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Autore: AcchanBaka    04/01/2011    7 recensioni
Si perdeva in sguardi sognanti e da pesce lesso e Linalee gli schioccava indegnamente le dita davanti agli occhi, ridendo nel vedere il suo colorito farsi peggio dei peperoni che poi ingurgitava troppo velocemente per seppellire l’imbarazzo.
D’altronde, non c’era niente da fare: Kanda gli piaceva, ed era un dato di fatto.

[Ecco che succede quando i Simpson offrono impossibili spunti. Alternate Universe!, dove Kanda consegna pizze a un Allen innamorato perso. Possibile OOC - devo imparare a trattare quei due.
Si accettano critiche]
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Allen Walker, Un po' tutti, Yu Kanda
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Salve ;D finalmente mi dedico al mio pairing preferito, la Yullen. Anche se è una AlternateUniverse, ma è più facile flasharci su XD magari un giorno ne scriverò una IC ù3ù/ A proposito, spero di non essere andata troppo OOC, forse un po’ con un solo personaggio, ma lo scoprirete leggendo *inserire nota musicale qui*I personaggi appartengono al manga D.Gray-Man e a Katsura Hoshino (ti amo, sensei ♥), mentre tutte le cavolate intrinseche della fan fiction appartengono a me ;D
Un enorme, gigantesco grazie alla neesan Shichan che me l'ha betata<3
Enjoy! *fugge per non farsi linciare*


Take an order.



Compose il numero che stava imparando a memoria e attese, arrotolandosi il filo del telefono tra indice e medio come una ragazzina. Premette la cornetta tra orecchio e spalla, mentre la mano libera tamburellava con la penna sul taccuino dove aveva scritto l’ordinazione.
Rispose la voce un po’ gracchiante del proprietario della pizzeria, che ormai riconosceva al volo: sorrise, istintivamente.
«Buonasera, signor Lee.»
«Oooh, Allen! Anche stasera pizza? Ospiti?» lo riconobbe quello, ormai abituato alle chiamate dell’albino, di solito alla stessa ora, per parecchi giorni della settimana.
Allen ridacchiò, lasciando la penna per prendere meglio la cornetta in mano, sentendola scivolare fastidiosamente via dalla spalla.
«Sì, papà aveva del lavoro da fare in questa città ed è passato a trovarmi.» rispose: ormai lui e Komui erano così in confidenza, che quando si trovava nei pressi della pizzeria si fermava sempre per una chiacchierata, e ormai era come un fratello maggiore o un secondo padre – o una mamma, per come si comportava spesso.
Sentì il fischio entusiasmato dell’uomo: «ohoh, allora stasera porzione extra di peperoni! Kandaaaa, una consegnaaa! Preparatiiii~» canticchiò, allontanando la bocca dal telefono per qualche secondo.
Il ragazzo trattenne il fiato per un breve istante quando Komui richiamò all’ordine il suo fattorino di turno quella sera – lo sapeva che era di turno, sapeva sempre quando era di turno.
Gli parve quasi di sentire il moro esclamare: “che palle!”; tra sé e sé sorrise vago. Faceva sempre storie, ma alla fine consegnava sempre in orario. Alle volte le pizze erano un po’ sballottate ma mangiabili: il cuoco era semplicemente geniale nell’impastare e nel decorare ogni singola pizza.
«Signor Lee… allora, per me la solita, papà invece vuole una marinara con molto aglio.» ordinò dunque, leggendo dal taccuino che aveva di fronte a sé: sorrise nel vedere che Mana aveva sottolineato più volte la parola aglio. Aveva scherzato con l’uomo dicendo: “devi per caso incontrare un vampiro, papà?” e si era rasserenato vedendo apparire sul viso stanco del padre un sorriso divertito.
Komui Lee segnò tutto: «bene, lo consegno a Jerry. Tra una mezz’oretta te le faccio recapitare da Yu, d’accordo?» disse, nella voce un sorriso gentile che Allen riconobbe anche senza vederlo, tanto che gliene ispirò uno a sua volta.
«Va bene, lo dirò a papà. È a farsi una doccia, era davvero stanco. Grazie, signor Lee.» lo ringraziò con un affetto davvero indescrivibile nella voce.
«Oooh, smettila! Quante volte ti ho detto di chiamarmi Komui?» lo riprese, fingendo di essere severo e intransigente. Si sciolse subito in una risata leggera che prese anche Allen, e riattaccò con un saluto: «passa con tuo padre, qualche volta, quando lui è in città. A presto, Allen!» cui l’albino ricambiò con molto piacere.
Agganciò e sospirò, appoggiandosi la mano ora libera al petto.
