Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Raffaley94    02/01/2011    1 recensioni
La morte di un padre può la lasciare una figlia sconvolta.
Rebecca non sa cosa fare, si sente sola, è come se fosse immersa in un buco nero.
Ha un bisogno incondizionato del padre che è morto da pochi giorni.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Era distesa sul suo letto e guardava il soffitto. Non sapeva cosa fare, se piangere o ridere, la cosa le sembrava abbastanza strana. Eppure si era preparata per quel momento, aveva scritto una scaletta maledizione! Ma adesso niente, tabula rasa. L’unica cosa che faceva era vedere il soffitto. Nell’ultimo mese il suo cuore era stato diviso in due tra George e suo padre, ma adesso le sembrava che un cuore non ce l’avesse più. Doveva vestirsi, a momenti sarebbe arrivata sua madre e l’avrebbe rimproverata, perché era in ritardo come sempre, ma non le andava di mettere il naso fuori di casa, non le andava di fare niente. I vestiti giacevano sulla sedia, neri come il suo stato d’animo al momento. Una persona bussò alla porta.

- Tesoro, muoviti che faremo tardi. – eh sì, era proprio sua madre.

- Sarò pronta tra qualche minuto. – odiava sua madre, era come se il diavolo si fosse impossessata di lei, era cattiva, perfida. Adorava vestirsi di animali, ce li aveva tutti. Aveva perfino un capello di pelle di cane, la cosa la disgustava fino all’ultimo punto. Aveva le labbra sempre impregnate di rossetto e non riusciva a capire come facesse ad avere tutti quegli amanti. Vi chiederete come una figlia fa a sapere certe cose, ma credetele lei ne sapeva di cose, e come se ne sapeva! Suo padre era più cornuto di cervo, e gli faceva pena. Per tutto quel tempo lui le era stato fedele e lei no, rifiutava il matrimonio. Si era sposata solo perché era incinta!  E molte volte quando si arrabbiava con lei la minacciava “Ho quasi rischiato di abortire, lo sai!” e anche se la odiava, le faceva male, molto male.

Svogliatamente infilò le scarpe e mise una leggera linea di matita sotto gli occhi, era pronta. Era pronta per quel giorno che sapeva sarebbe arrivato presto. Il telefono vibrò, lo prese in mano, un messaggio da George. “Tesoro ti amo alla follia, ti prego parliamone” diceva. Sbuffò e chiuse il cellulare, buttandolo sul letto.

- Rebecca, avanti che è tardi! – di nuovo sua madre al di là della porta.

- Sono pronta! – uscii dalla camera e vide sua madre, in una pelliccia di bisonte e con i capelli pettinati, molto probabilmente era andata dalla parrucchiera, neanche dovessero andare ad una festa.

- E questo me lo chiami essere pronta? –

- Perché cosa dovrei mettermi? –

- Beh qualcosa di più sofisticato, che figura facciamo se andiamo conciate come delle pezzenti. – come quelle persone che stando nella situazione nella quale ci troviamo noi, si disperano e vestirsi bene risulta essere l’ultimo dei pensieri.

- Hai ragione, scusa mamma. – rientrò in stanza e presi una maglia rossa, non voleva essere troppo appariscente, o meglio non voleva che le persone pensassero che lei fosse come sua madre. Quando la vide per la seconda volta, storpiò le labbra, ma la cosa non la toccava minimamente, certamente non aveva intenzione di presentarsi come una prostituta.

Entrano in macchina, o meglio nella loro limousine, certe volte aveva dei dubbi sul lavoro di sua madre. Lei aveva sempre detto di fare l’agente immobiliare, invece era sempre più convinta che gli immobili lei non ne vendesse affatto, se non contiamo immobili personali, molto “personali”.

Guardava fuori dal finestrino. Non riusciva a muoversi e non sapeva neanche se stesse respirando, avrebbe potuto tranquillamente smettere e non accorgersene. Era come se l’anima di suo padre avesse preso anche la sua e al momento nel suo corpo non ci fosse niente, se non organi e schifezze varie.

- Su Rebecca, scendi. – scese dalla macchina e si trovò quella chiesa davanti, odiava quella chiesa. Quand’era bambina l’adorava, il suo sogno era di celebrare il suo matrimonio lì, ma adesso non più, l’odiava.

