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Autore: Yunalesca Valentine    10/01/2011    1 recensioni
I Fayth sono coloro che dettero la loro vita per diventare Eoni, la cui anima venne rinchiusa in delle statue all’interno di Templi sparsi per tutta Spira. Queste sono le loro Storie.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anima, Ifrit, Ixion, Shiva, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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IFRIT

 

Ero giunto su quell’Isola insieme ad altri miei compagni per mettere tutto a ferro e fuoco, ma quando a bloccarci la strada ci trovammo dei muri di fuoco creati dagli abitanti, fummo costretti a battere in ritirata, meditando vendetta.

Non molto tempo dopo tornammo di nuovo su quell’Isola, il cui nome per noi era ignoto, ed a differenza della volta precedente, riuscimmo a distruggere e saccheggiare le abitazioni, ma non riuscimmo ad arrivare al Tempio, in quanto a pararci la strada, stavolta, ci pensarono le guardie dell’edificio, che stranamente erano piuttosto forti ed abili per essere delle semplici guardie.

Subita la sconfitta per mano delle guardie, tornammo nei pressi del Villaggio, dove, dopo aver incatenato quei due o tre abitanti che avevano provato a ribellarsi, ci fermammo per organizzare un assalto a quel dannato Tempio, il quale era ben protetto, chiaro segno del fatto che al suo interno ci fossero tesori e quant’altro.

Nei giorni successivi alla nostra conquista del Villaggio, provammo varie volte ad assediarlo, ma non ci fu niente da fare; inoltre molti di noi vennero uccisi, riducendo drasticamente il nostro numero e, di conseguenza, anche la nostra forza offensiva.

Alla fine, dopo vari assalti andati a vuoto, io insieme ad altri miei due compagni decidemmo di provare ad entrare in incognito nel Tempio e cercare di liberare la via per gli altri, in modo tale da poter finalmente raggiungere l’ultima “roccaforte” di quell’Isola.

Io, essendo il più forte ed il più muscoloso degli altri due, misi fuori gioco alcune guardie, in modo da prender loro l’armatura e camuffarci.

Portata a termine la prima parte della nostra missione, ci dirigemmo tranquilli su per le scale che conducevano all’edifico sacro, senza incontrare alcun tipo di problema, in quanto tutti quelli che incontrammo ci scambiarono per quelle stupide guardie che avevamo steso poco prima.

Non avrei mai immaginato che lì dentro la vita scorresse esattamente come nel Villaggio: pensavo che ognuno passasse tutto il proprio tempo a pregare un dio inesistente ed a sorbirsi degli stupidi sermoni, ma mi ero sbagliato di grosso.

Io, così come gli altri, provenendo da una tribù di nomadi, non avevo un dio a cui rivolgermi né tantomeno un’organizzazione precisa sul come gestire l’economia e tutto il resto; quindi, in un certo senso, invidiavo un po’ quella gente.

 

Una volta giunti all’interno del Tempio, per qualche strano motivo, fummo scoperti, e dopo aver ingaggiato una battaglia senza esclusione di colpi con le guardie, solo io riuscii a sopravvivere, ma non ce la feci a fuggire, dato che fui accerchiato da un numero consistente di guardiani, che non esitarono ad incatenarmi ed a trascinarmi fuori, nel centro della piazzola di fronte all’ingresso di quel dannato Tempio.

«Resterai qui fino a che non verrà decisa la tua punizione» mi disse uno dei sacerdoti.

Hmph, che andassero all’inferno tutti quanti. Credevano davvero che la morte mi facesse paura? Che branco di poveri illusi che erano...

Mi tennero legato ad un pilastro nella piazza per cinque giorni e cinque notti, poi, forse stanchi di aspettare che morissi per la fame e chissà cos’altro, mi portarono all’interno, nella stessa stanza dove i miei compagni avevano perso la vita e dove io ero stato catturato.

