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Autore: Fiamma Drakon    10/01/2011    1 recensioni
Il suo delicato tocco sulla stoffa che mi copriva la pelle era una carezza che desideravo con tutto me stesso, uno sfiorare leggero che riusciva senza problemi a scatenare le mie più fervide fantasie: dopotutto, la mia infanzia non era stata così innocente, contrariamente a quella degli altri bambini.
Quelle carezze però erano sempre accompagnate dallo sguardo carico di algida apatia che caratterizzava Claude in qualsiasi situazione, quelle polle d’oro che così spesso avevo volentieri osservato e che non si erano mai rivolte a me con qualcosa di diverso dal gelo.

[Alois side] [A LoLLy_DeAdGirL]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alois Trancy, Claude Faustas
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Chilly Gold - Pozzi di verità Le nubi plumbee oscuravano il cielo fin dal tardo pomeriggio, promettendo una pioggia violenta che però non era ancora arrivata.
La notte era scesa da poco meno di un’ora, avvolgendo tutto in una tenebra assoluta, capace d’inghiottire spazio e tempo in un attimo.
Nella tenuta dei Trancy le luci erano tutte spente, fatta eccezione per quelle delle candele che vagavano da un punto all’altro dell’edificio accompagnando i membri della servitù - e quella nella stanza del conte.

Claude era ancora con me, nella mia stanza, impegnato a prepararmi per la notte. Io stavo seduto sul bordo del mio letto ad osservarlo mentre, con una praticità a dir poco innaturale, mi sfilava la giacca, mi scioglieva il fiocco che solitamente portavo sotto il risvolto del colletto, mi sbottonava uno per uno i bottoni della camicia e me la sfilava, per poi passare agli stivali e alle calze.
Il suo delicato tocco sulla stoffa che mi copriva la pelle era una carezza che desideravo con tutto me stesso, uno sfiorare leggero che riusciva senza problemi a scatenare le mie più fervide fantasie: dopotutto, la mia infanzia non era stata così innocente, contrariamente a quella degli altri bambini.
Quelle carezze però erano sempre accompagnate dallo sguardo carico di algida apatia che caratterizzava Claude in qualsiasi situazione, quelle polle d’oro che così spesso avevo volentieri osservato e che non si erano mai rivolte a me con qualcosa di diverso dal gelo. M’infastidiva, ma al contempo sapevo che quell’impassibilità era tipica di lui.
Quand’ebbe terminato il suo compito, Claude si rialzò e prese il candelabro che aveva poggiato sul comodino di fianco al letto, quindi si tirò indietro i capelli con eleganza e si congedò con un rigido e formale: «Buonanotte padrone».
Si girò e si allontanò, senza degnarsi di prestarmi ulteriori attenzioni, neanche un ultimo sguardo prima di lasciarmi per la notte.
Da solo mi sistemai sotto le coperte e mi distesi, voltandomi verso la finestra, osservando la cupa volta celeste.
Innanzi ai miei occhi vedevo e rivedevo il viso del mio maggiordomo, in particolare quegli occhi, sempre corrugati nel medesimo sguardo in qualsiasi situazione si fosse venuto a trovare.
Era così innaturale per me, eppure così naturale per lui e per il suo non essere umano.
Forse era proprio a causa di quel gelo che mi sentivo abbandonato, solo e trascurato nonostante Claude fosse sempre al mio fianco.
Quella triste percezione mi rievocò alla memoria una miriade di immagini che volevo dimenticare, gettare per sempre nell’oblio dei più neri recessi della mia mente, ma quel freddo costante nei suoi occhi continuava a richiamarle, incessantemente.
Un pensiero mi balzò alla mente mentre i miei occhi socchiusi contemplavano ancora una volta l’immagine illusoria di quelli di Claude: lui era un demone, perciò non poteva dormire.
«Durante la notte... cosa farà?».
Indagare in merito mi parve all’improvviso un’idea sensata e interessante: la curiosità era tanta, ma ancor di più lo era l’impellente desiderio della sua vicinanza. Non avevo sonno - né tantomeno intenzione di dormire - per cui andare a cercarlo non sarebbe stato un comportamento poi così sbagliato.
Mi alzai e raggiunsi a passi rapidi ma silenti la porta della mia stanza, che aprii con delicatezza, onde evitare che Hannah o quei patetici camerieri mi udissero. Scivolai nel buio del corridoio accostando la porta alle mie spalle, quindi mi avviai, incerto, verso destra, dove sapevo essere l’ala adibita alla servitù. La stanza di Claude, se non ricordavo male, era la prima che avrei incontrato.
L’oscurità che avevo attorno era quasi assoluta e ne avevo paura. Mi guardavo intorno, sforzandomi di carpire qualcosa oltre quel perenne muro nero, senza successo.
L’unica cosa che m’impediva di fermarmi e tornare indietro - ammesso e non concesso che, se avessi fatto dietrofront, fossi riuscito a ritrovare la porta della mia stanza - era Claude: volevo vederlo di nuovo, volevo stargli ancora accanto.
Era come la luce in fondo ad un tunnel buio: sapevo che c’era ed era questo che mi spingeva ad andare avanti.
Cercai la parete a tentoni e proseguii tenendovi poggiata una mano, sperando di arrivare presto a destinazione.
Infine, dopo quelle che mi parvero ore - ma con ogni probabilità non si trattava d’altro che di svariati minuti - intravidi una sottile linea dorata che tracciava nelle tenebre il contorno della porta che ero andato cercando fino ad allora.
Pian piano mi accostai, cercando di tenere a freno l’impulso di aprirla subito e affacciarmi, fermandomi perciò accanto all’uscio.
Con mia gran sorpresa notai che quest’ultimo era socchiuso abbastanza da permettermi di vedere l’interno.
Cautamente mi piegai sulla fessura e guardai: la luce che filtrava nel corridoio proveniva da due candele consumate poste su due candelabri d’oro gemelli situati agli angoli della modesta scrivania cui era seduto il mio maggiordomo.
Quest’ultimo stava leggermente piegato sul piano sotto di lui, l’espressione attenta e seria, glaciale come sempre. Nella mano destra stringeva una penna che faceva rapidamente scivolare sulla carta, producendo un soffuso grattare.
Che cosa stesse scrivendo era un mistero del quale non m’interessava trovare la soluzione, dato che tutto ciò che volevo era stare a guardarlo lavorare - o stare a guardarlo e basta.
Continuai ad osservarlo, nutrendo in cuor mio il desiderio sempre più forte di entrare e toccarlo, passare le mie dita tra quei folti capelli neri, sentire il suo corpo tra le mie braccia e la sua voce che mi diceva d’essere l’anima che più desiderava al mondo, essere confortato - per cosa, nemmeno io lo sapevo - dalla sua presenza e dalla sua vicinanza.
E invece rimasi lì a bramare a distanza un contatto che mi ostinavo a negarmi, continuando invece ad esaminarlo attraverso quell’esiguo spiraglio luminoso, tormentandomi.
Volevo che lui fosse solamente mio e che io fossi solamente suo.
Nient’altro.
Dopo un tempo che mi parve infinito, quelle sue incantevoli polle dorate si alzarono dalla scrivania e si volsero verso la porta; tuttavia ebbi immediatamente la forte impressione che non stesse controllando la porta, bensì stesse osservando me.
Mi sentii penetrare da quello sguardo algido come da una pugnalata in pieno petto. Fu una percezione così intensa che caddi addirittura all’indietro, come spinto fisicamente da essa. Continuai però a tenere i miei occhi incollati a quella strisciolina dorata - anche se da quella posizione non riuscivo più a vedere il mio demone.
Mi giunse all’udito l’ovattato rumore di lenti passi al di là della porta: Claude si stava avvicinando.
Sentii il cigolio della porta che, lentamente, si apriva su di me, mentre la debole e tremula luce delle candele m’investiva.
Innanzi a me si stagliò l’alto profilo del mio maggiordomo.
«Mio signore...?» chiese.
Il suo viso era messo in ombra dalla luce alle sue spalle, ma dal tono immaginai che la sua espressione avesse assunto una leggera sfumatura sorpresa.
«Claude...» chiamai, mettendomi in ginocchio, osservandolo.
«C’è qualche problema, mio signore?».
La sua voce era tornata seria.
Mi rialzai e gli cinsi il torace in un abbraccio, affondando il capo nel suo ventre piatto.
«Ho avuto un incubo, Claude» mentii, senza la minima esitazione «Puoi dormire con me?» domandai, alzando il viso verso il suo. Da quella distanza mi riusciva un poco più facile scorgere la sua espressione ed i suoi occhi in particolare, che parevano sfavillare di una frigida luce.
«I demoni non dormono, mio signore. Inoltre, un servitore come me non è degno di dividere con voi il vostro letto» replicò, con voce pacata e greve.
Ignorai l’affermazione e scossi la testa, come ad evidenziare ai suoi occhi quanto fossi contrario a ciò.
Poi, finalmente, glielo chiesi: «Claude, dimmelo».
«Cosa, mio signore?»
«Tu vuoi la mia anima?».
Seguì un istante di silenzio, in cui sentii le sue mani posarsi sulle mie spalle. Mi allontanò da sé e si chinò per fissarmi direttamente negli occhi. Percepivo ancora più forte il mio sentimento per lui, quel geloso affetto possessivo che mi si agitava perennemente nel petto ogni volta che lo vedevo.
«È la cosa che più desidero. Alla fine vi divorerò avidamente, voi e la vostra anima, mio signore, Alois Trancy».
Combattei contro le ginocchia che minacciavano di cedermi: la sua voce era così suadente, nonostante la ben percepibile nota gelida.
Lo fissai negli occhi, intensamente: quelle iridi dorate erano più fredde che mai, ma ardevano di una strana luce che per me era così affascinante...

