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Autore: amor    26/12/2010    0 recensioni
E se si invertissero i ruoli, se fosse lei ad essere bastarda e a non richiamare il giorno dopo e lui ad essere serio e imbranato, come andrebbe? Non più la dolce micetta che addomestica il leone, ma la fiera leonessa che si lascia guidare da un piccolo gattino.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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‘Giorno Bessa.’ , mi disse mentre mi sedevo dall’altra parte del tavolo di legno.
‘Ti rendi conto di diventare veramente fastidiosa quando mi chiami con quel diminutivo orribile?’
‘Perché? Non ti piace Bessa?’
‘No, per niente. Credo di averti chiesto almeno mille volte di chiamarmi An, Anna, o Bes al limite. Ma Bessa proprio no.’
‘Mi dispiace, io adoro chiamarti Bessa.’
Non riuscivo più a controbattere: quei battibecchi di primo mattino con la mia migliore amica mi estenuavano e mi facevano sentire già stanca, nonostante mi fossi appena svegliata. Alzai le mani in segno di resa e scossi la testa sbuffando. Sorrise, e si allungò per passarmi un cornetto. Lo addentai e cominciai a masticare affamata.
‘E quindi ci siamo divertite anche stanotte, come vedo.’ Guardò alle mie spalle, e mi girai nella direzione in cui era rivolta per capire a cosa si stesse riferendo. Così lo vidi: quel ragazzo, Cesare, se ne stava sull’arco della porta, in boxer, aspettando, non so cosa, ma mi guardava con aria oserei dire speranzosa.
Lo guardai, alzando  un sopracciglio, e subito dopo addentai nuovamente il mio cornetto, senza proferire parola e rigirandomi a guardare la mia migliore amica. Così lei, Dalila, penso bene di alzarsi e di presentarsi al tipo che ancora stava lì fermo con aria stralunata.
‘Scusala, appena sveglia è sempre un po’ acida’ la sentii sussurrare, ma neanche troppo piano, rivolgendosi al biondo in mutande. ‘Io sono Dalila, piacere.’
‘Piacere mio, Davide.’
Ah, non si chiamava Cesare.
Poiché il mio cornetto era finito e in meno di quaranta minuti sarei dovuta essere a lezione, decisi di interrompere quell’amabile teatrino. ‘Si, siete entrambi molto carini ed educati. Bravi. Ora, se non ti dispiace, Cesare io dov..’
‘Davide, sono Davide’, mi interruppe.
‘Si, volevo dire Davide. Comunque se non ti dispiace,  io avrei bisogno di una doccia ora e dovrei andare all’università, quindi..’
Mi interruppe di nuovo. Odiavo quando la gente osava bloccarmi mentre parlavo.
‘Quindi vengo anche io: una doccia non farà male neanche a me.’ Disse sorridente, con una faccia da ebete, mentre mi metteva una mano dietro la schiena.
Guardai con aria shoccata il suo braccio e mi scostai decisa.
‘Prima di tutto, non permetterti mai più di interrompermi mentre parlo. Seconda cosa, non farei una doccia con te neanche se mi pagassi, sia chiaro.’
‘Scusa, non volevo offenderti, ma stanotte sembravi così coinv..’
‘Sh, non lo dire neanche per scherzo – lo bloccai – Non ero coinvolta, era solo notte, e quello che si fa di notte, è un’altra storia. Ed ora, se non vi disturba troppo, andrei a fare questa benedetta doccia. Quando esco preferirei non trovarti qui Davide, ci siamo intesi?’ dissi, guardandolo negli occhi. Lui annuì.
‘Bene. Dadi tu invece, puoi restare.’ Dissi ironica a Dalila.
‘La ringrazio per avermi concesso il permesso di restare in casa mia, señora.’
‘ Non c’è di che, pequeña.’ Urlai mentre camminavo per il corridoio e mi dirigevo nel bagno della mia stanza.
Mentre aprivo l’acqua per lasciarla scorrere finché non diventasse calda e preparavo l’accappatoio da indossare una volta uscita dalla doccia, sentii Davide entrare nella stanza, rivestirsi ed uscire nuovamente.
