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Autore: LondonRiver16    31/12/2010    2 recensioni
- Sei l’unico parente vivo che mi sia rimasto al mondo, Mikey, perché ti rifiuti di capire quanto tu sia importante per me? – Non si voltò e preferì continuare a fronteggiare il fratello, ma puntò il dito alle proprie spalle per indicare il più giovane del gruppo. – Il padre di Frank me lo ha affidato in punto di morte, d’accordo? Mi ha affidato la vita di suo figlio! E voi vi divertite a rischiare di essere ammazzati!
Genere: Azione, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Make a wish when your childhood dies[1]

 

I. I’ll keep you safe inside[2]

 

Disclaimer: I protagonisti della storia non mi appartengono, se no sarei una mercante di schiavi; i fatti sono tutti frutto di una mia personalissima indigestione di ieri sera che mi ha fatto stravedere; soldi non me ne danno altrimenti a quest’ora sarei a seguire i MCR in tour. Buona lettura! ^o^

 

 

Gerard stava percorrendo a grandi falcate i due metri di lunghezza della cucina, su e giù, incessantemente, borbottando bestemmie e digrignando i denti in cerca di una vittima da mordere.

Più o meno ogni cinque secondi, seguendo il timer del proprio nervosismo, alzava lo sguardo da terra per rivolgerlo al display illuminato della sveglia da comodino appoggiata accanto al microonde; sembrava che il mondo si fosse fermato sulle due e quaranta del mattino.

Ebbe un moto di rabbia inconsulto e lo sfogò dandosi una manata sulla coscia, dato che riteneva l’urlare una pessima idea nelle proprie condizioni di fuggitivo e relegato in casa alla stregua di un sovversivo ebreo all’epoca dei nazisti.

- Le prendono – ripeteva ogni tanto fra sé e sé, come una minacciosa litania, come una consolazione per se stesso e la propria ansia. – Sì, sì, questa volta le prendono, ora basta! Giuro sulla mia testa che stavolta…

Era trascorsa una quarantina di minuti da quando si era risvegliato solo nel letto matrimoniale sfasciato del primo piano, scosso da un incubo. Turbato dal silenzio gelido che abbracciava l’appartamento e dalla mancanza del solito respiro pacato accanto a sé, aveva allungato un braccio verso destra, pregando qualsiasi divinità esistente di fargli sentire sotto le dita ciò che avrebbe voluto trovare, la solita pelle liscia.

Ma, neanche a dirlo, era rimasto deluso. Nel lato del letto dove di solito dormiva Frank le lenzuola erano fredde e nel mezzo del cuscino c’era un solco che ricordava la sua messinscena di qualche ora prima.

Allora Gerard era balzato in piedi e aveva attraversato di corsa i pochi metri che separavano la loro camera da quella di Mikey, ma non era stata proprio una sorpresa scoprire che anche il letto del fratello era vuoto e freddo.

Aveva rivoltato armadi, letti e cuscini, ma non aveva trovato nulla. Nessun biglietto, nessun messaggio, nessun indizio che gli potesse suggerire in che guaio si erano andati a cacciare quei due.

L’unica cosa che notò e che non fece che aumentare la sua apprensione fu la mancanza delle maschere e delle pistole di Mikey e Frank.

E ora era in cucina, impotente e stanco di esserlo, gli occhi lampeggianti d’ira e le mani che prudevano a tal punto che presto tutto il suo autocontrollo non sarebbe bastato a trattenerlo dal prendere a pugni la parete.

Le maschere! Le pistole!, rifletteva, stremato. Doctor D. non avrebbe mai dovuto permettergli di tenere delle armi, a quei due mocciosi. Io non avrei mai dovuto permetterglielo! Si sono montati la testa! Credono di fare gli eroi mentre potrebbero essere uccisi con tanta facilità…

Dopo pochi altri minuti in quelle condizioni sentì l’estremo bisogno di sedersi e prese posto al vecchio tavolo della cucina per poi affondare il volto nelle mani a coppa.

