Anime & Manga > D.Gray Man
Ricorda la storia  |      
Autore: Fiamma Drakon    24/12/2010    3 recensioni
«Chissà perché ogni volta che ci incontriamo ti trovo sempre in una qualche posa ambigua. Inizio a credere che tu lo faccia di proposito, Lovely».
Il ragazzo sobbalzò all’udire quel commento, ma soprattutto la voce maschile e densa di malizia che l’aveva pronunciata.
Si alzò di scatto e si volse nella direzione da cui era pervenuto il richiamo, incontrando una figura elegantemente vestita di sua conoscenza, alla cui vista le sue guance acquisirono un lieve rossore.
«Tyki...?!».

[Per XShadeShinra]
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Rabi/Lavi, Tyki Mikk | Coppie: Tyki/Rabi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Together again La neve turbinava, sospinta dal vento, dando vita ad un’incantevole e dolce tempesta bianca che dava esattamente l’idea del Natale.
Un ragazzo con spettinati capelli rossi seduto ad un tavolino nei pressi di una delle finestre del caffè spostò la propria attenzione dal libro che stava leggendo sulla strada al di là della finestra, contemplando le raffiche bianche che s’abbattevano, tenui, sui passanti, avvolti in pesanti cappotti e grosse sciarpe.
Un sorriso sghembo di vago trionfo gli balenò sul viso.
«Menomale che sono qui al caldo...» esclamò tra sé, sorseggiando un po’ della sua cioccolata calda, riportando lo sguardo sul libro.
Finalmente erano arrivate le vacanze di Natale, e Lavi ne stava approfittando per fare quello che più gli piaceva: leggere. Era un passatempo che, durante i mesi di scuola, aveva dovuto accantonare in favore dello studio, che non gli riusciva particolarmente difficile - anzi tutt’altro - bensì spiacevole - come a tutti, del resto.
Oltretutto i professori, quell’anno, li stavano mettendo particolarmente sotto pressione con la scusa degli esami di maturità, eppure lui, Lavi Bookman, sosteneva la situazione con la dignità che poteva avere solo un giovane così brillante.
Voltò pagina e bevve un altro sorso di cioccolata, continuando a leggere, mentre con la mente andava verso lidi lontani, completamente assorbito da ciò che stava leggendo.
Talmente assorbito che si meravigliò non poco quando, girata pagina, si trovò dinanzi alla bibliografia.
«Come, è già finito...?» esclamò tra sé, inarcando perplesso le sopracciglia.
C’era rimasto male, in un certo senso: era una storia così appassionante che si era dimenticato che era ormai quasi alla fine.
Non era giusto!
«Fortuna che non è l’ultimo libro uscito...» commentò, chiudendolo con delicatezza e posando la tazza - debitamente svuotata - sul tavolo. Si alzò dalla sedia, raccogliendo il libro e la tazza, per poi avviarsi attraverso l’ampia sala occupata da un discreto numero di persone, intente a parlottare a bassa voce del più e del meno o, come lui, a leggere.
Quel caffè letterario era uno dei più famosi dell’intera città, per cui molte persone, soprattutto in periodo di feste, vi si recavano in cerca di pace o libri da prendere in prestito che nelle librerie non si trovavano.
L’ambiente non era niente di così speciale - anche se l’atmosfera lo era particolarmente -: si trattava di una sala con il pavimento in parquet chiaro e le pareti dipinte di un tenue color crema, all’interno della quale erano posizionati svariati tavolini rotondi di metallo bianco con alti sgabelli d’acciaio muniti di un basso schienale. Lungo la parete a sinistra rispetto alla porta correva un bancone da bar color pastello dietro al quale stavano i dipendenti, intenti a soddisfare le ordinazioni del momento.
Di fianco al bancone, in un angolo, c’era una porta dalla quale si accedeva alla biblioteca, ed è verso di essa che Lavi si stava dirigendo.
Nel passare accanto al bancone, il Bookman vi poggiò con noncuranza la tazza e si piegò verso la cameriera che stava dall’altro lato, intenta a sciacquare alcune stoviglie.
«Cioccolata, Lavi?» chiese quest’ultima, alzando lo sguardo dal lavello e puntandolo negli occhi del giovane con fare complice ed un sorriso.
Il rosso scosse la testa.
«No, grazie Lenalee» rifiutò, cortese «Vado a prendere un altro libro» aggiunse un momento dopo, agitandole lievemente il libro davanti.