Quel tendaggio viola davanti all’entrata le metteva ansia, voleva andarsene, andare in qualunque posto, tranne quello.

- Su tesoro entriamo. – sua madre la tirò per un braccio e si andarono a sedere ad uno dei primi banchi. Suo padre era lì bianco come latte, non si poteva certo dire che aveva una bella cera, ovvio no? Era morto.

Era stato un cancro fulminante hai polmoni a colpirlo. Qualche mese prima, aveva notato di avere un po’ di difficoltà a respirare e andando all’ospedale gliel’avevano diagnosticato. “Avete ancora un paio di mesi”questo gli era stato detto. Sua madre sembrava essere la più felice del mondo, sapete com’è, adesso non aveva più bisogno di inventarsi balle per uscire con i suoi “uomini”. Un accenno di vomito gli salì alla gola.

Durante questi ultimi mesi di vita si era dedicato completamente a lei. Avevano fatto tutte le cose che in tutta la sua vita lei gli aveva sempre chiesto di fare, ma che mai si erano fatte a causa del lavoro. Erano andati a pattinare e perfino al lunapark, le sembrava impossibile che da un momento all’altro potesse morire. Un giorno però accadde. Stava nella sua stanza, sua madre non c’era, quando uscì vide suo padre seduto sulla poltrona che sorseggiava whisky. Non aveva mai bevuto alcolici prima di allora che lei sapesse. Rimase immobile davanti alla figura di suo padre che piangeva, dopo qualche secondo il bicchiere cadde a terra e lui cessò di respirare. Non aveva mai pianto da quando era morto, ma sapeva che prima o poi sarebbe scoppiata.

- Rebecca devi andare al leggio. – mi madre mi fece ritornare alla realtà. Mi alzai e presi il mio discorso, erano giorni che lo preparavo. Mi girai verso la folla e poi vidi mio padre, il colorito non era cambiato.

- Buongiorno a tutti. – incominciai – avevo preparato un discorso che leggendolo adesso mi sembra insignificante. Mi ci vorrebbero delle ore per parlare di lui, ma tutto questo tempo non credo ti poterlo avere. Cosa posso dire, beh certo lui era un uomo straordinario e teneva alla sua famiglia, ma qualche volta avrei voluto che fosse più presente per me e mia madre. Credo di non aver avere mai voluto tanto bene ad una persona come ne volevo a lui. – le lacrime incominciavano a sgorgare. – è stato un uomo magnifico…non avevo mai pianto fino ad adesso…mi ha praticamente sconvolto la sua morte…lo so che era stata prevista, ma mi sento persa non so cosa fare…aveva detto “quando io morirò dovrai essere forte e dovrai badare a tua madre”ma papà credimi…non ce la faccio! Papà torna da me! – a quel punto non riusciva più a parlare a causa delle lacrime, sua madre la venne a prendere e tornarono a sedersi ai loro banchi. Non riusciva a seguire la messa, non faceva che guardare suo padre, freddo che giaceva nella bara. Aveva bisogno di lui più che mai.

Seguì la processione fino al cimitero, poi quando posarono la bara tornò a casa all’insaputa di tutti. Si svestì e si gettò sul letto, non facevo altro che piangere. Il telefono squillò di nuovo, vide il display, era George, di nuovo, lo spense. Non aveva la testa per parlare con lui e per chiarire, non voleva parlare con nessuno in realtà.

La porta d’ingresso si spalancò e sentì mia madre correre verso la sua stanza.

- Ti pare questo il modo di andartene senza dirmi niente! –

- Cosa avrei dovuto fare? Dirti “mamma io me ne vado?” –

- Mi hai fatto fare una figura da niente! –

- A te questo interessa vero? Di fare le figure! Piuttosto vai a fare la puttana e vedi di non rompere le scatole! – detto questo le chiuse la porta in faccia e tornò al suo letto.

Non riuscì a dormire neanche un po’, sentiva sua madre che per la casa andava avanti indietro. Le sembrò anche di averla sentita piangere, ma molto probabilmente era stata soltanto impressione, lei non piangeva per suo padre, al massimo se le si rompeva un’unghia.  La mattina si alzò ancora assonnata, sapeva che doveva andare a scuola, ma proprio non le andava. Guardò l’orologio, erano le 7 e 30, sua madre probabilmente era uscita e francamente non aveva nessuna voglia di vederla. Andò in cucina e trovò un biglietto sul tavolo.

