Un
sipario si alza...
Un
piccolo drago rosso fa la sua entrata in scena,
si
guarda un po’ intorno e si schiarisce la gola.
-
Buona Lettura - dice.
E
parte la musica...
Present 4 U
Il rumore di uno schiaffo si alza nell’aria.
<< Ti ho detto tremila volte di non toccare le mie cose, troia! >>
<< Vaffanculo, ecco perché nessuno ti vuole, sei una manesca del cazzo!
>>
Apro gli occhi sospirando. Svegliarsi con Holly e Marci che litigano come al
solito non è affatto piacevole.
Infilo la testa sotto le coperte mugolando frustrato, cercando una posizione
comoda per potermi rimettere a dormire, c’è un bel calduccio sul letto, sotto i
cinque o sei panni che ci ho messo sopra per non morire assiderato.
Mi contorco un poco mentre le mie due sorelle litigano come delle iene, da quel
che ho capito mi sembra che Marci abbia di nuovo preso in prestito senza
chiedere una camicetta ad Holly, non avendo ancora capito che Holly è
un’egoista fuori dal normale: chi tocca la sua roba anche per sbaglio si prende
tutti i ceffoni che è in grado di sopportare.
Ho sempre pensato che Holly sia in realtà un uomo, dovrei controllare più
approfonditamente.
Ma chi se ne frega, l’importante è che non venga a scocciare me.
Sento anche la voce di David, più bassa e tranquilla, e naturalmente gliene
dicono di tutti i colori.
<< Billie, devo rifare il letto, esci alla
svelta o mamma si incazza. >> David poi batte contro la mia porta,
rigorosamente chiusa a chiave. Non sopporto quando piombano nella mia stanza, o
dovrei chiamarla sgabuzzino, senza permesso, è l’unico barlume d’intimità che
riesco ad avere in questa fottuta casa, detesto quando mi buttano fuori.
Mi trascino di malavoglia fuori dalle lenzuola, fa un freddo fottuto, ci
saranno sì e no dieci gradi, mi infilo subito una giacca pesante e le ciabatte
di due taglie più grandi della mia, eredità di Alan, e giro la chiave nella
serratura, uscendo nel corridoio dove sento anche dei refoli di vento.
Che cazzo, chiudere le finestre no?!
Odio questa casa. E ci sono volte in cui odio anche quelli che ci abitano,
tutti, indistintamente, uno dopo l’altro.
Vado in cucina, l’unico posto dove c’è sempre un po’ di tepore, mi appollaio
sulla sedia a mo’ di gufo, raggomitolato nella giacca, dando un’occhiata a
qualcosa di commestibile che potrei mettere sotto i denti.
Holly e Marci litigano ancora, credo che siano sulle soglie delle loro stanze,
proprio un di fronte all’altra, è la cosa peggiore che ci sia tra queste mura,
sono sorelle ma non si sopportano, Marci ogni tanto prende i vestiti o i
trucchi di Holly per uscire e li rimette al loro posto senza che lei se ne
accorga neanche.
Però quando se ne accorge comincia a polemizzare e fare la malora, apriti
cielo. Credo che sia tutta invidia. Perché Marci ha tre anni in meno di Holly,
però ha una quarta di seno, mentre Holly è piatta come una tavola piallata. La
cosa mi sa che non le è mai andata giù, ogni volta che porta un ragazzo a casa
questo finisce per guardare come un pesce lesso le tette di Marci, e
inevitabilmente si prende uno schiaffo, e viene sbattuto fuori di casa da
Holly.
E loro ancora a discutere alle ore più improponibili del giorno, o della notte.
<< Freddo? >> mi chiede Alan entrando in cucina. Annuisco senza
parlare, con mezza faccia affondata nella giacca.
Alan è praticamente mio padre. O meglio, da quando papà è morto, lui è l’unica
figura paterna su cui posso contare, è maturo e responsabile, non alza mai la
voce e ha perennemente sulla faccia un’espressione sorridente, come se la vita
fosse meravigliosa.
Io invece ho sempre una faccia che sembra voler dire che la vita è una merda. E
sfido chiunque a darmi torto.
<< Stasera cosa fai? >> mi domanda posando di fronte a me una tazza
di latte caldo con dentro sciolto un po’ di miele arraffato di nascosto al
negozio, e una pasta sfoglia che non capisco dove possa aver preso tanto è
buona.
<< Non lo so. Niente. >> Questo latte mi scioglie, lo mando giù
lentamente aspettando che la dolcezza mi colpisca le mandibole, giuro che non
so cosa farei se non ci fosse lui a farmi questi regali. Probabilmente creperei
di freddo.
<< E’ la vigilia di Natale, dai, non vai da qualche amico? >>
<< Gli amici sono tutti occupati. Jim lavora, Allen è a Rodeo dalla sua
famiglia, Phil e gli altri si sono presi una vacanza e sono andati a S. Francisco...
