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Autore: Soul Sister    06/01/2011    2 recensioni
Parola d'ordine: ESTATE.
Chià, Andy, Ali e Viò adorano l'estate. La vorrebbero passare in santa pace, senza problemi.
Peccato che quando c'è di mezzo Cupido con le sue frecce dell'amore, stare tranquilli è un tantino difficile.
Soprattutto se ritengono i ragazzi in questione-Christian, Jacopo, Diego e Matteo- quasi irraggiungibili, e se sono braccate e costrette a nascondersi da un amico, Paolo, che piuttosto di vederle impegnate, le farebbe diventare suore. Ce la faranno le ragazze a stare contemporaneamente con i ragazzi, senza farlo scoprire all'amico Paolo, che riuscirebbe a rovinare le storie d'amore delle ragazze?
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Questa storiella non ha pretese, la trama è una classica storia d'amore e d'amicizia, leggera e allegra. Chi ne ha voglia, magari, ci faccia un salto. Spero ne valga la pena. :)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Estate: Amicizia, divertimento e..AMORE!'
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Quattro amori ed un amico di troppo


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L’estate era appena cominciata, il sole era alto, caldo, e sorridente. Si prospettavano delle vacanze splendide, all’insegna del divertimento assoluto con le mie amiche e il mio amico Paolo, senza il terrore di verifiche, interrogazioni o compagnia bella.
Il paradiso, insomma.
Oltre alle uscite di mattina, pomeriggio e sera, avevo programmato le mie fasi di relax a casa, e mi ero organizzata per bene con i compiti-che per altro non erano nemmeno molti.
Mi stavo preparando per la prima uscita dalla fine della scuola, e non vedevo l’ora di tirar fuori il naso da casa. Indossai i pantaloncini corti, la cannottiera, e le immancabili scarpe da ginnastica. Poi, recuperato il mio cellulare, finalmente dopo tanto tempo, rimontai sulla mia fidata bicicletta.
Di solito, con le mie amiche, mi trovavo vicino alla biblioteca. La raggiunsi in quattro pedalate, e nonostante la mia velocità, loro mi guardavano con un’aria tutt’altro che allegra.
«Sei in ritardo!» mi accolse gentilmente Paolo, il nostro amico. Usciva da tempo indeterminato con noi, ed eravamo inseparabili. Per quanto gli volessimo bene, talvolta quel ragazzo sapeva essere un tantino..odioso. Essendo l’unico ragazzo, molte volte si atteggiava da boss assoluto, e questa cosa a noi ragazze non andava proprio giù. Uno che imponeva il suo parere e non ti dava possibilità di scelta, delle persone normali l’avrebbero già scaricato. Noi però gli volevamo troppo bene, e anche davanti alle cagate per cui litigavamo- o meglio, per cui lui si arrabbiava- sopportavamo.
La prima tappa del pomeriggio, fu la nostra gelateria preferita. Comprammo i nostri gelati, e ci sedemmo sulle panchine davanti al negozio.
«La liquirizia ha un colore schifoso.» commentò Chiara. Alice, che l’aveva preso, e quel gelato lo adorava, la incenerì con lo sguardo. Poi assunse un’aria altezzosa: «Invece è buonissimo. E la nutella non è molto diverso»
Non è normale, probabilmente, che delle ragazze di quindici anni si mettessero a discutere sul colore del gelato. Eppure, noi eravamo capaci di farlo; e questo era preoccupante.
Sentimmo delle risate acute, che sfioravano lo stridulo, e accompagnate da esse, vedemmo arrivare Rachele e Greta. Non erano il genere di ragazza ‘buone e educate’, anzi, tutt’altro. Fino a poco tempo prima, uscivano con noi. Ma un’amicizia non poteva essere vera, se si creava zizzania ogni istante, e lei –Greta-lo faceva. Si era allontanata tutto d’un tratto. Non c’era dispiaciuto molto, soprattutto a Paolo: c’era una sorta di rivalità tra di loro, ma quando volevano sapevano essere pappa e ciccia.
«Che troie..» il commento di Paolo non era stato molto discreto, e molto probabilmente lo sentirono. Non volevo sapere quello che dissero, mentre entravano nella gelateria.
Quando ne uscirono, comunque, si misero nella panchina vicina alla nostra. Parlavano di alcuni ragazzi che avevano conosciuto in un posto che non avevo capito. Sembravano abbastanza su di giri.
«Se si mettono insieme, voglio vedere quanto dura.» sorrisi a Chiara, anche lei stava ascoltando. Beh, eravamo due impiccione- e in assoluto, forse la più ficcanaso ero io...