“Non ti ho preparato la colazione, se hai fame ti ho lasciato i soldi.” E affianco a questo biglietto due euro. Com’era taccagna certe volte.

Preparò la borsa e scese di casa. Non le aveva lasciato la macchina ovviamente, dopo la litigata di ieri sera e le toccò andare a piedi. Non credeva di essere completamente in forze o per lo meno se oggi un prof l’avesse interrogata non ci sarebbe andata, o avrebbe preso un bel due. Non era in vena di fare interrogazioni, la cosa che la spaventava di più era sorbirsi le condoglianze dei suoi compagni di classe e soprattutto vedere George. Beh si era il suo ragazzo, ma per il momento lei si riteneva in una specie di pausa di riflessione, chiamiamola così. Qualche giorno prima quando suo padre era in fin di vita aveva rifiutato di uscire con lui almeno un centinaio di volte e aveva smesso di risponde alle sue telefonate e ai suoi messaggi, così avevano litigato. Una mattina venne sotto casa sua e le disse “cavolo Rebecca perché non mi rispondi, mi fai stare in pensiero?” “fatti miei” gli aveva risposto e chiudendogli la porta in faccia. Da queste parole potrete dedurre che lui non sapeva niente di suo padre, ebbene sì, niente di niente, forse questo era stato uno sbaglio, ma non voleva dirglielo o sarebbe passata per quella che ha il padre malato e fa la vittima, e non le andava affatto di essere fraintesa.

Dopo un paio di minuti arrivò a scuola e lì ad aspettarla c’era Chiara.

- Tesoro come ti senti? Volevo darti le cond... –

- Ti prego Chiara risparmiatele queste cose, sai benissimo che non ho intenzione di parlare di questo. –

- Ok come vuoi, allora parliamo di George? –

- No neanche di lui. –

- Sai benissimo che mi ha chiamato un centinaio di volte al cellulare e io gli ho detto che non ti sentivi bene o che avevi il cellulare scarico o che eri uscita e l’avevi dimenticato a casa, insomma me ne sono inventate tante! –

- Beh potevi evitare anche di risponderlo. –

- Si certo così andava direttamente alla polizia, era preoccupato! –

- E lascialo preoccupare! Maledizione Chiara non riesci a capirmi non voglio parlarci e non voglio sentire la tua predica!-

- Okay, come vuoi. – salirono le scale in silenzio e notò che Chiara non faceva che guardarla. Non riusciva a capirla, le era morto il padre e certo non aveva l’intenzione di chiarire con il suo ragazzo. Quando entrarono in classe capì però che George aveva veramente superato il limite. Sul suo banco c’erano 15 rose rosse e una lettera. Chissà il perché oggi era la giornata dei bigliettini. Tutte le sue compagne di classe si erano addossate su quei poveri fiori e li guardavano ammirate.

- Oh Rebecca, guarda è per te! – le urlò Carmen, come se non l’avesse capito. “Per Rebecca da George” recitava la parte esterna della lettera. L’aprì e lesse.

“ Rebecca so che non vuoi parlarmi, so che sei arrabbiata con me e non so per quale motivo, ma so che è un motivo valido, chiariamoci ti prego! Ti amo tanto

George”

Accartocciò la lettera e la posò nella tasca.

Le ore passarono in fretta e delle lezioni non capì granché, le era ancora estraneo l’argomento mi matematica che la prof aveva spiegato. Tutte le sue compagne di classe la guardavano con aria interrogativa e la cosa le dava molto fastidio. Aveva bisogno di un po’ d’aria.

- Professoressa scusate posso andare i bagno? –

- Vai Rebecca vai. –

Corse verso quello che si poteva definire bagno e si chiuse la porta alle spalle. La prima cosa che fece fu prendere l’accendino dalla tasca e accendersi una sigaretta. Era molto che non fumava circa un anno, si era ripromessa di non fumare più, ma era stressata e non ce la faceva più. Il fumo entrava nelle narici e la cosa la rilassava, la faceva stare bene. La porta però si aprì.