«Va’ pure» disse lei con un nuovo mezzo sorriso.
La biblioteca del locale, se così si voleva definire, era racchiusa in una sala che era ancora più grande del locale in sé. Le pareti erano rivestite di una gradevole vernice di un bianco assoluto che dava l’idea di qualcosa di puro, asettico quasi. Il soffitto a volta era ampio, anche se non particolarmente alto, della medesima tonalità dei muri, e da esso pendevano diversi lampadari di metallo dall’aspetto moderno. Il pavimento era composto di grandi lastre di marmo bianco punteggiato qua e là da minuscoli puntini neri.
Lungo le pareti erano disposti in lunghissime file scaffali in legno chiaro dalla struttura semplice ed efficiente che contenevano decine, centinaia di libri ordinatamente stipati.
All’interno della stanza erano poste grandi librerie piene anch’esse di volumi, divisi per genere, dei più disparati colori e di diverse forme.
Lavi era sempre entusiasta di entrarvi perché c’era sempre qualcosa di meraviglioso, ai suoi occhi, in quel posto.
Varcò la soglia e si addentrò in quella foresta di scaffalature in cui il profumo dominante - l’unico che tra l’altro si potesse percepire in un luogo simile - era quello della carta stampata.
Il rosso percorse a grandi falcate il familiare e relativamente breve tragitto che conduceva alla zona dedicata ai libri fantasy, dei quali era così innamorato. Era una sezione relativamente grande rispetto a sezioni come quella dei libri storici o d’attualità, forse perché il proprietario del locale, Komui Lee, ne era anche lui un grand’appassionato.
«Dovrebbe essere per qui...» mormorò tra sé e sé, facendo correre gli occhi sullo scaffale più in basso, esaminando i dorsi dei vari volumi, in cerca del successivo di quello che aveva appena finito di leggere.
Dopo svariati minuti di ricerca a vuoto, finalmente Lavi scorse il volume del quale era in cerca: si trovava nel ripiano più in basso, come se chi ce l’aveva messo avesse tentato di nasconderlo.
Sbuffando, si chinò per prenderlo.
«Chissà perché ogni volta che ci incontriamo ti trovo sempre in una qualche posa ambigua. Inizio a credere che tu lo faccia di proposito, Lovely».
Il ragazzo sobbalzò all’udire quel commento, ma soprattutto la voce maschile e densa di malizia che l’aveva pronunciata.
Si alzò di scatto e si volse nella direzione da cui era pervenuto il richiamo, incontrando una figura elegantemente vestita di sua conoscenza, alla cui vista le sue guance acquisirono un lieve rossore.
«Tyki...?!» esclamò, inarcando le sopracciglia con perplessità, senza neppure preoccuparsi di nascondere un po’ la sua innegabile sorpresa.
Era da parecchio tempo che non si vedevano. Quasi aveva dimenticato che vivessero nella stessa città.
«Perché così stupito di vedermi?» chiese il sopravvenuto, corrugando le sopracciglia in una tenera e innocente espressione offesa.
«Non sembri proprio il tipo da biblioteca, Tyki. Soprattutto vestito in quel modo».
Lavi si era ripreso subito dallo “shock” a quanto pareva e, in effetti, il suo commento non era poi così tanto campato in aria. Il completo di Tyki Mikk - composto di una camicia bianca con lo scollo a V, un paio di pantaloni neri abbastanza stretti e scarpe nere dall’aria costosa - si adattava più ad un appuntamento galante che ad altro, come del resto i suoi capelli, accuratamente pettinati all’indietro.
Le labbra del moro s’incresparono in un sorriso mentre si appoggiava con un gomito alla scaffalatura con una posa da gran figo, guardando il suo interlocutore con sguardo ovvio.
«In realtà ero passato solo per accompagnare la mia sorellina a lavoro» rivelò Tyki «Ma poi mi sono ricordato di dover prendere un libro. Non pensavo d’incontrarti, altrimenti mi sarei vestito meglio» aggiunse, con una particolare inflessione sull’ultima frase affinché questa suonasse più smaliziata possibile.
A quel punto lasciò correre lo sguardo sul corpo del ragazzo, esaminandone l’aspetto: portava una felpa verde acqua che non gli stava poi così larga, un paio di lunghi e stretti pantaloni bianchi - Tyki si concesse il lusso di “ammirare” per qualche momento il rigonfiamento all’altezza dell’inguine - e un paio di consunte scarpe da ginnastica bianche.
