Era
distesa sul suo letto e guardava il soffitto. Non sapeva cosa fare, se
piangere
o ridere, la cosa le sembrava abbastanza strana. Eppure si era
preparata per
quel momento, aveva scritto una scaletta maledizione! Ma adesso niente,
tabula
rasa. L’unica cosa che faceva era vedere il soffitto.
Nell’ultimo mese il suo
cuore era stato diviso in due tra George e suo padre, ma adesso le
sembrava che
un cuore non ce l’avesse più. Doveva vestirsi, a
momenti sarebbe arrivata sua
madre e l’avrebbe rimproverata, perché era in
ritardo come sempre, ma non le
andava di mettere il naso fuori di casa, non le andava di fare niente.
I vestiti
giacevano sulla sedia, neri come il suo stato d’animo al
momento. Una persona
bussò alla porta.
-
Tesoro, muoviti che faremo tardi. – eh sì, era
proprio sua madre.
-
Sarò
pronta tra qualche minuto. – odiava sua madre, era come se il
diavolo si fosse
impossessata di lei, era cattiva, perfida. Adorava vestirsi di animali,
ce li
aveva tutti. Aveva perfino un capello di pelle di cane, la cosa la
disgustava
fino all’ultimo punto. Aveva le labbra sempre impregnate di
rossetto e non riusciva
a capire come facesse ad avere tutti quegli amanti. Vi chiederete come
una
figlia fa a sapere certe cose, ma credetele lei ne sapeva di cose, e
come se ne
sapeva! Suo padre era più cornuto di cervo, e gli faceva
pena. Per tutto quel
tempo lui le era stato fedele e lei no, rifiutava il matrimonio. Si era
sposata
solo perché era incinta!
E molte volte
quando si arrabbiava con lei la minacciava “Ho quasi
rischiato di abortire, lo
sai!” e anche se la odiava, le faceva male, molto male.
Svogliatamente
infilò le scarpe e mise una leggera linea di matita sotto
gli occhi, era pronta.
Era pronta per quel giorno che sapeva sarebbe arrivato presto. Il
telefono
vibrò, lo prese in mano, un messaggio da George.
“Tesoro ti amo alla follia, ti
prego parliamone” diceva. Sbuffò e chiuse il
cellulare, buttandolo sul letto.
-
Rebecca, avanti che è tardi! – di nuovo sua madre
al di là della porta.
- Sono
pronta! – uscii dalla camera e vide sua madre, in una
pelliccia di bisonte e
con i capelli pettinati, molto probabilmente era andata dalla
parrucchiera,
neanche dovessero andare ad una festa.
- E
questo me lo chiami essere pronta? –
-
Perché
cosa dovrei mettermi? –
- Beh
qualcosa di più sofisticato, che figura facciamo se andiamo
conciate come delle
pezzenti. – come quelle persone che stando nella situazione
nella quale ci
troviamo noi, si disperano e vestirsi bene risulta essere
l’ultimo dei
pensieri.
- Hai
ragione, scusa mamma. – rientrò in stanza e presi
una maglia rossa, non voleva
essere troppo appariscente, o meglio non voleva che le persone
pensassero che lei
fosse come sua madre. Quando la vide per la seconda volta,
storpiò le labbra,
ma la cosa non la toccava minimamente, certamente non aveva intenzione
di
presentarsi come una prostituta.
Entrano
in macchina, o meglio nella loro limousine, certe volte aveva dei dubbi
sul
lavoro di sua madre. Lei aveva sempre detto di fare l’agente
immobiliare,
invece era sempre più convinta che gli immobili lei non ne
vendesse affatto, se
non contiamo immobili personali, molto “personali”.
Guardava
fuori dal finestrino. Non riusciva a muoversi e non sapeva neanche se
stesse
respirando, avrebbe potuto tranquillamente smettere e non accorgersene.
