02/01/2011
1 recensioniNon è assolutamente creata a scopo di lucro.
Perché sono cambiata grazie ad una notte di sesso mutata in amore .
Ma prima di ogni lieto fine, bisogna andare in contro al dolore e alle sofferenze, perché non si arriva all’alba se non si attraversa la notte.
Eppure la mia notte è durata circa sei anni, prima di vedere il giorno. Ed ho dovuto lasciare andare l’unica persona che io abbia mai amato/creduto/aiutato/vissuto/avuto.
E proprio adesso, che sto impacchettando i miei ricordi dentro ad un cassetto nel cuore, mi rendo conto di quanto io gli debba per ogni singolo sorriso.
Ma cosa, se non la mia “Carrying through the night” poteva raccontare di un amore proibito? Una cosa: le cicatrici che ho sul cuore.
EMA’S AWARD 2011.
« Perché dobbiamo andare a ritirare stupidi premi? » chiesi a Jeremy, il mio chitarrista.
« Meg, sono grammies! Alla faccia degli stupidi premi! » replicò.
« Ti giuro che non ci verrò mai più. »
« Sorridi e annuisci Meg, qualsiasi cosa i presentatori dicano ok? » mi ricordò.
« Sì, lo hai già detto venti volte! Ho capito! » strillai.
« Siamo arrivati. Preparati a scendere e a fare la tua entrata sul red carpet ok? »
Appena salii sul tappeto i fotografi iniziarono a scattare con la loro macchina.
Poi continuarono i giornalisti chiedendomi costantemente come stessi o come mi sentissi.
E a tutti avrei risposto che me ne sarei volentieri andata per evitare ogni loro stupida e ripetitiva domanda.
« Ma, noi tutto bene. » risposi. « Siamo tutti molto in ansia di sapere quante nomination avete vinto. » continuò il conduttore.
« Sì. » mi limitai a dire.
« Non vedi quanta gente c’è qui per voi? Sarete soddisfatti no? »
« Sì, sono molto contenta e apprezzo tutto, ora scappo, a dopo. » e salutai i fans con la mano mentre Jeremy mi trascinava per un braccio verso il palco.
Indossavo una camicia abbottonata sulle gambe, un reggiseno nero e delle scarpe con il tacco 10.
Mi piaceva indossare questo tipo di vestiario, perché risaltava la mia bellezza. Direi che è un buon inizio.
Mi piaceva sentire gli occhi delle persone su di me, mi faceva sentire importante, forse perché non lo ero mai stata per nessuno in precedenza.
« Meg, ascolta, io e Bryan andiamo a preparare gli strumenti, tu non ti allontanare troppo ok?» mi chiese Jeremy accurandosi
che lo stessi ascoltando mentre il mio sguardo vagava per la sala.
« Sì certo, vai pure. » risposi distratta.
Quando J si allontanò iniziai ad osservare la gente nella sala.
C’era anche Bailey Ford, una ragazzina che cantava canzoncine di Natale, ma era apprezzata da piccole bambine di tre anni che l’unica cosa
che sapevano dire delle sue canzoni è “yellow”. E poi c’era James Miller.
Lui è l’ultimo arrivato degli artisti e nonostante sia un biondino poco carino è amato da ogni ragazzina in calore. Spesso mi chiedevo cosa spingesse
quelle ragazzine a sprecare la vita dietro a uno come lui, ovvero parlare continuamente di lui, avere foto sue ovunque e averlo come pensiero fisso tutto il giorno.
Ma la cosa che mi irritava ancora di più, era che la loro musica veniva erroneamente
confusa sotto il genere “rock” che manco lontanamente si avvicinava al tipo delle loro canzoni.
Ma ero sicura che nessuno dei due avrebbe vinto qualcosa quella sera, perché troppo sconosciuti da gran parte del mondo.
Quando fu il momento di consegnare i premi, gli Under Mind vinsero 3 nomination e tutti i premi vennero coronati con una foto alla fine della premiazione.
E ovviamente io, come capo della band, ringraziai i fan e strinsi i trofei.
Durante l’after-party, andai in un piano-bar sparso per l’arena.
Ordinai due vodka da portare via e mi servirono la bevanda con due bicchieri verdi con un ombrellino giallo. Soddisfatta, ne consegnai una a Jeremy ed iniziamo a bere.
Solo che dopo la sesta, decisi che forse era il caso di smetterla.
Iniziai a girare per il piano-bar ed i miei occhi si posarono su una figura maschile non ancora ben definita.
Aveva dei dreads neri e portava dei jeans blu, abbinati a delle nike dello stresso colore. Infine indossava una maglia lunga bianca e una giacca nera con i bordi blu.
Lo scrutai per qualche minuto fino ad identificarlo come Tom Kaulitz.
Ah sì, il chitarrista di quella band per bambine. Ma onestamente, non è poi così brutto.
« Notavo che mi fissavi. » disse avvicinandosi a me e facendomi cadere su un divanetto.
« Sì, voglio dire, sei un belvedere. » risposi.
« Oh, lo so bene. »
« Ma ne ho visti di meglio. » aggiunsi per distruggere la sua autostima.
« Tu invece sei una di quelle ragazze difficili da trovare. »
« Oh, lo so bene. » dissi ovvia.
« E quindi, penso altrettanto facile. » concluse.
« Chi cazzo sei tu per dire chi sono io? » feci alzandomi in piedi e puntandogli il dito contro il petto.
« Piacere Tom, Tom Kaulitz. » rispose.
« Bene, io sono Megan Gaillard e non accetto le persone che mi insultano. Tu non mi conosci.»
« No hai ragione, non ti conosco, ma potresti lasciarmelo fare. » continuò lui.
« Ci vediamo all’una nella stanza numero 596 dell’Hollywood Barely ok? » gli dissi velocemente.