- Deficienti… imbecilli… idioti! – bofonchiò, mangiandosi le parole nell’assurdo tentativo di ricacciare in gola le lacrime.

In testa gli rimbombarono le parole di un uomo disperato, che sapeva di stare per perdersi per sempre nella valle delle ombre e covava come unico desiderio quello di sapere suo figlio al sicuro dal medesimo destino.

“Ti prego… ti prego, occupati di lui…”.

Gerard si passò le dita tra i capelli e batté la fronte contro il tavolo con impietosa violenza.

- Mocciosi maledetti…

Fu in quel momento che gli parve di udire un accenno di passi che sembrava provenire dal vicolo appena fuori casa e alzò la testa di qualche centimetro, tendendo l’orecchio per distinguere meglio i rumori esterni. I passi s’interruppero e un pugno chiuso cominciò a bussare secondo il ritmo stabilito: due colpi energici e altri cinque appena accennati che ebbero il potere di far sobbalzare Gerard.

Nella fretta di correre alla porta il ventitreenne incespicò nella gamba del tavolo e rischiò di rovinare sulle piastrelle del pavimento, ma all’ultimo momento riuscì a tenersi in piedi e si precipitò a spalancare la porta senza neppure preoccuparsi di sbirciare dallo spioncino.

Sulla soglia c’era un ragazzo più giovane e più basso di lui e talmente intabarrato che solo alcuni parti del viso lasciate scoperte permettevano di riconoscerlo, primi fra tutti i due grandi occhi verdi che sbucavano dall’orlo della sciarpa e non nascondevano l’aria colpevole.

Cappuccio in testa, lungo cappotto verde militare a proteggerlo dal freddo fino quasi alle ginocchia, pantaloni neri, scarpe da ginnastica ai piedi, tasche rigonfie ai cui angoli si intravedevano i lacci della maschera e l’impugnatura della pistola. Frank era a casa, salvo e apparentemente non ferito.

Gerard sentì il nodo dell’inquietudine che gli aveva irrigidito i muscoli sciogliersi un poco e il sollievo improvviso lo rese meno pallido in volto, ma un attimo dopo il furore accumulato nell’ultima mezz’ora trascorsa a consumarsi il fegato per la preoccupazione s’impadronì di lui, e Frank parve accorgersene, perché portò le mani avanti.

- Gee, giuro, posso spiegarti tutto tutto tutto, non arrabbiarti…

- è un po’ tardi per questo, non credi? – ringhiò di rimando l’altro, per poi ghermirlo per un braccio e tirarlo in casa senza tanti complimenti. – Entra, coglione, sbrigati.

Rientrarono entrambi e Gerard si chiuse la porta alle spalle con tanta forza che le pareti malandate tremarono tanto quanto Frank, che incontrando il suo sguardo ebbe il moto istintivo d’indietreggiare fino a incontrare la parete.

Gli occhi di Gerard saettarono in direzione delle sue tasche mentre avanzava verso di lui, i pugni chiusi e le braccia tese lungo i fianchi.

- Serata pacifica, eh? Ora mi verrai a dire che sei solo andato a berti una birra!

- Gee, lasciami spiegare, era la prima volta che avevamo informazioni sicur-…

Ma il ceffone che lo colpì in pieno viso, mandandolo a sbattere contro il muro, interruppe bruscamente la sua spiegazione tartagliata. Il più piccolo sussultò, si portò una mano alla guancia paonazza e diresse lo sguardo tradito verso Gerard, il quale non si sottrasse.

- Era la prima volta che sentivo la voglia, il bisogno e il dovere di metterti le mani addosso – Lo afferrò per il bavero della giacca e lo scosse, sfogandosi, avvicinando il viso al suo senza l’affetto che solitamente lo spingeva a cercare il contatto con le sue labbra. – Mi è venuto… un infarto quando non ti ho trovato accanto a me nel bel mezzo della notte… credevo di essere stato chiaro riguardo a queste sortite notturne che sembrano tanto coraggiose, tanto eroiche a te e Mikey… quel disgraziato dov’è?

