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Autore: Nyappy    14/01/2011    0 recensioni
-In cosa consiste il tuo lavoro?-, Meg si chinò sul computer di Keith, esaminando critica la tastiera piena di polvere.
-Andare in giro, controllare gli altri, firmare carte, controllarti.-, rispose lui.
-La cosa che hai appena detto è un po’ ambigua, lo sai?-, Meg si chinò sulla scrivania sorridendo.
-Tirati su, si vede tutto.-, Keith si girò dall’altra parte mentre la ragazza si sistemava la maglietta.
-Mamma mia, sei come un pezzo di legno! Davvero ligio al dovere, Mr. Madison!-

Un ispettore distrettuale ed un'ex carcerata.
Lui ama la calma, lei è iperattiva, lui è sobrio e ligio al dovere, lei ha i capelli rosa e le zeppe colorate.
La piccola avventura di due persone che in fondo -molto in fondo- non sono così diverse.
[Il finale sarà postato su un secondo capitolo]
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CANDY FLOW
 Brand new me!! 
Se qualcuno avesse chiesto a Keith: -A cosa paragoneresti Megan?-, lui non avrebbe risposto subito.
Lei era la ragazza che doveva proteggere, dal comportamento opinabile e dai gusti bizzarri.
Ma era anche un genio informatico, un’ex-carcerata, uno spirito inafferrabile.
Ecco, Megan era simile all’acqua: riusciva a sparire veloce come un filo di vapore, stare immobile davanti ad un monitor per ore, come un pezzo di ghiaccio; scivolava via dalla vita di Keith come un allegro ruscelletto, con discrezione, prima di rientrarci con la travolgente forza di uno tsunami.
Se qualcuno avesse chiesto a Megan: -A cosa paragoneresti Keith?-, lei avrebbe sorriso con le sue lucide labbra rosa ed avrebbe esclamato: -E’ il mio pezzo di legno!-.
* *
L’ispettore distrettuale Keith Madison, fresco di promozione, era stato mandato al suo primo incarico fuori New York nel Maine, carcere di massima sicurezza di Saint Clarisse, un posto sperduto in mezzo al nulla.
Per lui, abituato alle strade trafficate della Grande Mela, quella montuosa regione era quasi irritante, con quello spazio aperto, quel cielo che l’avvolgeva e non era ritagliato dai grattacieli… iniziava a sospettare di soffrire di agorafobia.
Arrivato al cancello si preparò alla solita sfilza di controlli per gli esterni, che durò molto più di quanto si aspettasse. Terminata la procedura d’identificazione, riuscì finalmente ad entrare nella portineria dell’edificio principale, una stanza brutta e grigia con pesanti porte di metallo e la portinaia rinchiusa nel suo piccolo ufficio di vetro.
Tutte le guardie di quel carcere femminile erano donne. Alte, grosse e con armi in bella vista.
-Madison Keith…-, lo chiamò la portinaia masticando una grossa gomma rosa, -Lei arriverà tra un po’. Comunque io sono Trisha.-, gli sorrise in un vago tentativo di sembrare gentile.
Keith le rispose con un lieve cenno del capo. Quella tizia era inquietante…
Trisha sbuffò prima di inchiostrare un grosso timbro e premerlo con forza su un foglio stampato di fresco.
-Sammy… può uscire.-
La guardia che rispondeva al nome di Sammy estrasse da una tasca una tessera e la passò sul lettore magnetico, digitando un codice. Iniziarono a scattare diverse serrature, e la porta si aprì lentamente, rivelando una donna di colore che teneva per il braccio una ragazza.
Sammy l’afferrò subito trascinandola vicino a Keith, che l’osservò con garbo.
A differenza delle guardi era davvero minuta, e dai vestiti sporchi uscivano degli arti piuttosto magri, quasi pelle e ossa. I capelli biondi erano raccolti in una coda disordinata, e la frangia lunga le copriva gran parte del viso.
-Sarai felice, vero Meg?-, le chiese Sammy fissando l’ispettore.
In risposta, la ragazza alzò appena il viso, spuntando per terra.
-Vaffanculo Sam.-
La donna portò indietro un braccio per caricare un pugno, ma all’ultimo poggiò il braccio rigido sul fianco, gli occhi che lampeggiavano minacciosi.
-Vacci anche per me.-, bisbigliò prima di spingere la giovane donna davanti a Keith.
-Megan Talissa Drake…-, inizò questo tirando fuori dalla tasca della giacca un mazzetto di chiavi,
-Con il potere concessomi dagli Stati Uniti d’America dichiaro ufficiale la tua libertà vigilata. Io, Keith Madison sarò il garante personale di questo tuo diritto.-, e dopo aver improvvisato questo discorso solenne, sciolse le manette che legavano i polsi di Megan dietro la sua schiena, e lei fu finalmente libera.
* *
Dopo parecchie ore di macchina Keith era tornato a New York, bloccato nel consueto traffico serale. Megan, seduta vicino a lui, non aveva detto una sola parola, restando immobile per quasi tre ore con il capo chino e il viso nascosto dai capelli.
-Senti…-, Keith trasalì nel sentire all’improvviso la voce di Megan, -Quanto ci mettiamo ancora?-
Lui si girò per guardarla: il suo viso era riflesso sul finestrino, illuminato dai lampioni.
-Ottimisticamente… un’ora.-, molto ottimisticamente.
-E starò da te.-
-Sì, Bethany è entrata in maternità in un brutto periodo, così ti hanno affidata a me.-
-Mmm… mi dai l’indirizzo di casa tua?-, chiese lei scrollando il capo, e lui lo recitò veloce, un po’ sorpreso.
-Al prossimo semaforo aspetta due minuti in più, in mezz’ora dovresti farcela. Ti aspetto a casa!-, esclamò aprendo la portiera e uscendo velocemente dall’auto.
-Che fai?-, gridò Keith slacciandosi le cinture di sicurezza.
Stava per uscire e rincorrerla quando le auto davanti iniziarono timidamente ad andare avanti, e Keith si ritrovò travolto da una pioggia di clacson ed insulti.
-Diavolo!-, ringhiò riallacciandosi le cinture.