Se solo avessi saputo a quel tempo che lui mi aveva semplicemente usato per arrivare a conquistare l’anima di Ciel Phantomhive, non so se l’avrei amato allo stesso modo.
Forse sì: in fondo, era stato il fulcro del mio mondo per così tanti anni che senza di lui tutto ai miei occhi era diventato inutile. Per tutto quel tempo non mi ero reso conto di quello che aveva architettato alle mie spalle per arrivare fino a quel punto.
Per trasformarmi nell’esca per quello stupido conte.
Avevo sempre scioccamente creduto che quel gelo perennemente presente nei suoi occhi fosse dovuto solamente al suo carattere, e invece erano proprio le sue iridi dorate ad avermi sempre piazzato davanti la verità, una verità che io non avevo mai saputo - o voluto - vedere.
Sono stato così stupido.
Le mie membra erano fredde e avevano ormai perso la loro sensibilità. Per quanto ancora sentissi l’aria fredda della notte sul viso, braccia e gambe non avvertivano più niente.
Stavo morendo e in fretta anche, più velocemente di quanto pensassi.
Riservai il mio ultimo sguardo a Claude: era ancora bello e dannatamente affascinante.
Increspai le labbra in un labile sorriso e socchiusi gli occhi, mentre le lacrime continuavano a rigarmi il viso.
Non riuscivo ad odiarlo, neanche in punto di morte. Anche se mi aveva tradito, io continuavo ad amarlo.
   
 
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