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Autore: AintAfraidToDie    02/01/2011    0 recensioni
Ascolta dai, perché in fondo questa non è la fine.
Sei l'ultima cosa che ha trapassato la mia mente.
Le relazioni sono basate sulla fiducia; beh, credo proprio che la nostra fosse basata su bugie.
[Max/Ronnie] [Max/Craig]
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Craig Mabbit, Max Green, Ronnie Radke
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: This is not the end, but listen up!
Genere: Introspettivo; Romantico; Triste
Rating: Giallo
Avvisi: Slash; OneShot
Personaggi: Max/Ronnie [ accenni Max/Craig ]
Riassunto: Ascolta dai, perché in fondo questa non è la fine.
Sei l'ultima cosa che ha trapassato la mia mente.
Le relazioni sono basate sulla fiducia; beh, credo proprio che la nostra fosse basata su bugie.



“This is not the end, but listen up! ”



Non ci credeva, o forse non ci voleva proprio credere. A volte ignorare alcuni spiacevoli avvenimenti tende ad essere più semplice che affrontarli, è quasi ovvio; ma Max Green se n'era reso perfettamente conto solo nell'attimo in cui le sue gambe avevano ceduto al peso leggero del suo corpo scosso da forti tremiti - tremolii che non poteva assolutamente controllare.
Tentava di scacciare quella fin troppo concreta sensazione di smarrimento che provava da almeno una mezz'ora buona, concentrando il proprio spirito e respirando calmo - ma il suo fisico continuava ad accasciarsi pian piano in prossimità della parete più ampia e mediamente gialla del suo piccolo salotto, cercando sostegno in qualunque oggetto materiale.
Nell'intento di aggrapparsi al muro aveva già scaraventato a terra un quadro futurista e la sua cornice oramai spezzata - poco gli importava, comprare quell'aborto d'arte era stata un'idea di Craig che non aveva mai realmente gradito o apprezzato. Accidenti a lui, ed ai suoi gusti discutibili!
Inarcò di scatto la schiena in avanti, un movimento fluido ma allo stesso tempo quasi meccanico, abbandonando la patetica illusione di riuscire a rimanere in piedi qualche minuto in più. Raggomitolandosi a riccio - le braccia conserte intorno al busto e le gambe pericolosamente vicine a volto - attuò uno spostamento di carne e muscoli impercettibile, rassegnato e lento. Sospirò.

La causa del suo indefinibile stato fisico e mentale se ne stava brutalmente stretta nel pugno della sua tatuata mano destra, leggermente intirizzita e piena di vene fuoriuscite dallo sforzo - stringeva senza rendersene conto, stringeva con forza e stringeva ancora, grattando con le unghie il proprio palmo calloso e cercando inconsciamente di ferirsi. Cosa credi di poter fare, Max?
Se lo era chiesto con costanza nell'arco di quegli ultimi minuti scarsi, facendo il finto sorpreso e soffocando sbuffi; ma sapeva benissimo dove si riconduceva il suo scopo - imbrattare col suo stesso sangue quella carta gialla e stropicciata. Una grande voglia di strapparla gli comprimeva fastidiosamente l'ugola, soffocandogli le vie respiratorie. Puzzava pure, sì. Sapeva di marcio.

Per quale assurdo motivo non era riuscito a passare l'intera mattinata a letto?
Magari anche nel bel mezzo di un fastidioso dormiveglia, rigirandosi continuamente ed affogando tra le lenzuola in una routine di ore che gli sarebbe servita a rilassarsi alla meno peggio: niente prove, niente tour, niente un cazzo! Solo la tanto amata pacchia fusa alla sua rinomata pigrizia, prontamente allettata da una giornata libera di dolce far nulla. Aveva sognato per interi giorni lavorativi una dormita coi fiocchi, completamente spaparanzato tra cuscini e piumoni; sapeva che tale opzione sarebbe stata la migliore - quella lettera, quel fottuto foglietto gliel'aveva confermato.
Si era prefissato di dormire almeno fino all'una, magari arrivare anche alle due e mezzo; con le tapparelle chiuse ed un caldo pazzesco in camera, aspettando l'usuale venuta mattutina - sveglia - di Craig: usando le sue personali chiavi di scorta sarebbe passato nell'appartamento in ore non precedentemente decise, sorridendo appena davanti all'allettante eventualità di scovare un Max ancora dormiente. Quell'uomo a volte poteva sembrare ambiguo, si divertiva con molto poco.
Successivamente, fermandosi di scatto all'uscio, avrebbe osservato con fievole curiosità quella stupida quanto inutile cartaccia posizionata malamente davanti alla porta, per poi cestinarla senza troppi preamboli ed occhiate varie, poco prima di andare a svegliarlo tra attacchi di pizzicottate e baci - risparmiandogli un forte dolore al petto.