Parcheggiata l’auto nel garage della sua villetta di periferia trovò qualcuno ad aspettarlo seduto sul pianerottolo.
-Ti avevo detto di aspettare due minuti! Potevi beccare l’onda verde, testone!-, Keith non risciva a riconoscere la ragazza che aveva davanti.
I corti capelli erano più scarmigliati dei suoi, e… rosa? Lo stesso colore del lucidalabbra che ricopriva generoso le sue labbra. E quei vestiti sembravano costosi rimandi agli anni Ottanta.
-Megan Drake?-, chiese spaesato.
-E chi sennò?-, rispose questa alzandosi.
Keith fece un respiro profondo. –Devi spiegarmi un po’ di cose.-
Aveva un disperato bisogno di caffè.

-WAAAARGH!-, dal bagno arrivò un grido straziante.
Keith sobbalzò, mollò di malagrazia la tazza di caffè sul tavolo e si precipitò al piano superiore.
-Che succede?-, chiese agitato.
-WAAAAH-, altro urlo terribile.
-Io apro!-, esclamò Keith con forza prima di abbassare la maniglia del bagno e trovarsi davanti uno spettacolo… bizzarro.
Megan gli dava le spalle, con i capelli rosa tinti di fresco che brillavano. Davanti a lei, la cassetta del cucito e il beauty case con tutte le forbici e le lime di casa, sopra la borsa aperta.
-Che stai facendo?-
Megan si girò con le lacrime agli occhi. Dal sopracciglio sinistro e dal labbro inferiore colavano due rivoletti di sangue che imbrattavano due anellini di metallo.
-Mi sono riaperta i buchi, no?-, strappò della carta igienica per tamponarsi il viso.
-E ti rovini la faccia così? Le donne dovrebbero avere i buchi alle orecchie, no alle sopracciglia.-, la rimproverò Keith offrendole un fazzoletto.
-Le mie orecchie non si toccano!-, ribatté combattiva Megan.
-Hai usato un ago?-, Keith assunse un’espressione sofferente mentre distoglieva lo sguardo.
-Beh, mi rifiuto di spendere altri soldi. Cinque anni fa sono stati un salasso, questi buchi!-
-Devi ancora dirmi com’è che ti sei comprata vestiti e tutto. Dove hai trovato i soldi?-
Megan armeggiò con la sinistra nella sua borsa, tirando fuori un portafoglio.
-Il mio…-, Keith lo afferrò con stizza, aprendolo.
-Furto. Perché non ti comporti da donna normale, tu?-, le chiese con un filo di disperazione nella voce.
-Scherzi? Dopo cinque anni di gattabuia ho il diritto di affermare la mia personalità!-
 Lavish Lollipop 
Megan Talissa Drake non era di famiglia povera, anzi! I Drake erano piuttosto conosciuti nell’alta società benpensante di New York.
Eppure nei suoi ventisette anni d’età Megan aveva commesso almeno una cinquantina di furti.
Ninnoli e caramelle? Assolutamente no.
Milioni e milioni di dollari.

