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Autore: Simphony    10/01/2011    9 recensioni
[Storia classificata 9a al contest "Natale a Camelot Contest" indetto da LyndaWeasley su EFP] Il Natale è un momento difficile per alcune persone. Non tutti sanno affrontarlo con lo spirito giusto. Arthur è uno di questi.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Nick autore: Simphony

Titolo: The Day before Christmas
Personaggio scelto:
Arthur
Genere:
Romantico, Sentimentale
Rating:
Arancione
Avvertimenti:
Slash, AU
Introduzione:
Il Natale è un momento difficile per alcune persone. Non tutti sanno affrontarlo con lo spirito giusto. Arthur è uno di questi.
NdA:

Scrivere questa fic mi ha dato modo di lavorare molto sulla mia idea del Natale. Per scrivere i pensieri di Arthur su questa festività e per il suo senso di solitudine, ho attinto a molte emozioni ed esperienze che io stessa ho passato. I pensieri di Arthur sono i miei, i suoi comportamenti sono i miei.

Dicono che scrivere su Arthur sia una scappatoia. Non è vero. Arthur è come un diamante lavorato, che possiede così tante sfaccettature, ognuna così diversa dall'altra, che riuscire a capire appieno la sua psicologia è veramente difficile.

Nonostante io e lui abbiamo molto in comune (a partire dai difetti come l'orgoglio, la testardaggine, la paura di aprirsi agli altri), ho trovato difficoltà nello scrivere la fic, forse a causa proprio del mio troppo immedesimarmi in lui.


Spero comunque possa piacere.



*°*

The Day before Christmas


*°*


Arthur odiava il Natale. Non lo sopportava. Non ne capiva né il motivo, né l'utilità.


Era uno spreco. Di tutto.

Di tempo e di denaro. E specialmente di nervi. Odiava passare le ore chiuso in stupidi centri commerciali, circondato da uomini, donne e bambini sull'orlo di una crisi isterica.


Tutto questo per cosa?

Per qualcosa che aveva subito più trasformazione dei vestiti di Morgana nei giorni di festa.


Da festività pagana a celebrazione cristiana per avere il culmine del successo nell'era del consumismo, il Natale aveva perso qualunque significato che possedeva, indipendentemente dal culto dominante e dell'epoca che si stava vivendo.


Che senso ha, il Natale, pensava Arthur, per coloro che non credono? Cioè, non erano l'impersonificazione dei Re Magi, che ispirati e guidati da uno spot televisivo partono per portare doni alla volta di immensi e desolanti centri commerciali per fare regali.


E tanto meno erano la versione popolare di Santa Claus, che durante l'anno osservano dall'alto il comportamento dei bambini per vedere chi è stato buono e chi è cattivo.

E di certo non si mettono a costruire giocattoli tutto l'anno.


Le persone lavorano nella realtà.


Anche Arthur lavorava durante tutto l'anno. Più di quello che doveva forse. Ma necessitava di soldi propri. Quelli guadagnati da solo, per permettersi di farci finalmente quello che voleva. Per sapere di poter combinare qualcosa di giusto nella vita, di non dover dipendere per sempre dal borsello del padre.


Ciò che lo irritava ancora di più, era vedere le famiglie, specialmente sotto Natale.

Erano tutte famiglie felici, unite come appunto un quadretto natalizio.


Non aveva bei ricordi del Natale nella sua infanzia. L'assenza di sua madre, Ygraine, si era sempre fatta sentire nella quotidianità infantile e adolescenziale.


Il periodo natalizio poi era quello in cui si faceva sentire ancora di più la sua mancanza, tangibile e concreta, come se fosse stata là, come un benevolo spirito che comunque vegliava su di lui.

Eppure mancava, troppo.

Era presente con il suo silenzio e la sua prematura scomparsa.


Né un albero, né un pranzo, né tanto per dire, una tovaglia colorata di rosso accesso, che le tradizioni popolari dicevano portasse tanta fortuna.