- Fumi? –

- Andiamo Chiara è solo una sigaretta che vuoi che sia. –

- Ti fa male fumare e lo sai benissimo, l’ultima volta per poco non andavi all’ospedale. –

- Ma quale ospedale, non finire sul tragico ti prego. –

- Rischi un cancro, lo sai?! – quelle parole mi ferirono, una voragine di dolore ci aprì al centro del petto, le lacrime incominciarono a sgorgare.

- Ehi scusami io non volevo…-

- Credimi…questo…fumare…mi…fa…stare…bene…è…l’unica…cosa…adesso. – disse tra i singhiozzi.

- Si, hai ragione, appoggiati a me.- si appoggiò alla sua spalla e mi lasciai andare. In fondo Chiara queste cose gliele diceva perché le voleva bene e lei lo sapeva, ma qualche volta la sua parte menefreghista  se ne infischiava e la tramutava in un’egoista. Dopo un po’ riuscì a calmarsi e tornarono in classe, dove ovviamente si presero una bella ramanzina da parte della prof più nota sul registro. Eh sì, stava male, era inutile negarlo a sé stessa, doveva superare la morte di suo padre in qualche modo, ci sarebbe riuscita. Mentre stravano fuori aveva preso una barretta dietetica, ma al momento il cibo le faceva schifo e la gettò nel cestino. Le sua compagne la smisero di fissare, avevano capito che starle alla larga adesso era la cosa migliore. Uscita da scuola però trovo una “bella”, se possiamo dire così, sorpresa fuori al cancello. George era lì che l’aspettava con altre rose in mano. Avrebbe voluto passagli davanti facendo finta di non conoscerlo, ma si fermò e lo guardò negli occhi. Lui tentò di avvicinarsi per baciarla, ma lei lo scansò.

- Cosa c’è? –

- Volevo parlarti. –

- Questo l’avevo capito, ma io non ho queste intenzioni. –

- Dai Reb, ti ho portato anche le rose. –

- Ah sì, vuoi sapere cosa ci faccio con le tue rose? – le prese e le buttò a terra, calpestandole le distrusse.

- Ma? –

- Niente ma, lasciami in pace ho detto! –

- Ah ho capito, quando hai fatto l’amore con me hai capito che non ci riuscivi a sopportarmi vero? – si era dimenticata di questo piccolo dettaglio.

- Credimi questo non c’entra. – gli disse e girò i tacchi. Quella di “aver fatto l’amore” era una lunga storia. Era successo un mesetto fa, non era stato previsto. Non era una stata una di quelle cose del tipo “stasera usciamo e ci appartiamo”. Era sera e stavano a casa di George. Si erano messi ad osservare le stelle col telescopio ed era capitato, così senza previsioni. La cosa brutta di tutto questo era che non avevano preso preoccupazioni, ma la cosa adesso le importava poco. In realtà non ricordava neanche più quando avrebbe dovuto avere il prossimo ciclo. Piccoli dettagli a cui non aveva mai fatto caso.

Era un periodo no, e questo l’avevano capito tutti. L’unica persona di cui aveva bisogno adesso era suo padre, l’unico che però non poteva esserci.

Tornò a casa, era ancora vuota, sua madre oggi si era data alla pazza gioia. Aprì il frigorifero, ne tirò fuori del prosciutto e lo mangiò insieme a del pane raffermo. Doveva fare qualcosa di stupido di folle, e l’idea l’aveva avuta. Un tatuaggio le sembrava perfetto. Si alzò, prese la borsa e uscì. Entrò nel primo negozio che le sembrava adatto per la situazione e la commessa la guardò perplessa.

- E tu? Cosa vuoi? –

- Volevo farmi un tatuaggio. –

- Sai che ci vuole l’autorizzazione dei genitori per i minorenni. – sempre la stessa storia.

- Non sono una minorenne, da tre mesi ho 18 anni, le do un documento se vuole?- fece cenno di sì e glielo mostrò. La guardò per un ultima volta e poi la fece accomodare. Guardò ogni singolo esempio di tatuaggio esposto, ma non le piaceva nessuno, lei sapeva quale farsi.