Appena diplomata, tutta la famiglia s’aspettava che Megan frequentasse il college.
Voti alti, un buon comportamento… il suo percorso sembrava già tracciato.
Una settimana dopo la cerimonia i suoi genitori si erano alzati come sempre, e la mattinata era proseguita tranquilla… finché una cameriera non era entrata con la forza nella stanza di Meg, completamente vuota e con un foglietto scribacchiato a terra.
Meg se n’era andata.
Aveva acquistato un piccolo bilocale nella prima periferia della Grande Mela ed aveva già trovato un lavoretto part-time che le occupava un po’ di ore al pomeriggio.
Megan Drake sembrava una tranquilla ragazza durante il suo anno sabbatico pre-college.
Peccato che la mattina progettasse truffe informatiche.
* *
Il suo primo colpo l’aveva fatto tutto da sola, il giorno dopo il diploma.
A distanza di anni, ripensandoci, non poteva non sorridere nel pensare all’esecuzione grezza, alle mille incertezze e quella familiare tensione che l’accompagnava ogni volta, anche se negli anni la sua tecnica si era affinata al punto da renderla quasi una figura leggendaria.

Era un genio del computer, Meg. Ci aveva messo poco ad apprendere le basi, infiltrarsi nel sistema con discrezione prima di attaccarlo, ed i suoi primi soldi guadagnati in modo indipendente erano stati proprio quelli del suo primo furto.
Poi aveva iniziato il part-time, convinta di non aver più bisogno di rubare.
Ma presto le bollette, le rate dei due monitor nuovi e della memoria più capiente per il laptop le avevano fatto cambiare idea fin troppo velocemente.
Presto, senza volerlo ammettere, aveva iniziato ad aver bisogno di sempre più denaro: per il nuovo hard disk, quegli stivali bellissimi, la chiavetta USB con i brillantini rosa…

Il giorno del suo ventiduesimo compleanno, mentre si stava divertendo a riparare i bug di un gioco online, il nuovo piercing al labbro che riluceva nel buio della stanza, venne raggiunta da un messaggio a tutto schermo che rese completamente blu uno dei sette monitor, quello centrale sui cui stava lavorando.
“Sei così bravo, Sir Drake! Ti ammiro.”, dicevano le due righe.
Com’era possibile? Sir Drake era il nick con cui firmava tutti i colpi…
“Che ne diresti di divertirti assieme a me?”
Dopo aver scambiato un po’ di messaggi con xxN, questo il nome con cui si firmava il misterioso individuo, Meg aveva accettato la sua proposta.
Un colpo assieme al tizio che le mandava messaggi anonimi che non venivano intercettati o tracciati, superando tutti i suoi programmi di protezione… xxN era un pro, l’idea allettante.
E Meg aveva giusto bisogno di soldi.

xxN, vero nome Neil, era arrivato davanti all’HMV di Brooklyn, specchiandosi sui vetri lucidi del negozio, e vide un trentenne sfigato con i capelli troppo unti e le occhiaie troppo profonde, gli occhi troppo impastati e la maglietta troppo larga.
Sir Drake… se l’immaginava simile a lui. Si sarebbero compresi alla perfezione, loro due.
Per questo quando si era trovato davanti una ragazza con i capelli rosa vestita in modo appariscente l’aveva ignorata bellamente.
Lei aveva girato per un po’ attorno alla piccola piazza, prima di avvicinarsi all’inquietante uomo che la stava imitando.
-Tu sei N, vero?-, gli sorrise facendo il segno della vittoria.
-Sir…Drake?-, la voce di Neil era tremante, tanto era stupefatto.

