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Autore: MrEvilside    06/01/2011    7 recensioni
Non era un uomo particolarmente bello, tuttavia aveva un suo fascino, forse accentuato dalle dicerie indiscrete sul suo conto che serpeggiavano tra i nobili.
A meno che non fosse stato lo stesso mio signorino a rivelarglielo, non avrebbe mai potuto sapere che persino Ciel Phantomhive era rimasto impressionato, come mi aveva sussurrato poc’anzi, quando il signor Wilde ci aveva visti per la prima volta.

L'unico che legame che Sebastian Michaelis possa realmente definire "amicizia" iniziò con una cena di gala.
[ II classificata al contest Sulle orme di Nessuno indetto da FataFaby89 e Vincitrice del Premio "La voce dei diavoli" per l'attinenza alla citazione ]
[ Sebastian/Oscar ]
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Sebastian Michaelis
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mezzo punto di distanza dalla prima classificata, con una fanfiction scritta di fretta tra computer e valigie per partire per le vacanze di Capodanno. Una fanfiction su un personaggio che personalmente avrei tanto voluto conoscere e che ero terrorizzata all'idea di trattare in modo errato; non che l'abbia conosciuto, quindi probabilmente è completamente diverso da come ho voluto dipingerlo io, ma il mio Oscar Wilde mi piace molto, devo ammetterlo, e spero piacerà anche a voi. Ho vinto anche un premio, che cosa carina. <3
E la giudice è stata estremamente rapida, gentile e per di più mi ha scritto un giudizio stratosferico... L'ho tanto adorata, per questo motivo, quindi grazie ancora. <33
Oh, non trovate che la parola "demonio" sia estremamente elegante?

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Il bacio del demonio

Di solito la gente abbinava alla deturpazione fisica una propensione alla malvagità direttamente proporzionale. Senza riflettere che il male per nutrirsi deve essere seducente, accattivante. Deve attirare a sé il mondo che ha intorno con la promessa della bellezza e la premessa del sorriso.

Suppongo non avesse mai visto nulla di simile.
Anzitutto, il suo sguardo cadde sul ragazzino – poco più d’un bimbo, in realtà – che lo squadrò con un profondo, insolente occhio blu – il gemello era rinchiuso nella prigione nera d’una misteriosa benda. In equilibrio su eleganti stivali dal tacco esagerato per renderlo un poco più alto, si ergeva dinanzi a lui con grazia e si puntellava sull’estremità superiore del bastone da passeggio. Un anello al dito, blu quanto l’occhio e le sfumature dei corti capelli neri che, sbarazzini, nascondevano la fronte, e guanti neri a rivestire le mani piccole, dalle dita sottili, ossute, quasi, un poco sgraziate, che in questo modo ricordavano l’umanità d’una creatura altrimenti apparentemente superiore.
Poi la sua attenzione fu attratta dall’uomo alto che affiancava il giovane conte. Vestito di sobri abiti neri, doveva essere il maggiordomo, un umile servitore, eppure lo colpì anche più del suo padrone. Si sentì arrossire involontariamente quando i suoi occhi – scarlatti, scarlatti come mai ne aveva visti – incrociarono i propri e quelle labbra piene e rosse quasi quanto le iridi si incurvarono in un sorriso amabile e cortese, consce del potere che stavano esercitando su di lui. I muscoli del volto si contrassero per consentire quel sorriso e la pelle candida si increspò come fiere onde d’un infinito mare bianco.
Accigliato, il ragazzino mosse la bocca in direzione del maggiordomo, avvedutosi delle sue occhiate indiscrete; l’uomo rispose e le sue labbra danzarono leggiadre per qualche istante nello stesso modo mellifluo in cui gli aveva sorriso.
Erano l’uno più bello dell’altro, il giovane conte d’una bellezza pura, naturale e probabilmente inconsapevole, il servitore d’una bellezza dannata e zuccherosa che sembrava celare l’Inferno.
