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Autore: Phobos_Quake 3    10/01/2011    2 recensioni
In un mondo futuro, i robot lavorano a stretto contatto con gli umani. Uno di questi, nome in codice “Unità Alice”, creato da un ex costruttore di bambole chiamato Rozen, impazzisce e porta il caos. Rozen, per rimediare al danno, creerà sette bambole particolari che riporteranno la pace nel mondo.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Data di creazione: 20/07/2010
Nota: La storia di questa fanfiction è chiaramente ispirata al film d’animazione intitolato “9”.
Nota2: Il carattere buono di “Unità Alice” è ispirato a Chachamaru di Negima.
Nota3: Il vestito di “Unità Alice” è quello di Barasuishou dal colore diverso.
Nota4: Tutti i movimenti musicali di Kanaria hanno titoli di canzoni esistenti e non inventati.
Nota5: Anche le canzoni cantate da Laplace non sono inventate.
Nota6: La musica del carillon è il “tema di Laplace” direttamente dalla colonna sonora di Rozen Maiden.

Prologo:



I robot hanno conquistato il mondo trasformandolo in un inferno. E la colpa è solo unicamente mia. La maggior parte di essi li avevo creati io, Rozen. In principio lavoravo in un negozio di bambole. Ne creavo tantissime, alcune delle quali capaci di parlare il linguaggio umano, e non limitandosi a dire semplicemente “mamma” “pappa” o "ti voglio bene", camminare e perfino provare emozioni. Questo faceva impazzire le bambine che non avevano un fratellino o una sorellina con cui giocare. Il mio grande talento fu, un giorno, scoperto da un pezzo grosso che lavorava per il governo e mi chiese di dare una mano nella costruzione di robot utili per qualsiasi mansione domestica e bellica. L’ultima parola mi fece disgusto, ma accettai la creazione di robot per uso domestico. Mi misero a lavorare con un gruppo, però io non ero capace a lavorare circondato da gente perché preferivo starmene in proprio, così mi lasciarono fare il lavoro in piena libertà e solitudine. In poco tempo, le mie creazioni videro la luce e lavoravano fianco a fianco con e per gli umani. Tutto andava liscio finché non decisi, dannato me, di creare un robot tuttofare, o meglio, un androide tuttofare chiamato “Unità Alice” o più semplicemente Alice. Le avevo dedicato il nome della mia seconda più grande gioia: mia figlia. Di androidi ne avevo creato qualcuno, ma Alice rappresentava per me la perfezione assoluta. Era brava in tutto e tutti la adoravano specialmente per i suoi atti di carità verso chi si trovava in difficoltà. Fu proprio questo a trasformarla. Una donna anziana stava per essere investita da un’auto e Alice la salvò facendole da scudo. La botta la scaraventò abbastanza lontano e sbatté violentemente la testa sull’asfalto. Quando si rialzò sembrava tutto a posto. Mi sbagliai. La botta l’aveva seriamente danneggiata, facendole perdere il senso della ragione, trasformandola in una macchina assassina e lo dimostrò uccidendo con una violenza inaudita la vecchietta che aveva salvato e l’uomo che l’aveva investita e danneggiata. Le cause di questo malfunzionamento era, molto probabilmente, causato da un bug. Ma non si saprà mai con certezza. A nulla servì l’intervento dell’esercito perché l’avevo creata con un metallo resistente alle armi umane. Fu una carneficina. Io tentai di parlarle e farla ragionare, ma rischiai di morire strozzato dalle sue stesse mani se non arrivarono alcuni soldati a distrarla e permettermi di fuggire. La sua follia non si fermò. Riprogrammò tutti i miei robot e androidi trasformandoli in assassini come lei e in pochi mesi la terra diventò un vero inferno. Il suo esercito si divertiva a dare la caccia e uccidere la gente oppure li catturavano per farli diventare cyborg e accrescere ancor di più il loro numero. Dopo il mio tentativo di parlare con lei, avevo appena raggiunto casa mia e dissi a mia moglie Shinku di prendere