- Allora cosa ti faccio? –

- Vorrei scritto un nome. –

- Se è quello del tuo ragazzo non te lo consiglio, non vorrei essere scaramantica ma…-

- no, nessun fidanzato, devi scrivermi “papà”, proprio dietro alla nuca .-

- Papà? –

- Si hai capito bene, p-a-p-à. –

- ok, come vuoi. – anche se era molto indecisa le eseguì un lavoro perfetto, adorava quel tatuaggio. Non le importava di come avrebbe reagito sua madre, tanto non l’avrebbe mai scoperto. Tornò a casa e si mise a guardare la televisione. Dopo poco suonò il campanello, sperava che fosse sua madre, ma era Chiara. La fece salire.

- Come va? – le chiese preoccupata.

- Bene. –

- Mi spieghi questa storia del “sesso”. –

- Non c’è niente da dire. –

- Quando è successo? –

- Un mese fa. –

- Quando? E perché non mi hai detto niente? –

- perché sapevo come avresti reagito. –

- Ma che dici, cioè va bene, perché è una cosa bella quando ci si ama, perché tu lo ami vero? – silenzio.

- Non lo so. –

- Che risposta è “non lo so”?-

- Ecco io lo sapevo, i fatti tuoi non te li sai fare! –

- Senti Rebecca, mi comporto solo d’amica, ma se tu non mi vuoi più come “amica”, la finiamo qui. – la guardò sperando che dicesse qualcosa, ma niente. Uscì da casa sbattendo la porta. Fantastico adesso aveva anche perso la sua migliore amica. Aprì lo zaino, prese una sigaretta e se la fumò.

Aveva perso tutti, ma non riusciva a rimediare al suo malumore, ed era quello la causa di tutto. Andò a dormire che sua madre ancora doveva tornare, si era concessa una vacanza lunga da lei da quanto vedeva.

La mattina si svegliò e una forte nausea le salì alla gola. Non vomitò chissà che, non aveva mangiato molto la sera scorsa, ma la nausea era talmente forte che non la faceva alzare dal pavimento del bagno. Quando le passò leggermente andò verso la cucina e prese il calendario. Cercò in qualche modo di ricordare l’ultima volta che aveva avuto il ciclo. Alla fine il suo ragionamento arrivò ad un punto, aveva un ritardo di tre settimane. Questa cosa non aveva assolutamente senso, di solito con queste cose non aveva mai avuto problemi che lei ricordasse. Uscì di casa non sapendo dove andare. Forse era meglio andare da un medico e chiedergli sulla sua nausea, però niente di serio tipo medico della mutua. Si fermò davanti ad una farmacia ed entrò.

- Salve posso esserle utile? – le chiese un medico sorridente.

- Ehm volevo sapere se…-

- Se?- lei aveva bisogno di un test di gravidanza ecco di cosa aveva bisogno, niente se e nessun ma.

- Se posso avere un test di gravidanza. – il medico la guardò con molta serietà.

- Quanti anni hai? –

- 18, perché è un problema? –

- No è solo che sei una ragazzina. –

- Si, ma non è un suo problema, mi da questo test si o no? – prese la scatola e uscì. Anche i farmacisti dovevano rompere quella mattina. Tornata a casa buttò la borsa per terra e incominciò a leggere le istruzioni.

“Nessuna linea: il test deve essere rifatto. Una linea: non sei incinta. Due linee: sei incinta.”

Okay, fantastico, doveva solo farlo, un gioco da ragazzi, sicuramente sarebbe risultato negativo. Passavano i minuti e lei non faceva che andare avanti e indietro per il bagno e fumarsi una sigaretta per il nervosismo. Guardò l’orologio i cinque minuti erano passati. Chiuse gli occhi sperando di trovarci quella fatica linea, quando li aprì però la linea c’era, ma non era sola, ce n’era una seconda.

Continuava a scuotere quell’affare come fosse un termometro, sperando che quella seconda linea scomparisse. Le lacrime incominciarono a scendere, era incinta, INCITA! Come avrebbe reagito sua madre, Chiara, ma soprattutto George?

Notò che aveva ancora la sigaretta in mano, la guardò e la buttò subito nel water.