Cazzate!; si era svegliato alle fottute nove di un giorno di riposo ed era pure andato a controllare la posta nella sua personale mise casalinga costituita da un paio di boxer neri e nient'altro - cosa che non faceva veramente mai. A volte Dio è così ingiusto, pensò. Riflessione fastidiosa e un bel po' codarda, ma in quel momento non sapeva veramente a chi altro dare colpa di quella situazione spiacevole. E gli serviva, gli serviva maledettamente sentirsi fin troppo innocente.

La mente gli era quasi sobbalzata nello stesso attimo in cui aveva lentamente districato il semplicistico piegamento di quella carta lurida, completamente rovinata e spezzata a tratti.
Credeva fermamente nell'ennesimo fogliettino sdolcinato da parte di un fan squilibrato, che nemmeno aveva abbastanza soldi per poter comprare del materiale da lettera decente; forse ci aveva sperato. Ancora rimuginava e masticava pensieri - una strana sensazione si era già impossessata di lui da qualche giorno, rivoluzionando la sua normale tranquillità emotiva. Ovviamente nessun fervido stato d'ansia o niente di troppo nevrotico; ma qualcosa c'era e sembrava impossibile da ignorare. Sì, in fondo si era realmente sentito morire quando aveva riconosciuto quei caratteri - linee tondeggianti che andavano ad imbellire un tratto corsivo non molto ordinato e fievole, quasi illeggibile ed elementare. La scrittura di lui.

Ed insieme a quella consunta ma elaborata lettera era arrivato qualcos'altro di diretto, in casa sua: la concreta figura di Ronnie Radke era inspiegabilmente lì, proprio davanti a lui.
“Cosa cazzo ci fai in casa mia, Radke?!” avrebbe voluto - dovuto - urlargli subito, preso da un'iniziale irrefrenabile voglia di cominciare a sbraitare, magari menando pure qualche pugno. Azzardò un fievole rialzamento dei ginocchi, puntando la sua determinazione a livello di muscoli; le corde vocali si inaridirono però nel lasso di secondi ed il suo corpo ricascò mollemente all'indietro. Perché sì, Max Green il forte era solo capace a campare in aria sbruffonate sconclusionate ed avvertimenti scazzati - in realtà era una femminuccia, una fottuta mammola.
Si arrese quindi davanti alla sagoma del suo ex-cantante, quotidianamente rifasciata nell'usuale mise tanto amata di rocker maledetto - quante volte l'aveva preso in giro, canzonando quel suo fare a volte fin troppo strafottente. Sorrideva beffardo; magari ghignava e basta, mettendo in bella mostra i suoi incisivi giallastri e rialzando di poco le labbra; Dio, continuava ad essere maledettamente sexy.  

Se ne stava leggermente appoggiato allo stipite della porta principale, attuando probabilmente una leggera pressione sui gomiti, cominciando a ridere con foga; rideva, rideva!
Sbraitava a squarciagola, aumentando il proprio tono di secondo in secondo, sicuramente più che allettato dalla bastarda idea di riuscire ad arrivare al punto di spaccargli i timpani.
Max si accasciò ancora di più a terra, facendo combaciare quasi tutto il suo corpo denudato col  gelido pavimento piastrellato, comprimendosi la mano libera ad un orecchio e strizzando forte gli occhi insieme. Poi l'altro cantò.


Ascolta dai, perché in fondo questa non è la fine.
Sei l'ultima cosa che ha trapassato la mia mente.
Le relazioni sono basate sulla fiducia;
beh, credo proprio che questa qui - la nostra - fosse basata su bugie.


Max soffocò un acido conato di vomito quando il suono di quella voce - quella voce che troppe volte aveva accompagnato col proprio amato basso ed adrenalina - si insinuò brutalmente nel suo cervello flaccido, andando dritta a torturare con tono acuto le parti più sensibili dell'organo.
Quella stessa voce cui aveva dedicato almeno metà della propria vita; se l'era promesso fin dal primo momento in cui aveva incontrato i suoi occhi sbarazzini, per lui ci sarebbe stato sempre. Quella voce spesso troppo arrabbiata, incazzata e malferma, che non necessitava di vie di mezzo; o la amavi o la odiavi. Quella voce, l'unica che esisteva di vita propria. Oh, se viveva!

