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Autore: Simphony    01/01/2011    8 recensioni
[Partecipante al "The One Hundred Prompt Project"] Se avesse ragionato un po' di più, avrebbe sicuramente trovato la forza per avere fiducia nel suo Principe.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
- Questa storia fa parte della serie 'Difetti'
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Piccola Shot facente parte della serie “Difetti”. Questa e le altre fic di questa serie partecipano alla “The One Hundred Prompt Project” rimandabile al banner posto qua sotto.


The One Hundred Prompt Project

Spero vi piaccia


Simphony


*°*


Raccolta n.°4 – Difetti 05


Prompt 75 Impulsività


(P.O.V. Esterno)


Spesso, quando si parlava della vita del Principe, Merlin agiva senza pensare.

Avrebbe fatto di tutto per salvarlo.

Quindi spesso si trovava in situazione da cui era difficile uscire, specialmente da soli, senza alcuna conoscenza di lotta e senza una grande forza nei suoi muscoli.


Tutto era accaduto velocemente, come sempre.


Come in quel momento.


Se avesse ragionato un po' di più, invece di lasciarsi prendere dal panico per non aver ancora trovato Arthur, prigioniero chissà dove, si sarebbe sicuramente ritrovato con un problema di meno.


Se avesse ragionato un po' di più, avrebbe sicuramente intravisto quell'enorme ramo che sporgeva dalle mura e avrebbe potuto utilizzarlo per arrampicarsi verso l'uscita di quell'infinito pozzo nel quale era caduto.


Se avesse ragionato un po' di più, avrebbe sicuramente intravisto una figura familiare che stava per sporgersi verso di lui e quindi non avrebbe pronunciato incantesimi nell'Antica Religione per riuscire a trovare un modo per uscire dal pozzo.


Se avesse ragionato un po' di più, avrebbe sicuramente trovato la forza per avere fiducia nel suo Principe.


E invece no.

Si era avventurato da solo, nonostante il buio, all'interno del castello diroccato dove avevano portato Arthur ed era caduto nel pozzo coperto da frasche e tavole di legno marcio.


Non aveva udito la voce del Principe, forse soffocata dal suo grido mentre cadeva nel vuoto.

Quindi, sicuro di essere solo e piuttosto agitato per la situazione in cui vertevano entrambi, aveva allungato la mano verso la corda rotta che si trovava arrotolata intorno ad un secchio e aveva pronunciato l'incantesimo.


E mentre la corda si allungava, mentre la magia era stata messa in atto, aveva alzato gli occhi al cielo e visto Arthur.

E nessuno dei due poteva fare nulla.

Solo attendere.


Aveva usato la magia.

Davanti al Principe.


Ecco perché Gaius gli diceva di stare attento, di pensare prima di farsi lasciar prendere preda dall'istinto.

Perché si finisce sempre col fare una mossa sbagliata.


E la sua era stata anche piuttosto clamorosa, doveva dire.


Riuscito ad uscire dalla prigione di acqua, Merlin guardò Arthur.

Il ragazzo non aveva proferito parola. Lo aveva solo osservato, in silenzio, dall'alto, mentre nella sua mente chissà che cosa stava frullando.


Non lo guardava veramente, ma più come se si trattasse di un fantasma, o meglio, di un sogno.

Era come se Arthur non fosse realmente là. E in silenzio scrutava un probabile futuro.


Eppure entrambi sapevano che non era così.

Che era la realtà.
Che Merlin era un mago.


Arthur fece vagare lo sguardo, nuovamente, dal pozzo al servitore, sempre senza proferire parola.

Poi si avvicinò a dove si trovavano i cavalli al momento dell'imboscata e vi salì in sella.


Solo in quel momento anche Merlin lo vide davvero.


Arthur era sporco di sangue, era ferito e aveva le vesti stracciate. Chissà cosa aveva dovuto affrontare per andare a cercarlo.

Merlin sentì un groppo al cuore a quel pensiero. Doveva parlargli. Anche se sapeva che non sarebbe stato facile.


Lo raggiunse e salì a sua volta su un cavallo.

Iniziarono a cavalcare in silenzio verso Camelot.


Lungo il tragitto verso casa, Merlin aveva avuto il modo di pensare.

A tutto.


Aveva sempre odiato dover mentire ad Arthur.