>>
<< Anche a te sarebbe piaciuto andarci? >>
Alzo le spalle addentando la pasta, ha un ripieno di crema tiepida. Ok, potrei
morire felice dopo questo.
<< Personalmente non mi frega se sono a S. Francisco o Roma o Madrid o
che so io. Preferirei che la smettesse di nevicare! >>
<< Le previsioni invece hanno detto che nevicherà per un bel po’ di
giorni, quindi quella giacca ti conviene tenertela stretta. >> sorride
guardando l’orologio da polso << Ora devo andare. Fai il bravo, non far
arrabbiare nessuno. >> Mi scompiglia i capelli ed esce dalla porta di
servizio, sempre meglio che passare in quel porcile che è casa nostra.
Finisco di mangiare e sorseggio il latte, chiedendomi che cazzo farò per tutto
il giorno.
E’ il 24 dicembre, il Rod's Hickory Pit è chiuso per vacanze, facendo sfumare sia il lavoro che
mi avrebbe tenuto fuori di qui per un bel po’ di tempo, sia la possibilità di
stare in un posto al caldo.
Detesto il Natale, non mi è mai piaciuto, c’è sempre un fottutissimo freddo e
sembra che tutti si rincoglioniscano all’improvviso, tutti ti sorridono se
hanno bisogno di qualcosa, ma se provi a fermarli mentre stanno facendo compere
reagiscono alla stessa maniera di Holly.
Rodeo poi si svuota, metà della gente parte per andare dai parenti in altri
stati, e quelli che rimangono sono quelli che i parenti li fanno arrivare,
gente con un mucchio di soldi e ville oscenamente grandi, e la puzza sotto il
naso.
Scuole chiuse, negozi aperti addobbati stupidamente a festa, neve che si infila
nelle scarpe e un nervosismo generale che mi fa impazzire. Se fosse per me
questi sarebbero giorni uguali a tutti gli altri, ma per la mamma... Mamma fa i
doppi turni da metà novembre, e per cosa?
Per riuscire a comprare qualche regalo per le sue amiche, per addobbare uno
striminzito albero sintetico in soggiorno, per permettersi per una volta una
cena decente, e per le bollette che in questo periodo aumentano in maniera
esponenziale.
E se la mamma è tesa, inevitabilmente anche tutti quelli che vivono sotto
questo tetto lo sono, quindi diventano più nervosi, e se sono più nervosi
diventano irritabili, e basta dire la parola sbagliata per far partire una
discussione che può durare anche per giorni interi, fino all’inizio dell’anno
nuovo.
Vaffanculo, odio il Natale.
<< ... ma sentila, ha parlato l’invidiosa, e cosa dovrei dire io? Non fai
altro che provarti i miei reggiseni, però ti stanno
larghi, sai?! >> Marci e Holly sono entrate a versarsi da bere.
Litigando, ma toh, che coincidenza.
Non voglio assolutamente essere messo in mezzo, quindi mi ritiro nel silenzio
più assoluto sperando di non essere notato, e filo in bagno, per una volta che
lo trovo libero.
Poi torno in camera, rassegnato a togliermi la giacca e vestirmi, non ho voglia
di stare in casa, o potrei scoppiare.
David mi ha rifatto il letto alla perfezione, è l’unico in casa che lo fa così
bene, e mia madre ci tiene un sacco, ha sempre paura che qualche parente o
amico possa venire a farci visita a sorpresa.
Ma chi cazzo vuole che venga da una famiglia come la nostra, se gli unici
parenti che abbiamo sono i nonni, e siamo sempre noi che andiamo da loro?!
E soprattutto, chi vuole che venga nella mia camera da letto, un buco che visto
dalla porta sembra uno sgabuzzino per le scope?!
Mi spoglio con la pelle d’oca che mi attanaglia, e mi infilo una maglietta, poi
una maglia, poi un maglione, un paio di jeans pesanti e la giacca, poi una
sciarpa intorno al collo, guanti, e mi tiro il cappuccio fin sulla testa,
bardato come se dovessi andare in Antartide.
Cammino per il corridoio e torno in cucina uscendo dalla porta di servizio,
mormorando un: << Io esco. >> tanto nessuno fa caso a me, a nessuno
frega un bel niente.
Nevica, tanto per cambiare. Dal cielo scende questa specie di nevischio bagnatissimo che rende i marciapiedi scivolosi e inzuppa
ogni cosa, scarpe e calze comprese, nel giro di neanche due minuti mi ritrovo a
passeggiare sul bagnato come se fossi a piedi nudi.
Schifoso, schifosissimo inverno.