«Due settimane» fece Alice, buttando nel cestino il fazzoletto.
«Ma sei matta?- esclamò con un’aria esterrefatta Chiara -Massimo un’ora!»
Alzai gli occhi al cielo: «Che esagerata!»
«Scommettiamo?» mi porse la mano, e io l’afferrai, sorridendo. L’avrei vinta io, questa sfida, Chiara era decisamente drammatica. «E’ andata!»
C’era un posto, accanto alle scuole elementari della nostra cittadina, dove andavamo sempre. Era all’ombra, e completamente deserto. Solitamente, nessuno ci andava, e a noi stava più che bene. Le poche volte che eravamo usciti, quest’inverno, c’eravamo messi qui. Beh, col freddo non era il massimo, ma quando cercavi un po’ di fresco d’estate, era perfetto!
«Uff» sbuffò Paul «Domani sera parto per il mare..»
Corrugai la fronte: «Dove?»
«Toscana..» borbottò lui. «Non ne ho proprio voglia.» si lamentò.
«Ma no, dai! Ti rilassi un po’, e poi torni, non è una tragedia, sai!» gli disse Chiara, accanto a lui sulla panchina. «Già, ha ragione.»
Il pomeriggio passò velocemente, e verso le 6.30, quando Paolo stava per staccarsi da noi, lo abbracciammo forte, augurandogli di passare una bella vacanza.
Andrea abitava fuori paese, e mi chiedevo spesso se non avesse paura a tornare a casa da sola.
Entrai nella mia abitazione, e esclamai un sonoro ‘ciao’ a mia madre, che sbucò immediatamente. Sorrideva raggiante, era così allegra e solare che faceva impallidire la stella.
«Viola, vieni a vedere chi è tornato qui!» La guardai perplessa. Chi poteva essere tornato qui, che conoscevo e non ricordavo? Proseguii nella cucina, e guardai i due ospiti seduti al mio tavolo.
Per poco non svenni. Avevo un adone greco seduto al posto dove solitamente mi mettevo io, e mi guardava sbigottito. Mi pareva di averlo già visto, eppure non avevo idea di chi potesse essere..
«Ti ricordi di Matteo, vero?»
Probabilmente ora sembravo la gemella di un baccalà, la mia espressione non doveva essere tanto differente.
Sì che mi ricordavo di Matteo. Era l’unica persona a me conosciuta che aveva quel nome, ed era un moccioso di cinque anni, con i capelli corti e le guance paffute. Il ragazzo davanti a me, era una specie di...di modello da copertina, con degli occhi magnifici color miele e dei capelli biondo cenere che gli donavano particolarmente, e le guance non erano più rosse e pacioccose. Non ero sicura fossero la stessa persona.
«Ehm..non ne sono sicura.» balbettai con un filo di voce. Guardai la donna che rise insieme a mia madre, e li non potevo avere dubbi; sua madre la ricordavo bene, ed era uguale a qualche anno fa, solo il viso era più maturo.
Era lui davvero. Matteo. E non era più il bambino che ritenevo il mio migliore amico dieci anni prima. Deglutii. Proprio per niente.
Non c’eravamo visti per un sacco di tempo, esattamente da quando si era trasferito non so dove, e le nostre madri si erano perse di vista.
E ora risbucava per far venire un infarto alla sottoscritta: ma che gentile.
«Come sei cresciuta!» la madre di Matteo mi abbracciò, poi mi osservò sorridente «Sei proprio una bella ragazza adesso!» Arrossii fino alle punte dei capelli per il complimento, e balbettai uno strascicato grazie.
«Ma anche tuo figlio è diventato proprio carino!» commentò mia madre, con un’aria indecifrabile, poi si rivolse a lui: «Hai la morosa?» Fu il suo turno di arrossire come un pomodoro troppo maturo, il che lo rese ancor più bello. Tossicchiò qualcosa in risposta, e io guardai molto, molto male mia mamma. Solo lei poteva fare queste domande invadenti! «Oh, puoi anche dirmelo, ti conosco da quando eri piccolo così! – fece la distanza di circa due centimentri tra il pollice e l’indice- Ti ho cambiato anche i pannolini!»
Non sapevo chi fosse più imbarazzato tra me e lui. Io stavo andando in auto-combustione, e sarei esplosa a momenti.