Presto sarebbe arrivato. L’avrebbe rivisto. Era venerdì, aveva ordinato pizza già due volte e sempre di sera, perché il moro aveva il turno di sera, lunedì, martedì, venerdì e sabato. A forza di mangiare pizza da loro era diventato un habitué, e il suo stomaco ragionava in termini di pizza, ormai. A pranzo cercava di variare, vivendo da solo e con un solo stipendio – per quanto il padre gli mandasse qualcosa, quando ci riusciva, ma lui quasi lo obbligava a rimanere nei limiti delle tasse universitarie – non poteva permettersi chissà quali manicaretti, però si era documentato più volte in biblioteca o su internet e seguiva un’alimentazione abbastanza corretta.
Era un dettaglio che poi mangiasse sempre una pizza davvero poco salutare, con molti grassi saturi – i peperoni erano la via! – e ripiena con ricotta, salame e chi più ne ha più ne metta. Ma a pranzo seguiva una dieta ferrea, davvero! Solo per quel motivo non era ancora diventato un ciccione senza via di scampo. Al contrario, riusciva a mantenere la linea abbastanza da trascinarsi quasi ogni sabato in pizzeria, quando Kanda aveva il turno, ma soprattutto dove si era ormai fatto degli amici: la sorella del proprietario, Linalee, era diventata ormai anche la sua sorellona, ed era l’unica a sapere. L’unica a conoscenza dei suoi sentimenti – ed era stata lei a fornirgli l’elenco dei turni di Kanda, avvisandolo quando era assente o se c’erano cambiamenti.
Lo rassicurava quando era assalito dallo sconforto o dalle paure inconsce e gli raccontava sempre tutto ciò che sapeva del moro. Si fidava di lei al punto da raccontarle i suoi timori riguardo una presunta relazione tra Linalee e Kanda stesso, ma lei aveva fugato il tutto con una risata: così come Allen era un fratellino per lei, così Kanda era il fratello maggiore cui chiedere consiglio. Lo aveva rassicurato dicendo che sotto la scorza dura si nascondeva un cuore d’oro: era burbero, un po’ sadico, antipatico e sempre annoiato e apatico, ma non la scacciava mai quando sentiva il bisogno di confidarsi. Un po’ come effettivamente faceva lui con Linalee, solo che lei era molto meno scontrosa.
Non poteva farci nulla: era innamorato. Quell’espressione così antica, così da romanzo rosa o da dodicenne con gli ormoni sbalzati, calzava purtroppo a pennello su di lui: nonostante il carattere scorbutico, nonostante i modi sbrigativi e rozzi, gli piaceva sfiorare per un breve istante la sua mano quando prendeva da lui i soldi del conto più la mancia. Gli piaceva essere diventato un cliente abituale tanto da poter scambiare due chiacchiere – letteralmente due – con il moro quando andava a consegnargli la pizza, o quando sostava nel locale il sabato sera. Gli piaceva guardarlo di sfuggita quando usciva a fare il proprio mestiere…
Si perdeva in sguardi sognanti e da pesce lesso e Linalee gli schioccava indegnamente le dita davanti agli occhi, ridendo nel vedere il suo colorito farsi peggio dei peperoni che poi ingurgitava troppo velocemente per seppellire l’imbarazzo.
D’altronde, non c’era niente da fare: Kanda gli piaceva, ed era un dato di fatto.

«Allen! Dove sono gli asciugamani?»
Sobbalzò nel sentire la voce di Mana chiamarlo dal bagno. Lasciò stare il taccuino e il telefono e si alzò: «nel mobile accanto la doccia, papà!» gli rispose mentre si avvicinava alla porta. Si appoggiò allo stipite, sentendo lo scroscio dell’acqua fermarsi mentre l’uomo presumibilmente si accingeva ad uscire. «Ho chiamato la pizzeria, consegneranno tra una mezz’ora circa.» lo avvisò.
«Così poco? È vicina?» si sorprese l’uomo – lì dove viveva e lavorava di solito, erano molto più lenti. Allen se n’era accorto quando era andato a trovarlo, ormai abituato ai ritmi di consegna della sua pizzeria di fiducia.
Avvertendo tanto stupore, l’albino non poté fare a meno di sorridere. «No, ma ormai sono un cliente abituale, e il proprietario ha sempre un occhio di riguardo per me.» si gongolò, contento di conoscere persone speciali come Komui, Linalee, Jerry e tutta la ciurma di cuochi e camerieri vari.
«Allora sarà sicuramente buona. Spero proprio di sì, che stanchezza» brontolò l’uomo, distrutto dal viaggio. Si scostò quando sentì la serratura scattare e poco dopo la porta si aprì. Allen gli indicò una delle due porte nel corridoio con il pollice, da sopra la spalla. «Ti ho portato la valigia in camera, se vuoi vestirti.» disse, con affetto. Gli mancava il padre, il fatto di vivere distanti aveva aumentato l’affetto che c’era tra loro, e quando si vedevano, sembravano più un duo di amici.
«Grazie» gli scompigliò affettuosamente i capelli, passando. «Ma niente più completi: ho la nausea da cravatte. Ho seriamente bisogno di una bella tuta.» annunciò, filando in camera per mettersi vestiti decisamente più comodi rispetto a quelli che era costretto ad indossare tutta la settimana al lavoro.