Uther, suo padre, aveva bandito ogni festività in casa.

Era un dispotico tiranno che aveva avvolto il suo cuore di tristezza e di dolore, indurendolo senza nessuna via di fuga.


E così, ogni volta che qualunque festività si avvicinava – partendo dal compleanno fino ad arrivare al Natale, passando per la Pasqua - la casa si riempiva di borbottii e di malumore.

Anche se Arthur non voleva o non se ne rendeva conto, scopriva di temere quelle ricorrenze aspettate con trepidante attesa da ogni bambino.


Attendeva con timore il momento del rientro dalle vacanze invernali. Odiava i minuti della ricreazione dopo le vacanze a scuola o la pausa del pomeriggio, quando praticava sport.


Odiava essere circondato dai suoi amici, mentre la sensazione di interrogatorio che provava quando i compagni gli chiedevano quali regali avesse ricevuto gli stringeva lo stomaco in una morsa dolorosa.

Odiava dover mentire su cose mai ricevute e odiava dover fingere un'allegria mai provata in vita sua.


Ma soprattutto, la cosa che più detestava di più al mondo, era sé stesso. Il suo non riuscire a ribellarsi, a dover chinare la testa anno dopo anno.


Il suo orgoglio ne usciva sconfitto, inesorabilmente.


Solo uscendo dal circolo vizioso delle scuole, Arthur era riuscito a creare e a rafforzare la barriera di indifferenza nei confronti delle festività.

Andare a vivere per conto proprio, si è rilevato inizialmente utile.

Per sé stesso, per la propria indipendenza, per riuscire a costruire una realtà distaccata da quella contorta che albergava in Uther.


Finalmente in possesso di una vaga autonomia, era riuscito a creare la sua personale opinione riguardo le festività, il Natale in particolare.


Continuava a non essere in possesso delle virtù di pazienza dei saggi e continuava a prendere per buona e sacra, la propria personale figurazione del Natale immaginandolo come il braccio destro e fidato consigliere del consumismo.

Vivendo per conto proprio però, era riuscito comunque a viverlo sempre con un'inquietante freddezza.


E si chiedeva perché, nonostante la sua naturale reticenza per quel periodo dell'anno, in quel momento si trovava stipato come una sardina essiccata, in uno dei corridoi di un centro commerciale.


E non capiva, davvero non ci arrivava, perché Morgana avesse scelto proprio lui.


Di solito era Ginevra la povera sfortunata che la doveva sopportare nel giro degli acquisti. Ma quell'anno aveva deciso improvvisamente di ammalarsi e Arthur, nell'esatto momento in cui Morgana aveva gettato il suo sguardo su di lui mentre era al telefono, aveva compreso che qualcosa di brutto sarebbe accaduto da lì a breve.


E infatti, si trovava in uno dei posti che più odiava, in uno dei momenti che più detestava a fare ciò che non proprio non tollerava, accompagnato da una persona che a volte mal sopportava.

Stava scegliendo i regali con Morgana in un centro commerciale nel periodo di Natale.


Arthur si disse che era il karma. Nella vita precedente era stato una persona terribile.


Stava cercando di non pensare a cosa stava subendo guardandosi intorno, fino a che il suo sguardo non fu catturato da una vetrina.

Si fermò, in mezzo alla ressa, immobile, come folgorato, mentre la gente lo guardava male, borbottava leggeri insulti a lui diretti, infastiditi dalla sua stessa presenza, che li separava ancora di più dall'oggetto da comprare.


Arthur continuò a rimanere fermo al suo posto per qualche minuto, Morgana ormai lontana e persa nel suo perpetuo chiacchiericcio.


Poi entrò a grandi passi nel negozio.


*°*

Arthur uscì dal negozio con aria soddisfatta e, una volta conquistata l'aria aperta, si affrettò a chiamare Leon, suo amico d'infanzia per chiedergli se poteva posare il regalo a casa sua.