Una voce cupa giunse dall’ingresso: - Sono qui.

Voltandosi, Gerard riconobbe la figura smilza di suo fratello ancora prima che si togliesse la maschera da Killjoy. La sua giacca era già sull’attaccapanni, la pistola riposta nella fondina attaccata ai jeans scuri, gli occhi fissavano il fratello maggiore con un misto di riprovazione e arroganza.

Ma era vivo, vivo e miracolosamente intatto anche lui.

- Dove siete stati? – domandò Gerard furente, avvicinandosi a lui di un paio di passi.

- Sono certo che Frank te l’avrebbe già spiegato se non l’avessi aggredito – si limitò a commentare Mikey, alzando le spalle come se la faccenda non lo riguardasse.

- Non fare lo strafottente con me! – abbaiò allora il maggiore. – Non sai quanto sono stato in ansia, vi credevo già morti e nelle schiere della BL sotto forma di draculoidi, o peggio, messi sotto tortura nei loro laboratori! Sono responsabile delle vostre vite e voi vi permettete di scappare come adolescenti in crisi perché credete che sia figo andare a sparare qualche colpo con quelle pistole! Non sono giocattoli! Sei l’unico parente vivo che mi sia rimasto al mondo, Mikey, perché ti rifiuti di capire quanto tu sia importante per me? – Non si voltò e preferì continuare a fronteggiare il fratello, ma puntò il dito alle proprie spalle per indicare il più giovane del gruppo. – Il padre di Frank me lo ha affidato in punto di morte, d’accordo? Mi ha affidato la vita di suo figlio! E voi vi divertite a rischiare di essere ammazzati!

Per qualche secondo Mikey tenne il capo chino e rimase in silenzio, così che l’unico rumore in corridoio fu l’ansimare di Gerard, ma poi trovò il coraggio per replicare.

- Il fatto è… che abbiamo ricevuto notizia che stanotte la BL aveva in programma di trasferire Grace in un altro edificio, perciò abbiamo pensato che fosse il momento giusto per muoversi.

- Notizia! Avete ricevuto notizia! Non avete pensato neanche per un momento che potesse essere una trappola?

- Ecco – continuò Mikey. – Non ti abbiamo detto nulla proprio perché sapevamo che avresti reagito così.

- Be’, comunque sia mi sembra che la vostra grande missione sia finita male – osservò Gerard, volutamente pungente, allargando le braccia per poi farle ricadere di colpo. – Sorpresa, Grace non è qui, o la tieni sotto alla maglietta?

Mikey lo fissò con assoluta serietà.

- Non ci siamo andati, Gee – confessò, evidentemente umiliato dalle sue stesse parole. – Eravamo a più di metà strada verso l’edificio designato, ma poi Frank ha cominciato a dire che si trattava di farti un torto troppo grosso, che se tu ti preoccupi per noi è per un motivo serio e… insomma, ha rotto così tanto che alla fine ho rinunciato anch’io e ho accettato di tornare a casa.

Finalmente Gerard si rese conto del terribile sbaglio commesso e si girò di scatto verso Frank con un’espressione desolata solo per scoprire che il moro stava già correndo su per le scale, che stava scappando da lui mentre singhiozzi malcelati rimbombavano nella casa muta.

- Frank, aspetta!

Gerard lo rincorse su per i gradini, ma dopo qualche passo tornò a girarsi verso il fratello minore per puntargli contro un indice accusatore: - Il discorso non è chiuso, Mikey!

Il giovane fece spallucce e alzò gli occhi al cielo per esprimere quanto poco timore gli suscitava quell’intimidazione, entrò in cucina per farsi una tazza di caffè e lasciò Gerard a inseguire Frank.

Quando Gerard giunse al piano superiore non si sorprese di trovare la porta della propria camera sbarrata e chiusa a chiave, ma non si trattenne dallo sbatterci contro entrambi i pugni e avvicinare le labbra alla serratura per esclamare: - Frank, apri!