«Eh..io andrei a farmi una doccia..felice di avervi rivisti!» scappai nella mia stanza, passandomi una mano sul viso. Com’ero stupida... Ricapitolando: avevo un bel – ed era un eufemismo definirlo così- ragazzo di là, nella mia cucina, mia madre lo stava facendo morire di vergogna, e io al posto che rimanere a rifarmi gli occhi ero scappata via. La mia furbizia non aveva limiti, sul serio.
Oh mamma: mi stupivo io stessa dei miei pensieri..
*
«Questo è molto bello, no?» Andrea ci mostrò un vestito. Noi annuimmo, infatti era carino. Però era un po’ esagerato, dopotutto non dovevamo andare a un gran galà. Stavamo parlando di una sagra vicino alla nostra città, dove avremmo passato la serata insieme. Era un diversivo per divertirci in modo diverso dalle solite uscite serali.
Girammo alcuni negozi, e alla fine non comprammo nulla di che. In compenso, c’eravamo divertite davvero. Impossibile, veramente, non star bene con quelle pazze delle mie amiche, che per altro facevano figure di merda su figure di merda come si muovevano o come aprivano bocca: erano risate assicurate.
«Beh, ragazze, ci vediamo stasera..» dissi, pronta per tornare a casa.
«Puntuale, né!» m’apostrofò Chiara, con un’aria saccente, «La mamma di Andy passa per le sette!»
«Sì, ho capito, non tarderò» borbottai, «ciao!»
Le raccomandazioni delle mie amiche, però, non erano servite granchè. Infatti ero in ritardo rispetto alla tabella di marcia. Non era servito prepararmi con due ore di anticipo, ero ancora in ciabatte, e dovevo preparare la borsetta con tutto quello che mi sarebbe potuto servire.
Riuscii a far tutto nel tempo record di tre minuti, e corsi fuori, dove la macchina della mamma di Andrea mi aspettava. «Scusate!» esordii, mentre salivo. Chiara mi guardava solo leggermente linciante: «Mica dovevi essere puntuale?»
«Ho già chiesto scusa..»
«Al tuo matrimonio arriverai con due giorni di ritardo, come minimo..» sfottè, gentile la mia amica.
«Tu non sei meglio di me.» ribattei, piccata. Mi fece una linguaccia, per poi incrociare le braccia al petto, facendo l’arrabbiata. Alzai gli occhi al cielo, mentre l’auto partiva, con, di sottofondo, la risatina divertita della mamma di Andy. Passammo a prendere Ali, e proseguimmo fino alla fiera.
Veniva organizzata tutti gli anni, e anche l’anno scorso c’eravamo venute, con anche Paul. Quest’anno però eravamo solo noi. La madre di Andy si raccomandò di chiamarla appena finito tutto, poi ci avviammo in direzione della musica e delle bandierine. Era ancora presto per accendere i lampioni, ma sicuramente, appena il cielo si sarebbe scurito, l’atmosfera sarebbe stata fantastica.
Scegliemmo il tavolo, e ci mettemmo a chiacchierare tranquillamente. Verso le sette e mezza, ci mettemmo in coda per la cena. Le bibite le ritirammo subito, mentre per i panini con la salamella dovevamo aspettare un po’. C’era tanta gente, e di conseguenza tante ordinazioni.
Tornammo al nostro tavolo, che per altro era fin troppo grande per noi. Eravamo in quattro e ne occupavamo uno da otto. Ma comunque non avevamo altra scelta, erano tutti uguali, posto più posto meno.
Chiara stava aspirando a vuoto la sua bibita fresca, e Andy cominciava ad innervosirsi.
«Dacci un taglio, Chiara.»
«Okay» dato che era infantile, la nostra amica, continuò, facendo ancor più rumore. Di conseguenza, Andrea s’incavolava ancor più, e cominciò a lanciare fulmini e saette contro di lei. Io e Ali ridevamo, ovviamente.
«Scusate?» in quattro ci voltammo all’unisono alla nostra destra, dove un gruppo di ragazzi ci guardava sorridente. Analizzai faccia per faccia, finchè non sgranai gli occhi trovando quella inconfondibile di Matteo. Anche lui mi guardava, e accennò un sorriso. Oh Dio, mi sciolgo..
«Sì?» rispose Ali, la più schietta e la meno impressionabile delle quattro. Io non sarei riuscita ad articolar sillaba in questa circostanza, se non farfugliare cose senza senso.
«Potremmo metterci qui con voi? Tutti i tavoli sono occupati, e voi siete solo in quattro...» Alice si strinse nelle spalle, come a dargli il permesso, e loro si sedettero tranquillamente. Davanti a me, c’era niente popò di meno che il mio ex-migliore amico. Sì, proprio l’adone greco che stava seduto al mio posto in cucina qualche giorno fa.
