tuo conto..»
«Tutto questo non è stupido», la mia voce risuonò tremolante per l'emozione sprigionata dal sentire le sue parole.
«Ma dire che mi sono innamorato di te solamente dai racconti di tua nonna sì» e scoppiò in una risata imbarazzata.
Sentii gli occhi farsi lucidi e una lacrima scendere troppo velocemente per essere trattenuta. L'asciugai veloce con il dorso della mano, ma l'emozione era troppo alta.
«In effetti sì» e lo seguii nella risata.
«Ho iniziato a chiederle quotidianamente di te, curioso e quando ti ho vista seriamente in spiaggia verso metà mese non riuscivo a crederci. Eri proprio come ti aveva descritta tua nonna.»
«Non so cosa dire.»
Lui allungò una mano verso la mia guancia, l'accarezzò e io mi abbandonai a quel contatto.
Si avvicinò un poco e infine si piegò verso di me. Chiusi gli occhi proprio mentre sentivo le sue morbide labbra sfiorare le mie.
Il vento continuava a soffiare imperterrito, le onde si infrangevano prepotentemente sulla riva e il cielo diventava sempre più scuro, ma noi non ce ne curavamo.
Il suo profumo mi inebriava e dopo due lunghi e tormentati mesi mi sentii realmente libera. Libera dal senso di lutto che albergava dentro di me.
Andare a fondo capita, solamente che si deve poi riemergere. Non siamo robot, a volte sbagliamo, si commettono sempre degli errori e spesso incappiamo in momenti bui, ma l'importante è rendersene conto e impegnarsi per risollevarsi.
Nonna era morta, ma mi voleva bene ed ero ormai certa che era a conoscenza del mio amore per lei.
Non saprei dirvi bene come facevo a saperlo, ma ci sono delle emozioni, delle sensazioni, che senti sulla tua pelle. Non puoi esserne certo, ma qualcosa dentro te urla che è realmente così, come credi tu.
In fondo l'amore è come il vento. Non lo vedi, ma lo percepisci.*
Quando Ian si distaccò dalle mie labbra, alzò lo sguardo verso il cielo scuro e poi lungo l'orizzonte.
«Sembra che anche Outer Banks sentirà la tua mancanza, Amanda.»

*frase non mia, ma di Nicholas Sparks in 'i passi dell'amore'.
**
E' da un po' che avevo questa one-shot nella cartella del pc dove tengo tutto ciò che scrivo, ma non ho mai avuto tempo di rileggerla e correggerla per bene, ma oggi sono finalmente in vacanza (oh, come amo le vacanze natalizie *w*) e così ho avuto tempo per queste poche pagine.
Spero vi piaceranno!
La dedico a mia nonna che alla sua età è fermamente convinta di essere ancora uno spirito libero e che i viaggi migliori si fanno con la fantasia, perché è una donna speciale e fuori dal comune, nel vero senso della parola. A lei devo tutto; devo quello che sono. E devo dire che la amo immensamente perché se sono cresciuta in un'ambiente dove tutti credono in qualcosa è anche grazie a lei. Lei che è una sognatrice proprio come me.
Leggerei per ore e ore i tuoi diari e i tuoi scritti, nonna.
  
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