Non poteva fumare, non in quelle condizioni almeno. Dove sarebbe andata? cosa avrebbe fatto? Forse sua madre l’avrebbe costretta ad abortire, forse era la migliore soluzione. Ecco, trovato! Lei era maggiorenne, non aveva bisogno di un genitore, sarebbe andata in ospedale, e avrebbe fatto una bella pulizia, nessuno se ne sarebbe accorto. Uscì di corsa e si diresse all’ospedale più vicino. Non sapeva in che reparto andare se in Pronto Soccorso o Maternità. Sarebbe salita al secondo reparto.

All’accettazione c’era una donnina con i capelli neri, avvolta in un camice bianco e con degli occhiali da vista appoggiati sul collo.

- Salve. –

- Ciao, cosa posso fare per te? –

- Volevo vedere un dottore. –

- Per fare cosa? –

-Fatti miei. –

- Ma signorina io devo…-

- Una visita. –

- Ha un appuntamento? –

- Io, no, ma…-

- Aspetti qui. – prese delle carte e si allontanò. Restare da sola in reparto maternità era una pessima idea, c’erano delle donne con pancioni che andavano avanti e indietro. Una con una carrozzina si sedette affianco a lei. Doveva avere sulla trentina, non come lei che ne aveva solo 18. Aveva partorito sicuramente una bambina, perché aveva una tutina rosa e tutta felice si rotolava nella sua culletta.

- Quanto c’ha? – la domande le sorse spontanea.

- 10 giorni. –

- E’ molto carina. –

- Grazie. – l’accarezzò con un dito e lei se lo mise in bocca ridendo. In quel momento scattò quello che si chiama “istinto materno”, non poteva farlo.

- Signorina mi vuole seguire? – la signora dal camice bianco la chiamò.

- No, io, non fa niente…- si alzò e se ne andò, non poteva uccidere, non l’avrebbe fatto. La prima persona che le venne in mente fu suo padre, aveva bisogno di parlargli, così si diresse al cimitero.

*****

Suo padre stava lì, in quella tomba, di fronte a lei. Il marmo recitava:

 “ Qui giace Alessandro Marino

nato il 21/10/1961

morto il 18/12/10

padre e marito esemplare”

Le lacrime scendevano senza termine.

- Ciao Papà, lo sai mi manchi e ho un problema, se possiamo chiamarlo così. Ti ricordi di George? Beh ti piaceva, dicevi sempre che era un ragazzo con la testa sulle spalle. Sai com’è una sera, beh è successo, lo so tu dirai che sono troppo piccola per certe cose, forse avevi ragione…papà…cosa devo fare? – piangeva, era l’unica cosa che riusciva a fare in quel momento non muoveva un muscolo, ma piangeva. Si sentì una mano sulla spalla e si girò di scatto.

- Chiara?! – stava vicino a lei e la guardava sorridente. L’abbracciò, aveva bisogno di conforto.

- Ma tu non eri arrabbiata con me? –

- Si, come no, come posso esserlo? Ti voglio troppo bene per poter litigare con te. –

- Oh Chiara, grazie.- riuscì a dire.

- Che è successo? –

- Non so cosa fare, veramente, non lo so, è come se mi trovassi in un buco nero senza uscita. –

- Dovuto da? –

- Mi sta andando tutto a rotoli e adesso si ci mette anche il fatto che sono incinta. –

- Tu cosa? – Chiara si bloccò di stucco, non si aspettava di certo un affermazione del genere.

- Si, è successo tutto troppo in fretta con George, e adesso ne pago le conseguenze. –

- Cosa pensi di fare? –

- Volevo abortire, ma non ce l’ho fatta, non mi va di uccidere un essere umano, anche se è qualcosa che non doveva succedere, forse lo do in adozione. –

- L’hai detto a tua madre? –

- No, non c’è a casa da tutto il giorno, e si è presa anche la macchina, figurati se le interessa. –

- Rebecca glielo devi dire, avanti alzati ti accompagno a casa. – si alzò e andò verso la macchina di Chiara.

L’idea dell’adozione le sembrava un’ottima idea, ma aveva come un senso materno verso quel bambino che cresceva dentro di lei. Tenerlo significava avere delle responsabilità e da sola non ce l’avrebbe fatta, non senza George, chissà lui come avrebbe reagito, l’avrebbe lasciata se lo sentiva. La ragazza madre abbandonata dal fidanzato sapeva tanto di telefilm.