Riuscii a distogliere lo sguardo dal suo viso meraviglioso –sì, lo stavo pensando sul serio- quando Andy mi chiamò. Stava dicendo qualcosa, ma non riuscivo a seguirla. Però una cosa la notai. Il suo sguardo era vacuo, le guance piuttosto colorite, e la sua voce –che sentivo, nonostante non capissi il significato- tremolante. Nascondeva qualcosa, e non so perché, ma scommettevo centrasse il ragazzo accanto a Matteo. Non ero una veggente, semplicemente mi ero accorta che quel tipo continuava a fissarla con un sorrisino furbo.
«Ehi, Viola, che avete preso?» persi un battito. Era la prima volta che mi rivolgeva direttamente la parola, e avevo appena scoperto a mio discapito che aveva la voce più bella che avessi mai sentito. Sentii sei paia di occhi fissarmi improvvisamente. «Salamelle, voi? Che numero siete?» ne approfittai, e mi voltai per guardare il tabellone, dove il nostro numerino si avvicinava.
«Pizza. Uhm, tocca a noi.» Sì alzò, e mi sorrise, «Torniamo subito.»
Appena ri ragazzi si spostarono, Chiara mi voltò con forza verso di lei: «Come.Fai.A.Conoscerlo.Dimmelo. Ora.»
Cincischiai con un «Mi sembri Paolo» ma mi ignorò, senza commentare ad una frecciatina che solitamente la faceva andare in bestia. «E-era il mio migliore amico quando eravamo piccoli, niente di che..»
«Niente di che?! Ma l’hai visto? Hai visto il suo amico?» strepitò, come una di quelle ochette che sfottevamo solitamente. «No, evidentemente...» commentò Ali.
«Possono essere belli quanto vogliono, ma se hanno un carattere di merda..» convenne Andy, d’accordo con me. Questa situazione sfiorava l’assurdo. E poi, come mai Andrea aveva detto così?
«Perché questa conclusione?» incalzò Chiara, saggiamente.
«Beh, è ovvio» disse Andy, con un’aria sicura.
I ragazzi tornarono con la loro pizza, e si riaccomodarono accanto a noi.
«Comunque» esordì quello che fissava Andrea, «Io sono Jacopo. Mentre loro sono Christian, Matteo e Diego»
Ali prese la parola, «Io sono Alice, e loro, be’, la già citata Viola, poi c’è Chiara –fece un cenno, per poi scoccarmi un’occhiata indecifrabile- e quella scorbutica che ha una spanna di muso è Andrea. Ma preferisce farsi chiamare Andy.»
«Andy.» Jacopo ghignò. Io sinceramente non ci trovavo nulla di divertente nel nome della mia amica. Lei intanto sembrava stesse per esplodere per l’irritazione. «L’ho saputo, alla fine» quello scambio di battute lo stavamo seguendo solo io e Matteo, perché Alice, Diego, Chiara e quell’altro..Ah già, Christian, avevano cominciato una conversazione tutta loro.
«Taci, mollusco.» sibilò la mia amica, e per poco non mi cadde la mascella per lo stupore.
Lui ghignò ancora. «E smettila di ridere, non c’è nulla di divertente, idiota..» ringhiò. Lui scosse la testa, sempre con un sorrisino a increspargli le labbra –il che doveva far innervosire la mia amica a dismisura.
«Sì che è divertente. Sei spassosa quando arrossisci e fai la finta incazzata»
«Il punto è che non sto fingendo di esserlo, scimmia decerebrata che non sei altro..» Matteo soffocò una risatina, e la camuffò con un colpo di tosse. I suoi occhi incrociarono i miei.
Con ogni probabilità, aveva pensato di dare un po’ di spazio a quei due, perché smise di ascoltarli e si rivolse a me col tono di voce più vellutato che avessi mai udito.
«Beh, certo che ne è passato di tempo..»
«Solo una settimana, a dire il vero, da quando ci siamo rivisti..» precisai, facendolo sorridere divertito. Il mio cuore fece una capriola.
«Ma dall’ultima volta che ci siamo parlati, qualche anno..» ribattè poco dopo, portando una fetta di pizza alla bocca e mordendone un pezzetto.
«Ragazze, io vado a prendere le nostre salamelle.» borbottò Andy, alzandosi e sgusciando via verso la specie di bancone improvvisato dove ti consegnavano gli ordini. Jacopo si alzò subito dopo, «Vado a darle una mano.» e la seguì.
