Di
nuovo normale…
Prologo
La
luce del sole aggredì i suoi occhi chiari. Istintivamente
alzò una mano per
ripararsi, mentre un pensiero folle le attraversò la mente.
Non
possono attaccarmi con la luce
del sole.
Rendendosi
conto di quello che aveva pensato, si guardò terrorizzata
intorno, convinta che
gli infermieri, che gironzolavano nel parco, stessero per prenderla e
riportarla a forza dento l’ospedale, nel quale aveva
trascorso gran parte della
sua adolescenza.
“Elizabeth!”.
La
ragazza bionda si voltò verso la voce. Un dottore alto e con
i capelli scuri
stava correndo verso di lei. Sorrideva e sembrava veramente felice di
vederla,
ma lei sapeva che era una finta. Quante volte aveva visto quel sorriso
prima
che la imbottissero di psicofarmaci, o prima che la tenessero ferma
mentre lui
si preparava per iniettarle l’ennesima schifezza.
“Dottore”
si limitò a rispondere.
Il
dottore captò la sua inquietudine e il sorriso che aveva
sulle labbra scivolò
via.
“Sono
solo venuto a salutarti. Abbiamo passato molto tempo insieme”.
“Troppo”.
Il
dottore ridacchiò. “Sì, è
vero. Ma spero che non ti dispiaccia tornare a
trovarmi almeno tre volte la settimana”.
“Ma...
Ma... Mi lasciate andare, vero? Perché mia madre ha detto
che posso tornare a
casa e… “.
“Elizabeth…”
“Buffy!
Il mio nome è Buffy!” strepitò la
ragazza, occhieggiando malevola il dottore.
L’uomo
la fissò incerto, per poi assumere lo sguardo che Buffy
aveva soprannominato
“Lo Sguardo Clinico Prima Della Puntura!”.
“Mi
scusi, Dottor Ross. Sono solo nervosa. È da molto che non
torno a casa…”.
I
lineamenti del dottore si addolcirono e Buffy tirò un
sospiro di sollievo.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non ritornare in quella stanza
bianca, prigioniera
di una camicia di forza. Anche far finta di non aver vissuto a
Sunnydale per
tutti quegli anni, insieme ai suoi amici.
Tu
non hai mai vissuto a Sunnydale.
Non esiste! Tu non hai amici, lì. Tu non hai nessun amico!
Buffy
respinse con forza questo pensiero e si riconcentrò sul
dottore davanti a lei,
il quale si era appena girato.
Joyce
Summers stava camminando veloce verso di loro. Era sorridente e i suoi
occhi
brillavano dalla felicità. Buffy se ne stupì. Al
dire il vero, si stupiva
sempre ogni volta che vedeva sua madre. Fino a pochi mesi fa, era
convinta che
fosse morta e invece, in quel momento, stava venendo verso di lei.
Ancora
incredula di questo miracolo, abbracciò sua madre non appena
la raggiunse.
“Oh,
Buffy! Non così forte!” si lamentò con
tono scherzoso Joyce.
“Signora
Summers” disse il dottore a mo’ di saluto, ma Buffy
udì anche un tono di
avvertimento in quelle due semplici parole, mentre lasciava andare sua
madre.
Joyce
si voltò verso l’uomo, arrossendo.
“Dottor
Ross, mi scusi. Allora Beth, sei pronta ad andare?”:
Beth?
Urlò nella sua mente Buffy.
“Certo,
Mamma Joy” le rispose, voltando le spalle al dottore e
camminando verso l’auto.
Anche
se la macchina distava pochi metri dall’ingresso
dell’istituto d’igiene
mentale, per Buffy sembrò di attraversare un intero universo.
L’aria
le sembrava più buona, la luce più intensa. Se
questo significava essere
liberi, sarebbe stata libera per sempre. E se qualcuno avesse in
qualche modo
intaccato la sua libertà, a quel qualcuno aspettava una
brutta fine.
Non
sei la Cacciatrice! Smettila!
Tu sei una ragazza di ventidue anni, appena uscita da un manicomio.
“Bu…
Beth?”. Buffy si girò verso sua madre.
“Tutto bene?”
“Sì!”
e detto questo, salì in macchina.
Appena
si allacciarono le cinture, Joyce s’immise nel traffico.
C’erano poche auto in
giro quella domenica mattina, ma Buffy non se ne rese nemmeno conto. I
suoi
occhi erano puntati verso l’alto. Si distrasse cercando di
trovare delle forme
nelle nuvole bianche che tappezzavano il cielo, ma quando ne vide una a
forma
di paletto, distolse subito lo sguardo.
“Beth,
tuo padre tornerà stasera e… Che
c’è?” chiese sua madre, accorgendosi
dell’espressione infastidita di sua figlia.