Era
come se l’anima di suo padre avesse preso anche la sua e al
momento nel suo
corpo non ci fosse niente, se non organi e schifezze varie.
- Su
Rebecca, scendi. – scese dalla macchina e si trovò
quella chiesa davanti,
odiava quella chiesa. Quand’era bambina l’adorava,
il suo sogno era di celebrare
il suo matrimonio lì, ma adesso non più,
l’odiava.
Quel
tendaggio viola davanti all’entrata le metteva ansia, voleva
andarsene, andare
in qualunque posto, tranne quello.
- Su
tesoro entriamo. – sua madre la tirò per un
braccio e si andarono a sedere ad
uno dei primi banchi. Suo padre era lì bianco come latte,
non si poteva certo
dire che aveva una bella cera, ovvio no? Era morto.
Era
stato un cancro fulminante hai polmoni a colpirlo. Qualche mese prima,
aveva
notato di avere un po’ di difficoltà a respirare e
andando all’ospedale
gliel’avevano diagnosticato. “Avete ancora un paio
di mesi”questo gli era stato
detto. Sua madre sembrava essere la più felice del mondo,
sapete com’è, adesso
non aveva più bisogno di inventarsi balle per uscire con i
suoi “uomini”. Un
accenno di vomito gli salì alla gola.
Durante
questi ultimi mesi di vita si era dedicato completamente a lei. Avevano
fatto
tutte le cose che in tutta la sua vita lei gli aveva sempre chiesto di
fare, ma
che mai si erano fatte a causa del lavoro. Erano andati a pattinare e
perfino
al lunapark, le sembrava impossibile che da un momento
all’altro potesse
morire. Un giorno però accadde. Stava nella sua stanza, sua
madre non c’era,
quando uscì vide suo padre seduto sulla poltrona che
sorseggiava whisky. Non
aveva mai bevuto alcolici prima di allora che lei sapesse. Rimase
immobile
davanti alla figura di suo padre che piangeva, dopo qualche secondo il
bicchiere cadde a terra e lui cessò di respirare. Non aveva
mai pianto da
quando era morto, ma sapeva che prima o poi sarebbe scoppiata.
-
Rebecca devi andare al leggio. – mi madre mi fece ritornare
alla realtà. Mi
alzai e presi il mio discorso, erano giorni che lo preparavo. Mi girai
verso la
folla e poi vidi mio padre, il colorito non era cambiato.
-
Buongiorno a tutti. – incominciai – avevo preparato
un discorso che leggendolo
adesso mi sembra insignificante. Mi ci vorrebbero delle ore per parlare
di lui,
ma tutto questo tempo non credo ti poterlo avere. Cosa posso dire, beh
certo
lui era un uomo straordinario e teneva alla sua famiglia, ma qualche
volta
avrei voluto che fosse più presente per me e mia madre.
Credo di non aver avere
mai voluto tanto bene ad una persona come ne volevo a lui. –
le lacrime
incominciavano a sgorgare. – è stato un uomo
magnifico…non avevo mai pianto
fino ad adesso…mi ha praticamente sconvolto la sua
morte…lo so che era stata
prevista, ma mi sento persa non so cosa fare…aveva detto
“quando io morirò
dovrai essere forte e dovrai badare a tua madre”ma
papà credimi…non ce la
faccio! Papà torna da me! – a quel punto non
riusciva più a parlare a causa
delle lacrime, sua madre la venne a prendere e tornarono a sedersi ai
loro
banchi. Non riusciva a seguire la messa, non faceva che guardare suo
padre,
freddo che giaceva nella bara. Aveva bisogno di lui più che
mai.
Seguì
la
processione fino al cimitero, poi quando posarono la bara
tornò a casa
all’insaputa di tutti. Si svestì e si
gettò sul letto, non facevo altro che
piangere. Il telefono squillò di nuovo, vide il display, era
George, di nuovo,
lo spense. Non aveva la testa per parlare con lui e per chiarire, non
voleva
parlare con nessuno in realtà.