Faccio un giro a Rodeo, un buco imbiancato con qualche passante che si attarda
per gli ultimi acquisti, pacchetti rossi e infiocchettati, roba che io non
vedrò mai sotto quel coso cespuglioso che mia madre insiste a chiamare albero
di Natale.
Tutti gli amici sono andati via, oppure hanno qualcosa da fare, pochissimi
locali sono aperti e quindi stanno facendo il pienone, e chi non lavora può
permettersi di starsene pigramente a letto a non fare niente, o almeno a non
prendersi un fottuto accidente perché la loro madre vuol far fare bella figura
al letto rifatto.
Passo praticamente tutta la mattinata a girovagare senza meta imbacuccato come
un eschimese e coi vestiti fradici, non mi sento né le dita dei piedi né quelle
delle mani, di entrare da qualche parte non se ne parla perché naturalmente
occorre comprare qualcosa, e io non ho un soldo in tasca neanche a pregare in
latino.
Sono intirizzito dal freddo, e ho come l’impressione che stia cominciando a
nevicare più forte, tra poco sarò nei casini.
Ma non voglio tornare a casa. Non voglio tornare là, dove ogni cosa che faccio
deve sempre essere giudicata da quelli più grandi di me, io devo sempre essere
quello che fa quello che loro ordinano, io non posso fare niente perché non ho
nessun diritto, dove non ho privacy, dove la mia intimità è un optional che non
mi posso permettere, dove devo sempre stare zitto, devo ascoltare, devo fare
questo, devo fare quello.
Ho diciassette anni, ed è come se ne avessi ancora cinque, i miei fratelli e le
mie sorelle mi trattano come se fossi un cane randagio che non avrebbero voluto
in giro per casa, l’unico che mi tratta normalmente è Alan, ma lui non abita
più con noi, viene soltanto quando manca la mamma, e se ne va presto per andare
al lavoro.
Mamma invece mi tratta con tutta l’indifferenza del mondo. Da quando sono stato
espulso per la seconda volta dal liceo, credo che abbia smesso di credere in
me, ha smesso di rimproverarmi se non mi vede studiare, ha smesso di chiedermi
come va a scuola, ha anche smesso di accertarsi se io vada a scuola.
Una volta, mentre stavamo tornando a casa in macchina soli io e lei, mi ha
detto: << Io ci ho rinunciato, adesso cavatela da solo, sono troppo
vecchia per farti da madre. >>
Mi ha un po’ scioccato. Non ero pronto per sentirmi dire che non avevo più una
madre. Ma d’altronde non avevo nemmeno un padre, cosa avrebbe dovuto cambiarmi?
Una vita di merda.
Mi fanno male le gambe, vorrei sedermi da qualche parte ma naturalmente è tutto
coperto di neve, non so cosa fare, vorrei solo continuare a stare da solo, ma
con questo freddo rischio di non arrivare a domani. E ho fame. Ho i crampi allo
stomaco, ho mal di testa dal freddo, non mi sento più le mani o i piedi e sono
stanco, vaffanculo!
C’è un solo amico che è rimasto in città. Ma io e lui abbiamo litigato l’altro
giorno, e ancora non ci siamo rivolti la parola.
Non mi ricordo neanche perché abbiamo litigato, ricordo solo che si parlava di
chitarre o uno spartito, e poi boh, nebbia. Mi manca Mike.
E’ da quel giorno che non lo vedo, da una settimana, non è venuto da me come fa
di solito, vuol dire che è arrabbiato davvero, non mi aveva mai tenuto il muso
per tanto tempo, neanche quando la tipa a cui andava dietro ci aveva
spudoratamente provato con me.
Non mi piace litigare con Mike. Mi fa sentire perso.
In questo momento ho voglia della cioccolata calda con la panna che sa
preparare lui, è bravissimo a cucinare, soprattutto il cioccolato, è qualcosa
di magico, denso, cremoso, che mi fa perdere la testa solo a sentirne il
profumo.
E mi piace anche Mike, mentre lo fa.
Mentre mi irrigidisco come uno stoccafisso perché una goccia mi è caduta lungo
la schiena, prendo una decisione: vado da lui.
Senza accorgermene è quasi l’una passata quando arrivo alla sottospecie di
magazzino dove lui abita non
esattamente in regola, le strade di cemento sono tutte una lastra di neve e
ghiaccio, mi avvicino cercando di non finire col culo per terra, e mi aggrappo
alla grossa maniglia che è freddissima anche attraverso i guanti imbottiti.
Tiro verso destra con tutta la forza che ho, la serratura è durissima,
finalmente la sento cedere, e infatti finisco dritto a terra coperto di bianco,
bagnato come un pulcino.
‘Fanculo, lo
odio il Natale, lo odio tutto!
Impreco sottovoce ed entro, sperando di trovare Mike sui materassi a
suonare, oppure sui tavoli mentre legge, lui a scuola non va affatto male,
vuole prendere quel diploma a tutti i costi.