Finalmente. Odiavo quando le persone mi si attaccavano addosso, si concedevano dei gesti di confidenza nei miei confronti. Mi infastidivano così tanto quei ragazzi che credevano di arrogarsi tranquillamente il diritto di trattarmi come una bambolina solo perché mi concedevo a loro con molta facilità. Non riuscivo proprio a capire perché non arrivassero a comprendere che io ero io, un mondo a parte, nel quale non avrei fatto entrare mai nessuno, se non Dalila. Mi sarebbe piaciuto capire perché le persone pretendevano sempre di capire cosa pensavo, come mi sentivo, e perché facevo ciò che facevo.
Entrai nella doccia e quel getto di acqua tiepida servì per rilassarmi. Ma come ogni cosa bella, poco dopo dovetti interrompere quel momento di relax. Uscii dopo qualche minuto dalla cabina, indossai l’accappatoio e mi diressi nella mia stanza, dove trovai Dalila intenta a riordinare.
‘Potrei capire perché ti piace trattare così male i ragazzi?’ mi chiese, in tono accusatorio.
‘Non capisco di cosa parli.’ , le risposi mentre mi massaggiavo la testa con un telo di spugna per asciugare i lunghi capelli rossi.
‘Non fare la bimba ingenua con me, non attacca.’
Sbuffai.
‘Devi smetterla di fare le stesse storie una mattina si e l’altra pure, Lila. Non si tratta di essere scorbutica, semplicemente mi da fastidio che i ragazzi si prendano confidenza con me, confidenza che nessuno poi ha dato loro.’
‘Certo che sei eccezionale! Tu ti fai abbordare, tu li inviti a casa tua, tu ci scopi tutta la notte e poi dici che si prendono troppa confidenza.’
Risi. Effettivamente raccontata così faceva un po’ ridere.
‘Mha, certo che sei strana. Sai come si dice qui in Italia? Che te la canti, e te la suoni pure da sola!’
Mi avvicinai a lei, raggiungendola davanti allo specchio, mettendole un braccio attorno alle spalle.
‘E sai come si dice da me in Spagna?’ le dissi mentre fissavo gli occhi del suo riflesso allo specchio.
‘Come?’
‘Niente, non si dice.’
E così dicendo mi diressi verso l’armadio. La sentii sbuffare.
‘Sei davvero molto simpatica, Bes.’ ,disse ironica.
‘Già, lo credo anche io.’
Scosse la testa, come in segno di resa.
‘Ok, alzo bandiera bianca, con te non c’è verso. Io esco, ho i corsi oggi e poi pranzo fuori con Ale. Ci vediamo direttamente stasera, ok?’
‘Ok Dà. A stasera.’
Mi stampò un bacio sulla guancia ed uscì, lasciandomi con aria perplessa davanti l’armadio a decidere cosa indossare per andare all’università. Non era di certo una grande occasione, ma mi piaceva essere sempre a posto. In realtà mi piaceva sempre essere guardata da tutti: donne, professori, compagni di corso. Chiunque. E so che lo facevano, so che mi guardavano, li vedevo. Bastava passarmi una mano tra i capelli e potevo vederli deglutire. Ero bella, lo sapevo e me ne vantavo. Non peccavo mai di finta modestia. Insomma, avrei perso di credibilità se mi fossi considerata solo carina nel mio metro e settantaquattro, nei miei lunghi capelli rosso acceso e nei miei grandi occhi verdi, nelle mie labbra piccole e carnose, nelle mie poche e piacevoli lentiggini sul mio nasino alla francese, per quanto invece io fossi spagnola.
Anbessa Smeraldo, ecco chi ero: una ventenne spagnola nata a Madrid da mamma madrilena e padre romano, spedita da qualche mese a Roma a vivere con la sua migliore amica romana, figlia di una collega di papà.
‘Lo faccio per te, tesoro. Ti vedo parecchio sbandata da quanto è morto papà, è meglio che tu stia lontano per un po’.’