La porta
d’ingresso si spalancò e sentì mia
madre correre verso la sua stanza.
- Ti
pare questo il modo di andartene senza dirmi niente! –
- Cosa
avrei dovuto fare? Dirti “mamma io me ne vado?”
–
- Mi hai
fatto fare una figura da niente! –
- A te
questo interessa vero? Di fare le figure! Piuttosto vai a fare la
puttana e
vedi di non rompere le scatole! – detto questo le chiuse la
porta in faccia e
tornò al suo letto.
Non
riuscì a dormire neanche un po’, sentiva sua madre
che per la casa andava
avanti indietro. Le sembrò anche di averla sentita piangere,
ma molto
probabilmente era stata soltanto impressione, lei non piangeva per suo
padre,
al massimo se le si rompeva un’unghia. La
mattina si alzò ancora assonnata, sapeva
che doveva andare a scuola, ma proprio non le andava. Guardò
l’orologio, erano
le 7 e 30, sua madre probabilmente era uscita e francamente non aveva
nessuna
voglia di vederla. Andò in cucina e trovò un
biglietto sul tavolo.
“Non
ti
ho preparato la colazione, se hai fame ti ho lasciato i
soldi.” E affianco a
questo biglietto due euro. Com’era taccagna certe volte.
Preparò
la borsa e scese di casa. Non le aveva lasciato la macchina ovviamente,
dopo la
litigata di ieri sera e le toccò andare a piedi. Non credeva
di essere
completamente in forze o per lo meno se oggi un prof l’avesse
interrogata non
ci sarebbe andata, o avrebbe preso un bel due. Non era in vena di fare
interrogazioni, la cosa che la spaventava di più era
sorbirsi le condoglianze
dei suoi compagni di classe e soprattutto vedere George. Beh si era il
suo
ragazzo, ma per il momento lei si riteneva in una specie di pausa di
riflessione,
chiamiamola così. Qualche giorno prima quando suo padre era
in fin di vita
aveva rifiutato di uscire con lui almeno un centinaio di volte e aveva
smesso
di risponde alle sue telefonate e ai suoi messaggi, così
avevano litigato. Una
mattina venne sotto casa sua e le disse “cavolo Rebecca
perché non mi rispondi,
mi fai stare in pensiero?” “fatti miei”
gli aveva risposto e chiudendogli la
porta in faccia. Da queste parole potrete dedurre che lui non sapeva
niente di
suo padre, ebbene sì, niente di niente, forse questo era
stato uno sbaglio, ma
non voleva dirglielo o sarebbe passata per quella che ha il padre
malato e fa
la vittima, e non le andava affatto di essere fraintesa.
Dopo un
paio di minuti arrivò a scuola e lì ad aspettarla
c’era Chiara.
- Tesoro
come ti senti? Volevo darti le cond... –
- Ti
prego Chiara risparmiatele queste cose, sai benissimo che non ho
intenzione di
parlare di questo. –
- Ok
come vuoi, allora parliamo di George? –
- No
neanche di lui. –
- Sai
benissimo che mi ha chiamato un centinaio di volte al cellulare e io
gli ho
detto che non ti sentivi bene o che avevi il cellulare scarico o che
eri uscita
e l’avevi dimenticato a casa, insomma me ne sono inventate
tante! –
- Beh
potevi evitare anche di risponderlo. –
- Si
certo così andava direttamente alla polizia, era
preoccupato! –
- E
lascialo preoccupare! Maledizione Chiara non riesci a capirmi non
voglio
parlarci e non voglio sentire la tua predica!-
- Okay,
come vuoi. – salirono le scale in silenzio e notò
che Chiara non faceva che
guardarla. Non riusciva a capirla, le era morto il padre e certo non
aveva
l’intenzione di chiarire con il suo ragazzo. Quando entrarono
in classe capì
però che George aveva veramente superato il limite. Sul suo
banco c’erano 15
rose rosse e una lettera. Chissà il perché oggi
era la giornata dei
bigliettini. Tutte le sue compagne di classe si erano addossate su quei
poveri
fiori e li guardavano ammirate.