«Ciel Phantomhive, il conte orfano, capostipite della casata Phantomhive e direttore della compagnia di giocattoli Funtom, ed il suo maggiordomo» gli sussurrò all’orecchio uno dei tanti amici che lo circondavano nell’accorgersi del suo interesse. «Non ve li consiglio, signor Wilde» soggiunse con una voce nasale che Oscar considerò estremamente fastidiosa, poiché lo costrinse a volgere gli occhi sul volto schiacciato del suo interlocutore per rispettare, suo malgrado, le buone maniere alle quali dava tanta importanza. «Quei due sono tanto inquietanti che si dice abbiano a che fare con la malavita di Londra».
«Voi dite…?» finse di interessarsi a quanto gli era stato detto nel voltare nuovamente la testa in direzione di Ciel Phantomhive.
Scoprì che egli lo stava osservando con intensità e, quando i loro occhi si incontrarono, gli fece un breve, perentorio cenno d’avvicinarsi con il modo di fare di chi ha l’abitudine di veder obbedire ai propri ordini. Il maggiordomo, al suo fianco, gli sorrise una seconda volta.
«Vogliate perdonarmi» a malapena si ricordò di mormorare, il signor Wilde, verso il nobile che gli aveva sussurrato simili scortesie su di me e sul mio signorino, mentre si incamminava nella nostra direzione, attratto dal giovane conte dagli occhi blu e dall’alto uomo impregnato del nero della notte, quale, modestamente, ero io.
«Buonasera» lo salutò il mio padrone, accennando con cortesia a togliersi la tuba, che tuttavia rimase ben calcata sul suo capo.
Oscar Wilde si inchinò con estrema gentilezza, poiché non indossava alcun copricapo. «Buonasera a voi, lord Phantomhive» rispose. Il suo sguardo dardeggiò su di me per qualche istante, ma egli si affrettò a scostarlo dal mio quando io lo ricambiai e lo feci arrossire.
Non era un uomo particolarmente bello, tuttavia aveva un suo fascino, forse accentuato dalle dicerie indiscrete sul suo conto che serpeggiavano tra i nobili.
A meno che non fosse stato lo stesso mio signorino a rivelarglielo, non avrebbe mai potuto sapere che persino Ciel Phantomhive era rimasto impressionato, come mi aveva sussurrato poc’anzi, quando il signor Wilde ci aveva visti per la prima volta.
«Signor Wilde» replicò il giovane conte, con l’implicito intento di rivelargli d’aver letto le sue opere – e d’esserne stato affascinato, molte volte. «La vostra fama vi precede».
«Troppo buono, my lord, troppo buono». Era delizioso, il modo in cui si esprimeva quell’uomo: ogni singola sillaba era strascicata dall’educazione dolciastra della quale era intrisa; e non era falsa cortesia, bensì vera e propria ossessione per le buone maniere. «Mi lusinga sapere che i miei libriccini siano piaciuti ad una personalità importante qual siete voi».
Nel parlare mi guardava, di tanto in tanto, ed anche il signorino se ne era reso conto: probabilmente prestava a simili dettagli più attenzione del solito in virtù del dubbio orientamento sessuale del nostro interlocutore.
Oh, cielo, quale squisitezza, un’anima così giovane che per la prima volta si macchia della consapevolezza dell’esistenza d’un differente, disdicevole desiderio amoroso!
Inevitabilmente sorrisi all’indirizzo del signor Wilde, grato per lo spettacolo del mio padrone che mi aveva offerto, seppur senza esserne cosciente. Questa volta fu in grado di mantenere il proprio contegno senza arrossire e mi sorrise a propria volta.
«Vogliate perdonarmi,» il mio padrone aveva corrugato la fronte: doveva aver scorto la signorina Elizabeth «ma è arrivata la mia fidanzata. Magari ci incontreremo ancora, più tardi, signor Wilde». Quando mi apprestai a seguirlo, me lo impedì con uno sguardo. «Tu resta qui, Sebastian: tieni compagnia al nostro amico. Sarebbe invero molto poco gentile, da parte mia, abbandonarlo così all’improvviso».
Compresi, e la mia bocca si incurvò in un dolce ghigno che lo turbò, tanto che mi voltò le spalle e si allontanò senz’aggiungere altro né aspettar risposta.