Ridacchiò anche Allen, mentre dal canto suo se ne andava nel salottino/ingresso/angolo cucina/angolo tv per accendere il suddetto televisore e sintonizzarlo sulla sit-com che vedevano entrambi. Spesso si sentivano al telefono solo per commentarne gli sviluppi.
«Papà, sbrigati, sta per cominciare!» esclamò mentre si stravaccava sul sofà. Gli venne ancora da ridere nel sentire i passi frettolosi dell’uomo, che di lì a poco caracollò sul divano accanto a lui, la tuta mezza aperta per la fretta. Allen rise per l’ennesima volta mentre l’uomo inveiva offeso contro di lui, accusandolo scherzosamente di avergli messo fretta quando invece c’era ancora la pubblicità.
Era divertente scherzare e ridere in quel modo, discutendo animatamente riguardo cose futili, quando in due mesi quella era la terza volta che riuscivano a vedersi, circa. Allen si sentiva fortunato perché l’uomo aveva addirittura il week-end libero e si fermava da lui a dormire, ma non voleva perdere tempo in rimpatriate epiche: avrebbero semplicemente passato il tempo come facevano sempre, nient’altro.

Suonò il campanello e Mana stava apparecchiando. Fortunatamente era di spalle, cosicché non notò il salto di mezzo metro che Allen fece davanti al frigo, che stava per aprire in procinto di recuperare le bevande. Lo lasciò decisamente perdere e sfrecciò nel salotto, di fronte al tavolo apparecchiato: «devono essere le pizze! Vado io!» esclamò. Arrivato di fronte la porta, si concesse un secondo per respirare e calmare il battito cardiaco: si era rilassato così tanto in quei trenta minuti con Mana, da aver quasi dimenticato – il che era un miracolo – dell’arrivo imminente di Kanda.
Appoggiò la mano con la maniglia e spalancò la porta come se si trattasse dell’ingresso per l’inferno.
Si ritrovò a fissare un’espressione imbufalita, che masticava il niente per l’irritazione, i capelli lunghi e neri legati in una coda, alcuni ciuffi laterali lasciati liberi davanti le orecchie; gli occhi scuri lo squadravano con aria truce (ma ad Allen venne il batticuore ugualmente).
«Peperoni ripiena e marinara con tanto aglio» recitò come d’abitudine, rifilandogli subito i due cartoni, che emanavano due odori così diversi che attribuì a quelli almeno gran parte del solito malumore di Kanda.
Sorrise. «Dopo anni che lavori come porta pizze sei ancora frastornato dai diversi odori?» scherzò, mentre appoggiava le pizze sul ripiano accanto la porta.
L’altro sbuffò con un “tch!”. «Tu non le tieni sotto il naso appena uscite dal forno.» replicò retorico, facendogli notare che subito dopo la cottura il profumo era ancora più forte. Allen non poté non ridacchiare appena, armeggiando con il portafogli che aveva in tasca per prendere i soldi.
«Okay, ti do ragione. Quant’è?»
Pagò, lasciandogli una generosa mancia, forse un po’ troppo – la visita di Mana lo aveva messo su di giri? O forse era stato il contatto con le sue mani? – tanto che Kanda guardò i soldi nel proprio palmo.
«Ti hanno dato un aumento o i troppi peperoni ti hanno rincitrullito?» se ne uscì. A forza di vederselo sempre di fronte, anche lui aveva saputo qualcosa da Linalee riguardo l’albino: sapeva che il suo lavoro non lo pagava tantissimo, eppure gli lasciava sempre mance. Era la quintessenza della generosità, ma la cosa lo imbestialiva. Non voleva pesi sulla coscienza che non c’entravano nulla con lui, e non desiderava minimamente vederlo ridotto in miseria per mance fin troppo cospicue.
Gli afferrò la mano – Allen credette di avere un infarto – e gli ficcò in mano alcune banconote.
«Tienitele» sbraitò, infilandosi le altre nel borsello agganciato alla cintura. «Potrebbero servirti per altre pizze» aggiunse con un leggero ghigno. Non aspettò né repliche, né saluti e si voltò, scendendo le scale per tornare al pianterreno e quindi in pizzeria.
Allen era rimasto pressoché immobile e imbambolato da quella reazione, finché la voce di Mana, che chiedeva se si fosse sciolto lì sul pavimento, non lo riportò alla realtà.
Scosse la testa e chiuse la porta, rimettendo poi a posto i soldi nel portafogli. «No no!» rispose, un po’ troppo accalorato. «È tutto a posto, arrivo». Si sentiva davvero uno sciocco, tutto rosso e col cuore a mille. Ma non riusciva a calmarsi, quell’improvviso contatto da parte del moro era stato davvero inaspettato.
Portò le pizze sul tavolo e accese la televisione, mentre Mana si strofinava le mani con aria famelica, come se non mangiasse da settimane. Quell’aria così affamata sciolse Allen che sorrise, sbuffando divertito.
