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Autore: Nightingale    28/12/2010    2 recensioni
Ormai è un anno, e io piango a dirotto per lui.
È un anno, e sembra sia passato un giorno.
È un anno, e tutto è cambiato.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non piansi quando mi dissero quello che era successo. Non piansi perché non potei farlo, capii immediatamente che avrei dovuto sostenere mio marito. Che non ce l’avrebbe fatta da solo.

La notizia ci sconvolse, ma non dirò che nessuno se lo sarebbe mai aspettato, non lo dirò perché non è così. Tutti noi sapevamo che lui ci avrebbe lasciati prima o poi.

Tutti noi temevamo l’arrivo di quel maledetto giorno, e tutti sapevamo che si stava avvicinando, dopo aver letto il testo di “fiction”. Cazzo, il titolo originale non era neanche quello, era “death”, e non era un caso.

Lui era entusiasta di quel pezzo, lo amava e continuava a dirci che avremmo spaccato con il nuovo album, che avremmo cambiato le cose.

Io mi soffermavo su una frase: “now I think I understand how this world can overcome a man”.

Leggevo il testo e la parte su cui mi soffermavo era sempre quella. Avevo paura di quel pezzo, non lo dicevo a nessuno ma lo vedevo come le sue ultime parole.

Credo che tutti avessero una strana sensazione riguardo a quella canzone, ma nessuno voleva parlarne, e lui era così bravo a recitare, così convincente da portarci a dimenticare il nostro dubbio.

Un dubbio atroce.

Poi arrivò quella chiamata. La mattina del 28 Dicembre 2009 squillò il nostro telefono di casa.

Era appena passato il Natale, e lo avevamo festeggiato tutti insieme, come la grande famiglia che eravamo sempre stati. Ogni tipo di paura o fantasma sembrava essere stato allontanato da noi in quell’atmosfera di felicità e amore. Non era così.

Squillò il telefono quando ancora eravamo a letto, e mio marito si alzò per andare a rispondere, dopo avermi depositato un bacio sulla fronte. Lo vidi alzare la cornetta con aria serena, poi cambiare espressione. Sbiancò, e io capii subito cosa era successo. Disse altre due parole e poi mise giù.

Rimase lì, in piedi, a fissare il telefono per non so quanto. Io mi alzai e lo raggiunsi.

Non gli chiesi cos’era successo. L’unica cosa a cui pensai fu quella frase.

Lo abbracciai da dietro, e dopo un po’ che eravamo così, si girò per guardarmi.

<< Jimmy.. Jimmy è.. è morto Val.. Lui.. >>

Non riuscì a continuare. Le lacrime iniziarono a scorrergli lungo le guance, e io le raccolsi una ad una, incapace di parlare. Cosa avrei potuto dire?

Era morto. Il suo migliore amico, una delle persone a cui teneva di più in assoluto era morto, l’aveva lasciato solo. Provai rabbia, non lo nego, mi incazzai parecchio con Jimmy.

Come aveva potuto fare una cosa simile? Come? A Matt, al mio dolce marito che ora stava lì in piedi di fronte a me, distrutto. Ai ragazzi, a Brian, a Zacky, a Johnny..

Cazzo Jimmy come hai potuto farlo?

Pensai che, se lo avessi avuto di fronte, gli avrei tirato un calcio nel sedere per quello che aveva fatto. Poi realizzai che non avrei mai più potuto prenderlo a calci, né abbracciarlo, né sentirlo ridere,..

Non ci sarebbe più stato per nessuno di noi.

Dopo 5 minuti squillò nuovamente il telefono. Risposi io, e Dio solo sa quanto avrei voluto essermi alzata anche prima per rispondere. Era Michelle, mia sorella, in lacrime.

<< V-Val.. Io.. Oddio come facciamo? >>

Solo mia sorella avrebbe potuto pormi una domanda simile. Le dissi di venire con Brian a casa nostra, e di dirlo anche a Zacky  e a Johnny.

Non volevo perderne di vista neanche uno.

Dopo neanche mezzora erano tutti lì.

Michelle e Gena continuavano a piangere, Zacky non riusciva a trattenere qualche lacrima e Johnny piangeva come una fontana. Brian no.

Aveva i lineamenti contratti e un’aria sofferente, ma non piangeva.

Fu una giornata terribile e infinita.

Alle tre di notte finalmente Matt riuscì ad addormentarsi, sempre tenendomi vicina a lui, come aveva fatto tutto il giorno, quasi avesse paura di perdermi.

Io rimasi sveglia a pensare a quello che sarebbe stato.

A quanto le cose sarebbero cambiate da quel giorno.

Ripensai a tutto il tempo che avevamo passato insieme, a tutte le bevute che avevamo fatto insieme, a tutte le volte che lo avevo visto ridere e che ci avevo scherzato.