Se Uther avesse scoperto una cosa del genere, avrebbero litigato e non aveva più voglia di discutere con un uomo ottuso e chiuso.


Il giovane si chiese quale era l'utilità di essere andato a vivere da solo se vedeva il padre più di prima.

Pensava che lasciando il nido paterno, avrebbe potuto vivere in pace la propria vita e la propria relazione, con una serenità e una tranquillità agognata da tanti.


Lui ovviamente non poteva averla. E non solo discuteva con il padre, ma Merlin stesso ultimamente aveva iniziato a lamentarsi, sempre con più frequenza, sempre con più rabbia e frustrazione.


Il fidanzato iniziava ad essere stufo di quella situazione. E anche se non glielo aveva mai detto chiaramente, ogni suo gesto in presenza di Uther lo faceva ben capire.

Ogni smorfia, ogni frase, ogni tic trasudava voglia di andarsene o di urlare ad Uther la realtà dei fatti.


Suo figlio era gay.


Arthur sapeva di dover parlare al padre. Doveva dirgli, prima o poi, che il figlio che tanto amava, amava invece scoparsi gli uomini.


Ma incredibilmente, non ne aveva il coraggio.


E intanto il Natale si avvicinava.


*°*

Di solito Merlin, per amore di quiete, piegava la testa e accontentava Arthur portando i regali che comprava da Gwaine.

Quell'anno però si era stancato.


Arthur aveva percepito qualcosa, mentre guardava il fidanzato con un volto fin troppo angelico quella mattina.

Merlin si guardava intorno con aria vaga, quasi fosse realmente perso nei propri pensieri.


« Niente colpi di testa. » aveva sibilato il biondo mentre prendeva le chiavi della macchina.


« Non devi incontrarti con tuo padre invece? » replicò l'altro quasi con fare innocente aggrottando la fronte « Farai meglio a sbrigarti. Il traffico di sabato mattina è bestiale. » fu il solo commento che il biondo ricevette come risposta, accompagnato da un sorriso che di innocente aveva ben poco.


L'altro assottigliò gli occhi. Afferrò anche il pacchetto di sigarette poggiate sul tavolo della cucina e uscì di casa.


*°*

Arthur aveva cercato di dissuadere suo padre dall'accompagnarlo a casa, ma con scarso successo.
Si era inventato che casa era un disastro, che amici indecenti erano rimasti a dormire da loro e non aveva idea di che cosa avevano combinato mentre era fuori casa.


Ma nulla. Se Uther voleva qualcosa, l'avrebbe ottenuta. Ormai aveva imparato


Sperava solo che Merlin non si sarebbe arrabbiato troppo.


*°*

Entrando in casa Arthur si rese conto che Merlin non era arrabbiato.


Era semplicemente furioso.


Il ragazzo non riuscì a fissare il padre, troppo preso dall'enorme albero di Natale addobbato che svettava in salotto e dalla ressa di regali che si trovavano sul pavimento.

Riconobbe anche il suo, scarno, quasi anonimo circondato da quel tripudio di colori che catturava lo sguardo.
E allora non ci vide più.


« Merlin! » esplose mentre lentamente la rabbia saliva. In quel momento anche lui era furibondo. E niente di quello che Merlin avrebbe detto lo avrebbe salvato.


L'interpellato sbucò dalla cucina, sul volto un ghigno da bravo ragazzo ma che lui sapeva presagire l'esatto opposto.


« Ti piace l'albero? » chiese asciugandosi le mani su uno strofinaccio « Quest'anno festeggiamo qua il Natale. »


« E come può essere possibile tutto questo? » ringhiò solo.


« Un sorteggio » rispose il fidanzato trionfante « Sai che non ho molta fortuna con queste cose... Pagliuzze lunghe, piccole... Ho perso. »


Il biondo non replicò. L'ira lo stava pervadendo in ogni singola cellula del suo corpo, artigliandogli lo stomaco.


