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Autore: Fiamma Drakon    07/01/2011    1 recensioni
«Gil! Giiil!».
Il piccolo Oz Bezarius si aggirava per la grande villa di suo zio in cerca del suo servitore. Per ogni corridoio che attraversava dava un richiamo; in ciascuna stanza innanzi cui passava si affacciava e sbirciava, semmai lo scovasse intento in qualche impegno tipico della servitù.
Dopo ogni tentativo fallito sembrava perdere sempre più la pazienza - come ben evidenziava l’adorabile broncio dipintosi sul suo viso -: certe volte non riusciva a capacitarsi di quanto facilmente Gilbert potesse sfuggire alla sua vista.
Genere: Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ada Vessalius, Gilbert Nightray, Oz Vessalius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Photo «Gil! Giiil!».
Il piccolo Oz Bezarius si aggirava per la grande villa di suo zio in cerca del suo servitore. Per ogni corridoio che attraversava dava un richiamo; in ciascuna stanza innanzi cui passava si affacciava e sbirciava, semmai lo scovasse intento in qualche impegno tipico della servitù.
Dopo ogni tentativo fallito sembrava perdere sempre più la pazienza - come ben evidenziava l’adorabile broncio dipintosi sul suo viso -: certe volte non riusciva a capacitarsi di quanto facilmente Gilbert potesse sfuggire alla sua vista. Era così fragile che qualsiasi richiamo ricevesse, in qualsiasi momento, tendeva a rimanere zitto per timore delle conseguenze di una qualsiasi sua replica, col risultato che spesso Oz si ritrovava a credere di parlare con Gil ma in realtà il suo unico interlocutore era sé stesso.
«Che mrs. Kate l’abbia preso per sbrigare delle faccende...?» si chiese il biondo, contrariato al solo prendere in considerazione una tale ipotesi: aveva bisogno di Gilbert, subito.
Ponderando l’idea di andare in cerca di mrs. Kate per sapere dov’era finito il suo collaboratore personale - come amava definirlo lui - il biondo si affacciò all’ennesima stanza, quella di sua sorella Ada.
Appena ebbe focalizzato la scena che gli si presentava, non poté far a meno di sorridere: finalmente l’aveva trovato.
Era in compagnia proprio della sua sorellina e della sua micetta Dinah, comodamente acciambellata in grembo alla bambina.
Con un’espressione quasi sofferente - con ogni probabilità causata dalla poca distanza che lo separava dalla gatta - Gilbert stava sistemando i capelli della piccola Bezarius.
Al notare Oz sulla porta interruppe istantaneamente la treccia che stava prendendo forma tra le sue mani e lo guardò, intimorito.
«Ah, signorino...» esclamò, intimorito.
«Ti ho cercato ovunque!» lo rimproverò l’altro, avanzando nella stanza.
«M-mi dispiace...» si scusò Gilbert, a disagio, ma Oz non era incline al perdono rapido quando si trattava di lui, soprattutto in quel momento.
Si avvicinò ulteriormente a lui e sottrasse Dinah alla sorellina per andare a posizionarla sulla sua testa.
Dire che ciò lo traumatizzò era solo un banalissimo eufemismo. Preso dal panico, Gilbert iniziò non solo a correre in qua e là, ma anche a piangere e disperarsi in modo estremamente tenero.
«Signorino! Prenda Dinah, la prego! Mi dispiaceee!» supplicò, cadendo in ginocchio a terra, guardando con gli occhioni dorati colmi di lacrime e timore il suo signorino.
Quest’ultimo sorrise in quel suo modo particolare che col tempo il più piccolo aveva imparato a temere.
«No» replicò semplicemente Oz mentre la gattina, miagolando, si accoccolava comodamente sulla testa del moretto, che mandò un gemito a metà tra un singhiozzo e un lamento.
«Per favore!» lo supplicò ancora, in un’estrema richiesta d’aiuto - neanche stesse morendo, poi.
Oz, però, aveva già rivolto altrove la propria attenzione: «Andiamo Ada. Lo zio vuole farci una foto».
Il viso della bambina s’illuminò all’istante d’una gioia a dir poco radiosa e fanciullesca.
«Davvero?» chiese, come se non riuscisse a credere alle proprie orecchie.
Il fratello le sorrise, annuendo.
«Andiamo» la esortò, prendendola per mano e avviandosi.
«S-signorino aspetti!» chiamò Gilbert, praticamente in lacrime, dopo essere stato miracolosamente etichettato dalla gatta come “giaciglio scadente”.
«Che ci fai ancora là, Gil?! Coraggio, muoviti!».
Il più grande dei Bezarius - ambedue ormai fuori dell’uscio - si affacciò di nuovo all’interno della stanza, osservando con espressione allegra e decisa il suo collaboratore. Quest’ultimo si affrettò ad uscire dalla stanza, lasciandosi alle spalle con un certo sollievo il suo peggior nemico, Dinah.