la bambina e fuggire. Ad un tratto, il mio cane uscì dalla porta e mia figlia lo seguì per recuperarlo. Fu un attimo. Due robot, che in principio venivano utilizzati come stereo nelle discoteche, erano stati modificati in robot da guerra dotati di lanciarazzi al posto delle casse e una mitragliatrice in mezzo al petto. Lei e il cane furono crivellati di colpi senza che avessero il tempo di accorgersene. Mia moglie Shinku gridò in preda alla disperazione correndo verso la nostra piccola e anche lei fu uccisa senza pietà. Tanto era il dolore che non riuscii a muovere un muscolo. Solo il mio cuore urlava e piangeva al posto mio. Mi ritengo un quasi miracolato dato che i due robot, dopo aver compiuto quel barbaro omicidio, non entrarono in casa ma se ne andarono emanando un suono che pareva una risata. Quando fui sicuro che fossero lontani uscii di casa, mi inginocchiai sui corpi di Shinku e Alice e iniziai a piangere. Le cose più importanti della mia vita erano state spazzate via come polvere da una tempesta malefica. Giurai che mi sarei vendicato e che Unità Alice sarebbe stata distrutta per sempre. Dopo aver dato una degna sepoltura a mia moglie, mia figlia e il mio cane, andai in una biblioteca un po’ in rovina. Qualche libro si era salvato e quindi speravo tanto che ci fosse anche quello che cercavo. Fortunatamente fu così. Era un libro sulla magia e l’alchimia. Il mio scopo era quello di creare qualcosa che avrebbe contrastato Unità Alice ed il suo esercito. Studiai per settimane nel mio studio. Imparai piuttosto in fretta e decisi di rispolverare la mia vecchia attività di costruttore di bambole. I primi tentativi non furono proprio felici. Prima di inserire il pezzo che fungeva da “cuore” delle bambole, le resi molto più resistenti degli androidi di Unità Alice grazie anche alla magia e infine, con una formula alchemica, trasformai il loro “cuore” in un magico globo di luce che ribattezzai Rosa Mystica. Quando però lo inserii al loro interno e le caricai iniziarono a tremolare per poi esplodere. Così tentai e tentai finché non creai una bambola, che ribattezzai Suigintou e la vestii con un abito blu notte ottocentesco perché adoravo l’ottocento, e la caricai. Non esplose ma neanche apriva i suoi occhi. Pensai di distruggerla all’inizio ma ebbi la sensazione che forse si sarebbe svegliata da sola prima o poi e così la misi seduta su una poltrona giocattolo adatta ad una bambola come lei. Ne creai un’altra che chiamai Kanaria in riferimento al colore del vestito che le avevo scelto, ma anche lei, dopo essere stata caricata, non ebbe alcuna reazione. Eppure, qualcosa dentro di me diceva che prima o poi si sarebbero svegliate. Dovevo solo avere fiducia e aspettare. Dopo Kanaria creai due bambole gemelle, anche se avevano alcune cosette che le differenziavano: Suiseiseki, la prima, aveva i capelli lunghissimi, il suo occhio destro era verde e l’altro rosso, mentre sua “sorella” Souseiseki aveva capelli a caschetto e i suoi occhi erano semplicemente invertiti. Anche per loro due il discorso era lo stesso. La quinta bambola che creai le avevo dato gli occhi azzurri, i capelli lunghi biondi e il nome di mia moglie: Shinku. Hina Ichigo, la sesta bambola, era invece il ritratto della mia piccola Alice che amava tanto i vestitini rosa ed io l’avevo appunto soprannominata così.

*Le lacrime scendono dal suo viso ed interrompe la scrittura del diario per un attimo per asciugarle*

Infine creai Kirakishou pensando all’inverno. Tutte e sette continuano a non muoversi e io ancora adesso sto seduto a fissarle in attesa.
Rozen


*Giorni dopo.*

Sono passate tre settimane e ancora stanno ferme. Credo proprio di aver sbagliato qualcosa di importante, ma non capisco cosa. Ho sentito un rumore. Per il momento chiudo qui. A più tardi, sperando ci sia qualche progresso.
Rozen
   
 
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