Mentre monosillabe sconnesse e furtive si intrufolavano abilmente nei suoi orecchi, deviandogli apparentemente la mente, Max se lo chiese: erano solo bugie, le parole sussurrate a vicenda? Quelle promesse e frasi fatte dette nel bel mezzo di uno di quei momenti in cui le inibizioni sentimentali andavano giustamente a farsi fottere, molto probabilmente grazie al rassicurante e protettivo buio di una cuccetta in tour, mentre tutto il resto del mondo sembrava essersi appisolato apposta per rendere quel loro unico momento più magico. Una vocina frettolosa nel suo cervelletto gli rispose di sì, in fondo se ne era realmente convinto - mielosi giuramenti senza fondo e nient'altro.

Ma Ronnie cantava, cantava ancora. Ignorando di striscio la sua ormai totale confusione, portava avanti quella personale tortura canora e mentale, facendogli battere prontamente il cuore; lente convulsioni che gli rimbombavano all'interno. Col ghigno tipico alla Radke stampato in volto ed un'insolita irruenza che lo faceva apparire strano, quasi malmesso - forse per colpa dei chili che aveva perso in carcere,  forse semplicemente per via del suo odio.


Ascolta dai, le parole di quelli di cui ti fidi.
Ce ne sono pochi dalla tua parte,
ma dacci dentro ed andrà tutto bene.
Ci siamo noi che andiamo, quelli che hanno fatto il tempo.

È ora che io me ne vada,
lo so che sai che le nostre dispute stanno divenendo vecchie.


Aspetta!, gli avrebbe voluto dire in quell'attimo. Non te ne andare.
Alzandosi di poco e offrendogli una mano, magari proprio quella in cui portava ancora il loro anello; un piccolo cerchietto argentato che equivaleva ad una promessa, perché per un po' ci avevano veramente creduto. Avrebbe potuto farlo veramente, se solo non avesse cominciato a capire qualcosa di quella sua strana e inebriante apparizione, di quelle frasi sputate con fiele in versione cantata. Senza nessun tipo di musica in sottofondo, senza intonare falsa melodia - parole, solo parole che tornavano in mente nel lasso di pochi secondi; parole che spezzavano il cuore in mille pezzi e che l'avrebbero sicuramente ucciso se non si fossero affievolite.
Se ne rendeva perfettamente conto continuando a rimanere rannicchiato su sé stesso, rilassandosi di un poco e cominciando a guardarlo di sfuggita, senza però scoprirsi troppo. Stava cominciando a stancarsi; era stanco, sì. Stanco dell'ambigua potenza emotiva che Ronnie Radke sapeva ancora imprimere abilmente nella sua vita.


Questa è l'ultima possibilità che posseggo per dirtelo,
quindi scusami, ma me ne devo proprio andare a lavarmi le mani di te;
non ne voglio più sapere.

Dici che non cambierai mai,
credo che sia una cosa molto brutta.
Mi dispiace per tutte le cose che io e te potevamo fare ed avere.
Ma è colpa tua e di tutte le stupide cose che abbiamo fatto e detto.
Le bugie, i pianti,
non mi meraviglio che tu - per me - sia morto.


Sobbalzò improvvisamente al suono di quelle sillabe cantate, irrigidendosi di scatto.
Max pensava, pensava che se fosse stato possibile non ci avrebbe riflettuto due volte, sull'ipotetica proposta di cancellare dalla mente quella parte della sua anima che archiviava in maniera disordinata tutto ciò che riguardasse lui e Ronnie. Necessitava da tempo di qualsiasi aggeggio magico tipo mangia carte, provvisto a caso dei tasti “on” e “off”. L'avrebbe usato senza alcun remore o ripensamento buttandoci dentro a fiotti tutte le sue memorie, premendo il pulsante di accensione con uno scatto. A quel punto ogni loro attimo si sarebbe trinciato e annullato, come avviene con la carne trita, in un miscuglio di sangue e cuore che lo avrebbe così tanto disgustato fino a farlo svenire - era un tipetto facilmente impressionabile, sì. Quando poi si sarebbe risvegliato - dopo un secondo, dopo un giorno, dopo un anno - l'amorevole sorriso di Craig lo avrebbe sicuramente rassicurato, condizionandolo nella sofferta decisione di desistere dal rivangare il proprio passato. Che assurda utopia.