Dovette ammettere che addosso a lui quell’abbigliamento informale e totalmente comune diventava qualcosa di sensazionale.
Notò solo in un secondo momento che le guance del rosso si erano tinte dello stesso colore dei suoi capelli, anche se di una tonalità meno forte.
«Shhh!» lo ammonì questo, indignato.
«Mmmh...?» replicò Mikk, inarcando con candida perplessità un sopracciglio.
Lavi si fece ancor più paonazzo.
«Non parlare di certe cose in posti del genere! Dannazione, e se ti sentisse qualcuno?!» esclamò Lavi, indignato e allarmato al tempo stesso.
Tyki sorrise morbido, per poi alzare con esasperata impazienza gli occhi verso il soffitto.
«Che t’importa se sente qualcuno? La cosa importante siamo io e te».
Il moro non riusciva a capire perché si facesse tanti problemi se qualche altro avventore li avesse visti o sentiti parlare come una coppia d’innamorati - quello che poi, in realtà, erano.
«A differenza di te, io non voglio finire con il dover cambiare scuola e casa per colpa delle pettegole!».
Effettivamente, la carriera scolastica del moro, che fino ad un mese prima frequentava la sua stessa scuola, era stata stroncata orribilmente dalle peggiori pettegole della scuola non appena avevano scoperto che Tyki apparteneva all’altra squadra.
Era stato costretto ad andarsene poco dopo che si era messo insieme a Lavi e a cambiare casa, trasferendosi discretamente lontano dal suo appartamento precedente, assieme alla sua numerosa famiglia. Così era riuscito a sfuggire ad un sacco di problemi, anche se - com’era ovvio supporre - non aveva rinunciato al Bookman.
E quest’ultimo non era intenzionato a rinunciare a lui, anche se non voleva rimanere invischiato in situazioni difficili solo per il suo orientamento sessuale non proprio ben accetto nella società.
Tyki sbuffò, roteando gli occhi, incurvando da un lato le labbra, assumendo un’espressione vagamente scaltra e malevola.
«Allora perché non andiamo da qualche parte fuori di qui? Io e te da soli, senza nessun guastafeste» propose.
Nei suoi occhi il rosso scorse bene una scintilla di smodata lussuria che ben conosceva.
Com’era lecito, nella sua testa si formò l’orrendo dubbio circa i pensieri - soprattutto le intenzioni - che vorticavano nella mente del suo innamorato.
Per un buon 90% temeva fossero tutto meno che casti - anzi, il 99%.
«Dovrei essere a casa tra mezz’ora...» ammise Lavi, incerto: non voleva opporre resistenza, però non voleva nemmeno che lo chiamassero mentre era con Tyki. Che scuse avrebbe potuto inventarsi?
«Sei abbastanza grande per tornare a casa quando ti pare, non credi?».
La sua voce era velluto, talmente morbida che un fremito gli percorse la schiena, facendolo rabbrividire impercettibilmente.
Nascondendo il nervosismo per quell’appuntamento improvviso dietro un sorriso sprezzante, esclamò: «Va bene. Certe volte sei proprio insistente».
«Consideralo il tuo regalo di Natale per me» ribatté l’altro a tono, staccandosi dallo scaffale per rimettersi in posizione eretta, fissandolo dall’alto in basso, un sorrisetto sghembo di superiorità sul viso.
«Sai di essere egocentrico, perlomeno?»
«Ovviamente, ma ti piacerei ugualmente se non fossi così, Lavi-pon?».
L’espressione dell’altro si fece più scura.
«Evita quel soprannome, okay?» fece, per niente scherzoso: non gli piaceva affatto quel nomignolo, perché si sentiva sminuito.
Tyki, rilassato, si strinse nelle spalle.
«Andiamo?».
Il rosso lo precedette fuori della biblioteca, fermandosi di fianco al bancone solo per mormorare un frettoloso: «Prendo in prestito questo, Lenalee».
Ovviamente non poteva rimettere al suo posto quel libro, non dopo che grazie ad esso aveva trovato Tyki. Era una cosa un po’ stupida, però lo vedeva come una sorta di simbolo di quell’incontro, anche se molto probabilmente sarebbe rimasto tale per poco tempo.
E poi voleva leggerlo senza doversi preoccupare di tornare a riprenderlo.