Però l’unica cosa che mi accoglie una volta entrato non è altro che un freddo
polare, del mio amico neanche l’ombra, da nessuna parte.
Entro e richiudo il portone, le sue cose ci sono, sparse qua e là, e attaccata
alla parete c’è una stufa di metallo, vecchia e un po’ divelta, l’abbiamo
trovata io e lui in discarica mentre cercavamo l’arredamento. E’ vecchia, ma abbiamo già constato che funziona a
meraviglia, rilascia un tepore meraviglioso, che mi manca da morire.
Vado immediatamente ad accenderla, ci infilo dentro due ciocchi di quel legno
un po’ marcio e bruciacchiato e aspetto che l’atmosfera si scaldi, e intanto mi
do un’occhiata intorno.
Non è cambiato molto dalla settimana scorsa, tranne che... Tranne che ha un
alberello pieno di palle colorate e un filo di luci spente.
Rimango a guardarlo come in trance, giuro che questa non me l’aspettavo. E’ un
albero vero, trapiantato in un vaso sbeccato e posato a terra, i balocchi non
sono altro che carte arrotolate le une sulle altre e attaccate con un po’ di
fil di ferro, noto dietro di lui la spina delle luci staccata. Il bello di
questi capannoni è che l’allacciamento a elettricità, gas e acqua è ancora
perfettamente funzionante, anche se nessuno mai viene a controllare chi ci sia
dentro. Mi chino a raccogliere la spina e la infilo nella presa poco lontana, e
le lucine si accendono, tutte di colori diversi, creando piccoli aloni luminosi
in mezzo ai rami.
E’ bello.
Fa venire voglia di sorridere, dà una piacevole sensazione di calore, di
familiarità, di intimità. Tutte cose che in casa mia non riesco a trovare. Qui,
adesso, in mezzo al pavimento di cemento freddo coperto di polvere e
cianfrusaglie, questo piccolo angolo curato, questo insignificante alberello
fatto appositamente dalle mani di Mike mi fa sciogliere un poco, facendomi
pensare che non odio poi così visceralmente il Natale.
Sta cominciando ad esserci calduccio, finalmente mi spoglio di tutto quanto
rimanendo in felpa e jeans, mi tolgo le scarpe e le calze e le metto vicino al
fuoco per farli asciugare, e mi siedo sui materassi pieni di panni, coperte e
cuscini scoordinati raccattati un po’ ovunque.
Non so dove sia Mike, dove potrebbe essere andato? Una settimana senza di lui e
non riesco più a trovarmi nella mia vita. Non mi ero accorto che fosse Mike a
scandire le mie giornate.
Mi pento di aver litigato con lui, anche se ora non mi ricordo nemmeno perché
l’ho fatto, vorrei chiedergli scusa, ma non ho idea di quanto tornerà, e se tornerà.
Mi sistemo sotto le coperte guardando le luci dell’albero accendersi e
spegnersi, c’è silenzio, tantissimo silenzio, interrotto solo dal crepitio
discontinuo del fuoco nella stufetta. Fuori nevica forte, si è fatta più
intensa, non riesco nemmeno più a distinguerla dal colore perla del cielo, è
come se tutto si fosse ovattato, niente più il rumore dei motori delle auto,
niente più chiacchiericci, niente più Holly e Marci che litigano, niente più
discorsi da adulti, niente più delusione nelle voci.
Mi piace stare qui, tra il caos e le cose mie e di Mike, sono nostre, e sono
perfette così come sono, senza tanti problemi, senza aspettative o
contaminazioni, siamo noi due, e mi piace un sacco.
Mi accoccolo sui cuscini, le coperte sanno di lui, hanno il suo profumo forte e
secco, del suo sudore, della sua pelle chiara, mi sembra di sentire la sua voce
calibrata, tranquilla, che mi fa sempre sentire a casa, dappertutto, sempre.
Faccio fatica a tenere gli occhi aperti, le lucine dell’albero si sfocano alla
mia vista, finché non abbasso le palpebre, e scivolo lentamente sul materasso
morbido.
C’è un buon profumo, buonissimo, che mi fa tornare in mente un sacco di ricordi
piacevoli, anche se non riesco ad afferrarli, so che sono attimi di vita, forse
i più belli che io abbia trascorso, ma non li vedo, non li sento sotto le dita,
li provo, e basta.
Apro gli occhi lentamente, accorgendomi di non essere nella mia stanza
minuscola, e non c’è neanche un freddo artico. Ci metto un po’ a capire dove
sono, poi rammento di essere da Mike, sono entrato per parlargli ma senza
trovarlo, devo essermi appisolato.
Dalle vetrate in alto vedo che fuori è buio, scurissimo, non capisco se abbia
smesso di nevicare o sia talmente fitta da togliere la visuale. Che ore sono?