Quindi mi volsi nuovamente in direzione del signor Wilde, premurandomi di sostituire al ghigno un sorriso educato.
«Dunque, signor Wilde, fate qualcos’altro, oltre a comporre mirabili opere di letteratura?»
E non fu un quesito di circostanza, bensì un’autentica dimostrazione d’interesse nei suoi confronti; lui sorrise alle mie parole, capì e rispose con quella sua voce cortese, morbida e sottilmente affascinata dalla mia presenza, quasi che fosse lui a pendere dalle mie labbra e non io ad ascoltarlo in silenzio.
Gli offrii del vino rosso mentre conversavamo – il Chianti che avevo comprato in Italia, donato all’organizzatore del party dal mio padrone, il miglior vino dell’intera collezione disposta a dar mostra di sé sul lungo tavolo del banchetto – e dopo qualche bicchiere aveva perso parte della propria lucidità: arrossiva squisitamente quando sorridevo e, quando parlavo, appariva del tutto assuefatto alla mia voce.
Infine era tanto ubriaco che a malapena si reggeva in piedi.
«Lasciate che vi accompagni al bagno, ne avete davvero bisogno» osservai, prendendolo sottobraccio per condurlo fuori dalla sala, lungo un corridoio che sapevo condurre ad uno dei bagni – ero già stato un’altra volta nella magione del visconte Druitt.
«Mi avete fatto bere troppo, signor Michaelis…» si lamentò scherzosamente il signor Wilde.
Mi piacciono gli uomini ubriachi – non abbastanza da rimettere quanto hanno bevuto, ovviamente – : l’estasi del liquore è piacevole quanto un orgasmo, e la piacevolezza rende gli esseri umani ingenui al pari dei bambini. Per quanto uno spirito possa essere marcio di peccato, vi è sempre una scorza d’infantile innocenza a ricoprirlo, per quanto sottile, che viene a galla con il sesso e con il vino. O con entrambi.
«Lo avete fatto di proposito, non è così?»
Il suo quesito mi colpì, mentre con una smorfia proseguivo oltre il primo dei bagni su quel piano, dal quale provenivano i gemiti del signor Chamber e della signorina con la quale l’avevo visto danzare una decina di minuti prima.
«Siete molto perspicace, signor Wilde».
Lui sorrise, sognante. «Voi siete un divoratore di anime, signor Michaelis». Sorrisi, profondamente compiaciuto che una personalità interessante quale la sua avesse percepito la mia vera essenza – in qualunque modo avesse scelto di chiamarla. «Vi giostrate abilmente tra i sentimenti umani, selezionate quelli che vi occorrono e fate sì che essi nutrano le vittime designate, seducendole con la promessa della bellezza, del delirio dei sensi, ed ingannandoli con la premessa del vostro sensuale sorriso. Nel caso specifico, si tratta di me, non è vero?»
«Estremamente perspicace».
Lo spinsi educatamente nel vano della porta del bagno, oltrepassai l’uscio dopo di lui e chiusi il battente alle mie spalle; il signor Wilde appoggiò ambo le mani sul marmo bianco del lavabo, rimirò la propria immagine allo specchio e rise di quanto apparisse trasandato. Era la sua prima risata falsa: era così palese il suo amore per il proprio aspetto. Il suo senso estetico somigliava a quello d’un demone e ciò lo rendeva ancor più delizioso ai miei occhi.
«Voi credete nell’Inferno, signor Wilde?» volli sapere, d’improvviso curioso di conoscere le ultime perle di saggezza d’un uomo in punto di morte, nel chiudere a chiave la porta affinché fossimo soli.
«È il luogo in cui finirò a causa di tutti gli uomini che ho amato nel corso della mia vita» rise lui. «Ed in particolare perché ho osato interessarmi ad uno dei suoi figli: voi. Girone dei lussuriosi, come affermò nella sua Commedia Dante Alighieri, o quantomeno così presumo. Perché un simile quesito, signor Demonio?»