Gli allungò la sua pizza e si sedette, cominciando a mangiare. Sentiva la mano destra formicolare piacevolmente e tra sé e sé sorrise, mentre Mana rideva per una gag in tv.
Fu davvero un bel venerdì.


Mana ripartì la domenica sera. Il sabato, Allen lo aveva portato in giro, si erano fermati in un parco divertimenti e avevano noleggiato un film per il pomeriggio. La sera – ovviamente – erano passati in pizzeria. Mana non aveva detto di no ad un’altra pizza consecutiva e si era detto entusiasta di poter conoscere quelle persone di cui Allen gli parlava sempre.
Komui, Linalee, Wenham, Miranda: erano stati tutti gentilissimi. Allen ormai li conosceva tutti e loro furono molto felici di chiacchierare con Mana. Parlarono di tutto e di più, Jerry poté fare solo un saluto passeggero dato che c’era abbastanza folla – in fondo era sabato sera – ma Mana fu divertito tantissimo dalla sua presenza davvero molto appariscente. Si fece comunque notare nel buonissimo sapore delle due pizze che servì loro, e Allen poté crogiolarsi nella vista di Kanda che andava avanti e indietro a consegnare pizze, borbottando e sbraitando, e diventando sempre più scuro in viso – “Tutti il sabato devono ordinare!” bofonchiò, e Allen si sentì un pochino in colpa, perché quando non passava in pizzeria era tra quelli che ordinavano.
Ma lui lo faceva per un buon motivo, ecco!
Anzi, forse era proprio il suo motivo ad essere il peggiore di tutti: la pizza era una scusante, una giustificazione bella e buona per poterlo vedere anche solo per dieci secondi, per dirgli qualcosa, per avere un approccio anche minimo… Ripensò alle sue dita strette attorno al proprio palmo, il caldo di quella pelle contro il freddo contatto delle banconote, e fremette nuovamente.
La domenica fu passata in ozio completo, a chiacchierare del più e del meno. Allen rivelò di trovarsi molto bene al lavoro, sebbene ci fosse qualche collega rompiscatole, o qualcuno che arrivava sempre troppo in ritardo lasciando agli altri il lavoro – come un tizio dai capelli rosso fuoco, che si fingeva un pirata con una benda sull’occhio quando invece doveva semplicemente portare una medicazione per una cicatrice dovuta a un incidente domestico, e che era il più confusionario e scansafatiche di tutti – ma a parte questi piccoli contrattempi, si divertiva. Il direttore era un uomo insensibile e sadico – mai portare in ritardo il caffè a Cross Marian: era capace di licenziarti in tronco se era di cattivo umore – ma tutto sommato conosceva ogni dipendente, e sapeva sempre come sfidarlo o provocarlo in maniera da spronarlo a dare sempre il meglio.
Allen apprezzava questo modo di fare, sebbene detestasse il suo carattere borioso. Ma quella era una scelta di vita, e non aveva il diritto di criticarlo.
Quando fu l’ora di rifare i bagagli e partire, lo abbracciò stretto. Ogni volta che se ne andava, non era più suo amico: era suo figlio, che pensava a Mana ogni giorno, che si preoccupava per lui, che si chiedeva se stesse bene o se si stesse stancando troppo al lavoro…
Mana ricambiò l’abbraccio e gli passò la mano tra i capelli, scompigliandoglieli un po’.
«Suvvia, Allen» gli aveva detto, per tranquillizzarlo. «La mia azienda sta pensando di aprire una filiale qui vicino, perciò è probabile che questo viaggetto di lavoro ricapiterà presto, dato che sono io il direttore delegato. Perciò non frignare.» aggiunse con un sorrisetto, per punzecchiarlo un po’.
Il ragazzo, il viso rosso e gli occhi un po’ lucidi, si allontanò per fargli una linguaccia. «Io non frigno mica! Buon viaggio, vecchio», replicò invece, fingendo di dargli un pugno che l’altro fermò con la mano. «A presto, sbarbatello» rispose a tono l’uomo, ridacchiando e uscendo quindi.
Allen lasciò sfumare le risate, che alle sue orecchie riecheggiarono un po’ nella casa vuota.
Sospirò: era partito di nuovo.


Era lunedì: Allen andò al lavoro, discusse con Lavi – il rosso ritardatario e confusionario – cercò di non farsi affettare dal direttore per un improvviso attacco di violenza, sbrigò tutte le sue mansioni e poi tornò a casa nel pomeriggio tardo. Era pensieroso, meno solare del solito: non che generalmente fosse l’apoteosi dell’allegria, ma sorrideva spesso, era sempre gentile e disteso e raramente corrucciato.