La ragazza prese nota mentale del titolo e annuì.
«Aggiorno subito l’elenco dei prestiti» rispose quasi automaticamente.
Tyki uscì in quel momento dalla biblioteca e si fermò qualche attimo alle spalle del Bookman, per poi lanciargli un’eloquente occhiata e superarlo di gran carriera, andando a prendere la sua giacca nera dall’attaccapanni accanto all’entrata, infilandoselo mentre usciva.
«Ehi, Lavi...».
L’interpellato si volse a quel sussurro, trovando la cameriera piegata verso di lui sul bancone, l’espressione tipica di chi nota e fa notare qualcosa con un certo fastidio.
Dall’occhiata trasversale che lanciò alla porta, Lavi immaginò si trattasse di qualcosa riguardo Mikk.
«Senti, ma non ti pare che Tyki ti guardi in modo strano?» esclamò in un soffio.
Come volevasi dimostrare.
Appellandosi a tutto il suo talento d’attore si finse sinceramente perplesso.
«Davvero? A me non pare»
«Non so, ho come l’impressione che stia nascondendo qualcosa...».
«Sveglia la ragazza...» commentò in silenzio «Forse è solo paranoia, Lenalee» disse invece ad alta voce, in tono innocente.
La ragazza rimase stranita un momento dall’affermazione, poi parve ragionarci su qualche istante prima di ribattere: «Forse hai ragione».
Lavi scrollò le spalle.
«Devo andare» disse semplicemente.
«Okay, alla prossima!» lo salutò allegramente Lenalee, tornando ai suoi impegni.
«Menomale che non frequenta la mia stessa scuola» si disse il Bookman, sollevato, andando a recuperare il suo lungo cappotto nero appeso all’attaccapanni alla porta «Altrimenti il “segreto” di Tyki sarebbe rimasto tale per mooolto meno».
Uscì dal locale infilando il “suo” libro nella borsa che portava a tracolla, alzando poi il viso al cielo: stava ancora nevicando, ma il vento era cessato, per sua fortuna.
«Perché ci hai messo tanto?» chiese Tyki, spostandosi dal punto dove si era fermato - a parer di Lavi per non farsi vedere da Lenalee nemmeno attraverso le vetrine - e avvicinandosi al ragazzo.
Portava i risvolti del bavero della giacca alzati a coprirsi il collo e parte del viso.
Lavi picchiettò sulla tracolla.
«Dovevo assicurarmi che fossi a posto con la procedura del prestito» mentì, senza alcuna esitazione: dopotutto non era importante che lui sapesse cosa si erano detti lui e Lenalee - anche perché, conoscendolo, ci avrebbe semplicemente riso sopra.
«Dove si va?» chiese subito dopo il rosso, per evitare che Tyki insistesse oltre sul suo lieve ritardo.
Per fortuna la domanda riuscì ad attirare l’attenzione del moro, il quale sorrise di sghimbescio con uno dei suoi solito sguardi furbi.
«Per di qua» disse semplicemente, dando le spalle al suo amante, facendogli strada.
Lavi, incuriosito, s’avviò dietro di lui.
Chissà in che genere di posto lo stava portando. Be’, conoscendo il tipo, sarebbe stato fortunato se non l’avesse portato in un locale a luci rosse.
Però era quasi Natale, quindi magari avrebbe lasciato i suoi caratteristici passatempi depravati - cui certe volte anche lui si divertiva a partecipare, a dirla tutta - ad altri momenti meno “infantili”.
Pregava sinceramente che fosse così.
L’unico rumore che percepiva intorno era il brusio della gente che camminava lungo il marciapiede e, sopra, il suono delle scarpe che infrangevano la piatta superficie nevosa.
Tyki procedeva in silenzio innanzi a lui, senza accennare né a parlare né a voltarsi, il che era strano: di solito era così loquace, anche quando non se ne vedeva il bisogno...
«Starà tramando qualcosa» commentò tra sé e sé, senza alcun dubbio.
La sua ipotesi venne confermata quando il moro s’infilò in una stretta traversa dall’aria tutt’altro che affidabile che correva tra due edifici adiacenti.
Il Bookman lo seguì, certo che non l’avrebbe portato in un posto pericoloso, ritrovandosi a camminare in un angusto spazio dove la neve era riuscita ad infilarsi a stento. Le pareti erano alte, scure e coperte da una sottile patina gelata. L’aria che gli penetrava i polmoni era simile ad un migliaio di stilettate di ghiaccio.