- Oh
Rebecca, guarda è per te! – le urlò
Carmen, come se non l’avesse capito. “Per
Rebecca da George” recitava la parte esterna della lettera.
L’aprì e lesse.
“
Rebecca so che non vuoi parlarmi, so che sei arrabbiata con me e non so
per
quale motivo, ma so che è un motivo valido, chiariamoci ti
prego! Ti amo tanto
George”
Accartocciò
la lettera e la posò nella tasca.
Le ore
passarono in fretta e delle lezioni non capì
granché, le era ancora estraneo
l’argomento mi matematica che la prof aveva spiegato. Tutte
le sue compagne di
classe la guardavano con aria interrogativa e la cosa le dava molto
fastidio.
Aveva bisogno di un po’ d’aria.
-
Professoressa scusate posso andare i bagno? –
- Vai
Rebecca vai. –
Corse
verso quello che si poteva definire bagno e si chiuse la porta alle
spalle. La
prima cosa che fece fu prendere l’accendino dalla tasca e
accendersi una
sigaretta. Era molto che non fumava circa un anno, si era ripromessa di
non
fumare più, ma era stressata e non ce la faceva
più. Il fumo entrava nelle
narici e la cosa la rilassava, la faceva stare bene. La porta
però si aprì.
- Fumi?
–
-
Andiamo Chiara è solo una sigaretta che vuoi che sia.
–
- Ti fa
male fumare e lo sai benissimo, l’ultima volta per poco non
andavi
all’ospedale. –
- Ma
quale ospedale, non finire sul tragico ti prego. –
- Rischi
un cancro, lo sai?! – quelle parole mi ferirono, una voragine
di dolore ci aprì
al centro del petto, le lacrime incominciarono a sgorgare.
- Ehi
scusami io non volevo…-
-
Credimi…questo…fumare…mi…fa…stare…bene…è…l’unica…cosa…adesso.
– disse tra i
singhiozzi.
- Si,
hai ragione, appoggiati a me.- si appoggiò alla sua spalla e
mi lasciai andare.
In fondo Chiara queste cose gliele diceva perché le voleva
bene e lei lo
sapeva, ma qualche volta la sua parte menefreghista
se ne infischiava e la tramutava in un’egoista.
Dopo un po’ riuscì a calmarsi e tornarono in
classe, dove ovviamente si presero
una bella ramanzina da parte della prof più nota sul
registro. Eh sì, stava
male, era inutile negarlo a sé stessa, doveva superare la
morte di suo padre in
qualche modo, ci sarebbe riuscita. Mentre stravano fuori aveva preso
una
barretta dietetica, ma al momento il cibo le faceva schifo e la
gettò nel
cestino. Le sua compagne la smisero di fissare, avevano capito che
starle alla
larga adesso era la cosa migliore. Uscita da scuola però
trovo una “bella”, se
possiamo dire così, sorpresa fuori al cancello. George era
lì che l’aspettava
con altre rose in mano. Avrebbe voluto passagli davanti facendo finta
di non
conoscerlo, ma si fermò e lo guardò negli occhi.
Lui tentò di avvicinarsi per
baciarla, ma lei lo scansò.
- Cosa
c’è? –
- Volevo
parlarti. –
- Questo
l’avevo capito, ma io non ho queste intenzioni. –
- Dai
Reb, ti ho portato anche le rose. –
- Ah
sì,
vuoi sapere cosa ci faccio con le tue rose? – le prese e le
buttò a terra,
calpestandole le distrusse.
- Ma?
–
- Niente
ma, lasciami in pace ho detto! –
- Ah ho
capito, quando hai fatto l’amore con me hai capito che non ci
riuscivi a
sopportarmi vero? – si era dimenticata di questo piccolo
dettaglio.