«Sebastian Michaelis» lo corressi. «Voi siete un uomo molto gentile, signor Wilde: l’Inferno non accetta individui come voi. Il Purgatorio, probabilmente, ma non l’Inferno. Sapete, gran parte di coloro che credono d’essere destinati alle fiamme eterne, alla fine si ritrovano qualche gradino più su di tutti i dannati. Persone cortesi, queste di cui parlo, proprio come voi».
«Un poco sono deluso, però: mi sono tanto impegnato, e il signor Lucifero non ha intenzione di accettarmi!»
Rise: non aveva paura, lo leggevo nei suoi occhi.
La vita in quel mondo gli era venuta a noia: non vi trovava più nulla per cui valesse la pena rimanere, mentre la prospettiva di uno dei regni degli Inferi lo colmava di curiosità e desiderio del proibito.
«Una sola richiesta, signor Michaelis,» riprese poi, quando la risata morì sulle sue labbra «divorate la mia anima con un ultimo, gentile bacio sulla mia bocca, per favore».
«Si parla sempre di voi» commentai, divertito, mentre mi accostavo a lui e appoggiavo la bocca sul suo orecchio, di modo che potesse scorgermi in un angolo dello specchio. «La vostra anima, le vostre labbra, il vostro impegno nei confronti del signor Lucifero e persino l’Inferno, il vostro luogo… Siete un uomo molto vanesio, signor Wilde, come testimoniano le vostre opere. Mi piacete. La vostra dev’essere un’anima particolarmente gustosa». Feci leva con un indice sul suo mento affinché lo sollevasse e volgesse il volto verso il mio.
«Vi ringrazio, signor Michaelis».
Il nostro fu solo un lento sfiorarsi di labbra. Avvertii la sua bocca aprirsi per accogliere la mia, ma gli afferrai le braccia e lo tenni fermo laddove si trovava.
Il signor Wilde era simile a me sotto molti aspetti, malgrado fosse al mondo da molto meno tempo di me: non posso negare che lo ammirerò sempre molto e che sarebbe stato un vero peccato se, quel giorno, avessi preso la sua anima, come il mio padrone mi aveva permesso di fare quella sera, in cui l’attesa del termine del Contratto era particolarmente sofferta.
Scelsi di lasciarlo vivere quanto permette la longevità dell’essere umano, consapevole che mi avrebbe riservato molte altre sorprese, anche se non l’avessi mai più rivisto.
«Temo che, per quanto questo mondo vi annoi, dovrete attendere ancora un poco, prima di morire» osservai nel ritrarmi. «Consideratela pure una crudeltà da parte mia: dopotutto, sono un demone» soggiunsi in tono divertito.
«Crudeltà? E perché mai, signor Michaelis?» replicò, sorprendendomi per l’ennesima volta. «Senza dubbio, sino a poco fa, questo mondo mi infastidiva. Adesso, tuttavia, voi mi avete dato un motivo per non andar a salutare i miei compagni di scalata del monte del Purgatorio. Non subito, perlomeno».
Qualcuno bussò alla porta, ed io conclusi con fare di congedo: «Riguardatevi, signor Wilde: non dovreste bere tanto, se il liquore vi fa un simile effetto».
Il suo ultimo sorriso è un ricordo che conservo gelosamente tutt’ora.
Questa mattina è arrivato un pacco anonimo alla magione di Phantomhive, indirizzato al “gentil maggiordomo Sebastian Michaelis”: conteneva un biglietto ed un libro. Vergato in un’elegante grafia arzigogolata – splendida, seppur poco intellegibile – ho letto sul biglietto: “La mia ragione d’esistenza”.
Ho immediatamente ricordato il signor Wilde e quella gradevole serata trascorsa con lui.
Il libro è estremamente piacevole, per molti versi mi ricorda il mio amico – sì, credo di poter definire quell’uomo mio amico, stranamente – e mi rammenta in particolare il fascino che devo aver esercitato su di lui.
Il ritratto di Dorian Gray”.
Innegabilmente un’opera pregevole.
In risposta alla sua cortesia, domani gli spedirò un mio ritratto – non si stupirà che io conosca il suo indirizzo, ne sono certo, sebbene il suo pacco fosse anonimo –; conoscendo i suoi gusti, senza dubbio apprezzerà.
  
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