Ma la visita di Mana lo aveva messo all’erta riguardo due piccoli problemi della sua vita: fare coming out e dichiararsi a Kanda. Aveva da sempre messo in conto la seconda possibilità, non aveva intenzione di lasciar morire quei sentimenti senza esprimerli prima o poi; ma confessare al padre di essere omosessuale era sempre stata una prospettiva troppo pericolosa e oscura, ne era quasi spaventato. Conosceva Mana, ma riguardo quella questione non era mai stato in grado di immaginarsi una reazione qualunque.
Il cielo sembrava riflettere il suo stato d’animo: va bene che Londra non era mai stata una città propriamente baciata dal sole, ma quel giorno le nuvole grigie sembravano più cupe del normale. Prima di entrare in casa vi gettò uno sguardo: parve percepire una sorta di empatia con la volta celeste e sorrise.
Sapeva di dover fare entrambe le cose, prima o poi: sia per una chiarezza con se stesso riguardo Kanda, sia con suo padre, per mantenere il loro rapporto puro e cristallino. Erano sempre stati sinceri, si erano sempre detti tutto, perciò anche quella volta doveva essere così.
L’unico problema che adesso gli trapanava la testa era: cosa fare per prima?
Non era certamente una decisione facile: se avesse scelto di dichiararsi prima a Kanda, venendo quasi sicuramente rifiutato, avrebbe dovuto semplicemente passare almeno alcuni mesi per riprendersi, e riferire solo dopo al padre di essere gay e affrontare una lunga serie di litigi e discussioni nello stato di un broken hearted man non era esattamente il sogno di una vita. Viceversa, combattere contro una burrascosa reazione del padre prima e una delusione a causa del rifiuto di Kanda poi, non era esattamente convincente. Una soluzione poteva essere aspettare, in entrambi i casi: aspettare di riprendersi dalla batosta del rifiuto e poi occuparsi di Mana o aspettare che al padre potesse passare l’arrabbiatura e poi sostenere la questione con Kanda. Nel primo caso sapeva più o meno quanto potesse metterci, in fondo si trattava di se stesso; ma non poteva immaginare se Mana si sarebbe davvero arrabbiato, e quanto poteva impiegare a smaltire.
Sbatté la fronte contro lo stipite della porta di casa, quando – intontito – si rese conto che le sue ipotesi erano tutte terribilmente catastrofiche: non si era mai nemmeno azzardato a mettere in conto la possibilità che il padre non si arrabbiasse, e che anzi gli rimanesse vicino da amico, come aveva sempre fatto, oppure che Kanda non lo rifiutasse. L’ultima sembrava la meno plausibile: certo, ci sperava – con tutto se stesso, con tutta la propria forza, con tutto il proprio cuore – ma gli sembrava impossibile che il moro ricambiasse i suoi sentimenti.
Si lasciò andare sul divano con un sospiro, il dorso della mano sugli occhi. Forse vederlo gli avrebbe dato una risposta: parlare prima a Mana, o prima a Yu?
Allungò una mano verso il telefono e compose il numero della pizzeria.

Dlin dlon.
Tirò su la zip della tuta che aveva appena messo dopo una rinfrescante doccia, e corse alla porta. Alla fine aveva ordinato davvero, si erano messi d’accordo lui e Komui per l’orario e infine Kanda era stato spedito alla sua porta, come di consueto, con la solita pizza.
Aprì la porta, i capelli ancora scompigliati e leggermente umidi, che gli preclusero appena la vista del moro. Se li scostò con un gesto secco, l’altro che lo fissava con aria indecifrabile, la pizza in una mano.
«La solita.» disse laconico, allungandogliela.
Allen sorrise, un po’ incerto stavolta. Dirglielo adesso? Pronunciare quelle fatidiche parole e magari chiudergli la porta in faccia, e non ordinare mai più pizza per il resto della sua vita?
Sentiva il cuore martellargli in gola, tanto che restò fermo, quel mezzo sorriso cristallizzato sulla sua faccia. Un battito incessante e frenetico pulsava nelle sue orecchie, aveva sempre più caldo, probabilmente il viso era congestionato, e lui stava più o meno impazzendo.
Con la mano libera, Kanda gli schioccò le dita davanti agli occhi, come faceva spesso Linalee per riscuoterlo dai suoi torpori.
«Ohi? Non dormire in piedi, non ho tempo.» sbottò, pungolandolo col cartone della pizza. Allen parve riprendersi con uno scatto. Afferrò il cartone, depositandolo sul solito mobile. «Oh… ah sì, perdonami.» farfugliò, recuperando i soldi.
Kanda lo osservò da sotto la frangia: quel giorno, il moccioso aveva qualcosa che non andava. Non era il solito rompiscatole, tutto sorrisi e frasi provocatorie, pronto a ribattere quando lui volutamente rispondeva alle sue sfide.
L’albino allungò una mano verso di lui, i soldi alla mano, come al solito una mancia che non dava praticamente a nessun altro, ma Kanda rifiutò: appoggiò la propria mano contro la sua, respingendola. Allen sentì tutte le terminazioni nervose concentrarsi in quel punto preciso, tanto che trattenne il fiato.