Eppure ogni volta che ne era costretto, cercava di riportare alla mente il suo arrivo a Camelot, al vedere la prima persona innocente che veniva giustiziata.

E mentre scacciata l'immagine di quella testa che rotolava dalla sua mente, si diceva che non aveva paura tanto della reazione di Arthur, ma di quella del padre.


Sapeva che erano solo scuse.

Avrebbe dovuto avere fiducia in Arthur.

Avrebbe dovuto sapere che lui non era come Uther.
Avrebbe dovuto immaginarsi che il Principe era diverso.

Eppure non lo aveva fatto.

Aveva preferito chiudere gli occhi e continuare a mentire.


Mentire gli faceva comodo.
Era per quello che provava tanta vergogna, per cui si sentiva così male ogni volta che, in quel momento, guardava la schiena sporca di Arthur davanti a sé.


Arrivati a Camelot e smontati da cavallo, Merlin ebbe nemmeno il tempo di pensare a dover sistemare i cavalli nelle stalle, che fu afferrato violentemente per il braccio.


Merlin guardò il Principe, che stringeva di secondo in secondo la presa sul suo braccio esile, fino a fargli male, fino a che sul suo volto non apparve una smorfia di dolore.

Arthur lo guardò solo per un secondo, poi iniziò a trascinarlo lungo il castello, fino ad arrivare alle stanze personali del Principe.


Una volta lì davanti, Arthur lo spinse con altrettanta violenza oltre la porta. Merlin si ritrovò a terra, dolorante e senza sapere come reagire o cosa dire.

Non sapeva esattamente nemmeno cosa dovesse pensare, se doveva essere sincero.


Decise perciò di rimanere fermo, a terra, in silenzio.


Arthur continuava a guardarlo. Poi all'improvviso si sedette sul letto e si tolse gli stivali e la divisa da cavaliere, sporca di sangue, di terra e rotta in diversi punti.


La domanda di Arthur lo raggiunse all'improvviso, mentre il Principe era immerso in azioni quotidiane e perfettamente normali.


« Perché me lo hai tenuto nascosto? »


Una domanda semplice, quasi indolore nella sua onesta e nella risposta che avrebbe dovuto presupporre.

Era una di quelle domande che facevano più paura. Era una di quelle frasi che presupponeva tu fossi completamente sincero.


Merlin chinò gli occhi, non osando guardare Arthur.

Non ci riusciva. Non ci riusciva a dirgli la verità.

Il dover ammettere a voce alta che, in fondo, non si fidava di lui.


« Non sapevo... come avreste reagito. » iniziò cercando di non far tremare la voce e cercando di sembrare sincero.


In fondo, era una mezza verità. Non era necessario che Arthur sapesse veramente tutta la storia.


Arthur rimase in silenzio, limitandosi a guardarlo.


« Ho preferito rimanere nell'ombra e cercare di aiutarvi con i mezzi che avevo. Non sono bravo nella lotta come voi e vi sarei stato d'intralcio. Con la magia invece... Ho potuto aiutarvi con i miei mezzi. »


« Non ti fidavi di me. »


Ecco.

Semplice, rapido, lancinante.


« E' più il trovarsi in una situazione in cui rischio la testa. Non è il non fidarmi di voi. »


Bugie, su bugie. Ancora bugie.

Perché non riusciva a guardarlo negli occhi e dirgli la verità?


Si. Non si fidava di lui.


Anzi. Si fidava. Ma su altre cose.


Quando si faceva portare a letto come una puttana, si fidava.

Quando doveva partire alla volta di terre sconosciute per salvarlo o accompagnarlo in misteriose ricerche, si fidava.

Quando lo prendeva bonariamente in giro, si fidava.


Ma non riguardo la magia.


Arthur era troppo importante.
Troppo prezioso.


Era la sua droga. La qualità migliore, come se non bastasse.

Era quella più costosa, quella più travolgente.

Quella della quale non puoi più fare a meno.


« Non la metterei su questo piano, Principe. » cercò solo di dire.


« Pensavo che tu mi conoscessi. » sussurrò il biondo.


Cinque parole. Cinque pugnalate al cuore. Cinque volte tornato morto e poi tornato in vita, per poi sentire di nuovo la lama penetrare nel corpo.


« Pensavo che fra di noi ci fosse qualcosa di più di una scopata. »


Tredici parole. Tredici pugnalate al cuore.