“Per gli Escape sei morto, Ronnie.” aveva pronunciato tale frase con disprezzo e con un ovvio pizzico di astio represso, in quell'oramai distante pomeriggio d'Estate inoltrata. Nessuna data o nessuna ora - aveva rimosso, forse. Indossava una delle tante magliette deathmetal che lo stesso Radke gli aveva regalato nel fior del loro rapporto senza ricordarselo neppure; a tal proposito l'altro aveva sorriso appena, un sorriso sbilenco e rassegnato.
“E per te, Maxi? Sono morto anche per te, insieme al nostro amore?” sussurrò inespressivo dopo qualche secondo, quel tanto bastava per esser sentito di striscio. Aveva pronunciato un susseguirsi di quesiti poco rimuginati e molto probabilmente sentiti, mentre Max continuava a distogliere gli occhi da ogni cosa cui posasse su lo sguardo, in un irrefrenabile e continuo rotolamento di pupille.
Avrebbe mentito dicendo che non ci stava male - tentava di non darlo a vedere, certo; lui era Max il bastardo, chi altro? Eppure era palese che ci avesse rimuginato su per interi mesi, osservando inerme ed incapace l'assoluta autodistruzione che il suo amante stava pian piano attuando, arrivando alla fatidica conclusione di non voler per certo cascare nel suo stesso medesimo baratro.
Sapeva perfettamente come Ronnie era fatto - non ce l'avrebbe mai fatta a rimettersi in piedi, né da solo né con lui. Il ragionamento di Max era egoistico ed odioso, ma si sentiva sinceramente nel giusto. Perché in quel momento decisivo voleva rendere tutto più difficile, Cristo?
“Smettila di dire stronzate, Ronnie.” l'aveva rimbeccato con ardore, mettendo in risalto le sillabe e apparendo fin troppo alterato. “Me ne vado, saprai cavartela.”
“Stronzate...” fu questo l'ultimo fievole suono che sentì fuoriuscire dalla bocca dell'altro a mo' di lenta litania, mentre già si apprestava a varcare quella metaforica soglia che l'avrebbe divisi per sempre. “Stronzate.”
Era morto , sì.


Questa è l'ultima possibilità che posseggo per dirtelo,
quindi scusami, ma me ne devo proprio andare a lavarmi le mani di te;
non ne voglio più sapere.

La tua onestà mi sta uccidendo.
La pagina di giornale che ho letto, le voci che dicevano che tu mi amavi ancora.
Mi hai mentito e tuttavia ancora non vedi le cose che hai detto,
e ora - per me - sei morto e mi va bene.


Quell'ultimo pezzo era sicuramente studiato, l'aveva voluto ripagare con la stessa moneta - fargli capire quanto sentirsi insignificanti ed ignorati potesse fare male; per lui non c'era nemmeno più odio, magari. Mentre il suo corpo cominciava a ghiacciarsi del tutto partendo dal bassoventre, Max si riappropriò finalmente di un minimo di conoscenza grazie al sentore crescente di un'amarezza sia mentale che fisica - la figura di Ronnie Radke cominciava pian piano a sbiadire, lasciandosi dietro un forte alone biancastro ed un assurdo profumo di vaniglia - la vicina doveva aver fatto qualche dolce, pensò. Sorrideva ancora nella propria maniera, il Ronnie che albergava nei suoi ricordi e che riusciva ad uscire dalla sua mente sotto forma di concreti fotogrammi psichici; era pazzo? Chi lo sa.
In fondo dopo l'incarcerazione non l'aveva veramente più rivisto: qualche copertina di magazine strambi, certo, ma poi il nulla. Eppure Maxie lo sapeva, se ne era fermamente convinto: il suo Rad avrebbe sorriso - magari una smorfia appena un po' più stanca ed abbacchiata, segnata dal corso degli eventi e da un risentimento sempre maggiore. Ma rideva, rideva ancora. Vero?


Questa è l'ultima possibilità che posseggo per dirtelo,
quindi scusami, ma me ne devo proprio andare a lavarmi le mani di te;
non ne voglio più sapere.

Ascolta dai, perché in fondo questa non è la fine.*


Ci fu un suo ultimo sussurro - il sussurro di un fantasma, il fantasma di Ronnie Radke; le sue frasi partivano direttamente dal cervello di Maxi, ma oramai erano arrivate a sembrargli quasi vere.
Sobbalzò per un'ultima volta in un silenzio quasi tombale, l'unica cosa che riusciva ancora a preoccuparlo era quella lettera accartocciata dentro al suo pugno fermo, che racchiudeva parole stilizzate, piene di sentimento e grande... malinconia?
Cos'era quel che Ronnie voleva dirgli dopo tutti quei mesi, abbandonando di sfuggita i propri pensieri del momento su carta bianca? Forse come si era ridotto; come lo aveva ridotto! In fondo ormai se ne rendeva conto - soffocando il proprio orgoglio riusciva quasi ad ammetterlo: aveva sacrificato felicità ed amore per un vigliacco rito di protagonismo, che in cambio era arrivato a dargli poco e nulla; molto probabilmente non contava veramente più niente per nessuno, nemmeno per lui. Era diventato... insignificante. Ecco cosa vuole dirmi, pensò. Non mi ama più.