«Qualcosa mi dice che la mia cena non tornerà..»
Matteo ridacchiò. «Lo credo anche io. La tua amica penso ucciderà il mio a suon di salamelle.» Sorrisi. Non sapevo nemmeno perché- forse per la sua frase, forse per il mio cuore che batteva così forte da farmi il solletico.
«Ma..dove sei stato in tutti questi anni?» chiesi, cercando di moderare la voce.
«Oh, non così lontano. A Milano» la mia uscita fu un intelligentissimo ‘wow’, che lo fece sorridere di nuovo. Era..adorabile, quando lo faceva. Sembrava tornare quel bambino tenero che consideravo l’altra metà della mia anima, tanto eravamo appiccicati. Si passò nervosamente una mano sui capelli, sistemandoli. Incredibile. Quel tic l’aveva avuto da sempre, e non gli era ancora passato.
«Il lupo perde il pelo ma non il vizio..» commentai, e lui arrossì. «Già.»
Rimanemmo per qualche istante in silenzio, poi ricominciò: «mh..te lo sei ricordato..»
«Già»
*
«Beh, è stata una bella serata.» convenne Chiara,con un sorrisino. Potevo giocarci una mano, ma rischiava di essere molto più grande, quel sorriso, se non l’avesse trattenuto.
«Sì, davvero!» Christian le diede immediatamente man forte, con una smorfia leggermente ebete. Beh, in effetti aveva tanto l’aria da pesce lesso.
«Ja, ja!» Diego sorrise ad Alice, che intanto era scoppiata a ridere per la sua stessa pessima imitazione del ‘ja’ tedesco. Avevamo scoperto che il ragazzo, infatti, lo era. Da quel che avevo seguito-difficile da ammettere, ma non ero riuscita a staccare gli occhi di dosso da Matteo-, lui le aveva fatto qualche lezione di lingua tedesca.
«Forza ragazze, mia mamma sta per arrivare..» borbottò Andy. Quel Jacopo l’aveva seguita tutta la sera, come la sua ombra. E la mia amica non aveva apprezzato, a quanto pareva. Non so che impressione a lei avesse fatto, però, per quanto vedevo, quel ragazzo oltre che carino, non sembrava male caratterialmente. «Beh, ciao bocciolo di rose..» le disse lui. La mia amica mise su l’espressione più scettica e impassibile che le avessi mai fisto fare, e gli fece un galante dito medio. Mi trattenni dal ridere, ma l’ilarita passò nell’istante in cui notai che Matteo mi si stava avvicinando.
«Beh, ci vediamo in giro!» esclamò. Era il ritratto della tranquillità, mentre il mio cuore sembrava volesse uscirmi dal petto. Diamine, cosa poteva fare il bell’aspetto...
Sentimmo suonare un clacson, e appena ci voltammo, trovammo la mamma di Andy. Ci avviammo, salutando con un cetto tutti e quattro. Chissà perché, Andrea non mi sembrava poi così allegra. «Allora, com’è andata?» chiese sua madre, mentre metteva in moto.
«Oh, benissimo» borbottò la nostra amica, senza troppo entusiasmo.
«No, davvero, è stata una bella serata.» m’intromisi. Perché, per quanto riguardava me, lo era stata. E anche per le altre due al mio fianco. L’unica poco felice era lei, ma solo perché Jacopo le era stato appiccicato come una cozza.
«E chi erano quei ragazzi che erano con voi?» chiese ancora, con un tono piuttosto malizioso. Andy s’irrigidì. «Dei ragazzi.» rispose secca.
«Li abbiamo incontrati lì» spiegò Alice, pacata, «Non c’erano più posti liberi e dato che da noi c’erano ancora quattro posti non occupati, c’hanno chiesto gentilmente se potevano sedersi.» La madre di Andy annuì, credendo a Ali: anche perché era successo così.
Quando entrai in casa, mia mamma era ancora in piedi a leggere un libro sul divano. Appoggiai la borsetta, e mi sedetti accanto a lei. «Sai chi c’era stasera?»
«Chi?» chiese, togliendo il naso dal libro.
«Matteo» risposi, per poi sbadigliare.
«Ah sì?»
«Era con i suoi amici...» detto ciò, mi rialzai e andai in camera mia.
Sbadigliai, e dopo essermi messa comoda, crollai tra le braccia di Morfeo, che mi accolsero gentilmente.


  
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