«Tyki dove siamo?» chiese, osservando il proprio respiro condensarsi davanti al suo viso.
«Siamo arrivati» rispose invece l’altro, voltandosi per metà verso il rosso, lasciandogli libera la visuale su ciò davanti cui si erano fermati.
Lavi poté così vedere quello che, senza ombra di dubbio, era l’ingresso ad un bar del quale, fino ad allora, non aveva mai saputo nemmeno l’esistenza.
«Ma se volevi stare in un bar, bastava rimanere nel caffè» obiettò il Bookman, accigliato «E poi non avevi detto che saremmo stati da soli?».
«Quante storie, Lovely. Non sai nemmeno di che si tratta».
A quella risposta, il ragazzo rimase interdetto qualche momento.
«Non è un comune bar?» domandò allora, inarcando un sopracciglio, allibito.
A quell’espressione, Tyki sorrise.
«Ovviamente no».
Detto ciò, s’incamminò verso la porta, semplice e graziosa, composta da una lastra di vetro.
Dopo un momento d’esitazione, Lavi si decise a seguirlo.
Appena varcata la soglia, il colore defluì letteralmente dal volto del Bookman: all’interno c’erano solamente maschi e per giunta alcuni di loro si stavano... baciando?!
«Sorpreso, Lavi-pon?».
Nella voce del moro si percepiva distintamente una nota compiaciuta, mentre osservava con soddisfazione l’espressione attonita del compagno.
«C-che posto è questo...?» domandò quest’ultimo, talmente sorpreso da dimenticarsi anche d’obiettare sull’uso del nomignolo da lui tanto odiato.
«Ah, signor Tyki!».
Un giovincello che non doveva avere più di quindici anni, a giudicare dall’altezza, con i capelli bianchi come la neve, gli occhi eterogenei - il sinistro rosso e il destro color acciaio - e con uno strano fregio scarlatto che correva sul lato sinistro del viso partendo da una stella al contrario - un pentacolo rovesciato, l’avrebbe definito Lavi, che di tanto in tanto si dedicava anche a studi extra rispetto a quelli scolastici - per terminare a metà della guancia si avvicinò loro con un sorriso cordiale.
«Un tatuaggio decisamente particolare» commentò tra sé e sé il Bookman, continuando a studiare il segno scarlatto dello sconosciuto.
Indosso portava un completo da cameriere che lo faceva sembrare un ragazzino decisamente carino e innocuo.
«‘Sera, ragazzo. Il mio tavolo?» chiese Tyki, mettendo in mostra tutta la socievolezza che possedeva - ed era più del solito quel giorno, per cui Lavi immaginò fosse dovuta al buon umore.
Il giovane albino annuì.
«Da questa parte» disse in tono cordiale, guidandoli attraverso il locale.
Lavi si guardava intorno ancora incredulo: non era possibile che esistesse un posto simile.
«È un ristorante, per gente come noi. Qui non c’è problema se ci vede qualcuno, come volevi te» gli disse Mikk, senza voltarsi.
La particolare inflessione che diede alla parola “ristorante” comunicò a Lavi che considerasse quel locale molto più rispetto al caffè letterario dal quale venivano.
Il Bookman era... sollevato, in un certo senso: niente più figuracce in pubblico per cercare di far sembrare normali certe battutine allusive del compagno, niente più problemi per dove incontrarsi, niente più nervi a fior di pelle mentre cercavano di baciarsi senza esser visti.
Era la soluzione a tutti i suoi problemi!
«Eccoci».
Il giovane albino indicò ai due il tavolo accanto al quale si era fermato, posto nell’angolo più lontano e appartato di tutto il locale e privo di sedie, sostituite da un divanetto ad angolo che correva lungo la parete.
Mentre se ne andava, Tyki si sedette e si spostò per far posto all’amante, che lo imitò, cercando di mascherare in qualche modo il disagio che provava: era la prima volta che poteva essere quel che era senza doversi nascondere da nessuno.
Un conforto non indifferente, ma doveva abituarcisi.
«Che c’è? Mi sembri... agitato» esclamò Mikk in un soffio, piegandosi verso l’amante, carezzando in modo lascivo il suo collo. Bookman si allontanò un poco, facendo scivolare la sua tracolla dal bordo del divano dove l’aveva appoggiata.
«Niente cose strane» asserì, serio, ignorando la borsa caduta.