L’assenza di risposte dall’altra parte fece sì che la rabbia rimontasse per qualche attimo.

- Piantala di fare il ragazzino e apri questa dannata porta! – Batté il pugno contro il battente con più furia di prima, facendolo tremare. – Hai diciannove anni, cazzo, non puoi chiuderti in camera tua come un adolescente! frank, alza il culo e vieni ad aprire questa fottutissima porta! frank!

Dopo aver urlato per qualche minuto si ritrovò senza fiato e senza forze e si accasciò lungo il muro accanto alla porta. Si sentiva esausto, come se ad un tratto tutta la stanchezza accumulata in settimane gli fosse crollata addosso; e si sentiva un infame per aver alzato quella mano, per aver gridato quelle cose.

Ancora una volta si avvicinò alla porta.

- Frankie – chiamò con tono normale. – Mi lasci entrare, per favore? Ho bisogno… ho bisogno di parlarti.

Attese qualche secondo, udì dei passi farsi più vicini dall’interno, poi la sua voce, ancora rotta, ancora roca.

- Ti sei calmato? – chiese con una punta di rimprovero.

- Sì.

Gerard sentì la chiave girare nella toppa e vide la porta socchiudersi, ma attese ancora qualche secondo prima di alzarsi da terra e varcare la soglia.

La poca luce presente nella stanza filtrava attraverso le ragnatele che avvolgevano la lampada sul comodino di Frank e, accompagnata com’era dai mobili antichi e carichi di polvere a cui si erano dovuti adattare nelle ultime due settimane, rendeva l’atmosfera abbastanza lugubre. Frank era disteso sulla sua parte di materasso, su un fianco, per volgere le spalle alla porta.

Nonostante gli evidenti sforzi, ogni tanto il suo corpo sussultava.

- Frankie – mormorò Gerard, chiudendo il battente dietro di sé con delicatezza. – Perdonami, non avrei dovuto, ma… prima che me lo dicesse Mikey… io non sapevo…

- Ma non ti sei fermato ad ascoltarmi, mi hai aggredito – lo interruppe il più piccolo con una voce resa più acuta dalle lacrime. – Non hai pensato che potevo esserci arrivato da solo alla pericolosità della cosa, non hai pensato che forse non sei l’unico a pensare a mio padre morente ogni volta che succede qualcosa, non hai pensato che l’immagine di lui mentre muore mi perseguita da quando è successo e non mi lascia dormire… hai creduto quello che volevi credere, come sempre, che Mikey avesse fatto la testa calda e che io gli avessi dato man forte fino alla fine, senza oppormi, senza pensare per conto mio! Non hai pensato…

Gerard, che nel frattempo si era accostato al letto, si sdraiò accanto a lui e lo abbracciò da dietro nonostante la paura di venire respinto. Ma Frank rimase immobile, inerte, come indifferente al suo tocco.

- Perdonami. Perdonami. – avvicinò il viso al suo collo per inspirare a fondo il profumo naturale della sua pelle e premette le labbra sulla sua spalla coperta solo dalla maglietta. – Hai ragione. Non ho pensato. Non mi sono fidato.

- E perché? – replicò l’altro, sempre teso nel suo abbraccio caldo.

Gerard dovette riflettere.

- Perché… forse perché ti vedo ancora com’eri quando tuo padre se n’è andato e ti ha lasciato con me – Allungò una mano fino a sfiorargli la guancia con una carezza. – Un sedicenne improvvisamente orfano, terrorizzato, bisognoso tanto di attenzione quanto di affetto. Un bambino, quasi.

Quelle parole indussero Frank a muoversi e a girarsi verso di lui senza preavviso, così che i suoi enormi  e lucidi occhi verdi gli si piantarono in viso, duri.

- Ma non è vero. Io non sono così, non più. Sono cresciuto. Grazie al tuo appoggio e a quello di Mikey sono diventato adulto e ora tu mi devi la tua fiducia.

Gerard s’irrigidì all'istante.