« Oh... buon pomeriggio signor Pendragon. » salutò lui adorabile come sempre « Si ferma per un caffè? »


Uther scosse la testa, senza neanche fissarlo.


« Ho degli impegni. Importantissimi. Grazie dell'invito. »


Diede le spalle ai due ragazzi, lasciando i fidanzati finalmente da soli, senza nemmeno chiudere la porta dietro di sé.

Arthur sbatté la porta. Come l'amante, ormai anche lui aveva perso la pazienza.


« Ti avevo chiesto un po' di tempo. » lo accusò andandogli incontro.


« Sono tre anni che ti do tempo, Arthur! » replicò esasperato Merlin « Mi sono stancato di dovermi sentire un assassino ad ogni Natale solo perché a tuo padre non piace. »


« Tu non avevi il diritto di scegliere al posto mio. »


Nervoso, il giovane piantò un pugno al muro vicino a sé. Merlin non lo guardava.
Era troppo arrabbiato. Nessuno dei due aveva voglia di discutere. Avevano due caratteri testardi ed entrambi sapevano che sarebbero arrivati a fine giornata senza energie e senza aver concluso nulla.


Forse con un po' di carezze il compagno si sarebbe lasciato andare. Merlin stava per riprendere il discorso, ma non riuscì nemmeno ad iniziare la frase. Arthur gli strinse le braccia intorno al busto, baciandolo dolcemente, accarezzandogli i capelli, facendo scivolare le sua mani sul mani sul corpo minuto del fidanzato.


Rimasero in piedi, appoggiati allo stipite della porta della cucina, mentre fra di loro la passione aumenta visibilmente, di minuto in minuto.

Si toccarono, si mossero, si spinsero l'uno verso l'altro, in cerca di qualcosa di più, di emozioni e sensazioni che avrebbero potuto far dimenticare ad entrambi i loro litigi.

Senza accorgersene si ritrovano in camera da letto, ormai nudi, malamente coperti dal piumino invernale, mentre scomparivano fra lenzuola di gemiti e sospiri.


*°*

« Questo non cambia nulla Arthur. Devi parlare con tuo padre. » esordì Merlin con il respiro corto, fissando il soffitto, nudo nel letto.


Arthur rimase in silenzio. Lo sapeva. Doveva dirgli la verità su di lui, su di loro.

Era arrabbiato, ancora. Con Merlin, con Uther, con sé stesso. Aveva sempre desiderato la felicità per Merlin, eppure in quel momento era proprio lui che lo stava facendo soffrire.


Non lo poteva perdere. Non a causa della sua codardia. Si alzò dal letto seccato.

Si rivestì velocemente, senza guardare Merlin, che rimase comunque in silenzio, fermo sotto le coperte.

Si diresse verso la cucina, prese le chiavi della macchina, le sue Marlboro Rosse, il suo accendino e uscì di casa.


*°*

Merlin rimase immobile al suo posto, perso nei suoi pensieri, fino a che non squillò il telefono. Allungò passivamente il braccio per prendere il cordless, leggendo sul display chi era.


Gaius.


Non se la sentiva di parlare con lui. Avrebbe capito subito che cosa era successo.

Mentire a Gaius era praticamente impossibile. Non solo lo conosceva bene, ma poi aveva una sorta di abilità che gli permetteva di scrutare chiunque fino in fondo all'anima.

Quindi, per il bene di tutti, era meglio dire la verità.


E di dire la verità, non voleva, non in quel momento.


Non voleva dargli ragione, quando agli esordi della sua relazione Gaius gli diceva che Arthur non avrebbe mai parlato con Uther.

Dargli ragione voleva dire non avere fiducia in Arthur. E in quel momento, aveva la necessità impellente di aggrapparsi a quella piccola fiammella di speranza.


