“CHE COSA CREDEVI DI FARE??? CREDEVI DAVVERO DI FARCELA???”
Apprezzavo sempre quando gli zoticoni come
Uregh si davano un tono, di
fronte a tutti, pavoneggiandosi della loro forza e del loro potere nei
confronti di un prigioniero inerme… come me, in quel momento. Gli lanciai
un’occhiata di puro disgusto, il massimo in cui riuscii a produrmi o
almeno, cercai di farlo. Dopotutto la vendetta che mi era stata appioppata per
aver quasi ammazzato la guardia nel mio abortito tentativo di fuga non era
stata somministrata con mano leggera ed il mio corpo era
un groviglio di dolore, lo stomaco e il viso in particolare invocavano
pietà o anche un bel Recovery, se solo fosse
stato possibile. Dovevo essere uno spettacolo, pesta e col sangue che mi incrostava la bocca e il naso ma non me ne fregava
niente, anzi ringraziavo la pozione che ormai mi drogava da tempo (che ironia,
eh?) dato che quantomeno mi avrebbe aiutata a patire meno l’infierire
della frusta. Perché era questa la punizione che mi spettava. Non ero
mai stata scudisciata, anche se avevo sofferto per molti altri tipi di ferite, sapevo
però che doveva essere una pena piuttosto pesante, a giudicare dalle
cicatrici che lasciava al malcapitato e che avevo avuto modo di osservare
diverse volte in vita mia: brandelli di pelle più o
meno profondi strappati dalla carne, secondo l’abilità e l’incazzatura
del boia. E il mio doveva esserlo parecchio, ero stata una bambina piuttosto
cattiva.
“CIO’ CHE MI AFFASCINAVA DI TE
ERA ANCHE IL TUO CARATTERE, MA ORA COMINCIO A STANCARMI, MOCCIOSA!!! IO TI TRATTO CON TUTTI I RIGUARDI, E TU MI RIPAGHI A
QUESTO MODO???”
Uregh sbraitava, sputacchiando saliva.
Chissà se aveva detto altro, mentre mi distraevo. Bè? Non
pretendeva certo che stessi ad ascoltarlo con attenzione, vero? Non era il mio
padrone, né mai lo sarebbe stato, indipendentemente dal dolore che
intendeva infliggermi. Mio malgrado mi trovai a sorridere quando decisi di
rispondergli. Era decisamente probabile che la frusta
mi avrebbe messo in ginocchio e che avrei perso il minimo orgoglio che insospettabilmente mi rimaneva, nonostante gli abiti laceri
che non lasciavano spazio alla fantasia di chi mi osservava e al viso contuso,
ma al momento avevo ancora la capacità e la presenza per reagire, almeno
a parole. Peccato che la voce mi uscisse a malapena, rovinando un poco
l’effetto strafottente che volevo imprimere nelle mie parole.
“E’…
tutto compreso nel pacchetto, Uregh…Prendi il
carattere, accetti le sue complicazioni… non ti aveva avvertito…
l’agenzia da cui mi ha comprata…?”
Riuscii pure a emettere una risatina beffarda
anche se parlare e muovere la bocca in generale mi faceva provare nuove
magnifiche fitte. Il ceffone che mi aveva mollato era stato davvero ben
piazzato, preciso e violento e il modo altrettanto (chiaramente) rude con ero stata costretta in precedenza a bere una dose doppia di
“medicina”, per evitare che scappassi ancora, spaccandomi
definitivamente il labbro aveva fatto il resto, trasformandomi
nell’immagine da affiancare sul dizionario alla voce “relitto
umano”. Fantastico, riuscivo ancora a fare ironia. O forse stavo
delirando? Aveva importanza?
“CREDI DI
ESSERE SPIRITOSA??? ORA TI FACCIO PASSARE IO
Ah, la mia simpatia era apprezzata. Lanciai
ad Uregh un’occhiata
dalla mia posizione decisamente svantaggiata e gli stiracchiai un nuovo sorriso.
Quantomeno tentai, visto appunto il problema della mia
faccia. E il fatto che avessi colto il movimento della frusta, alle mie spalle.
Non che la stessero ancora usando ma la “medicina” mi rendeva
“sbadata” e quasi mi era passato di mente che non ero di fronte
allo zoticone per un duello a suon di ironia ma per
essere pestata a sangue. Rimasi fintamente serena mentre mi si torceva lo
stomaco, cosa sbagliata visto che ogni muscolo della
zona gridava per il dolore dei pugni presi. Con un moto involontario mossi a
disagio i polsi, legati strettamente dietro la schiena e la mia bocca si
piegò all’ingiù per un breve secondo. Una piccola parte di
me voleva smettere di combattere definitivamente, piegata dalle umiliazioni
subite.
“Quello di ora sarà un…
avvertimento… Ma ti assicuro che è l’ultima volta che
sarò tanto gentile con te… mi sono spiegato?”
