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Autore: Worldshaking    07/01/2011    3 recensioni
Una battaglia è ormai conclusa. Ma da questa battaglia ormai vinta ne scaturisce un'altra, altrettanto cruenta, che sconvolge la mente della protagonista, la quale si ritrova a dover lottare contro se stessa al fine di recuperare ciò che le è stato strappato via: i ricordi.
Il dolore fisico è parte integrante del dolore interiore che sembra logorarla, eppure, così familiare, la melodia che la avvolge ricompone i frammenti perduti riportandole alla memoria il viso di colei che ha sempre amato.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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memorie
Memorie


“Piove. Eppure è come se non riuscissi ad avvertirla; scivola su di me ed io non posso far nulla. E non voglio far nulla. Le campane che ho appena udito richiamano le persone alle proprie abitazioni, al calore ed agli affetti familiari, ma per me sono solo un rumore lontano, indistinto, confuso. Chiudo gli occhi e provo a concentrarmi su questa pioggia né fredda né calda, su questi rintocchi stonati e l’unica cosa che scorgo, come avvolto in una fitta coltre di nebbia, è quel viso, quegli occhi, quelle labbra. Un viso che la memoria mi ha strappato via ed è al tempo stesso così sconosciuto e familiare da sentirmi spezzata in due. Chi sono? Chi è?”

Appoggiata al muro di quel terrazzo, le spalle curve, coperte da una vestaglia rossa ormai inzuppata, Haruka alza tremante le mani strappando via la sottile e lunga benda che le cinge il capo. Torna la fitta alla testa. Le gambe cedono e lentamente scivola via da quel muro, giù, verso terra; le ginocchia si piegano schiacciate da un peso che non riesce più a sopportare. Poco distante da lei, la benda inesorabilmente affonda in quella piccola pozzanghera appena formatasi. E un attimo dopo, il buio.

“Quanto tempo è passato? Un’ora, un giorno, un mese. Forse un anno. Il sogno si confonde alla veglia ed il giorno si prende gioco di me, mostrandomi non il bagliore del sole bensì il chiarore di una luna limpida. Forse è solo un sogno. Eppure sembra così palpabile. Come se quella luna e la sua desolata superficie fossero in realtà qualcosa di concreto. Come se racchiudessero in loro il segreto di una splendida dimora dai tetti scintillanti. Che possa essere solo lucida follia? A questo punto sono giunta? Sono visioni di una folle o il ricordo di un destino di vitale importanza che è andato perso in me?

Le palpebre lentamente si schiudono, le pupille si contraggono proteggendosi da quell’insopportabile bagliore e, con ancora gli occhi socchiusi, lo sguardo vaga da una parte all’altra di quella stanza dalle pareti candide ma impersonali, sterili. Le duole il capo, nuovamente, e con insistenza le tempie pulsano, martellando a ritmo incalzante. E più cerca di ricordare il motivo per cui si trova distesa immobile in quel piccolo letto bianco, circondata da quelle pareti bianche, più il dolore si accresce, si intensifica, costringendola e richiudere le palpebre troppo stanche.

“ Odio questo letto, questa luce troppo bianca, i dottori che vanno e vengono controllando ogni mio movimento, le infermiere che sorridono con fare affabile. Odio queste rose poggiate sul comodino. No! Non le odio, ma fanno male. Lei arriva puntualmente ogni giorno, si siede vicino a me e aspetta. Aspetta che io le dica qualcosa, che torni alla mia mente lei, me e forse, forse, noi. Ecco! Piove. Forse non ha mai smesso, forse anche questa pioggia aspetta che io dica qualcosa, che ricordi qualcosa, ma io mi sento minuscola come singola goccia, ed ogni singola goccia è un barlume di me che scivola via.
L’orologio accanto a queste rose non mente e lei a breve sarà qui. Sento i suoi passi e la porta che si apre dolcemente. Soltanto lei può aprire la porta di un ospedale e fare in modo che quel lieve cigolio diventi magicamente un suono melodioso. Ed è tutto il giorno che attendo questa melodia. I suoi occhi mi scrutano attenti, e nel silenzio della stanza mi parlano spingendo la mia mente a scavare sempre più, alla ricerca di lei, di me, di noi. Il suo bacio è lieve, impercettibile; sfiora la mia fronte con una delicatezza tale da lasciarmi ogni volta senza fiato e dalle labbra seducenti e dolcissime, il suo profumo ed il suo calore recuperano un pezzo di me che credevo perduto.
Salvami mio angelo! Permettimi di ritrovarti ed una volta che le mie mani ti riconosceranno, ritroverò me.”

Nel silenzio della camera, le delicate note del violino riecheggiano nell’aria rievocando emozioni lontane, e come un richiamo solenne, lentamente la mente riconduce a se ogni singolo frammento perduto. Immerse ancora in quella struggente melodia, le labbra si schiudono, s’incontrano, si ritrovano e, nello stesso momento in cui il tepore delle lacrime rivela il suo volto, svanisce la nebbia e la pioggia, ormai cessata, cede il passo. E dalla finestra un primo timido raggio di sole.
  
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