Doveva tutto quello che aveva a Gaius. Era il suo genitore adottivo. Non avrebbe mai dimenticato il giorno in cui si trovava ancora all'orfanotrofio, il giorno delle visite.


Gaius era un distinto medico londinese affascinato dalle leggende celtiche, che voleva colmare il vuoto lasciato molti anni prima dalla moglie Alice con un figlio, il figlio che non aveva mai avuto dalla donna che amava.

Con lui era iniziata la sua nuova vita.


Una scuola, una casa, una camera tutta sua.

Un affetto che non aveva mai ricevuto a causa dell'impossibilità di sua madre di prendersi cura di lui per colpa della depressione, sempre avuta dalla morte del marito quando Merlin non era ancora nato e che, lentamente, l'aveva portata fra le braccia dell'uomo che amava.


Lontano da Merlin.


E proprio per il profondo affetto che provava per Gaius, colui che davvero considerava come un padre, non poteva rispondere alla telefonata.

Quando il telefono smise di squillare, si ritrovò di nuovo nel silenzio del suo appartamento.


Da quando Arthur si era trasferito a casa sua, quasi senza chiedergli il permesso, prima ancora che entrambi ammettessero l'uno con l'altro di provare dei sentimenti così forti da passare qualunque barriera, la sua vita era stata completamente stravolta.


Non aveva più un attimo di pace al ritorno dall'università e tanto meno un secondo senza raccoglie da terra panni sporchi del principe o lavare i piatti perché l'altro era troppo pigro per farlo.


Ripensando a come la sua vita era cambiata da quando si era trasferito nel centro di Londra, Merlin si emozionava sempre.


Stava bene con Arthur. Stava bene con gli amici di Arthur.

Solo che Uther era la causa principale dei loro continui litigi.


Gli aveva dato tempo. Tutto quello che chiedeva. Aveva finto per tre anni di essere “solo il coinquilino” perché amava Arthur più di sé stesso. Aveva aspettato talmente a lungo, che la gioia di far conoscere a tutti come era felice con l'uomo che amava, scemava mese dopo mese.

Non gl'interessava quasi più niente. Che Uther e Arthur facessero quello che volevano. Non aveva più le forze per continuare a combattere contro i mulini a vento.

Era stanco.


Eppure allo stesso tempo sapeva che Arthur non aveva agito in cattiva fede.

Non era mai “il momento giusto” con Uther. E non poteva abbandonarlo a sé stesso, con un fardello troppo grande per le sue spalle.


Da quando aveva deciso di trasferirsi a Londra, Arthur per lui c'era sempre stato. Per ogni problema, ogni esigenza.

Lui era là.

Al suo fianco.


Se conosceva almeno un po' Arthur, forse in quel momento si trovava proprio a casa del padre, a commettere l'irreparabile.

Era stanco, si, ma non poteva permettere che Arthur perdesse l'unico legame con il padre, l'unico parente, genitore che aveva.

Non doveva dirgli proprio in quel giorno ciò che era veramente, Anche se gli faceva male, non doveva dirgli che era gay.


Doveva fingere un altro po'. Fingere di non essere follemente innamorato di Arthur. Fingere di essere solo il coinquilino.
Fingere. Per lui. Per sé stesso. Per Arthur. Perché lo amava. Perché si amavano.


Prese il telefono, chiamando casa Pendragon.
Gli rispose Uther stesso. Avevo lo stesso tono di tutti giorni, quindi Arthur non doveva avergli detto nulla.


« C'è Arthur? » domandò quasi senza salutare « Gli devo parlare. Di una bolletta. E' urgentissimo. Potrebbero staccarci la luce da un momento all'altro. »


« Certo è qua. Te lo passo subito. »


Merlin attese qualche secondo, sentendo di sottofondo i soliti passi strascinati del fidanzato.


« Che vuoi? » domandò brusco Arthur.