Simpatico, Uregh.
Cabarettista nato. Non volevo cedere, non volevo
cedere! Il mio sguardo però tornò automaticamente
alla frusta e deglutii piano, dolorosamente. In quel momento arrivarono
le guardie e mi sollevarono di peso. Non ce l’avrei
fatta ad alzarmi, a causa delle droga che mi rendeva debole ma ero purtroppo
comunque ancora ben consapevole del mio corpo (in modo da non perdermi neanche
uno schiaffo o un pugno). In ogni modo anche se ce l’avessi
fatta a mettermi in piedi non credo proprio che li avrei aiutati in un qualche
modo, andando sulle mie stesse gambe a farmi frustare. Non avevo nessun potere
e avrei usato ogni briciolo di dignità rimastami per non dare troppa
soddisfazione quando fosse arrivato il momento ed era il massimo che potessi
fare. Tenni lo sguardo perso, per evitare che mi venisse di
nuovo rivolta la parola, mentre la mia mente rimaneva saldamente ancorata al
pensiero di quello che mi aspettava una volta nel cortile. Improvvisamente un
riflesso viola attrasse il mio sguardo. Girai lentamente la testa
focalizzando… Zel. Allargai gli occhi per la sorpresa poi mi ricomposi.
Dopotutto la “medicina” aveva tra le sue leggere controindicazioni la pazzia, no? Doveva essere
un’allucinazione. Erano mesi che non vedevo nessuno… potevano
essere tutti morti. Forse il mio cervello stanco aveva creato l’illusione
di una figura amica… Mi si strinse la gola mentre
serravo le labbra martoriate per non mettermi a singhiozzare.
Ed eccomi giunta al cortile, troppo in
fretta per i miei gusti, dove una mano grande e pesante mi costrinse in
ginocchio. Osservai meccanicamente la ghiaia che mi pungeva ginocchia e gambe mentre
la polvere che si alzava da terra intorno a me e ai piedi del boia. Era il
momento. Il gelo della paura mi stringeva nelle sua
morsa quando calò il primo, bruciante colpo. Gemetti. Non potei farne a
meno. Il secondo colpo seguì a distanza ravvicinata il primo mentre gli
occhi mi si riempivano di lacrime e un nuovo suono strozzato mi usciva dalla
gola. La frusta calava e calava, il dolore sulla mia pelle lacerata si faceva
insostenibile mentre lacrime copiose e muco mi inondavano
la faccia. Arrivò un punto in cui io e il dolore eravamo la stessa cosa
e fu allora che misericordiosamente persi ogni contatto con la realtà.
L’ultima cosa che vidi, sfuocato dalle lacrime, fu il suolo che si
avvicinava, poi fu l’oblio.
Quando mi ripresi
qualcuno mi stava spalmando un unguento sulla schiena. Sembrava un lenitivo ma
il solo tocco sulla mia pelle spaccata era una sofferenza indicibile. Il mio
cervello decise quindi che non era il caso di sprecare energie con la veglia e
il mondo si oscurò di nuovo. Quando rinvenni
venivo trascinata verso le carceri, o almeno questo capii a giudicare dal
pavimento che vedevo scorrere sotto ai miei piedi. La mia mente scattò e
fu ancora il nulla.
La durezza e la puzza che avvertii quando
tornai in me mi fecero intuire che ero sul mio giaciglio, sdraiata su un fianco.
Giacqui immobile, sperando di tornare là dov’ero fino a poco
prima, cullata dalle braccia dell’oblio, in un luogo dove non provavo
nessun tipo di dolore, nessun sentimento, niente. Dove
non esistevo. Serrai gli occhi con forza mentre ricacciavo indietro il pensiero
di Gourry, che ogni tanto tornava a visitarmi.
Ricordarmi di lui mi faceva male al cuore. La memoria delle nostre avventure,
della sua stretta rassicurante e del bacio che ci eravamo
scambiati mi lacerava.
“Lina…”
Ecco, ora sentivo anche la sua voce.
Automaticamente, assolutamente contro la mia volontà, i miei occhi
presero ad aprirsi… E lo vidi. Era lì, di fronte a me, in carne ed ossa, l’allucinazione meglio creata nella storia
delle allucinazioni. Eppure… Dei quanto sembrava lui… Ma forse… le allucinazioni avevano odore?
Nonostante la sofferenza fisica saltai su a sedere… e lo afferrai.
Solido e forte sotto il mio tocco, caldo e
tremante, Gourry era lì, tra le mie braccia.
Mi sollevai, barcollando, mentre sentivo il sangue defluirmi in maniera
pericolosa dal viso. Vidi i suoi occhi inumidirsi.
“Sono qui…” disse
attirandomi contro il suo corpo. “Sono
qui…”
Era
davvero lui.