Quanto ho dormito? Dio, a casa devono essere preoccupati...
Mi accorgo che una lampada è accesa. Mi isso sul gomito per vedere meglio,
cercando magari di svegliarmi, sì, è una delle lampade appese alle travi che è
accesa, esattamente sopra... Sopra Mike.
Mi sfrego gli occhi per accertarmi che non stia ancora sognando. No, lui è
davvero lì!
Mi sta dando le spalle, sta trafficando coi fornelli, sento il rumore di
metallo e stoviglie che tintinnano, un cucchiaio che viene girato in qualcosa,
e il buonissimo profumo che credevo non fosse reale.
Le luci dell’albero sono ancora accese, e nella stufa ci sono altri due pezzi
di legno che bruciano in un fuoco aranciato.
<< Oh, ben svegliato! >> esclama Mike. Mi metto seduto, coprendomi
fino alle spalle.
<< Ciao. >> Ho paura che sia ancora arrabbiato con me, e per di più
gli sono anche entrato in casa senza permesso e mi sono addormentato nel suo
letto... Se non mi sbatte fuori adesso posso ritenermi fortunato.
<< Da quant’è che sei qui? >>
<< Era l’una passata quando sono arrivato... Volevo vedere se c’eri, ma
non ti ho trovato. >> mormoro un po’ intimorito. Dannazione, proprio non
riesco a ricordare perché avevamo litigato.
<< E hai deciso di aspettarmi facendo un pisolino. >> Sembra che
sorrida, la cosa mi rassicura un po’. Mi volto verso l’orologio senza vetro
appeso in un punto a caso nel muro, e cazzo,
sono le dieci passate, è tardissimo, e io che credevo di aver dormito solo due
orette al massimo.
La mamma starà sputando veleno per la mia assenza.
<< Ho chiamato a casa tua, gli ho detto che eri con me. >>
<< ... Davvero? >>
<< Sì. >> Gira un pomello del gas, prende due ciotole versandovi
dentro qualcosa.
<< Ah. >> Perché mi sento così in imbarazzo? Che diamine, lui è
Mike! << Da quanto sei tornato? >>
<< Io sono tornato alle tre, ma quando ti ho visto ho immaginato che non
te ne saresti andato molto presto. Quindi sono uscito di nuovo. >>
<< Perché? >>
Mike mette le due tazze su un vassoio, poi si muove verso il letto,
inginocchiandosi accanto a me.
Cioccolata calda con panna montata.
<< Per andare a comprare un po’ di cose. >> mi sorride.
Sono senza parole.
Poggia il vassoio sul letto e mi scavalca, sedendosi accanto a me e infilandosi
sotto le coperte, mi mette una tazza tra le mani, tenendo l’altra per sé.
Non ci posso davvero credere, mi sembra di stare ancora dormendo, e che questo
sia tutto un sogno. Quando vengo investito dall’aroma di cacao dolce spero di
non svegliarmi.
Assaggio un po’ di panna col cucchiaino, e poi la cioccolata, che mi si
scioglie in bocca, morbidissima, dolce quel tanto che basta per renderla
semplicemente perfetta, vellutata e cremosa, con quel retrogusto di cannella e
una qualche altra cosa che non so dire, ma che la rende buonissima,
inconfondibile. Di Mike.
<< Non avresti dovuto. >> dico, mi sembra il minimo, dopo una settimana
passata a non parlarci o vederci nemmeno.
<< Ho voluto. >> sorride lui, facendomi arrossire. Con lui non
riuscirò mai a sembrare il più grande, nonostante lo sia.
Appoggio la schiena alla parete sfiorandogli il braccio, infilandomi in bocca
cucchiaio dopo cucchiaio, lentamente, per assaporare questa sensazione
gradevole e per stamparmela dentro e fuori, desiderando che non svanisca mai da
me.
Rimaniamo in silenzio, gomito a gomito senza dirci niente per una decina di
minuti, il tempo di finire di bere, e di abituarsi a quest’atmosfera che si fa
sempre più calorosa e gradevole ogni secondo che passa.
Sto bene.
<< Scusami. >> mormoro.
<< Per cosa? >>
<< Perché mi sono fatto trovare in casa tua senza essere stato
invitato... E scusa perché abbiamo litigato. >> Anche se non so per cosa,
per chi, non m’importa. Voglio solo che non ci sia niente di stupido a rovinare
la nostra amicizia.
Sorride appoggiando le tazze vuote sul vassoio, sul pavimento. Poi mi lancia
un’occhiata trafiggendomi coi suoi occhi azzurri, dello stesso colore del cielo
in procinto di nevicare, gelido e infinito. Mi fa avvampare.
<< Tu non ricordi nemmeno perché abbiamo litigato, vero? >>
Sei cretino Billie
Joe, fattene una ragione.