« Non farlo. Non dirgli niente, per favore. »


« Merlin, è perché tu lo vuoi se sono qua. » ringhiò il giovane « Volevi che gli dicessi la verità, quindi non rompere. »


« So che per te tuo padre è molto importante. Attenderò altri mille anni se necessario. Ma glielo devi dire quando ti senti pronto. E so che non è adesso quel momento. » sospirò, non sapendo che altro dire « Adesso torna a casa per favore. Torna qui, da me. »


Il silenzio era più profondo di quello che Merlin si aspettava. Poteva vederlo ad Arthur, mentre si mordeva nervosamente il labbro, indeciso e poteva anche immaginarsi le piccole rughe sulla fronte, quando aggrottava le sopracciglia.


« Merlin, non voglio farti soffrire ancora. » replicò Arthur « So che per te è importante. E devo farlo. »


« Non m'interessa. Ciò che è più importante è che tu... » Merlin sospirò ancora, aveva gli occhi lucidi « Voglio che tu mantenga questo rapporto con tuo padre. Ora dai, torna a casa. »


Il ragazzo sentì il fidanzato sbuffare. Forse stava nervosamente torturando il filo del telefono.


« Arthur... »


« Va bene, va bene. Torno a casa. Da te. » sussurrò a voce talmente bassa che Merlin pensava di essersi immaginato tutto.


Merlin sorrise.


« A fra poco. Ti amo. »


L'altro accennò una risatina.


« Ciao Merlin. »


Lui rimase per qualche secondo ad ascoltare il suono del telefono libero, poi chiuse la conversazione e, sorridendo come uno perfetto scemo, iniziò a vestirsi.


Non vedeva l'ora che tornasse. Gli mancava. Terribilmente.

*°*


Il giorno prima di Natale era finalmente arrivato. Arthur osservava un frenetico Merlin che faceva la spola tra casa e il supermercato. Ogni volta che tornava a casa, il ragazzo si dimenticava sempre qualcosa, a suo dire di vitale importanza per la buona riuscita del pranzo del giorno dopo.


Arthur rimase quasi sempre seduto al tavolo, a fumare, a leggere qualche rivista o a borbottare contro l'inutilità di tutto quello che Merlin stava facendo in quanto si poteva pranzare tranquillamente anche il giorno successivo con le solite zuppe o risotti imbustati.


Merlin nemmeno perdeva tempo a rispondergli. Sbuffava, alzava gli occhi al cielo e tornava a cucinare.


Il biondo rimase qualche ora in silenzio a guardare il fidanzato che correva su e giù. Poi verso la metà del pomeriggio spense l'ennesima sigaretta nel posacenere appoggiato sul davanzale e incrociò le braccia al petto.

Quando Merlin passò davanti al tavolo, scavalcando i piedi del coinquilino, Arthur lo afferrò per i fianchi e lo tirò su di sé, ridacchiando.


« Arthur, devo ancora finire un sacco di cose! » replicò Merlin con poca convinzione, contento delle poche effusioni che Arthur gli rivolgeva.


L'altro lo ignorò, iniziando a baciargli il collo come se fosse preda di una fame incredibile.


« E' tutto il giorno che aspetto questo momento. » sussurrò al suo orecchio « Anzi, è una settimana che voglio fare altro. » continuò mentre le sue mani scivolavano sotto la maglietta del fidanzato.


« E allora dovrai aspettare un altro po', perché il pranzo di domani non si prepara da solo e lo sai. » replicò baciandolo dolcemente, scostandosi lentamente dalle carezze di Arthur.


« Va bene, ok. » si arrese l'altro notando nel tono di Merlin una lieve inclinazione autoritaria nella voce « Ma prima che tu torni a scomparire nel labirinto della cucina e del supermercato, voglio darti il regalo di Natale. »


Merlin rimase seduto sulle sue gambe, guardandolo come se avesse davanti a sé un fantasma e non uomo in carne e ossa.


