Pomme d’api
rouge.
- Pomme de renette- canticchia a voce
bassa, lasciando cadere la buccia scarlatta della mela sul tavolo – et pomme d’api- taglia una fetta di mela
e sorride osservandola alla luce del sole – d’api,
d’api ruoge.
Si volta
verso di lei – Vuoi una fetta di mela?
Lei lo
guarda dal suo angolino buio, borbottando un sentito invito a infilarsi la mela
in qualche pertugio non ben specificato.
- Oh-
dice lui – allora me la mangio io.
- Fai
pure.
Lei
resta a guardarlo mentre mangia – Quand’è che mi liberi?- domanda tirando la
lunga catena che la tiene bloccata in quella stanza.
- Un
giorno.- dice lui sorridendo. Si taglia un’altra fetta di mela – Sicura di non
volerne?
- Non
voglio nulla da te.
-
Dovresti mangiare. Le donne quando non mangiano diventano brutte.
- Come
se non lo sapessi- dice lei– non è né la prima né l’ultima volta che resto
senza cibo.
- Ma non
avere nulla da mangiare è diverso dal rifiutare il cibo. Rifiutare il cibo è
stupido. – afferma lui con quella bella voce suadente, porgendole ancora la
fetta di mela.
Lei
guarda la fetta di mela in silenzio, l’occhio verde che scintilla nel buio.
Allunga
una mano di scatto e artiglia la fetta di mela, cacciandosela in bocca e
deglutendola quasi senza masticarla – L’invito a prendere il resto della mela e
schiaffartela in quel posto non è revocato, sia chiaro.- bofonchia rientrando
nel suo angolino buio.
Francia
le sorride – Ne terrò conto.
Perugia
si annoia. La stanza è invasa dal sole e lei non riesce a fare altro che
arretrare sempre di più nel suo angolino buio.
Presa
dalla noia abissale inizia a rotolarsi lentamente su se stessa, ottenendo solo
di sporcarsi gli abiti di polvere e avvolgersi la catena attorno al corpo.
Francia
la guarda, sollevando lentamente un sopracciglio – Ti sporchi.
- Pazienza.
Perugia
lo guarda dal pavimento. Durante quei tre minuti di agitazione la benda si è
spostata e ora Francia riesce a vedere una parte della cicatrice rosata che le
attraversa l’occhio destro.
- Ti fa
senso?
- No,
direi di no.
- Bene.
Lei
guarda il soffitto. Francia guarda lei. Entrambi dubitano che il soffitto possa
guardare qualcuno, ma se potesse di sicuro guarderebbe Francia.
- Pom- canticchia la donna a voce bassa –pomé di
renato…?
Francia
la guarda in silenzio per qualche secondo, prima di iniziare a ridere. Le lacrime
gli riempiono gli occhi e non vede bene, ma è sicuro che lei stia sorridendo.
Perugia
lo guarda battendo più volte il piede a terra – Quindi me ne vado.- dice
Francia sorridendo e porgendole la catena da cui pende il collare di ferro spezzato.
Perugia
si strofina il collo sotto l’alto colletto rigido della divisa scarlatta,
scoccandogli uno sguardo in grado di pietrificare l’acqua – Ladro.
- Mia
cara, non è colpa mia. Il mio Imperatore desidera arricchire la sua Terra con
le più fini opere d’arte.
-
Rubandole.
- Si
dice “prendere in prestito”.
- Quando
non si programma la “restituzione”
del prestito, allora esso si chiama “furto”.
- Finezze
linguistiche.
-
Ladrocinio.
- Come
vuoi, Pérouse .
Perugia
lo guarda mentre sale sul suo cavallo. Francia ha un cavallo bianco e sembra un
principe vero, di quelli che risplendono di luce propria e che possono anche
rotolarsi nel fango senza sporcarsi mai, protetti magicamente dal lordume.
Perugia
accarezza il muso del suo cavallo, un baio marrone smagrito che la guarda con gli
occhi spenti di chi non si aspetta molto dalla vita. Perugia si perde un
momento negli occhi del cavallo e si rende conto che se Francia sul suo cavalo
bianco sembra un principe, lei col suo cavallo baio sembra un soldato appena
tornato dalla battaglia.
D’improvviso
si sente stanca, stanca da paura. Stanca perché non si ricorda quanto tempo ha
passato chiusa in quella stanza con Francia che cantava quella canzone sulle “ranette”ma quel tempo è bastato a far nascere
in tutti una speranza nuova.
Ma in
fondo quella speranza non è nuova e lei se la trascina dietro come un fardello
da tantissimi anni.
Perugia
lo guarda andare via. Sorride, tirando le redini del suo cavallo baio stanco
del mondo – Pom- si ferma e poi
riprende tranquilla – Ponte ponente ponte
pì, tappe tapperugia…
Canticchia
quella canzone stupidamente storpiata mentre il vento le soffia contro.
Libertà. Quella parola le rotola sulla
lingua ed è dolce come miele. Libertà.
Presto sarà sua.
E quando
sarà libera andrà da Francia, sorriderà, lo ringrazierà e gli richiederà
indietro tutti i suoi quadri. Ha già in programma di portargli il vino
migliore, i tartufi e il moschetto, per convincerlo a collaborare alla restituzione.
A.Corner__
(ergo:
notizie spicciole per una migliore comprensione della storia)
La celeberrima
conta “ponte ponente ponte pì tappe taperugia” viene
dalla canzoncina francese per bambini “pomme de renette pomme d’api, d’api d’api rouge”.
I
francesi hanno occupato Perugia nel 1797 in attesa del pagamento di un riscatto
da parte della Santa Sede. Intanto che aspettavano il riscatto, i francesi si
sono ciulati un bel po’ di bella roba. Metà non è mai
tornata, quella che è tornata è finita in gran parte nei musei vaticani.
Perugia
ha sempre avuto le voglie di libertà, sebbene sia sempre stata costretta a piegarsi
sotto questo o quel dominatore fin dai tempi dei romani. Non per questo la
città ha smesso anche solo una volta di ribellarsi.
Perugia
cade sotto il dominio pontificio nel 1370 e se ne libera nel 1860 con l’annessione
al neonato Regno d’Italia. Decisiva fu l’esperienza napoleonica che diede ai
perugini nuovi desideri di libertà e di riscatto, risvegliandoli dal torpore di
cinquecento anni di dominio papale.