Non poteva più sopportarlo.

Serrò gli occhi, passandosi una mano sul volto per scacciare le lacrime che si affollavano a fiotti sull'orlo degli occhi.


« Pensavo che le cose con te potessero cambiare. Pensavo che un giorno... » una risatina stanca e isterica interruppe le sue parole « … Non lo so. Pensavo che avremo potuto dirlo a tutti. »


Merlin non osava guardarlo.

Non ci riusciva.

Lo stomaco gli si attorcigliava, la gola si inaridiva, le parole non volevano essere sputate tra i denti serrati.


« Principe, io... avevo paura. »


Arthur alzò la testa dalle ginocchia e lo fissò.


« Ho avuto paura di vedere voi accanto a vostro padre, il giorno che mi avreste fatto mettere al rogo. Ho avuto paura di sapere che non avreste esitato nemmeno un secondo nel mandarmi a morte. Ho avuto paura quando mi sono immaginato i vostri occhi freddi puntati su di me, mentre non aspettavate altro che la mia morte. »


« Merlin, io non potrei mai ucciderti. » esclamò Arthur alzandosi in piedi « Io non so come tu abbia solo potuto pensare una cosa del genere. »


« Arthur, voi siete il Principe. »


Merlin si alzò faticosamente in piedi, il braccio che prima era stretto nella morsa del Principe lungo il fianco, che doleva ancora.


« E questo cosa c'entra esattamente? » sibilò Arthur.


« Voi... avete un destino diverso dal mio. Dovete sposare una principessa, mettere al mondo un erede possibilmente maschio e governare questo regno con giustizia e lealtà. E io in questo piano non c'entro nulla. » lo guardò negli occhi « Io sono un servo, Arthur. E questo non cambierà mai purtroppo. Io vi pulisco gli stivali, vi rassetto la stanza, vi porto da mangiare. E come tale, non posso sapere sempre con certezza quello che voi farete. »


« Ma... » Arthur aveva gli occhi pieni di lacrime di rabbia.


Mai detestava così tanto la sua posizione di Principe di Camelot, futuro Re.


« Questo non c'entra con quello che provo. » disse con fatica, serrando le mani a pugno, stretti lungo i fianchi « Quando dico di amarti... lo credo davvero. »


« Arthur, sono un mago. Ho dei poteri magici. Amarmi o meno non c'entra nulla. Dovete dirmi voi come vi comporterete adesso. »


Il Principe lo guardò, quasi con fare desolato.

Eppure sapeva già che cosa doveva fare.
Ma esternare i propri sentimenti, anche se positivi, per Arthur era sempre stato un problema.


Così come quando da piccolo desiderava instaurare un rapporto con la sua sorellastra, Morgana.
E proprio non gli riusciva. Pur di starle intorno la riempiva di scherzi, a volte anche veramente cattivi, intrisi di quella cattiveria che solo i bambini possiedono.


E non voleva lo stesso con Merlin.

Voleva parlargli, dirgli quello che provava, cosa lui aveva fatto per meritarsi quel posto al suo fianco e che lo ringraziava per non essere ancora mai scappato dal suo carattere arrogante e presuntuoso.


Avrebbe voluto dirgli tante cose.

Ma era difficile.
Troppo difficile a volte.


Ma se non voleva perdere l'affetto di Merlin così come in passato aveva perso la possibilità di essere un buon fratello per Morgana, allora doveva provarci.


Era un principe, no?


« Non ti manderei mai al rogo. Sei troppo importante. Grazie a te ho capito davvero cosa vuol dire tenere ad una persona. Puoi essere un essere umano, un mago, un troll. Tu sei Merlin. E resterai sempre tale. »


Merlin era rimasto impassibile, troppo shockato anche solo per poter formulare un pensiero.

Poi si mise a ridere, mentre allo stesso tempo piangeva.

Arthur sperava solo che piangesse lacrime di gioia.


« Ogni giorno mi stupite, Arthur. »


Il servo si avvicinò e iniziò a togliergli le armi dalla vita.


« Necessitate di un bagno caldo. » sussurrò piano sfiorando le ferite che poteva intravedere « E dopo chiederò a Gaius di medicarvi. »


Arthur si limitò ad un cenno con la testa.


Mago, non mago...

Che gli importava.


Avere Merlin al suo fianco era la cosa che desiderava più di tutte.


Fine

   
 
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