«Ma che…?» domandò, incerto e perplesso.
«Offre la casa stasera. Fatti tornare il buonumore» gli ordinò scontroso, tirandogli il naso con due dita, nemmeno l’altro fosse stato un ragazzino.
«Ah! Ehi!» esclamò Allen, indignato. Fece per fermarlo, per afferrargli la maglia o che, ma Kanda si voltò, sparendo dietro il pianerottolo con la coda al vento, scendendo le scale e tornando ben presto in strada.
Allen era sconvolto: Kanda gli aveva realmente offerto la pizza? Forse stava sognando. Fissò i soldi nel proprio palmo. No, ma cosa andava pensando! La cosa più disorientante di tutte era che Kanda si era accorto in qualche modo che era giù e gli aveva detto di farsi tornare il buonumore. Era incredibile, davvero incredibile.
Sorrise tra sé e sé come uno scemo, mise via i soldi e chiuse la porta con un calcio, mentre trotterellava fischiettando verso il tavolo, la pizza tra le mani.
Aveva preso una decisione: si sarebbe caricato di tutte le responsabilità del caso, avrebbe affrontato le conseguenze e patito ogni repressione.
Era pronto per confessare tutto a Mana.

Fu una scena penosa, anche a distanza, anche al telefono.
I toni erano partiti amichevoli, come ogni volta che si sentivano: poi Allen aveva accennato a un discorso importante, che non poteva aspettare il loro prossimo incontro. Aveva fatto una premessa vaga e poi Mana gli aveva chiesto che cosa c’era che non andava.
Con un sospiro, Allen gliel’aveva detto, alla fine. Mangiandosi quasi tutte le unghie della mano libera.
Dopo un silenzio immane e ansioso, Mana aveva fatto una delle domande più stupide della terra.
«Da quanto tempo?»
Allen si accigliò: ma che cosa vuol dire? Non è che ho preso appuntamento con l’omosessualità e quel giorno ho deciso di essere gay, borbottò tra sé e sé.
Ma decise di dargli comunque una risposta che rimanesse confidenziale, come il loro rapporto.
«Qualche mese… da quando mi sono innamorato.» decise dunque di rivelargli. Il cuore batteva forte come la sera prima, quando aveva ordinato la pizza e Kanda gliel’aveva offerta. Ma non era colmo di un’incertezza positiva, l’indugio che solo l’amore riesce a regalare. Era un’ansia nera, piena di speranze illusorie che stentavano a crescere.
Sentì l’aria nella cornetta fremere, quando Mana sospirò forte.
«Allen… sarà solo un periodo di confusione, non c’è bisogno di agitarsi.» disse.
L’albino cominciava a vederci rosso, ma chiuse gli occhi per calmarsi. «No, papà, ne sono sicuro. Non te l’avrei detto se fossi stato solo confuso.» gli assicurò.
Non poteva permettere che i suoi sentimenti venissero denigrati a quel modo: non da suo padre, né da nessun altro.
Poi Mana si era scaldato, e Allen pure: l’uomo non poteva accettare che il figlio non desiderasse il corpo di una donna come lui, e Allen non riusciva a capire perché fosse così semplice capire la sottigliezza di quella dichiarazione.
«Io sono sempre io, papà, sono sempre lo stesso figlio con cui sabato sei salito sulle montagne russe e ti ha retto la testa nel bagno quando non ti sei sentito bene. Papà, non vuoi capire questa cosa così semplice?» insistette il diciottenne, quasi disperato. Non voleva ricorrere a certi cliché romanzeschi, ma suo padre stentava a comprendere. Sentiva che la loro linea empatica si stava sfaldando, e ne ebbe un profondo terrore.
«Questo prima di scoprire che ti piacciono i ragazzi, Allen. Dio, solo dirlo mi fa…»
«Cosa? Cosa, papà?» lo aggredì l’albino – se ne rese conto, e si sentì in colpa. E dire che si era ripromesso di restare calmo, di non attaccarlo a quel modo, ma di lasciarsi offendere senza rispondere. Purtroppo, era molto più facile a dirsi che a farsi.
Continuarono a parlare, a discutere e poi a litigare per due ore buone. All’improvviso cadevano silenzi di almeno due minuti buoni, riempiti da sospiri e respiri affannati. Allen si stava scaldando, e Mana proprio non capiva.
Poi disse una cosa che gli fece tremare il cuore.
«Non mi sembri nemmeno più mio figlio.»
Allen vide tutto nero, a quel punto.
Nessuno dei due agganciò, nel minuto di silenzio che seguì quella frase. Allen tentò di romperlo con balbettii, come «è la cosa peggiore ch… ma come puoi…» ma non riusciva neanche a terminare le frasi, tanto era stato grande il suo sgomento.
Finché non prese fiato, tentennò un istante e poi – odiandosi dal profondo del cuore – disse: «forse avrei fatto meglio a non esserlo.»