Ripensai a lui, ai suoi occhi, al suo sorriso, alla sua capacità di starti vicino e tirarti su il morale senza fare praticamente niente.

Nessuno di noi era riuscito a fare lo stesso con lui, con Jimmy.

Ci avevamo provato, in ogni modo avevamo tentato di colmare quel vuoto che si portava dentro e che avevamo paura finisse per distruggerlo, ma non ci eravamo riusciti.

Alle 5 Matt si svegliò di soprassalto, e si aggrappò a me come se fosse un bambino. Poi iniziò a parlare.

Mi raccontò tutto quello che avevano fatto insieme, ogni cazzata, ogni rissa, ogni bevuta, ogni santa volta che avevano riso insieme. Mentre lo faceva, le lacrime ripresero a scendere, ma non lo fermai né lo abbracciai, capivo che aveva bisogno di parlare.

Alla fine, alzò lo sguardo verso di me e mi disse quello che io sapevo stava pensando. Quello che ero certa tutti stessero pensando, me compresa.

Era colpa nostra? Era qualcosa che abbiamo fatto? Non ti eravamo stati vicini a sufficienza?

Lo abbracciai, e gli risposi che sicuramente non era così, che Jimmy ci amava e sapeva quanto tutti noi tenessimo a lui.

In realtà, non ne ero affatto certa, ed è una domanda che ancora oggi mi assilla.

Perché l’hai fatto, Jimmy? Perché non ci hai dato la possibilità di prenderci carico della cosa?

Perché ci hai fatto questo?

Non piansi per tutto quel giorno e quello dopo ancora, non potevo permettermi di mostrarmi debole con nessuno. C’era bisogno di qualcuno che si dimostrasse forte.

Io ero l’unica che riusciva a farlo, ma dentro soffrivo come non mai nel non riuscire, nel non poter esternare il mio dolore. Ma capivo di dover essere il punto di appoggio di Matt, che, invece, era stravolto dal dolore.

Avevo paura a lasciarlo solo, passai dei giorni terrorizzata all’idea che potesse commettere una pazzia per il dolore, per averlo perso. Jimmy lo aveva abbandonato, e io temevo di non essere abbastanza.

Non lo perdevo mai di vista, e la notte non riuscivo a dormire per l’ansia.

Dopo una settimana, Brian venne in camera nostra, dove ero andata solo un momento per prendere una cosa, mentre Matt era con Zacky e Johnny in salotto, entrò e si chiuse dietro la porta.

Poi spalancò le braccia nella mia direzione e mi fece cenno di venire da lui.

Scoppiai a piangere e lo strinsi forte, mentre le lacrime cominciavano a rigargli il volto.

Io avevo dovuto mostrarmi forte anche al posto di Matt, lui aveva dovuto farlo per Michelle.

Nessuno dei due aveva ancora versato una sola lacrima in quella lunga settimana.

Piangemmo a lungo e silenziosamente, poi ci sistemammo e scendemmo per raggiungere gli altri.

Quella fu la prima volta che piansi per Jimmy, e per un lungo mese non una sola lacrima scese dai miei occhi.

Ad inizio febbraio i ragazzi decisero di registrare l’ultimo album per lui, e le cose ripresero ad andare avanti.

Lentamente, ma avanzavano. Era difficile, i primi tempi litigarono spesso, più volte qualcuno se ne andò abbandonando lo strumento o urlando, ma a volte potevi anche vedere un sorriso sui loro volti, ed era sempre quando parlavano di lui o di qualche cazzata che avevano fatto insieme a lui.

Un giorno, quando le operazioni di registrazione dell’album erano ormai iniziate e procedevano, stavo preparando la cena, quando Matt fece irruzione in cucina con aria sconvolta.

<< Val, amore.. Io.. >>

Non capii subito a cosa si riferisse, solo quando mi abbracciò e mi sussurrò qualcosa come << Lui era anche amico tuo.. >> realizzai che si era accorto che non avevo mai versato una lacrima per lui.

Allora piansi, e piansi tanto tra le braccia di mio marito, singhiozzando in modo convulso e stringendomi a lui. Da quella volta è passato tanto tempo, e ho pianto per lui molte altre volte, libera.

È un anno esatto dal giorno della sua morte, ma nessuno di noi ancora ha trovato una risposta al suo gesto.

Non doveva farlo, non ne aveva il diritto.

Non aveva il diritto di distruggerci così, di farci vivere una vita con il pensiero costante di non aver fatto abbastanza, di aver sbagliato qualcosa, di essere stati noi la causa.

Non l’ho mai detto, ma dentro di me ti ho rimproverato tanto, tantissimo per quello che hai fatto.

Ormai è un anno, e io piango a dirotto per lui.

È un anno, e sembra sia passato un giorno.

È un anno, e tutto è cambiato.

 

  
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