«Sei stato graziato. Dovresti essere riconoscente a Yevon» disse un sacerdote, probabilmente lo stesso che mi aveva parlato dopo avermi incatenato alla colonna.

«Non mi interessa un corno di esser stato graziato da una divinità che non esiste nemmeno!» replicai.

Tutti i presenti mi fissarono come se li avessi appena minacciati di morte; poi uno di quei sacerdoti con la pelata disse: «Eri stato graziato, ma a quanto pare tu desideri veramente essere punito. Ed allora che sia così. Portatelo nel Naos» e concluse il suo discorso plateale con un gesto della mano.

Due guardiani mi trascinarono per le varie sale e scalinate del Tempio, fino a che non si fermarono di fronte ad una porta piuttosto antica: che dietro di essa si trovasse il famigerato “Naos” citato da quel vecchio pelato?

Ricevetti la risposta alla mia domanda subito dopo aver varcato la porta: all’interno della sala circolare in cui mi ritrovai, c’era una lastra, nella quale c’era la testa di una creatura infernale con tanto di zampa artigliata sulla sinistra.

Ma ciò che mi lasciò perplesso fu quella specie di buca nel mezzo della lastra: sembrava fatta a posta per inserirci qualcosa o...qualcuno.

«Ci dispiace amico, ma non puoi assistere al rituale» mi disse uno dei guardiani prima di stordirmi.

 

Quando mi risvegliai, di fronte a me c’era un viso a me sconosciuto: chi era quell’uomo?

«Vedo che ti sei svegliato...Ifrit. O forse dovrei dire...Intercessore dell’Eone di Kilika?» disse.

Ifrit? Eone? Kilika? Ma di cosa diavolo stava parlando? Che a forza di pregare gli fossero partite tutte le rotelle in quella palla che si ritrovava al posto della testa?

Feci per rispondergli, ma con mio orrore mi accorsi di non avere più un corpo; o meglio: lo avevo ma era dentro quella lastra che avevo visto prima di perdere i sensi.

«D’ora in poi passerai tutto il resto della tua vita, se non l’eternità, qui dentro. Questa è la tua punizione per aver insultato Yevon» e se ne andò.

 

Dopodiché passarono gli anni, ed ogni tanto arrivava qualche giovane che mi pregava affinché gli concedessi il mio potere per sconfiggere un certo Sin; ma la mia forza la concedevo soltanto a pochi di loro, visto che la maggior parte non era in grado di difendersi senza l’aiuto di quelli che venivano chiamati “guardiani”.

E questi giovani uomini e donne dovevano sconfiggere un mostro che era sicuramente più grande e forte di loro utilizzando il mio potere e facendosi supportare da quel gruppetto di guerrieri senza onore né gloria?

Che branco d'illusi...

 

Non c’era un giorno in cui non maledicessi quei dannati sacerdoti che mi avevano costretto a vivere in quel modo, e non c’era un giorno in cui non sognassi un’antica città splendente di cui non sapevo nemmeno il nome.

Alla fine, dopo aver passato non so quanti anni là dentro, lontano da tutti e tutto, decisi di fregarmene altamente di quello che succedeva e di quello che mi succedeva; dopotutto nessuno poteva uccidermi ora che il mio corpo era rinchiuso in una lastra “magica” no?

 

A forza di essere chiamato “Intercessore” oppure “Ifrit”, dimenticai il mio vero nome, quello che mi era stato dato da mia madre anni or sono; avevo finalmente capito qual’era la punizione che quei dannati sacerdoti avevano voluto infliggermi: volevano farmi soffrire così come io avevo fatto soffrire gli abitanti di quel luogo, privandomi di tutto.

Ma alla fine, non ero io ad averci rimesso, ma loro; dopotutto io avrei vissuto per chissà quanto, mentre loro erano già belli e sepolti da tanto tempo.

 

Il mio nome era Ifrit, ed ero l’Intercessore ed Eone dell’Isola di Kilika. E questa era la mia Storia.

   
 
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