Titolo: Choir Note: Buon
Natale a tutti! E buon Natale ai miei due personaggi preferiti! Questa
fanfic è nata senza alcuna pretesa, solo per darvi qualcosa
da leggere durante questa ricorrenza! xD Ancora tanti auguri a tutti! Disclaimer: Umineko
non è mio, e non lo sono nemmeno i personaggi...
Personaggi: Battler,
Beatrice.
Pairing: BattlerxBeatrice.
Rating: Verde.
Genere: Angst,
fluff.
Avvertimenti: One-shot, AU.
Choir
La
prima voltata che si incontrarono fu d'inverno, poco prima di Natale: le
strade
erano ancora ghiacciate, la poca neve rimasta che creava uno strato di
ghiaccio
compatto e scivoloso sopra i marciapiedi, ingannando i passanti meno
attenti o
ignari. Nell'aria regnava il silenzio più assoluto quel
mattino come se la
città fosse stata ancora a dormire, a chiedere un po' di
meritato riposo prima
dell'arrivo dei festeggiamenti.
Si
incontrarono quando lei era intenta a canticchiare e salterellare e
cadde nelle
sue braccia – fu il fato o la fortuna, che la salvarono prima
che scivolasse
sul marciapiedi e rischiasse di cadere e battere la testa. Per un
attimo lo
ritenne un eroe, il suo salvatore, ma l'attimo
successivo si ricredette
quando lo colse a fissarle il seno con aria decisamente appagata e
contenta – e
una luce negli occhi che lo faceva sembrare solo un pervertito.
Considerò
l'idea di allontanarlo da se con fare maleducato – cosa che
le riusciva
benissimo molto spesso –, ma decise di fingere di non aver
visto nulla. Infondo
lui le aveva appena risparmiato una bella caduta.
Quando
l'aiutò a reggersi di nuovo sulle sue gambe lei lo
squadrò da capo a piedi
constando che, infondo, non era veramente niente male... adorava
già l'idea di
avere un mobile così per casa. Oh,
quanto aveva desiderato avere un uomo
come lui da poter sfruttare!
Lui,
dal canto suo, le diede un'occhiata veloce – soffermandosi a
guardare più
attentamente ogni curva del suo corpo e memorizzando ogni suo minimo
dettaglio.
Chissà
perché aveva dei voti così bassi a scuola, vista
la memoria che si ritrovava...
forse, semplicemente, quella sua memoria veniva utilizzata per altro.
(Cose
più importanti, si ripeteva spesso.)
“G-Grazie.”
La
voce della donna era un lieve sussurro proveniente dalla spessa sciarpa
nera
che indossava stretta al collo e che le copriva la bocca.
Il
giovane vide gli occhi di lei fuggire dal suo sguardo, come imbarazzati
e
sorrise compiaciuto, decidendo che si sarebbe mostrato a lei come un
bravo
ragazzo... uno modello, uno come suo cugino George – magari
solo un poco più
rozzo. Tuttavia, abbandonò subito quell'idea quando si rese
conto di ciò che
aveva pensato; mentendo non sarebbe andato da nessuna parte. E
comunque, non
aveva nemmeno alcun motivo per mentire: magari non l'avrebbe mai
più rivista,
quindi perché inventarsi delle cose?
“Battler,
piacere!”, esclamò con un sorriso abbagliante in
volto ed allungandole la mano.
(Niente
inchino, troppo cortese per i suoi gusti e non voleva darle impressioni
sbagliate.)
“Be-Beatrice...
piacere”, fu la risposta della donna, in parte stupida dal
modo di fare
insolito dell'uomo che aveva davanti e in parte divertita.
Il
giorno successivo Beatrice tornò su quel marciapiedi e
rimase ferma ad
aspettare, fissando entrambi lati della strada con fare frenetico.
Sperava,
incrociando le dita delle mani avvolte dai guanti e ben infilate nelle
tasche
del pesante cappotto.
Stava
camminando verso casa e poi si era fermata lì, ricordandosi
della promessa che
le era stata fatta il giorno prima dopo la lunga giornata che aveva
passato con
Battler – perché sapeva per certo che lui sarebbe
passato di lì, prima o poi;
faceva sempre quella strada e aveva promesso che sarebbe tornato.
Si
strinse nei suoi abiti e, nascondendo il volto ulteriormente dietro la
sciarpa,
s'appoggiò al muro dietro le sue spalle. Il groppo che aveva
alla gola le
impediva quasi di respirare.
Era
nervosa, non capiva perché si trovava lì,
aspettando quell'uomo che aveva
conosciuto solo il giorno prima.
…
E attese.
Fissando
la strada, instancabile ed infreddolita, attese per ore ripetendosi che
lui
sarebbe venuto per lei, che si sarebbe ricordato di lei quando
l'avrebbe vista.