«Qui non ci dirà niente nessuno» obiettò il moro, logico.
«Non è questo il punto. Non qui, almeno. Il fatto è che...» la sua voce si spense nell’esitazione che l’aveva improvvisamente assalito: era incerto se dirglielo o meno. Era una cosa sciocca, ma per lui era di una certa, incontrovertibile importanza, e voleva metterlo bene in chiaro con Tyki.
Inspirò profondamente, deciso ad esporre la propria opinione e a farla valere.
Distogliendo in fretta gli occhi da una coppia intenta in approfondite analisi orali ad un tavolo vicino, Lavi portò gli occhi smeraldini a fondersi con quelli del compagno per alcuni secondi, che furono accompagnati da un silenzio disagiato.
«So che ti potrà sembrare una gran cazzata e forse lo è, ma non mi piace... farlo sotto Natale. So perfettamente che vorresti portarmi a letto e stare con me fino a domattina, ma la vedo come una festività troppo pura per cose del genere» disse dopo poco, non senza un po’ d’imbarazzo.
Si aspettò che Tyki gli ridesse in faccia, era pronto a sopportarlo e non se ne sarebbe sorpreso affatto.
Invece si sorprese eccome quando Mikk gli si avvicinò e gli prese delicatamente il viso tra le mani senza l’ombra di un sorriso in faccia, voltandolo in modo che potesse sfiorargli una guancia con le labbra.
«Allora è così?» sussurrò.
Lavi stava però guardando il pavimento, sul quale si era aperto, alla prima pagina, il libro che aveva preso in prestito poco prima. Rimase allibito nel leggere cosa fosse annotato lungo il margine inferiore del foglio: un nome, a lui ben familiare.
Tyki intercettò il suo sguardo e si allontanò dal suo volto, addossandosi allo schienale della sua parte di divanetto.
«Non avresti dovuto accorgertene fino a quando non ci fossimo separati. Anzi, possibilmente mai» ammise, leggermente scocciato «Oh be’, pazienza».
«Questo libro è tuo. Perché si trovava nella biblioteca del caffè?».
Lavi era stupito dalla cosa, evidentemente, e non ne capiva il senso. No, proprio non ci arrivava, e la cosa un po’ lo infastidiva.
«Sapevo che avresti finito l’altro e così, siccome il seguito era già in prestito, ho pensato di sostituirlo con la mia copia. Poi ti ho semplicemente aspettato»
«E come facevi a sapere che sarei stato lì, oggi?»
«Non lo sapevo» confessò Tyki «Sono rimasto ad aspettarti per diversi giorni, infatti» aggiunse, come se fosse una cosa ovvia.
«Ma perché?»
Mikk sorrise, anche se mestamente. Lavi era sempre stato convinto che la tristezza stridesse sul suo viso, e in quel momento ne ebbe conferma.
«Volevo vederti. È da più di un mese che non ci si incontra e non ci si parla».
Il Bookman assunse un’espressione sorpresa: era vero che, da quando si era trasferito, non avevano più avuto modo né di vedersi né di parlarsi - e lui ci aveva provato, ma non era riuscito ad impossessarsi del nuovo numero di telefono di Tyki - ma non pensava certo di mancargli talmente tanto da arrivare ad aspettarlo dentro una biblioteca per giorni.
Era per certo un’insolita ma forte dimostrazione d’amore.
«E poi...» continuò Mikk, abbandonando il tono e l’atteggiamento di poco prima per tornare ai soliti.
Si strinse nelle spalle, chiudendo gli occhi e affondando le mani all’interno della giacca. Quando le estrasse di nuovo, nella destra stringeva un piccolo pacchetto quadrato avvolto in carta da pacchi verde brillante e chiuso con un filo rosso acceso con tanto di brillantini.
Chissà perché quei due colori gli ricordavano i suoi occhi e i suoi capelli.
«... dovevo darti questo» concluse Tyki, d’un tratto allegro, avvicinando il pacchettino a lui.
«Cos’è?» chiese Lavi incuriosito, prendendo tra le mani il pacchetto, rigirandoselo tra di esse, come se così facendo avesse potuto indovinare il contenuto senza aprirlo.
«Il tuo regalo di Natale» rispose semplicemente Mikk, al che il rosso si decise finalmente ad aprirlo.
Fu una cosa rapida.
