Un
bacio di troppo
19 giugno 2010
Un bacio non è
più di un bacio.
Un istante di gioia nel
cullare periodico nel tempo.
Un intervallo in un mondo
parallelo, il perdurare di un
attimo lungo la linea interminabile dell’esistenza.
Arrivi a casa e trovi tua
figlia al telefono.
E chissà da
quanto tempo è attaccata a quella cornetta,
con la quale ha instaurato ormai un rapporto simbiotico.
“Ciao”
la saluti ad alta voce, ma lei era troppo persa a
spettegolare con la sua compagna di faccende che preferivi non sapere,
perciò
alza solo il braccio che agita in aria, per rispondere al saluto.
O forse era solo una
silenziosa tecnica persuasiva
affinché venisse lasciata in pace.
Ti spogli velocemente ed
entri sotto la doccia, dove un
getto caldo ti aiuta a toglierti di dosso tutte le tristezze della
giornata.
Malati destinati alla morte,
i pianti delle persone a
loro care, le facce ipocrite dei medici intorno.
E poi lui.
E quello che c'è
stato.
Anzi, quello che non
c'è stato, perché secondo la sua teoria non era
successo niente.
Ma forse è un
troppo, non un niente.
E tu continuavi ad
illuderti, a sperare che cambiasse.
L’hai visto da te,
cos’ha comportato quel bacio.
Un Malosti uguale a prima.
Un Malosti che non vuole
niente da te, che non ti
considera, che gioca con la tua pazienza quando è in carenza
di affetto.
Il problema è che
tu di affetto gliene vorresti dare un
surplus di quello che potrebbe sopportare.
E finisci nella trappola del
rifiuto.
Stargli lontano sarebbe
l’unica soluzione.
Non incontrare la sua
espressione sprezzante tutti i
giorni, non ascoltare le sue narcisiste parole.
Non farsi venir voglia di
tentare il miracolo.
E così, quando
alle nove e quaranta saluti sulla soglia
di casa Elena che esce sorridente alla volta dell’ennesima
serata con le
amiche, intravedi davanti al vialetto d’entrata che conduce
alle scale del tuo
appartamento una persona.
Un uomo che sembrava
spaesato.
Un uomo che saluta tua
figlia.
D’istinto ti
rifugi in casa, ma un suo scatto ti
impedisce di chiudere la porta, che trattiene con una mano.
“Ho bisogno di
parlarti.”
“Qual buon
vento!” ora fai tu la restia.
T’incammini alla
volta della cucina, come se non sapessi
che avrebbe chiuso la porta per poi raggiungerti.
In teoria stavi ancora
sparecchiando la tavola.
E non te ne fregava niente
se fosse poco decoroso davanti
ad un ospite.
Imbucato, per giunta.
“Per quello che
è successo oggi…”
“Non è
successo niente, oggi.”
Avresti voluto aggiungere un
bel sparisci dalla mia vita, ma
sarebbe stato troppo falso.
“Sì,
è quello che ho detto anche io-“
“Sono felice che
c’intendiamo.”
Era sicuramente venuto per
scusarsi. Ma non ha senso
scusarsi, almeno non quando quello che si pensa è la
verità.
Pieghi la tovaglia e la
rimetti al suo posto.
Ti appoggi al bancone della
cucina, le braccia
distanziate tra loro.
Sospiri.
“È
strano quante bugie si dicano nell’arco di una
vita”
consideri, evitando di guardarlo.
“Mi sa che noi
abbiamo raggiunto il limite, e in poco più
di qualche anno” aggiunge lui, avvicinandosi.
“Perché
non te ne vai? Perché non mi lasci in pace? Lo
vedi anche tu che con te-“
Si era avvicinato troppo.
E stavi ricadendo nel limbo
della follia.
Un bacio è solo
un bacio.
Qualcosa che interrompe lo
scorrere lento, monotono e
inesorabile del tempo.
Ma senza il quale tanti
rischi non si correrebbero. O
tanti sbagli non si compirebbero.
Ti distanzi da lui, con la
leggera pressione di una tua
mano sul suo petto.
“È
stato un errore, Riccardo.”
Anche se forse era la cosa
più giusta da fare.