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Autore: Mikaeru    09/01/2011    3 recensioni
Sono le sette e mezzo del mattino e dovrebbe già essere in piedi da mezz’ora per lavarsi e vestirsi per poi andare al lavoro, ma quando ha provato a mettere piede fuori dal letto è ricaduto sul materasso come una pera cotta.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È talmente rimbambito dal raffreddore che non si rende pienamente conto di quanto ha starnutito forte fino a quando non rimbomba per tutto l’appartamento. Lo fa ancora due volte di seguito prima di decidere di ficcarsi sotto le coperte come se sperasse che la malattia non lo veda, imbacuccato com’è là sotto, e decida di andarsene per mietere qualche altra vittima, così gli avrebbe portato altri clienti e avrebbe lasciato in pace lui, che ha già tante croci sulle spalle senza dover aggiungere malattie stagionali del cavolo. Sono le sette e mezzo del mattino e dovrebbe già essere in piedi da mezz’ora per lavarsi e vestirsi per poi andare al lavoro, ma quando ha provato a mettere piede fuori dal letto è ricaduto sul materasso come una pera cotta – la stessa cosa per tre volte, perché ammettere di essersi ammalato per colpa di qualche stupida infiltrazione di umidità (neanche fosse un muro!) non gli va proprio giù: insomma, ha seguito criminali per tutta Londra ed è pure guarito dal suo zoppicare (psicosomatico, okay, ma è cominciato a guarire così) e ora, per essersi dimenticato il maglione a casa, è a letto morente.
Essendo lui un dottore con una discreta oggettività, riconosce quanto non sia il caso di andare a lavorare. In cinque minuti riesce a mandare un messaggio a Sarah – “Sto malissimo, mi dispiace, spero tu riesca a trovare un sostituto e la pietà nel tuo cuore per non uccidermi quando torno.” –, e poi abbandona il cellulare da qualche parte nel letto. Si rificca sotto le coperte ordinando alla giornata di passare molto, molto velocemente.
“Sei malato.”
La voce di Sherlock gli giunge ovattata alle orecchie, ma serve solo a farlo irritare di più. Deve anche sottolinearlo? Come se non sia abbastanza palese.
“Sì, Sherlock, sono malato, e quindi?”
Ora gli dirà di trovarsi un altro appartamento fino a quando non gli passa perché non vuole la casa infestata dai batteri, o almeno di chiudersi in camera, e di sicuro gli dirà che, in ogni caso, sono finite le uova.
Quando fa uscire la testa fuori dalle coperte come il muso di una tartaruga, il suo coinquilino non c’è. Praticamente, era venuto giusto per ricordargli quanto stesse male. Ottimo, pensa infine, ho anche perso l’occasione di supplicarlo di andarmi a prendere le medicine. Rimette la testa sotto il cuscino e non spera di addormentarsi perché sperare è contro ogni suo credo esistenziale quindi semplicemente stringe gli occhi perché arrivi presto.
Quando si sveglia sono le dieci passate, come gli comunica il cellulare che, per qualche strano motivo, ha raggiunto la sua pancia. Tira fuori la testa dal piumone perché ha un caldo atroce e si ritrova Sherlock, seduto di fronte a lui, che lo fissa con le braccia incrociate.
“Ben svegliato. Supponendo che la tua fosse una cefalea tensiva, ti ho comprato un paio di scatole di aspirine. Non sapendo cosa possa funzionare su di te – le aspirine dovrebbero funzionare su chiunque –, ho quattro tipi di farmaci per il raffreddore, ovviamente tutti da prendere per via orale, ma divisi tra sciroppi, pillole e capsule effervescenti. Lo stesso per i medicinali per abbassare la febbre. Non ti ho mai visto malato, quindi questo è il meglio che io potessi fare. Su, prendi qualcosa. Se non riesci perché stai troppo male ti aiuto io, non c’è problema. Devi guarire presto, insomma. Mi servi.”
John lo guarda stranito, sbattendo più volte gli occhi, come se qualcuno si fosse impossessato del suo corpo. Non avrebbe scommesso mezzo pound che esistesse un lato simile in Sherlock. Dà una rapida occhiata al comodino che rischia di cedere sotto il peso di tutte quelle medicine – o, se non altro, c’è il serio rischio che cadano sfracellandosi al suolo – poi lo riguarda, e lui lo sta ancora fissando.
“Su, muoviti.”, gli ordina battendo ritmicamente un piede per terra. John sospira, roteando gli occhi, poi prende un bicchiere di carta e la caraffa d’acqua per terra, butta giù una pillola e gli sorride.
“Grazie.”
“Di niente.”

  
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