« Cos... Un regalo di Natale? Tuo? Per me? » esclamò incredulo « Cioè... fatto da te? Non è di Gwen, di Leon o di qualcun'altro? »


Arthur rimase qualche secondo in silenzio, guardando il volto di Merlin che poteva essere paragonato a quello di un bambino, come appunto, la mattina di Natale.

Il ragazzo si chiese se era quello era lo sguardo che aveva sempre avuto da quando era nato. Se era lo stesso sguardo che hanno tutti i bambini normali, con una famiglia normale e con vacanze normali.


Merlin era quel tipo di ragazzo che aveva sempre invidiato. Felice e sempre in grado di sorridere di fronte alle difficoltà.


« Si, un regalo tutto mio, per te. Sai, stavo accompagnando Morgana nei centri commerciali... »


« Cioè eri il suo schiavetto? » lo interruppe l'altro


« Non è questo il punto Merlin. » rispose secco Arthur « Stavo accompagnando Morgana quando ho visto questa cosa. E mi è sembrato... adatto a te. » alzò le spalle, forse un po' imbarazzato « Quindi l'ho comprato. »


Arthur si alzò in piedi, tirando dietro di sé il fidanzato e si diressero verso il salotto, dove c'era l'albero di Natale che illuminava l'angolo della stanza. Sotto l'albero una piccola montagna di pacchetti colorati, addobbati da nastri colorati con brillantini colorati.


« Qual è il mio in tutto questo? » domandò sorridente Merlin.


« Ah... non farti troppe aspettative. Probabilmente... non lo so, forse nemmeno ti piace. Gaius... lui insomma, è il padre perfetto, no? Probabilmente... non lo so... »


Con in mano il pacchetto quasi scarno che aveva comprato per Merlin, gli sembrava che tutte le sue sicurezze fossero scoppiate in una bolla di sapone.

Arthur odiava balbettare, come accadeva in quel momento. Odiava sembrare un debole, davanti a Merlin.


Merlin rimase in un attimo senza parole, poi sospirò. Perché Arthur tirasse fuori quell'argomento, sarebbe rimasto per sempre un mistero nel cervello di Merlin.


« Arthur, sai perfettamente che la mia vita prima di Gaius non era esattamente il ritratto della felicità. »


« Lo so. Ma Gaius... »


« Gaius! » lo interruppe Merlin « Gaius ha fatto quello che ogni padre dovrebbe fare. Non dovresti biasimarlo per questo. » concluse calcando, forse, un po' troppo il tono sull'ultima frase « Qualunque cosa ci sia dentro quel pacchetto, sarà bellissimo. Perché me lo hai regalato tu. Potrebbero anche essere i tuoi calzini bucati che ho buttato la settimana scorsa e mi piacerebbero ugualmente. » concluse mentre ridevano entrambi.


Merlin lo strinse a sé, abbracciandolo e baciandogli una guancia. Lo strinse a sé, cercando di trasmettergli tutto il coraggio e l'amore che poteva donargli.


Arthur gli porse il regalo. Merlin lo prese e con il sorriso lo scartò, quasi febbrilmente.


Poi, fra le sue mani rimase un libro, con la copertina di pelle scura, al centro la scritta dorata che diceva:


La leggenda di Re Arthur e di Merlin lo stregone.


Merlin ridacchiò, stringendolo fra le mani, cercando di ricacciare indietro le lacrime che spingevano amare e veloci di uscire dagli occhi.


« E' stupendo. » sussurrò « Grazie. Il più bel regalo di Natale mai ricevuto. »


Si abbracciarono di nuovo, stringendosi, mentre si baciavano, mentre si toccavano, mentre si spogliavano.

Senza pensare a nulla, rimasero nel salotto, sdraiati sul divano, illuminati solo dalle luci ad intermittenza dell'albero di Natale.

*°*


Fine

   
 
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