Bella storia. Mia madre, la persona che avrebbe avuto il dovere di starmi vicino nei momenti difficili, si era defilata definendomi ‘parecchio sbandata’ e spedendomi in un altro Stato. E io neanche mi ero opposta: cosa c’era di meglio che condividere una splendida città e un bell’appartamento sul Lungotevere con la migliore amica di una vita? Nulla, e così avevo preparato le valigie in meno di una settimana ed ero partita. Erano ormai 7 mesi che non la vedevo, che non guardavo negli occhi mia madre e neanche mi mancava più di tanto. Più che altro, non potevo fermare le lacrime tutte le volte che pensavo a papà …
Quei pensieri tristi furono interrotti dallo squillo del mio telefonino, un sms.
‘Ti aspetto alle 14.00 al solito bar vicino Termini, Ale porta un amico.. magari è la volta buona! A dopo.’
Sorrisi scuotendo la testa. Dalila ancora non si era stancata di giocare al “troviamo un fidanzato a Bes”. Erano mesi che cercava di presentarmi ragazzi, amici di Ale, il suo fidanzato ormai da tre anni, proprio un bravo ragazzo. Ad ogni ragazzo che mi faceva conoscere, sperava che scattasse la scintilla, che si ponesse così una fine a quella che lei chiamava ‘inquietudine sentimentale post trauma’. Mha, non credo fosse una patologia o una sindrome effettivamente esistente. Ma cosa poteva saperne Dalila, in fondo era solo una studentessa del secondo anno di Storia e Filosofia, mica una psicologa. Guardai il cellulare, da lì a venti minuti sarei dovuta essere in aula: diritto privato mi attendeva a braccia aperte. Buttai la testa all’indietro per rilassarmi e concentrarmi su cosa indossare. Scelsi una extrapull verde scuro lungo fino a metà coscia, delle calze beige ricamate e i miei adorati UGG color crema. Qualche bracciale, un paio di anelli, la collana di papà, la sciarpa, la borsa ed ero pronta per uscire. In meno di quindici minuti ero già seduta nell’aula, fortunatamente un mio compagno di corso vedendomi arrivare mi aveva ceduto il posto. A volte pensavo a come dovesse essere difficile la vita delle ragazze brutte.
 
‘E lei è la mia migliore amica Anbessa, ma puoi chiamarla Bes.’
‘Ciao.’ dissi scocciata.
‘Piacere mio, io sono Valentino.’ , l’amico di Ale mi stava di fronte sorridente mentre allungava la mano, in attesa che gliela stringessi con la mia. Dopo averlo guardato a stento, mi andai a sedere al mio posto al solito tavolo del solito bar in cui solitamente pranzavamo io e Dalila dopo l’università. L’unico gesto che ebbe come risposta fu una delle mie battutine acide.
‘Ah Valentino come lo stilista, quello gay.’
‘Bessa non cominciare.’ Mi ammonì Dalila mentre si sedeva a fianco a me.
‘Lila non fare l’omofoba su, non c’è nulla di male ad innamorarsi di uno dello stesso sesso, vero Vale?’ dissi guardando quel ragazzo imbarazzato che si stava sedendo di fronte a me.
‘Bhe immagino di si, insomma.. io non sono gay ma se lo fossi, voglio dire, non avrei nessun problema, ma non lo sono, cioè..’
Arrancava nella speranza di salvarsi dalla magra figura che gli stavo facendo fare. Povero amore.  Per sua fortuna gli venne in aiuto il cameriere che arrivò per prendere ordinazioni. Come al solito io non presi nulla da mangiare, solo un caffè rigorosamente schiumato.
I  minuti scorrevano via un po’ lenti, in fondo non era come preferivo trascorrere il mio tempo: a pranzo fuori, costretta a chiacchierare con uno sconosciuto, carino ma privo di fascino e personalità. Uno scemo qualunque. E secondo Ale e Dalila quello sarebbe potuto diventare il mio fidanzato? Mi sentivo sottovalutata e ferita nell’orgoglio.
Mentre quel tipo assurdamente anonimo seduto di fronte a me parlava di qualche argomento altrettanto insignificante ed io non mi sforzavo neanche di fingere di starlo ad ascoltare, il cameriere arrivò con la roba che avevamo ordinato.