- Siamo arrivate, su scendi, ti aspetto giù, dopo ci facciamo un giro. – fece cenno di sì e salì le scale. Entrò dalla porta d’ingresso e stranamente sua madre era tornata, come se fosse proprio tornata per la sua notizia. Stava nella stanza da letto. Svuotava l’armadio e metteva tutto il contenuto in una valigia.

- Cosa stai facendo? –

- Me ne vado via, con il mio compagno. –

- Compagno? Sei stata veloce a rimpiazzare papà –

- Sai benissimo che stavamo insieme solo per te. – si certo, che bella scusa.

- E io, dove vado? –

- Non è un mio problema, vai a vivere con quel tuo ragazzo, com’è che si chiama? –

- George. –

- Eh si con lui. – prese la borsa e le diede le spalle.

- Volevo solo dirti che sono incinta. – sua madre ebbe la stessa reazione di Chiara, ma leggermente diversa.

- Beh, auguri. – e se ne andò.

 Auguri? Ecco cosa si dice ad una figlia diciottenne incinta, auguri. Era senza parole. Tornò in macchina con Chiara, senza parlare.

- Cosa ti ha detto? –

- Se ne va, con il suo amante e mi ha fatto gli auguri.-

- Per cosa? –

- Per il bambino. –

- Gli auguri? –

- Si, non le importa niente di me. –

- Oh andiamo sono sicura che è confusa. –

- Non lo è affatto, mi odia, mi disprezza, e io non sarò come lei, non sarò una pessima madre…portami da George. –

- Vuoi parlargli? –

- te lo dirò dopo, adesso accompagnami da lui, ti prego. – senza chiederle altro, mise in moto.

Arrivata davanti alla casa, suonò il campanello, le tremavano le gambe.

- Chi è? – disse qualcuno a citofono, del quale non riconobbe la voce.

- Sono Rebecca, cercavo George. – il portone si aprì e lei entrò. Salì le scale una ad una molto lentamente, aveva quasi paura a parlargli. Una ragazzina dai capelli biondi l’aprì, era la sorella.

- Ciao Reb, George sta nella sua stanza. –

- Okay, posso entrare? –

- Certo –

La casa era sempre la stessa. Sua madre era seduta sul divano e la guardò con aria accigliata, molto probabilmente gli aveva detto della discussione fuori da scuola. Bussò alla porta della stanza di George e lui borbottò un “avanti”.

- Ciao.-

- Ciao, cosa vuoi, ancora umiliarmi. –

- No, dobbiamo parlare. –

- Ah sì? –

- Senti George – incominciai sedendomi sul letto. – mi sono comportata così male, perché ho avuto dei problemi. Papà è morto qualche giorno fa. – George la guardò dritto nelle pupille.

- Perché non mi hai detto niente? –

- Ero troppo sconvolta per parlarne, sai mi sono fatta un tatuaggio per lui. –

- Un tatuaggio –

- Si, niente di eccezionale, solo una scritta, comunque ho un’altra cosa da dirti. –

- Che sarebbe? –

Non riusciva a dirglielo, le parole le erano morte in gola. Inspirò e lo disse tutto d’un fiato.

- Sono Incinta. –

- Che? –

- Si, quando lo abbiamo fatto un mese fa, beh non è andato tutto filo come l’olio, adesso immagino che tu non voglia più vedermi, quindi me ne vado, non c’è bisogno che dici niente, ci vediamo in giro eh. –

Si alzò e si diresse alla porta.

- Ma dove vai? Certo che tu vedi troppo film depressi, non ho nessuna intenzione a lasciarti, dovevo solo assorbire la notizia. –

- Dici davvero? –

- Si, vieni parliamone, come hai potuto pensare che io facessi una cosa del genere, io ti amo no? – a questa affermazione gli buttò le braccia al collo e lo baciò sulle labbra.

- Anch’io ti amo George. – Era felice. Era la prima volta dalla morte di suo padre. Sapeva che lui in qualche modo, c’entrava. Eccome se c’entrava.

 

Spazio Autrice: Salve a tutti, questa storia l’ho scritta per una scommessa, andata poi a monte. Così mi sono detta, perché non vedere cosa ne pensa il popolo di EFP?

Beh, cosa ne pensate? xD, lasciatemi un commentino e fatemelo sapere J ^^

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Raffaley94