-
Credimi questo non c’entra. – gli disse e
girò i tacchi. Quella di “aver fatto
l’amore” era una lunga storia. Era successo un
mesetto fa, non era stato
previsto. Non era una stata una di quelle cose del tipo
“stasera usciamo e ci
appartiamo”. Era sera e stavano a casa di George. Si erano
messi ad osservare le
stelle col telescopio ed era capitato, così senza
previsioni. La cosa brutta di
tutto questo era che non avevano preso preoccupazioni, ma la cosa
adesso le
importava poco. In realtà non ricordava neanche
più quando avrebbe dovuto avere
il prossimo ciclo. Piccoli dettagli a cui non aveva mai fatto caso.
Era un
periodo no, e questo l’avevano capito tutti.
L’unica persona di cui aveva
bisogno adesso era suo padre, l’unico che però non
poteva esserci.
Tornò
a
casa, era ancora vuota, sua madre oggi si era data alla pazza gioia.
Aprì il
frigorifero, ne tirò fuori del prosciutto e lo
mangiò insieme a del pane
raffermo. Doveva fare qualcosa di stupido di folle, e l’idea
l’aveva avuta. Un
tatuaggio le sembrava perfetto. Si alzò, prese la borsa e
uscì. Entrò nel primo
negozio che le sembrava adatto per la situazione e la commessa la
guardò
perplessa.
- E tu?
Cosa vuoi? –
- Volevo
farmi un tatuaggio. –
- Sai
che ci vuole l’autorizzazione dei genitori per i minorenni.
– sempre la stessa
storia.
- Non
sono una minorenne, da tre mesi ho 18 anni, le do un documento se
vuole?- fece
cenno di sì e glielo mostrò. La guardò
per un ultima volta e poi la fece
accomodare. Guardò ogni singolo esempio di tatuaggio
esposto, ma non le piaceva
nessuno, lei sapeva quale farsi.
- Allora
cosa ti faccio? –
- Vorrei
scritto un nome. –
- Se
è
quello del tuo ragazzo non te lo consiglio, non vorrei essere
scaramantica ma…-
- no,
nessun fidanzato, devi scrivermi “papà”,
proprio dietro alla nuca .-
-
Papà?
–
- Si hai
capito bene, p-a-p-à. –
- ok,
come vuoi. – anche se era molto indecisa le eseguì
un lavoro perfetto, adorava
quel tatuaggio. Non le importava di come avrebbe reagito sua madre,
tanto non
l’avrebbe mai scoperto. Tornò a casa e si mise a
guardare la televisione. Dopo
poco suonò il campanello, sperava che fosse sua madre, ma
era Chiara. La fece
salire.
- Come
va? – le chiese preoccupata.
- Bene.
–
- Mi
spieghi questa storia del “sesso”. –
- Non
c’è niente da dire. –
- Quando
è successo? –
- Un
mese fa. –
-
Quando? E perché non mi hai detto niente? –
-
perché
sapevo come avresti reagito. –
- Ma che
dici, cioè va bene, perché è una cosa
bella quando ci si ama, perché tu lo ami
vero? – silenzio.
- Non lo
so. –
- Che
risposta è “non lo so”?-
- Ecco
io lo sapevo, i fatti tuoi non te li sai fare! –
- Senti
Rebecca, mi comporto solo d’amica, ma se tu non mi vuoi
più come “amica”, la
finiamo qui. – la guardò sperando che dicesse
qualcosa, ma niente. Uscì da casa
sbattendo la porta. Fantastico adesso aveva anche perso la sua migliore
amica.
Aprì lo zaino, prese una sigaretta e se la fumò.
Aveva
perso tutti, ma non riusciva a rimediare al suo malumore, ed era quello
la
causa di tutto. Andò a dormire che sua madre ancora doveva
tornare, si era concessa
una vacanza lunga da lei da quanto vedeva.