Scuoto la testa con un’espressione colpevole, mi sento un po’ un idiota ad
essere sempre così vulnerabile nei suoi confronti, sono un libro aperto con le
lettere scritte in stampatello, non riesco a nascondergli niente.
Ride passandomi un braccio intorno alle spalle, trascinandomi a sé.
<< Certe volte mi viene voglia di tirarti i capelli tanto sei... >>
Mi perdo nei suoi occhi chiarissimi, senza parole, senza pensieri, col cuore
che batte forte. Si sporca le dita di cioccolato, e me le passa a tradimento
sulle labbra.
<< Mike! >> esclamo scoppiando a ridere, sto per togliermela quando
lui mi ferma, e in meno di un secondo me lo ritrovo vicinissimo, col suo
respiro nel mio, e io perdo un battito.
<< Tanto sei stupidamente dolce... >> Mi bacia sulle labbra,
soffici, accoglienti, bollenti, che immediatamente mi trasportano in un’altra
dimensione, mi fanno sentire come se non avessi bisogno di nient’altro in tutta
la mia vita. Chiudo gli occhi lasciandolo fare, inizia piano a suggermi la
bocca, pianissimo, languidamente, con un delizioso retrogusto di cioccolato, le
sue dita mi cingono delicatamente le braccia, avverto il suo profumo, il suo
calore tutto intorno a me, protettivo, eccitante, pacifico. Socchiudo le labbra
permettendogli di scivolarvi attraverso, andando a richiamare la mia lingua,
fremo per un lungo attimo, attraversato da un brivido bollente, gli passo le
braccia intorno al collo avvicinandomi al suo corpo, mi stringe forte, finiamo
sul materasso abbracciati a scambiarci un focoso bacio passionale, mi sembra
che non faccia più tanto freddo, anzi, sta cominciando a fare caldo,
caldissimo, mi lascio prendere dalla sua bocca voluttuosa e dalle sue mani
grandi, me le sento ovunque, sotto la maglietta, nei capelli, sui glutei, lungo
il viso, sento i suoi muscoli incastrarsi alla perfezione nei miei, intrecciandoci
senza mai staccarci.
Rimaniamo così per tantissimo tempo, uno sopra l’altro a cercarci, a sorriderci
nella penombra, a parlare solo con gli sguardi, è bello, stupendo.
In tutta la mia vita non ho mai sentito il bisogno di stare lontano da lui, da
Mike. Cerco la solitudine quando qualcosa va male a casa, quando sono di
cattivo umore, quando è una giornata storta, quando niente va per il verso
giusto, voglio stare lontano da tutti, ma mai da Mike.
Mike è il mio porto sicuro, la mia ancora, la mano che voglio mi sia tesa, la
spalla su cui piangere, il bacio da ricevere.
Solo Mike, a completare il mio mondo imperfetto.
Mi sfiora le guance, accarezzandomi i capelli, specchiandosi nei miei occhi, ho
la sensazione di caderci dentro, toglie il fiato, e mi fa sentire dannatamente
bene.
<< Che stupido che sei. >> mi ripete a fiori di labbra, e ci
mettiamo a ridere insieme.
<< Grazie. >>
<< Lo sai perché me la sono presa? >> Scuoto leggermente la testa
accoccolandomi meglio su di lui, appoggiando la fronte contro la sua <<
Hai detto che odi il Natale. >>
Lo guardo perplesso. Adesso mi ritorna in mente, è stata quella volta da Pit prima che chiudesse, io e Mike ci eravamo messi a
parlare, ed era nata una stupidissima discussione senza capo né coda.
<< E ti sei arrabbiato per quello? >> Sì, sto decisamente
rivalutando la cosa << Allora tra i due lo stupido non sono io. >>
annuisco con finta convinzione, lui ride e mi tira i capelli, e poi mi bacia.
<< Hai detto che lo odi perché è il momento in cui tutti danno il peggio
di sé. >>
<< E’ vero... >> Mi tornano in mente Holly e Marci, mia madre,
tutti gli altri. Tutti che fanno finta di essere buoni, gentili, caritatevoli,
tutti che si immedesimano in una parte che non è la loro, e che li fa diventare
nevrotici, sgarbati e ipocriti.
<< Tu non hai fiducia nelle persone. >> sorride Mike accarezzandomi
a mo’ di gattino, mi abbandono sulla sua spalla accogliente.
<< Sei tu che sei sempre troppo ottimista. >>
Lui, che riesce sempre a vedere il lato buono di ogni cosa, dopo tutto quello
che ha passato, dopo tutto quello che ha dovuto subire, affrontare, scavalcare,
ha ancora voglia di sorridere alla vita.