Ronnie aveva perfettamente ragione - l'aveva sempre avuta: la situazione che in quell'attimo stava vivendo era solo l'inizio della fine; la fine del codardo Max Green e del suo essere infinitamente egoista. Chissà per quale meschino motivo l'idea di non essere perdonato l'aveva sempre fatto sentire infinitamente meglio, magari quasi rincuorato. In fondo quel che aveva fatto si riconduceva alla distruzione totale del mondo dell'uomo che diceva di amare, attuata grazie alla derisione ed uccisione ad armi sguainate di quella band per la quale aveva donato anima e corpo. Che senso poteva avere, anche solo sperare di rivedere il suo volto sorridente per un'ultima volta? Che fottuto senso poteva avere, continuare ad andare avanti? In quel momento riuscì quasi a scavarsi dentro; nella sua testa ogni cosa stava lentamente tornando nei propri personali scompartimenti - una strana calma s'impadronì gradualmente di lui, intimorendolo quasi: da troppo non era tranquillo, da troppo tempo non si sentiva a posto. Sbuffò appena, senza realmente avvertire il bisogno di farlo: forse perché non necessitava più di martellanti e quotidiani sensi di colpa, forse perché sapere che Ronnie lo disprezzava riusciva a farlo sentire più giusto con sé stesso.

Molto lentamente si innalzò dalla sua già odiata posizione supina stringendo ancora il foglietto tra le dita, oramai quasi del tutto convinto dall'opzione di buttarlo via - l'odio era arrivato, la coscienza era quasi a posto; ma il cuore, il cuore dove lo metteva? Nel cesso, pensò.
Si avvicinò con pochi e graduati passi al cestino dell'immondizia che teneva per comodità sotto il lavandino spoglio della cucina, aprendolo con uno scatto ed uccidendo sul nascere un sospiro, ancora non del tutto deciso sul da farsi. Regalò un ultimo e sofferto sguardo allo sporco foglio, spiegandolo per bene ed osservando ulteriormente la sua scrittura - il suo quasi certo odio materiale, decretò di sfuggita. Quell'azione poteva solo farlo stare peggio - scorse le righe con una foga tremenda, che divenne assurdamente trepidante in prossimità degli ultimi righi; dell'ultimo rigo. This is not the end ricalcato con maestria, e poi...

Singhiozzò. Un sussultare forte e rumoroso, quasi inusuale per un adulto, che riuscì prontamente a disgustarlo. Maledì sé stesso e la sua coda di paglia nello stesso istante in cui si ri-accasciò con irruenza a terra, sbucciandosi i ginocchi e la pelle più esposta; l'ennesima volta nella mattinata, ma oramai aveva smesso di contare le proprie cadute. S'infamò di slancio ed in maniera pesante, sentiva di non poter nemmeno dare strane colpe a Dio - gliene aveva dette troppe. Cazzo.

Si mise a piangere, sì. Come mai aveva fatto prima, in un modo che non avrebbe sicuramente più ripetuto - troppo disperato, troppo isterico; faceva troppo male.  
Impresse controvoglia quei due tratti finali a bordo foglio, scarabocchiati velocemente e quasi certamente non programmati - parole calcate da inchiostro scuro e mediamente sfocato, che andava a perdersi tra le fibre della carta riciclata in maniera non uniforme, proprio come se sopra ci fossero cascate delle lacrime. Magari le sue lacrime.
In un attimo soffocò tutto il suo odio, soffocò disprezzo. Poi urlò.



Ami, Max?
Sì, ami. E il vero amore non muore mai.**




Ronnie



Owari




Note:

* Listen up! by From Behind These Walls
** da Nona by Stephen King nella raccolta Scheletri

Questa storia l'ho scritta un bel po' di tempo fa, quando ancora adoravo gli ETF.
Adesso continuo ad apprezzarli, certo, ma non c'è più la passione di un tempo..
Beh, che dire? Non è che mi piace più di tanto, ma la reputo decente e straziante allo stesso tempo.

Spero che vi sia piaciuta.



AintAfraidToDie
  
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