La
mattina si svegliò e una forte nausea le salì
alla gola. Non vomitò chissà che,
non aveva mangiato molto la sera scorsa, ma la nausea era talmente
forte che
non la faceva alzare dal pavimento del bagno. Quando le
passò leggermente andò
verso la cucina e prese il calendario. Cercò in qualche modo
di ricordare
l’ultima volta che aveva avuto il ciclo. Alla fine il suo
ragionamento arrivò
ad un punto, aveva un ritardo di tre settimane. Questa cosa non aveva
assolutamente senso, di solito con queste cose non aveva mai avuto
problemi che
lei ricordasse. Uscì di casa non sapendo dove andare. Forse
era meglio andare da
un medico e chiedergli sulla sua nausea, però niente di
serio tipo medico della
mutua. Si fermò davanti ad una farmacia ed entrò.
- Salve
posso esserle utile? – le chiese un medico sorridente.
- Ehm
volevo sapere se…-
- Se?-
lei aveva bisogno di un test di gravidanza ecco di cosa aveva bisogno,
niente
se e nessun ma.
- Se
posso avere un test di gravidanza. – il medico la
guardò con molta serietà.
- Quanti
anni hai? –
- 18,
perché è un problema? –
- No
è
solo che sei una ragazzina. –
- Si, ma
non è un suo problema, mi da questo test si o no?
– prese la scatola e uscì.
Anche i farmacisti dovevano rompere quella mattina. Tornata a casa
buttò la
borsa per terra e incominciò a leggere le istruzioni.
“Nessuna
linea: il test deve essere rifatto. Una linea: non sei incinta. Due
linee: sei
incinta.”
Okay,
fantastico, doveva solo farlo, un gioco da ragazzi, sicuramente sarebbe
risultato negativo. Passavano i minuti e lei non faceva che andare
avanti e
indietro per il bagno e fumarsi una sigaretta per il nervosismo.
Guardò
l’orologio i cinque minuti erano passati. Chiuse gli occhi
sperando di trovarci
quella fatica linea, quando li aprì però la linea
c’era, ma non era sola, ce
n’era una seconda.
Continuava
a scuotere quell’affare come fosse un termometro, sperando
che quella seconda
linea scomparisse. Le lacrime incominciarono a scendere, era incinta,
INCITA!
Come avrebbe reagito sua madre, Chiara, ma soprattutto George?
Notò
che
aveva ancora la sigaretta in mano, la guardò e la
buttò subito nel water.
Non
poteva fumare, non in quelle condizioni almeno. Dove sarebbe andata?
cosa
avrebbe fatto? Forse sua madre l’avrebbe costretta ad
abortire, forse era la
migliore soluzione. Ecco, trovato! Lei era maggiorenne, non aveva
bisogno di un
genitore, sarebbe andata in ospedale, e avrebbe fatto una bella
pulizia,
nessuno se ne sarebbe accorto. Uscì di corsa e si diresse
all’ospedale più
vicino. Non sapeva in che reparto andare se in Pronto Soccorso o
Maternità.
Sarebbe salita al secondo reparto.
All’accettazione
c’era una donnina con i capelli neri, avvolta in un camice
bianco e con degli
occhiali da vista appoggiati sul collo.
- Salve.
–
- Ciao,
cosa posso fare per te? –
- Volevo
vedere un dottore. –
- Per
fare cosa? –
-Fatti
miei. –
- Ma
signorina io devo…-
- Una
visita. –
- Ha un
appuntamento? –
- Io,
no, ma…-
-
Aspetti qui. – prese delle carte e si allontanò.
Restare da sola in reparto
maternità era una pessima idea, c’erano delle
donne con pancioni che andavano
avanti e indietro. Una con una carrozzina si sedette affianco a lei.
Doveva
avere sulla trentina, non come lei che ne aveva solo 18. Aveva
partorito sicuramente
una bambina, perché aveva una tutina rosa e tutta felice si
rotolava nella sua
culletta.