« Certo, ci sarò. » rispose eccitato all’idea. Prima che si allontanasse del tutto, gli infilai una mano sotto la maglia, lo pizzicai, gli sorrisi e con uno scatto, me ne andai.
Ero sempre stata una ragazza poco fedele. Mi piaceva divertirmi, perché non credevo nell’amore.
E nessuno, o forse, mi avrebbe mai fatto cambiare idea.
« Eccoti. » mi disse quando arrivai davanti alla porta della suite.
« Calmati, c’era traffico. » risposi. E non appena entrai, mi sbattè al muro ed iniziò a baciarmi il collo. Io invece,
accavallai le gambe dietro la sua schiena e gli morsi l’orecchio sinistro.
Lui poi mi spogliò, anche se non ci impiegò molto dato i capi che vestivo e mi adagiò sul letto per poi stendersi sopra di me.
Continuò per un po’ ad accarezzarmi le gambe, poi portò la mia mano sulla sua spalla per dirmi di togliergli la maglia.
Quando fummo entrambi privi dei nostri abiti, iniziammo l’azione.
Just tonight I will stay,
and we’ll throw it all away.
E così iniziò un inferno.
Iniziammo a vederci molto spesso, quasi ogni notte che potevamo eravamo insieme.
Fare sesso era diventato un hobby. Io ero la sua preferita, ed ovviamente, ci dovevo essere qualsiasi volta lui volesse.
In alcuni momenti mi dimenticavo di chi ero. Non ero mai stata la “schiavetta” di qualcuno, né tantomeno di uno stronzo sciupa donne come lui.
Eppure ero schiava dei suoi occhi nocciola che chiamavano costantemente i miei azzurri.
Elencare tutte le volte che ci vedevamo sarebbe troppo dura da fare.
Ma mi ricordo che una volta eravamo a Berlino, nella sua città ed io alloggiavo a qualche chilometro da casa sua.
Ero stata io a decidere l’hotel, proprio per rendere il suo viaggio meno lungo. Avevo una suite, la più grande e quando Tom la sera arrivò porto un mazzo di rose rosse.
Poi ne prese cinque dal mazzo e strappò loro i petali. Gli lanciò nella vasca e mi sorrise.
Molto spesso mi ritrovavo ad essere un “bottino” oppure un “premio” che si usa quando si ci vuole atteggiare e poi lasciarlo nello scaffale
nei momenti in cui si è da solo. In ogni modo quella notte la passammo a parlare, dopo essere venuti.
Mi sedetti sulle sue gambe e strinsi il suo braccio destro.
Con il sinistro invece, mi accarezzava la schiena su e giù e talvolta, mi provocava dei brividi.
Per la prima volta, qualcuno mi raccontò di sé a prescindere da chi io fossi. Perché parlava con Megan non con Megan degli Under Mind.
Per la prima volta mi sentii apprezzata ed importante, perché mi chiese di me.
Era interessato a sapere sul mio passato e sui miei progetti. E da quella notte, non esitati più ad andarci.
Non c’era mai stato amore, o forse non lo avevamo mai dimostrato.
Ma ricompensavamo quel vuoto con tanto e puro sesso.
Eravamo soliti ad andarcene la sera, dopo essere venuti o a volte ci addormentavamo ed il primo che si svegliava se la filava, lasciando così da solo l’altro.
Capitava a lui tanto quanto capitava a me. Ma a volte mi lasciava un senso di malinconia e tristezza, nonostante sapessi che la sera dopo sarebbe
ritornato da me, ancora e ancora.
When the light hits your eyes,
It's telling me I'm right.
And if I, I am through
It's all because of you!
Ogni volta era sempre la stessa storia: arriva, scopa, vattene. E succedeva così sempre, ogni dannata volta mettevamo piede nella stessa stanza.
E dire che non sempre ci ritrovavamo comodi su un caldo letto. No, perché a volte lo facevamo dove capitava.
Il massimo fu in un bagno per gli andicappato a Toronto, quando eravamo entrambi là per un concerto.
Ma i veri problemi, si crearono due anni dopo, che forse, furono quelli che ci spinsero a dividerci.
Una sera tornò ubriaco fradicio, si sentiva, oltre dall’odoraccio di alcool dell’alito, anche dai suoni incerti che emetteva.
Camminò verso di me e mi prese le braccia e iniziò a sbattermi per la stanza. E poi, alzò le mani. Sembra strano da credere, ma tutta la rabbia,
o forse il dolore che usciva dai suoi occhi era talmente forte, che rimasi lì, ferma sotto di lui a prenderle. Era infatti da qualche tempo che era molto nervoso.
E si faceva sentire quando ci incontravamo.
Diventava violento, anche senza accorgersene, ma più che male fisico, era male interiore.
Mi spezzava il cuore sapere che lui non si rendeva conto di quanta forza usasse, tanto da farmi sanguinare.
Eppure non si scusò mai, ne accennò un po’ di dispiacere. Si limitava ad alzarsi, prendere i suoi vestiti e lasciarmi sul pavimento inerme.
Ma io non avrei mai smesso di vederlo o chiedergli di fermarsi. Perché io per prima non potevo.
Ma dopo qualche tempo la sua frustrazione, si fece risentire su di me.
Diventai ansiosa e piena di paure. Non so bene come mi spinse a farlo, resta il fatto che stava tutto improvvisamente cambiando.
Can you really see through me now?
I am about to go.
Note dell'autrice: Fine prima capitolo. So che non è il massimo come storia, ma prometto che dopo migliorerà. Ho già il resto pronto, lo posterò ogni giorno. Spero vi sia piaciuta.
Becauseofme.
P.S: se volete vedere Megan, ecco a voi:http://weheartit.com/entry/5914438