Le
aveva promesso che sarebbe tornato lì, da lei.
Ma
Battler non passò su quel marciapiedi, non quel giorno.
(Nei
giorni successivi Beatrice lo attenderà sempre nello stesso
punto, aspettando
il suo arrivo.)
Verrà...
aveva detto che passava sempre per questa strada e aveva anche promesso
che ci
saremmo incontrati ancora...
(Ma
Battler non tornerà da lei.)
Era
la Vigilia di Natale quella notte, e Beatrice attendeva ancora
appoggiata a
quel muro – non aveva nessuno che la aspettasse a casa o da
qualunque altra
parte.
Faceva
freddo nella città avvolta ancora una volta dalla candida
neve.
Gli
edifici si dissolvevano davanti ai suoi occhi stanchi, venivano avvolti
– come
risucchiati – dal cielo grigio e da quel candore che, lento
ed inesorabile, si
poggiava al suolo fiocco dopo fiocco.
Sentiva
un senso d'oppressione al petto, che si faceva sempre più
forte ogni volta che
ai suoi piedi si posava tristemente un altro fiocco di neve. Le
sembrava quasi
di non avere più dei piedi, tanta era la neve che li
ricopriva e tanto il
freddo che provava – non li sentiva più suoi
quando muoveva le dita o cercava
d'alzare una gamba.
Inizialmente,
ad ogni rumore di passi sul marciapiedi, si era volta di scatto
ansiosa, un
sorriso stampato in volto per accogliere Battler – un sorriso
che, tuttavia, si
era spento innumerevoli volte in quei giorni – ma ora
continuava a fissare la
neve ai suoi piedi, il volto nascosto in parte dalla sciarpa.
Di
tanto in tanto sentiva qualcuno passarle davanti – a volte si
sentiva pure
osservata – ma nessuno si fermò per lei, nessuno
la salutò, nessuno le disse
“eccomi, scusa il ritardo”.
Aveva
perso ogni speranza ormai. Lui non sarebbe tornato da lei.
Si
sentiva sciocca per aver creduto ad una promessa di un uomo che
aveva
appena conosciuto. Si era lasciata trarre in inganno dai suoi modi di
fare, da
quella sincerità che aveva negli occhi quando le aveva
parlato... ed ora stava
pagando per la sua ingenuità. Lì, sola,
attendendo che lui mantenesse la sua
promessa e sperando che non si fosse dimenticato di lei.
“Che
stupida...”
Tirò
un calcio alla neve che continuava ad accumularsi a terra e
sbuffò, gli occhi
lucidi e le labbra contratte in una smorfia di dolore.
“Ehi,
ehi! Attenta a dove miri con quel piede!”
Le
scivolò una lacrima lungo il volto ben coperto e nascosto
dalla sciarpa e
sobbalzò, presa alla sprovvista, sentendo quella voce e
quello stupido tono
scherzoso. Quella risata...
Beatrice
alzò il capo di scatto, sorpresa, e sorrise appena vedendo
il volto sorridente
di quell'uomo che le tendeva la mano, invitandola ad avvicinarsi.
“Scusa
se ti ho fatta aspettare, ho avuto dei problemi.”
Il
sorriso sul volto della donna si spense per qualche secondo, sostituito
poi da
uno ancora più amplio e genuino. Sentì un
improvviso calore al petto ed in quel
momento fu sicura che non era un suo sogno quello, non si stava
immaginando
Battler. Lui era lì, davvero, e stava aspettando che lei
parlasse, che gli
dicesse qualcosa.
“Scusami,
Beato...”, un pausa, un sospiro breve, “... posso
chiamarti Beato, vero?”
Beatrice scoppiò a ridere, il calore nel petto che si
diffondeva velocemente in
tutto il resto del corpo e la riscaldava. “Certo che
puoi...”, gli sorrise,
afferrando la mano che ancora le tendeva.
“Ha-Hai
aspettato tanto...?”
C'era
una nota di incertezza nella voce di Battler, mentre poneva imbarazzato
quella
domanda.
Vedendo
i suoi occhi preoccupati e dispiaciuti la donna scosse la testa,
stringendo
quella mano fredda fra le sue per riscaldarla.
E
proprio quando Battler stava per dire qualcos'altro – proprio
quando aveva
deciso di scusarsi ancora per averla fatta attendere, l'attenzione di
entrambi
venne attirata da un orologio in lontananza che annunciava loro la
mezzanotte.
La fine di un giorno e l'inizio di un altro.
“E'
Natale...”
“Sì...”
Beatrice
sentì Battler stringerle lievemente una mano e si
voltò a guardarlo, un sorriso
sincero e insicuro sul volto pallido per il freddo.
“Buon
Natale... Beato.”