- Quanto
c’ha? – la domande le sorse spontanea.
- 10
giorni. –
-
E’
molto carina. –
-
Grazie. – l’accarezzò con un dito e lei
se lo mise in bocca ridendo. In quel
momento scattò quello che si chiama “istinto
materno”, non poteva farlo.
-
Signorina mi vuole seguire? – la signora dal camice bianco la
chiamò.
- No,
io, non fa niente…- si alzò e se ne
andò, non poteva uccidere, non l’avrebbe
fatto. La prima persona che le venne in mente fu suo padre, aveva
bisogno di
parlargli, così si diresse al cimitero.
*****
Suo
padre stava lì, in quella tomba, di fronte a lei. Il marmo
recitava:
“ Qui giace
Alessandro Marino
nato il
21/10/1961
morto il
18/12/10
padre e
marito esemplare”
Le
lacrime scendevano senza termine.
- Ciao
Papà, lo sai mi manchi e ho un problema, se possiamo
chiamarlo così. Ti ricordi
di George? Beh ti piaceva, dicevi sempre che era un ragazzo con la
testa sulle
spalle. Sai com’è una sera, beh è
successo, lo so tu dirai che sono troppo
piccola per certe cose, forse avevi
ragione…papà…cosa devo fare?
– piangeva,
era l’unica cosa che riusciva a fare in quel momento non
muoveva un muscolo, ma
piangeva. Si sentì una mano sulla spalla e si
girò di scatto.
-
Chiara?! – stava vicino a lei e la guardava sorridente.
L’abbracciò, aveva
bisogno di conforto.
- Ma tu
non eri arrabbiata con me? –
- Si,
come no, come posso esserlo? Ti voglio troppo bene per poter litigare
con te. –
- Oh
Chiara, grazie.- riuscì a dire.
- Che
è
successo? –
- Non so
cosa fare, veramente, non lo so, è come se mi trovassi in un
buco nero senza
uscita. –
- Dovuto
da? –
- Mi sta
andando tutto a rotoli e adesso si ci mette anche il fatto che sono
incinta. –
- Tu
cosa? – Chiara si bloccò di stucco, non si
aspettava di certo un affermazione
del genere.
- Si,
è
successo tutto troppo in fretta con George, e adesso ne pago le
conseguenze. –
- Cosa
pensi di fare? –
- Volevo
abortire, ma non ce l’ho fatta, non mi va di uccidere un
essere umano, anche se
è qualcosa che non doveva succedere, forse lo do in
adozione. –
-
L’hai
detto a tua madre? –
- No,
non c’è a casa da tutto il giorno, e si
è presa anche la macchina, figurati se
le interessa. –
-
Rebecca glielo devi dire, avanti alzati ti accompagno a casa.
– si alzò e andò
verso la macchina di Chiara.
L’idea
dell’adozione le sembrava un’ottima idea, ma aveva
come un senso materno verso
quel bambino che cresceva dentro di lei. Tenerlo significava avere
delle
responsabilità e da sola non ce l’avrebbe fatta,
non senza George, chissà lui
come avrebbe reagito, l’avrebbe lasciata se lo sentiva. La
ragazza madre
abbandonata dal fidanzato sapeva tanto di telefilm.
- Siamo
arrivate, su scendi, ti aspetto giù, dopo ci facciamo un
giro. – fece cenno di
sì e salì le scale. Entrò dalla porta
d’ingresso e stranamente sua madre era
tornata, come se fosse proprio tornata per la sua notizia. Stava nella
stanza
da letto. Svuotava l’armadio e metteva tutto il contenuto in
una valigia.
- Cosa
stai facendo? –
- Me ne
vado via, con il mio compagno. –
-
Compagno? Sei stata veloce a rimpiazzare papà –
- Sai
benissimo che stavamo insieme solo per te. – si certo, che
bella scusa.