Quando l’ebbe aperto, sbirciò all’interno, per poi estrarne un sottile cerchietto in argento innanzi al quale inarcò ampiamente un sopracciglio.
«Tu lo sai che io non porto anelli, vero?» chiese Lavi, rivolgendo uno sguardo eloquente al compagno.
«Lo so» replicò Tyki, perfettamente a suo agio, un affascinante sorriso sghembo ad increspargli le labbra «Ma quello è un anello di fidanzamento».
«F-fidanzamento?!»
«È così sorprendente che io voglia fidanzarmi con te, Lovely?».
Dal tono, sembrava essersi offeso.
Lavi rimase comunque in silenzio, lasciando che fosse questo a rispondere all’interrogativo dell’altro.
Non gli pareva malsano, solo... strano.
Scosse la testa.
«Perché proprio io? Voglio dire, prima di me mi hai detto che hai avuto altri amanti, ma che con nessuno sei arrivato a tanto».
Era vero: gliene aveva parlato durante i primi tempi, e poteva anche capire il perché. Dopotutto, Tyki Mikk era un ragazzo con un innegabile charme.
«Perché gli altri non erano come te, Lovely» rispose il moro, con il tipico tono da frase romantica melodrammatica.
«Allora, vuoi essere il mio fidanzato?» chiese subito dopo, prevenendo altri discorsi inutili: a lui interessava dannatamente la sua risposta.
Lavi tergiversò qualche momento: se si fossero messi insieme, come una vera coppia ufficiale, i suoi problemi per nascondere il suo essere omosessuale al resto del mondo si sarebbero moltiplicati esponenzialmente - e già erano sufficienti.
Però anche lui voleva star legato a Tyki da qualcosa di tangibile, un legame che sapeva non potersi spezzare tanto facilmente, da un giorno all’altro.
Erano il suo desiderio di una vita apparentemente normale e il suo amore per Tyki a combattersi quella scelta.
Alla fine, però, riuscì a decidersi. Sacrificando la sua “normalità” ad un principio più alto, Lavi esclamò: «Sì».
Le labbra di Mikk vennero increspate da un nuovo sorriso, nel quale stavolta il rosso riuscì a percepire anche una certa soddisfazione, che lui sentì il bisogno patologico di smorzare, almeno in parte.
«Ma non intendo comunque mettermi quell’anello» aggiunse.
«Ci avevo già pensato» esclamò il moro.
Da una tasca interna della giacca - Lavi in quel momento si chiese quante tasche potessero esserci là dentro - estrasse una catenella d’argento senza alcun ciondolo. Semplicemente virile.
«Appendilo a questa. Gli anelli alle collane vanno di moda, anche tra i maschi» disse.
La sua capacità di trovare rimedio ad ogni cosa - ovviamente se era di suo interesse - si manifestò al Bookman in tutta la sua interezza.
Tyki Mikk aveva una soluzione a tutto.
«Okay» rispose, prendendo la catenella dalle sue mani e facendola passare all’interno dell’anello.
Se la mise subito, quindi la fece scivolare sotto la felpa. L’anellino era freddo sulla sua pelle.
Un simbolo ed un contatto tangibili del loro amore.
Tyki si sporse di nuovo verso di lui, prendendogli delicatamente il viso tra le mani.
«Anche se non possiamo farlo, almeno un bacio penso sia d’obbligo, Lovely» gli sussurrò a fior di labbra.
L’odore della sua colonia investì Lavi, che gli si avvicinò pian piano.
Mentre le loro bocche stavano per toccarsi, un appunto, per quanto potesse sembrare banale e insulso, lampeggiò nella mente di Lavi, che subito, con voce soffusa, lo pronunciò: «Buon Natale, Tyki».





Angolino autrice
Primo esperimento in questo fandom, prima Lucky, per cui non mi aspetto risultati eccezionali. Già tanto che sia riuscita a tirar fuori qualcosa <3
Per l'IC, lascio giudicare ad altri, anche se penso di averlo mancato in certi pezzi.
Poi avviso che era voluto che Lavi avesse ambedue gli occhi - anche perché in un contesto simile non mi è venuto in mente nessuna causa per cui dovesse mancargliene uno .-.
Spero che almeno alla XShade-Shinra sia piaciuta, visto che è stata lei a ordinarmi chiedermi di scriverla ùwù
Well, mi eclisso.
F.D.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > D.Gray Man / Vai alla pagina dell'autore: Fiamma Drakon