“Beth?”
ripeté in tono sarcastico Buffy.
“Mamma
Joy?” ribatté sua madre.
Le
due si guardarono, per poi scoppiare a ridere di cuore.
“Oh,
come mi sei mancata Buffy” confessò Joyce, mentre
si asciugava una lacrima
solitaria sfuggita ai suoi occhi.
“Anche
tu, mamma. Posso chiederti una cosa?”.
“Tutto
quello che vuoi, tesoro”.
“Beth?”
domandò nuovamente Buffy, testarda.
Sua
madre assunse un’espressione sofferente e gettò un
breve sguardo verso sua
figlia. Parcheggiò nel vialetto di casa, ma non scese
dall’auto. Sapeva che
doveva darle una risposta.
“Il
Dottor Ross crede che sia meglio cancellare qualsiasi cosa che possa
farti
ricordare…be’, lo sai…”.
“La
mia non vita a Sunnydale?” indagò Buffy.
“Sì”.
“E
questo che cosa a che fare con il diminutivo che tu e papà
mi avete dato fin
dalla nascita?”.
“Buffy,
lo sai il motivo. Meno pensi a Loro, più stai meglio. Io non
so che cosa tu
abbia fatto per liberarti di Loro, ma mi ricordo come sei stata le
settimane
successive alla tua decisione di lasciarli…”.
“Dì
i loro nomi”.
“Buffy…”.
“Dì
i loro nomi!” disse con forza Buffy, combattendo contro le
lacrime che
minacciavano di sopraffarla.
Joyce
prese un profondo respiro. “Willow,
Xander, Giles e… Dawn”.
“Né
hai dimenticato qualcuno, ma non importa. Willow, Xander, Giles, Dawn,
Tara,
Angel, Anya e Spike sono solo delle mie fantasie. Loro non esistono. La
citta
di Sunnydale non esiste. Io ho passato sei anni della mia vita
rinchiusa in un
manicomio…”.
“Buffy,
lo sai che tuo padre ed io l’abbiamo fatto per il tuo
bene!” la interruppe sua
madre disperata.
“…
per colpa loro.” continuò Buffy, facendo finta che
sua madre non avesse aperto
bocca. “ e fidati, quando ti dico, che io li odio per questo.
Farò qualsiasi
cosa per non ritornare in quel posto. E se questo comporterà
che d’ora in poi
sarò chiamata Beth, va bene. Buffy Summers muore esattamente
in questo preciso
istante”.
Buffy
guardò sua madre con il respiro affannato. Pregava in cuor
suo che sua madre
capisse quanto le costava dire quelle cose ad alta voce. Il suo cuore
si era
rotto in mille pezzi e sapeva che per riattaccare tutti i cocci
sarebbero
passati anni.
Joyce
la prese tra le braccia e la strinse forte. Aveva capito.
Buffy
sorrise, ma dentro di sé un maremoto di tristezza la stava
colpendo nel
profondo del suo io.
“Forse
è meglio entrare, se no papà inizierà
a farsi delle domande, se ci troverà
ancora qui dentro quando tornerà”
scherzò la ragazza, sciogliendo dolcemente
l’abbraccio.
“Sì,
hai ragione”.
Le
due donne scesero dall’auto e si diressero verso casa.
Appena
Buffy entrò, si sentì completamente spaesata. Non
perché non entrava in quella
casa da tempo, ma perché sapeva che quella non era casa sua.
La sua casa era a
Sunnydale.
Mentre
si dirigeva verso il piano superiore, trascinando la valigia su per le
scale,
si aspettava di sentire la voce di Dawn che chiacchierava con la sua
amica
Janice al telefono, oppure le risatine soffocate di Willow e Tara
provenienti
dalla loro camera da letto.
Ma
solo il silenzio la accolse sul pianerottolo.
Aprì
la porta che si trovò davanti. Era il bagno.
Rise
di sé stessa. Avrebbe dovuto riabituarsi a casa sua. Al
terzo tentativo, trovò la
sua stanza.
Mollò
la valigia sul pavimento, chiuse la porta dietro di sé e si
buttò sul letto,
mentre le lacrime cominciavano a sgorgare dai suoi occhi.
Lo
sapeva che si era immaginata tutto, ma non riusciva a smettere.
Doveva
piangere per l’addio definitivo che aveva dato ai suoi
più cari amici mai
esistiti.
Non
so da dove mi sia uscita, ma spero che sia piaciuta. Credo che ogni
singolo
fan, di questa magnifica serie, si sia sempre chiesto che cosa sarebbe
successo
se veramente Buffy si era inventata tutto.
Non
so dove mi porterà, ma fino a quando la storia
m’ispirerà… io la continuerò.
Grazie
per la lettura.
Asiel…