- E io,
dove vado? –
- Non
è
un mio problema, vai a vivere con quel tuo ragazzo,
com’è che si chiama? –
-
George. –
- Eh si
con lui. – prese la borsa e le diede le spalle.
- Volevo
solo dirti che sono incinta. – sua madre ebbe la stessa
reazione di Chiara, ma
leggermente diversa.
- Beh,
auguri. – e se ne andò.
Auguri? Ecco cosa si dice ad
una figlia
diciottenne incinta, auguri. Era senza parole. Tornò in
macchina con Chiara,
senza parlare.
- Cosa
ti ha detto? –
- Se ne
va, con il suo amante e mi ha fatto gli auguri.-
- Per
cosa? –
- Per il
bambino. –
- Gli
auguri? –
- Si,
non le importa niente di me. –
- Oh
andiamo sono sicura che è confusa. –
- Non lo
è affatto, mi odia, mi disprezza, e io non sarò
come lei, non sarò una pessima
madre…portami da George. –
- Vuoi
parlargli? –
- te lo
dirò dopo, adesso accompagnami da lui, ti prego. –
senza chiederle altro, mise
in moto.
Arrivata
davanti alla casa, suonò il campanello, le tremavano le
gambe.
- Chi
è?
– disse qualcuno a citofono, del quale non riconobbe la voce.
- Sono
Rebecca, cercavo George. – il portone si aprì e
lei entrò. Salì le scale una ad
una molto lentamente, aveva quasi paura a parlargli. Una ragazzina dai
capelli
biondi l’aprì, era la sorella.
- Ciao
Reb, George sta nella sua stanza. –
- Okay,
posso entrare? –
- Certo
–
La casa
era sempre la stessa. Sua madre era seduta sul divano e la
guardò con aria
accigliata, molto probabilmente gli aveva detto della discussione fuori
da
scuola. Bussò alla porta della stanza di George e lui
borbottò un “avanti”.
- Ciao.-
- Ciao,
cosa vuoi, ancora umiliarmi. –
- No,
dobbiamo parlare. –
- Ah
sì?
–
- Senti
George – incominciai sedendomi sul letto. – mi sono
comportata così male, perché
ho avuto dei problemi. Papà è morto qualche
giorno fa. – George la guardò
dritto nelle pupille.
-
Perché
non mi hai detto niente? –
- Ero
troppo sconvolta per parlarne, sai mi sono fatta un tatuaggio per lui.
–
- Un
tatuaggio –
- Si,
niente di eccezionale, solo una scritta, comunque ho un’altra
cosa da dirti. –
- Che
sarebbe? –
Non riusciva
a dirglielo, le parole le erano morte in gola. Inspirò e lo
disse tutto d’un
fiato.
- Sono
Incinta. –
- Che?
–
- Si,
quando lo abbiamo fatto un mese fa, beh non è andato tutto
filo come l’olio,
adesso immagino che tu non voglia più vedermi, quindi me ne
vado, non c’è
bisogno che dici niente, ci vediamo in giro eh. –
Si
alzò
e si diresse alla porta.
- Ma
dove vai? Certo che tu vedi troppo film depressi, non ho nessuna
intenzione a
lasciarti, dovevo solo assorbire la notizia. –
- Dici
davvero? –
- Si,
vieni parliamone, come hai potuto pensare che io facessi una cosa del
genere,
io ti amo no? – a questa affermazione gli buttò le
braccia al collo e lo baciò
sulle labbra.
-
Anch’io
ti amo George. – Era felice. Era la prima volta dalla morte
di suo padre. Sapeva
che lui in qualche modo, c’entrava. Eccome se
c’entrava.
Spazio
Autrice: Salve a
tutti, questa storia l’ho
scritta per una scommessa, andata poi a monte. Così mi sono
detta, perché non
vedere cosa ne pensa il popolo di EFP?
Beh,
cosa ne pensate? xD, lasciatemi un commentino e fatemelo sapere J ^^