Corse appresso al suo signorino, il quale si stava intrattenendo a discorrere amorevolmente con sua sorella mentre camminavano lungo il corridoio.
«Gil sistemati i capelli! Non vorrai mica fare la foto così spettinato?» lo prese bonariamente in giro Oz, voltando il capo verso il moretto, che avvampò tutto d’un tratto mentre, con mani tremanti, si risistemava un po’ i capelli.
«Anche io... sarò nella foto?» domandò, perplesso, spalancando gli occhi.
«Certo! Perché non dovresti?» chiese a sua volta il biondo, incuriosito.
Gilbert abbassò gli occhi, a disagio.
«Io sono solamente un servo... non ho il diritto a comparire in una fotografia con voi!» esclamò, cercando di tirar fuori la voce.
L’altro lo fissò con una certa aria di rimprovero: «Chi è che comanda qui?».
«Lei, signorino...»
«Esatto. Quindi se io dico che te farai la foto con noi, così sarà!» concluse Oz, perentorio.
Gilbert assentì, nonostante non fosse pienamente né convinto né d’accordo.
«Bene, allora fai una faccia un po’ più allegra!» gli disse il Bezarius, prendendogli scherzosamente la guancia e tirandola finché non gli apparve sulle labbra una tenera smorfia a metà tra un’espressione sorpresa e sofferente.
«Signorino basta, la prego...! Mi fa male!» disse il moro, cercando di parlare chiaramente nonostante la deformazione della sua guancia, ancora nella presa dell’altro, che sorrideva.
«Ah, Oz finalmente!».
Oscar si era affacciato da una stanza, un gran sorriso bonario stampato in faccia mentre fissava il terzetto che si stava avvicinando.
Ada corse verso di lui mentre Gilbert ancora pregava Oz di lasciarlo andare - e questo, per tutta risposta, sghignazzava a mezza voce. Alla fine, a pochi passi dallo zio, esaudì la sua supplica.
Quando giunsero dinanzi all’uomo, il nipote gli rivolse un sorriso un po’ imbarazzato.
«Scusa zio se ci ho messo tanto: avevo perso Gil» si giustificò Oz, lanciando un’occhiata al servo. Quest’ultimo arrossì e abbassò il capo in modo vagamente colpevole ed imbarazzato.
«Aaah, non importa!» esclamò Oscar, ridacchiando «Forza, venite».
Li precedette nella stanza da cui era uscito, accompagnato dalla nipote più piccola.
Oz e Gilbert lo seguirono dopo pochi attimi.
«Muovetevi a mettervi a posto!» li esortò lo zio da dietro la macchina fotografica, indicando loro la bella sedia con lo schienale alto dov’era già seduta Ada, le gambe che penzolavano nel vuoto, troppo piccole per raggiungere il pavimento mentre un gran sorriso illuminava il suo tenero visino da bambola.
Oz la raggiunse in un attimo, animato dalla stessa eccitazione che avrebbe potuto avere un bambino di otto anni all’idea di una foto di familia. Le si posizionò accanto, sulla sinistra, quindi le posò una mano sulla testa, guadagnandosi un sorriso da parte sua.
«Dai, Gil vieni!» chiamò il ragazzo, allegro.
Il servitore avanzò con un certo imbarazzo ed un disagio notevole, tuttavia si posizionò comunque a destra di Ada, cercando di dissipare l’incredibile rossore che era comparso sul suo viso rovente.
«Forza, un bel sorriso...!» esclamò Oscar, preparandosi a scattare.
Oz spostò rapidamente gli occhi su Gilbert, incrociando la sua espressione riservata, quasi imbronciata, e non seppe resistere: «E sorridiii!» disse, allungandosi verso di lui.
Oscar immortalò la scena che si trovò di fronte con un flash abbagliante, nonostante non fosse esattamente quella che doveva essere: Ada era girata per metà verso lo schienale della sedia ed osservava divertita il fratello più grande mentre, con un sorriso vagamente perfido, pizzicava le guance a Gilbert, tirandogliele per farlo sorridere, riuscendo solamente a fargli comparire in faccia una smorfia di dolore.
«Signorino... perché lo ha fatto?» domandò il servitore in un secondo momento con la voce incerta e tenera tipica di chi è sul punto di piangere, mentre si tastava delicatamente le guance, stavolta rosse non per l’imbarazzo ma per il dolore.
Dalla sua posizione - alla fine era crollato in ginocchio - alzò lo sguardo verso Oz, che se ne stava in piedi davanti a lui.
Quest’ultimo si mise le mani sui fianchi e girò la testa dall’altra parte con fare offeso.
«Perché altrimenti il tuo broncio avrebbe rovinato la foto! Invece così è decisamente meglio!» si giustificò, lasciandosi poi scappare una mezza risata.
   
 
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