<< No, sei tu che sei stupido. >> Mi alza il viso con la punta
delle dita << L’albero ti piace? >>
Mi sfugge un sorriso.
<< Sì, tantissimo. >>
<< Vedi? >> Rido, so dove vuole andare a parare. E so che ha
ragione. So che me la sto prendendo per niente, so che non tutto quello che mi
circonda tira fuori il peggio di sé, so di non essere positivo, e so di esserlo
ingiustamente. Per fortuna c’è sempre lui a ricordarmelo.
<< E tu invece hai addobbato quel coso per...? >>
<< Non chiamarlo così, non hai idea di quanto tempo ci ho messo per fare
i balocchi! >> Mi da un pizzicotto su un fianco per dispetto << Ho
lavorato da Jani’s per un’intera settimana e intanto
me ne prendevo cura, dimostragli un po’ di rispetto! >>
Lo guardo interrogativo. Mike ha lavorato da Jani’s?
Al negozio di dischi di Jani?
<< Ma non dicevi che avresti preferito vederlo morto piuttosto che
lavorare per lui? >>
<< Se è per questo lo penso ancora. >> replica secco << Ma è
l’unico che mi ha preso all’ultimo minuto, quindi non potevo lamentarmi!
>>
Mike lavora con me al Rod's Hickory Pit, perché ha avuto bisogno di farsi assumere da uno che
non possiamo neanche vedere da lontano?
<< Ho speso quel poco di risparmi che avevo per cambiare quel pezzo al
basso, finalmente. >> mi spiega leggendomi nel pensiero << E poi...
>>
Mi fa alzare da lui, va a prendere la giacca e fruga in una delle tasche
sdrucite.
<< E poi avevo bisogno di soldi per questo. >>
Ricade sul materasso accanto a me, porgendomi una scatolina nera con un fiocco
rosso intorno.
Non ci posso credere.
Lo guardo senza parole, non me l’aspettavo assolutamente. Ecco perché per tutta
questa settimana non ci siamo visti, ecco perché ha dovuto cercare un lavoro da
un tizio odioso dalla faccia poco raccomandabile, ecco perché lo amo.
<< Buon Natale. >> Mi abbraccia chiudendomi le labbra con le sue,
lo stringo forte, emozionato, mi sento sciogliere, sento svanire tutto il
ghiaccio che avevo intorno al cuore, l’amarezza, la solitudine, il livore,
tutto, adesso siamo qui insieme, al caldo, l’uno accanto all’altro, non riesco
a non essere felice, non riesco a non essergli grato per essere quello che è,
il mio migliore amico, la mia anima gemella, il mio silenzio, la mia voce, lo
specchio della mia anima, Mike, sempre e inconfondibilmente Mike.
Sto quasi per mettermi a piangere.
<< Ti voglio bene. >> gli sussurro all’orecchio, non ho altre
parole da dirgli, non servirebbero. Quando siamo insieme non serve nient’altro.
<< Dai, aprilo. >> mi sorride teneramente, spettinandomi i capelli.
Gli do un ultimo bacio sulla guancia, e afferro la scatolina, è leggera e non
fa rumore, disfo il fiocco scarlatto e mi blocco un momento prima di togliere
il coperchio.
<< Che c’è? >> mi chiede. Lo guardo un po’ titubante, imbarazzato.
Non ho mai pensato di poter dire di essere la persona più fortunata di questo
mondo.
<< Perché l’hai fatto? >>
Mi fa un sorriso languido che mi trapassa da parte a parte, mi sento
completamente svuotato di ogni cosa che non sia questa sensazione di
completezza assoluta, è meravigliosa, è anche terribilmente destabilizzante, ma
la sento mia, vibrante e passionale.
Si avvicina e mi posa delicatamente un bacio sulla fronte, dolcissimo, che mi
fa dimenticare tutto il resto.
<< Farei qualunque cosa per te. >> bisbiglia vicinissimo al mio
viso, carezzandomi con lo sguardo limpido, arrossisco come una ragazzina, ma
non m’importa.
Posa la mano sulla mia, e insieme togliamo il coperchio alla piccola scatola
nera.
Sbatto le palpebre un po’ sorpreso.
E’ un cuore argentato.
Mike ci infila le dita e lo estrae dal velluto in cui è incastonato, e mi
accorgo che in realtà sono due collane, e il cuore e composto da due ciondoli
infranti nel mezzo che combaciano perfettamente.
<< Lo so che è un regalo banale. >> dice dividendoli << Ma è
il meglio che mi potevo permetter... >>
Lo bacio senza aspettare che finisca di parlare, lo abbraccio con foga, annego
nel suo respiro, nel profumo caldo della sua pelle, sento il cuore battermi
ovunque, e mi sento felice, incondizionatamente felice, leggero, vivo, ho
voglia di fare qualunque cosa, di dire qualunque cosa, mi sento forte, senza
dubbi, senza remore, senza pensieri, semplicemente felice.