- Be’, non posso darti completamente ragione. Sei riuscito a far tornare indietro Mikey, è vero, ma questo non toglie che questa notte sei uscito con l’intenzione di metterti nei casini assieme a lui.

Frank storse la bocca, ma fu costretto a trovarsi d’accordo e annuì.

Poi sospirò: - Ce l’avrò mai, la tua fiducia?

Gerard sorrise: - Da stasera – Poi gli passò una mano sulla guancia che aveva percosso qualche minuto prima e gli parve di sentire il volto divenire rovente per la vergogna: - Senti, scusa per lo schiaffo.

- È tutto okay – lo rassicurò Frank con un sorrisino sghembo. – Lo hai fatto per me, no?

Gerard passò le dita sul suo viso e asciugò i resti delle lacrime, poi appoggiò le sue labbra a quelle di Frank in un bacio leggero e casto. Fu il più giovane, dopo un po’, ad approfondire quei baci con sempre più entusiasmo finché non si ritrovarono sdraiati uno sopra l’altro, Gerard sopra e affannato e Frank sotto e sorridente.

- Frankie – ansò il maggiore, fissandolo dritto negli occhi. – Promettimi che quello che è successo stanotte non si ripeterà più. Voglio averti accanto a me, sempre – si chinò su di lui e cominciò a baciargli il collo, facendogli reclinare la testa all’indietro per il piacere. – Voglio saperti al sicuro.

- Giurin giurello – sghignazzò Frank. - È lo stesso per me, Gee. E poi, mio padre se la prenderebbe un tantino se tu non facessi il tuo dovere, e chissà che torture hanno nell’oltretomba!

- Scemo – sussurrò Gerard.

- Via la maglietta, signor Way, mi dà fastidio vederti vestito.

- Questo fastidio di cui parli ha forse origine fra le gambe, Frankie?

La voce che si era intromessa nella loro intimità era ben conosciuta da entrambi, comunque si voltarono verso la porta per prendere atto che Mikey li osservava con una spalla addossata allo stipite e gli occhi sgranati, divertiti, un ghigno saccente sulle labbra: - Vedo che avete fato pace in fretta, eh?

Armatosi in fretta del cuscino più pesante che si trovò sotto mano, Gerard mirò e lo colpì in testa.

- Eclissati, Mikey!

- Va bene, va bene! Andrò a giocare con i power rangers e vi lascerò qui a divertirvi, egoisti – esclamò, sarcastico, prima di obbedire.


Gerard si risvegliò verso le cinque del mattino. Gli pareva di aver sentito un rumore e appena sveglio gli ci volle qualche attimo per capire che Frank, sdraiato accanto a lui di spalle, stava singhiozzando di nuovo.

Fece per domandargli che cosa aveva, ma un lampo gli attraversò la mente.

Non hai pensato che l’immagine di lui mentre muore mi perseguita da quando è successo e non mi lascia dormire!

Si fece più vicino e lo abbracciò stretto. Il ragazzo trasalì per la sorpresa.

- Tuo padre è morto da valoroso, combattendo per la salvezza della sua famiglia, e tu non devi neanche provare ad attribuirti la colpa della sua scomparsa – cercò di rassicurarlo sottovoce. – E anche se ora lui non c’è più, Frankie, io ci sarò sempre. So che non posso sostituirlo, ma ci sarò sempre per proteggerti, per starti accanto. Ti amo.

Il pianto cessò per la seconda volta quella sera. Qualche minuto dopo Frank parve rilassarsi e il suo respiro divenne regolare.

Gerard non chiuse occhi, quella notte.

Rimase a vegliare.

 

 

 

… Se qualcuno vuole dirmi cosa ne pensa ne sarei felice.

Intanto buon 2011 a tutti! ^-^


 


[1] Dalla canzone “S/C/A/R/E/C/R/O/W”, My Chemical Romance.

[2] Dalla canzone “S/C/A/R/E/C/R/O/W”, My Chemical Romance.

 

   
 
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