Guardai quel ragazzo che stava in piedi dall’altra parte del tavolo, con un vassoio tra le mani, un grembiule allacciato in vita e una camicia piuttosto sporchina addosso. Capelli castano scuro di media lunghezza e occhi azzurri, azzurrissimi, coperti da un paio di occhiali da vista neri, forse dal vetro troppo squadrato e doppio. Doveva essere nuovo, non lo avevo mai visto lavorare in quel locale.
‘Schiumato?’ domandò prendendo il mio caffè dal vassoio. Alzai appena una mano per far cenno di passarmi la tazza. Nell’allungarsi per passarmi la tazzina, urtò con l’addome la lattina di Coca Cola aperta sul tavolo, che cadde e si rovesciò quasi interamente sul mio bellissimo extrapull.
‘Cazzo!’ esclamai ritraendomi con la sedia, ma era già troppo tardi: ero completamente bagnata di Coca.
‘Oddio scusami, non volevo, perdonami.’ Il cameriere dagli occhi blu cercava di scusarsi, tremendamente mortificato.
‘Aspetta prendo un paio di fazzoletti ed uno smacchiatore, torno subito.’
Lo bloccai, avrebbe potuto combinare altri disastri, sembrava parecchio imbranato.
‘Non ti preoccupare. Il danno ormai è fatto. Lo porterò in lavanderia più tardi, di certo uno smacchiatore non risolverà il guaio che hai combinato. Evita di farne altri, ti prego.’ gli dissi mentre mi risistemavo al tavolo.
Il ragazzo si irrigidì come risentito e cambiò totalmente tono quando mi rispose, sembrava addirittura sicuro di sé nel parlarmi.
‘Ti ho solo rovesciato un po’ di Coca sul maglione e ti ho pure chiesto scusa. Non mi sembra il caso che ti rivolga in maniera così sgarbata. Tutto ciò che posso fare è non farti pagare il caffè e pagare le spese della lavanderia.’
Rimasi di stucco. Come si permetteva di parlarmi in quel modo?
‘Senti tesoro, cerca di comportarti da cameriere gentile e servizievole, che questo è il tuo compito ed evita di fare il presuntuoso con me, se ti va ancora di lavorare qui dentro.’ gli dissi tranquilla, mentre prendevo a sorseggiare il mio schiumato. Credevo che quella ridicola discussione con quello sconosciuto finisse lì, ma mi sbagliavo di grosso.
‘Io faccio quello che mi pare, e non sarà una stupida ragazzina viziata a dirmi cosa devo o non devo fare.’ , lo guardai shoccata mentre finiva di parlare e distribuiva i panini ai miei amici.
‘Se vi serve qualcosa, basta un cenno. Buon appetito.’ disse meccanicamente, mentre si allontanava.
Subito Dalila mi si avvicinò. ‘Questa volta sei andata veramente oltre. Ma come ti viene in mene di denigrare così, gratuitamente qualcuno che non conosci nemmeno?’ , sembrava abbastanza arrabbiata, seppure parlasse a bassa voce per non farmi fare brutta figura davanti agli altri.
‘Mi aveva sporcato il maglione. – dissi mentre sorseggiavo disinvolta il caffè – e poi gli ho detto solo la verità. Se continua a comportarsi così con le clienti, presto le perderà tutte.’
‘Comunque sia, hai esagerato. Dovresti scusarti.’
‘Ma non ci penso neanche lontanamente!’
‘E invece dovresti. Se continui a comportarti così, sarai tu a rimanere sola, non quel tipo senza clienti.’
Rimanere sola.
Posai la tazza nel piattino e, dopo aver riposto una banconota da dieci euro sul tavolino, feci per uscire. Ale provò a bloccarmi per un braccio. Mi girai a guardarlo, rispondendogli semplicemente con uno sguardo più che eloquente, così mi lasciò andare. Uscii dal locale urtando un paio di persone, senza neanche chiedere scusa, e così mi trovai in strada sotto la pioggia, da sola.
  
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