Talmente felice da sentirmi in grado di fare qualsiasi follia per lui.
<< Beh... Sono contento che ti piaccia! >> ride Mike quando ci
dividiamo, ha le guance rosse, è la prima volta che lo vedo imbarazzato, mi fa
una tenerezza incredibile, mi viene voglia di non lasciarlo mai e strapazzarlo
di coccole.
<< Mi piace un sacco. Mettimela. >> Apre il piccolo gancio
argentato della catenella e me lo passa intorno al collo, chiudendolo <<
Credevo non sopportassi le collane. >> gli sorrido divertito.
<< Infatti non le sopporto. >> annuisce convinto << Ecco
perché faccio così. >> Fa due giri alla catenella e se la infila al
polso, incastrandola con gli altri bracciali di metallo e stoffa che indossa,
in modo da confonderla, solo il ciondolo è in bellavista << Così non rischio
neanche di perderla. >>
Rido. E’ la prima volta da non so quanto tempo che mi viene da ridere davvero,
perché mi va, perché mi sento pronto per farlo, perché sono contento, allegro.
In un magazzino abbandonato e sequestrato da un bassista fuori di testa, seduto
su un agglomerato di materassi stesi sul cemento freddo, con una stufa vecchia
e un minuscolo alberello di Natale, con un mezzo cuore d’argento al collo, sono
di buon’umore.
Sì, adesso mi sento bene.
<< Scusami se in questi giorni non sono venuto da te, ma davvero non ce
la facevo, quello stronzo di Jani non mi ha lasciato
un attimo di respiro! >> mi dice intrecciando le dita con le mie, scuoto
la testa, non m’importa, l’unica cosa che conta adesso siamo noi due, l’uno
accanto all’altro.
<< Mi sei mancato. >> mormoro guardandolo negli occhi, non mi
stancherò mai di farlo, non mi stancherò mai di perdermici, di specchiarmici, di imprimerli nella mente e non
dimenticarmeli mai << Però io... Non ho nessun regalo per te... >>
Cazzo, che deficiente! Lo sapevo che avrei dovuto pensarci!
Mi solletica il mento sfiorandomi le guance, dandomi un bacio.
<< Trovarti qui è stato un bellissimo regalo. >>
Arrossisco l’ennesima volta, senza riuscire a resistergli. E’ perfetto. Lui è
perfetto. Mi ritrovo a pensare che vorrei averlo sempre accanto, tornare a casa
e trovarvi lui, svegliarmi la mattina col suo profumo addosso, poterlo
abbracciare quando voglio, sentire la sua voce prima di addormentarmi, sentire
la sua presenza ovunque io vada.
Sono un fottuto egoista, lo so. Ma non ci posso fare niente.
<< Hai fame? >> mi chiede, e scopro di starci morendo, dalla fame, non metto niente sotto i denti da stamattina
dopo la colazione di Alan, fuorché la cioccolata con la panna che mi ha
preparato Mike << Bene... Le pizze sono a scaldare nel forno! >>
sorride compiaciuto << E ho preso anche le patatine fritte! >>
Cosa posso volere di più?
Mi bacia e mi fa sdraiare sul letto, stringendomi i fianchi, mi lascio andare
tra le sue labbra, sotto i suoi movimenti dolci, accoglienti, cadenzati, a
contatto con la sua lingua morbida, estasiante.
Lo amo.
Gli prendo il viso tra le mani, intreccia le dita con le mie, scambiandoci un
sorriso candido, intimo, interminabile.
<< Ti amo. >>
<< Prima o poi ti sposerò, Billie Joe
Armstrong. >>
*Fine*
*Livin Derevel spunta dal nulla*
Wiiiii, ma buonasera!:D Sorprese, vero? No? Ok, immagino che
qualcuno ormai avesse intuito questa mia mossa, dai, ormai ne avevo parlato a
iosa...
Beh, ci tengo a precisare che questo
è il mio personalissimo regalo di Natale per voi,
per me, e per i nostri due piccioncini protagonisti, siccome era da un bel po’
che non li si vedeva così sdolcinatamente insieme!U_U
In fondo il titolo era eloquente,
no?;)
Ok, ammettiamolo, non è una FF
bellissima (diciamo pure che fa un po’ schif), ma
credetemi, mi sono impegnata un sacco per scriverla!>_____< Non vi
rendete conto di quant’è stato difficile! Quindi spero che apprezzerete!U.U
P.S. Billie
possiede davvero un ciondolo a forma di mezzo cuore. Voi traete le vostre
conclusioni.
Obviously:
Questa
FF, seppur non bellissima, è dedicata a Eli, Shareal e QueenSeptienna.
Loro
sanno perché.;)
BuonNatale
Con tutto il cuore.