Appoggiò con molta calma la cornetta sul ricevitore, fissando il vuoto.

Non gl’importava più di nulla: che Mana lo odiasse o lo ripudiasse, o che non gli parlasse più. Lui aveva fatto del suo meglio, ma il nervosismo e le poche speranze che aveva dolorosamente infrante avevano impedito il suo già fragile mantenimento della calma, e tutto si era distrutto.
A quel punto, non c’era assolutamente altro da fare: o la va, o la spacca. Era conscio che si sarebbe vergognosamente spaccata, ma più di così non poteva fare.
Prese la cornetta e ordinò la pizza, come di consueto. Dato che non era un giorno molto affollato, Komui assicurò che sarebbe arrivata il prima possibile. Allen sospirò grato e riagganciò.
Arrivò Kanda, bussando frettoloso come al solito.
Gli aprì.
«Questa volta fatti pagare, però.», scherzò come al solito, tanto che Kanda pensò che si fosse ripreso. Accettò la paga e anche la mancia, ma – nemmeno fosse anche quella un’abitudine – tolse ancora una banconota. Allen ridacchiò e chiuse la porta. Al moro parve d’intravedere qualcosa sul suo viso, ma non ebbe il tempo di registrare alcunché. Scese le scale e tornò al locale.
Allen si appoggiò al muro con l’aria di chi vorrebbe dare così tante testate al muro da rinsavire, prima o poi.
Ma che diamine aveva fatto?! O meglio, cosa non aveva fatto! Doveva dichiararsi e invece lo aveva salutato come se nulla fosse?
Si sentiva seriamente un cretino integrale. Appoggiò la pizza sul tavolo e con un sospiro, l’umore quasi totalmente a terra, riprese il telefono.
«Pronto…? Oh, Allen. Che cosa non va? È arrivato Kanda, vero?»
«S-sì sì, anzi dovrebbe anche tornare tra poco… ma, ehm…»
Cercò freneticamente una scusa, maledicendosi in tre lingue diverse per non essersene inventato una prima di chiamare. Così alla fine gli raccontò la balla di un collega che passava per cena e gli aveva chiesto di ordinare anche per lui. Sentì Komui richiamare Kanda – tornato in quel momento – avvisandolo che doveva tornare da Walker.
L’albino fece un sorrisetto teso quando sentì dalla cornetta il moro sbraitare, ma era certo che sarebbe passato. Così ordinò un’altra pizza totalmente a caso e attese, seduto sul divano a fissare il televisore spento, le mani che tamburellavano nervosamente sulle ginocchia. Sobbalzò come se gli avessero piantato gli indici nei fianchi al suono del campanello e filò ad aprire.
Si ritrovò davanti un Kanda ragionevolmente irritato, che gli piantò malamente la pizza tra le mani. «La prossima volta, di’ ai tuoi colleghi o chicchessia di avvisare prima.» sbottò. Allen riuscì persino a sorridere.
«D’accordo, scusami se ti ho fatto andare avanti e indietro.», disse, cavando di tasca i soldi e dandoglieli, insieme a un po’ di mancia. Ma Kanda gliela rificcò in mano. «Questa pizza è per il tizio che l’ha ordinata. Non devi darmi tu la mancia.» borbottò, fissandolo da dietro la frangia corvina.
Allen non seppe che dire, colto così alla sprovvista.
«Oh! Ehm… grazie.» riuscì solo a bofonchiare, grattandosi la nuca con la mano libera, l’altra che teneva il cartone della pizza al centro, un po’ appoggiato all’indietro contro il braccio.
Passò un istante di silenzio, entrambi incerti sul da farsi.
Fu Kanda, ovviamente, a romperlo: «goditi la pizza.» se ne uscì, voltandosi per andare via. Allen era così frastornato dal rumorosissimo battito del suo cuore che disse una cosa tipo “arrivederci…”, risvegliandosi in tempo per vedere la coda del giapponese sparire dietro l’angolo.
Quando richiuse la porta e appoggiò la seconda pizza sull’altra, la capocciata al muro la diede davvero. Si era rincretinito, oppure aveva lasciato il coraggio nella pancia di una madre che non aveva mai conosciuto. Oppure era diventato ancor più codardo di quanto riuscisse ad immaginare.
Coraggio!, sbottò il suo Io interiore, sei riuscito a dire a tuo padre che sei gay! Adesso dovrebbe riuscirti difficile dire “mi piaci” a Kanda, no?, disse quella voce, che di solito era sempre riuscita a motivarlo alla grande, quando non si sentiva sicuro di sé. Ma quella volta sembrava ancora più difficile: non era come bere un bicchier d’acqua, non era come litigare al telefono. Kanda sarebbe stato di fronte a lui e non poteva risolvere con un paragone.
Sospirò ancora, si diede un significativo morso d’incoraggiamento alle nocche della mano e poi riprese la cornetta. Quella volta – grazie a Dio – rispose Linalee.
«Linalee… oggi sei tu alla cassa?» scherzò.
«Sì, è arrivato un amico di papà e stanno parlando, così ha affidato le questioni importanti a me.» rispose lei, fingendosi tutta fiera e importante per quell’incarico. «Allen, ma non hai già ordinato la pizza?» aggiunse, occhieggiando il foglio delle ordinazioni davanti a lei, con due “Walker” già barrati. «Due volte, addirittura.», aggiunse perplessa.
Allen si disse che perlomeno a lei poteva rivelare qualcosa. Non tutto, ma qualcosa. «Ho bisogno… di parlare con Kanda. Puoi rimandarmelo su? Con una scusa qualunque. Anzi no, digli che il mio collega immaginario ha portato una fidanzata immaginaria e anche lei vuole la pizza. Senza immaginario, ovviamente.» disse. Probabilmente, da quel suo discorso sconclusionato la sua disperazione risultò palese alle orecchie della giovane orientale.
«Allen… per caso vuoi…?» pronunciò, senza finire, ma il tono era evidente anche al telefono.
Lo sentì sospirare contro la cornetta. «Sì… forse… non lo so, ci sto provando, ma è già la seconda volta che lo lascio andare via senza dirgli niente. Ci voglio provare… la terza volta è quella buona, no?» si costrinse a ridacchiare, più nervoso di un salmone appena afferrato da una zampata di un orso.
Linalee fissò Kanda preoccupata, dalla sua posizione. Ma voleva fargli coraggio.
«Va bene Allen. Dai un po’ di tempo a Jerry per cuocere la pizza e poi ti mando su Kanda.» gli assicurò lei. Allen quasi si sciolse dal sollievo. «Grazie, Linalee, sei un’amica. Davvero.» pronunciò, grato. Linalee era stata il raggio di sole che aveva invaso la sua giornata, così grigia e nera come poche nella sua vita.
Lei ridacchiò e agganciò. A quel punto, per Allen restava solo una cosa da fare: ricaricare le batterie, nell’attesa.
Doveva essere determinato, dirgli tutto chiaro e tondo e poi prepararsi a morire. Semplice. Ma almeno sarebbe morto combattendo – certe volte era davvero epico.
Quella volta Kanda non usufruì del campanello, ma bussò talmente forte da far temere che buttasse giù la porta. Aspettandosi una cosa simile, Allen andò ad aprire. Era pronto, era carico, era sicuro di sé.
«Questa è la terza volta che mi fai andare su e giù. Abiti al quarto piano, Walker dei miei stivali, e il tuo palazzo del terzo secolo non ha l’ascensore. Mi hai fatto passare la voglia di fare il fattorino e Dio solo sa quanta poca ne avessi prima.».
Sapeva che Kanda si sarebbe arrabbiato, che avrebbe sbraitato, ma lui era preparato, era deciso, non avrebbe perso la calma.
«Adesso o mi dai una motivazione, o mi dai la mancia più cospicua della tua vita, o mi dai un coltello e ti aiuto a porre fine alla tua…»
Ma il moro non riuscì a porre fine a un bel niente.
Allen si avvicinò, si allungò e appoggiò le labbra sulle sue, così morbide nonostante le parole affilate che rifilava a chiunque, così calde nonostante la freddezza del carattere che riservava agli altri. Sapeva di rischiare la morte, ma aveva tentato il tutto per tutto. Non gl’importava più di niente.
Si allontanò, e il leggero e naturale schiocco delle loro labbra lo fece diventare color pomodoro.
Attimo di silenzio.
«Questa è la peggior mancia che abbia mai ricevuto.» annunciò il moro.

Il telefono squillò.
«Allen? Ciao, sono Linalee. Senti, Kanda non è tornato al locale, sono preoccupata. È almeno arrivato a casa tua con la consegna? Spero di sì. Chissà che fine ha fatto dopo. Magari provo a chiamarlo sul cellulare. Senti, ma gli hai parlato? Com’è andata? Non è che si è arrabbiato e non è tornato per questo?»
L’albino gettò uno sguardo alle sue spalle. Nella penombra, tra le lenzuola candide intravedeva la sagoma di Kanda. Il suo petto nudo esibiva muscoli che d’estate aveva provato a indovinare sotto la divisa leggera da fattorino, e che aveva potuto carezzare con mano, quella sera. Sorrise.
«Mi dispiace Linalee. Credo che per oggi Kanda non tornerà al lavoro per un po’.» rispose serafico, agganciando.



Owari.


...Terribile, I know. È tutta colpa dei Simpson *addita violentemente* e di una scena randomica con Boe che piange al telefono perché è solo XD ora, non chiedetemi come quella scena si è trasformata in questa fanfiction perché non lo so, ok? Non so come ha lavorato il mio cervello in quel momento, e francamente forse nemmeno voglio saperlo. *paura*
Spero vi sia piaciuta ugualmente çWç sennò, uccidetemi di critiche! *invita e offre biscotti*

  
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