Sir Drake, il corsaro migliore di tutta l’Inghilterra di Elisabetta I.
Sir Drake, la migliore piratessa informatica di tutta New York.

Da tempo non era più la brava studentessa delle superiori, e anche allora quel suo comportamento le era servito solo come copertura. Era stufa di fingere, ma doveva farlo.
Masticava con soddisfazione un’enorme chewing-gum rosa, che a casa erano considerate come la peste, e ogni tanto la faceva scoppiare in una grande bolla profumata; picchettava il terreno con i tacchi degli stivali, seguendo distrattamente il ritmo di una canzone alla radio del bar in cui erano seduti quei due.
E ogni tanto si grattava il collo, fregandosene del fatto che non fosse propriamente fine, e tutti i passanti osservavano quella bizzarra coppia: la ragazza alternativa e l’uomo trasandato.

I preparativi per l’ambizioso progetto comunitario erano durati quasi una settimana, un  periodo piuttosto lungo per Meg, ma l’obbiettivo… era la Central Bank, non la West Idaho o la Montana Unit. E alla fine, il loro piano era davvero rischioso: c’era la necessità d’andare personalmente là.
I computer avevano una protezione elevatissima e i nastri magnetici con i dati erano nasscosti in tre posti differenti… ma anche la Central Bank aveva un difetto.
Dato che tutte le chiavette erano proibite, e se necessarie venivano controllate in precedenza, i PC avevano un livello di protezione basso per quel tipo di infezione diretta.
Ci voleva solo un bel virus by Meg per contagiare tutti i PC grazie alla rete interna, ma la vera sfida era raggiungerli: tutti i computer si trovavano dietro a vetri antiproiettile, o nei piani superiori, dove pullulavano le guardie armate e le telecamere brulicavano.
Ma Neil era riuscito a trovare un modo per entrare: bisognava sincronizzarsi alla perfezione con l’orologio della banca, e seguire l’occhio delle telecamere, i movimenti delle guardie e… non farsi vedere. Bastava arrivare al primo ufficio del secondo piano, dove il PC era privato e le protezioni minori.

Ce l’aveva fatta! Ci era riuscita! Anche Neil, appoggiato alle colonne fuori si era complimentato con lei.
La sua chiavetta argentata piena di strass, la sua preferita, era connessa ad un computer dell’amministrazione, e il led rosa lampeggiava allegro. Il virus era dentro.
Eppure, proprio mentre stava per riporla nella tasca della giacca, divenne tutto buio.

Dov’era? Dove si trovava?
Quando si risvegliò era nel carcere temporaneo di Brooklyn, con le mani ammanettate dietro alla schiena. L’avevano scoperta.

Quando la polizia era arrivata a casa sua, quello stesso pomeriggio, si era trovata a litigare parecchio con i computer della ragazza, e alla fine, dentro un cassetto nascosto dietro la scrivania avevano trovata una busta di carta con un hard-disk dentro, la quale etichetta recava scritto “Diario”.
Giorno per giorno la sua vita di quattro anni, da quando era scappata di casa al giorno prima, con appuntati tutti gli acquisti e i colpi fatti. Per fortuna non aveva scritto gran parte delle password, e gran parte dei dati erano rimasti privati.
Avevano sequestrato tutto: le chiavette glitterose, i monitor pieni di adesivi colorati e addirittura il mouse a forma di cuore. Tutto.
Mentre saliva sul furgoncino per Saint Clarisse, la guardia le ripetè con sadismo la pena.
Quindici anni di reclusione nel carcere femminile di massima sicurezza Saint Clarisse, nel Maine.
Se si fosse comportata bene, scontato un terzo degli anni le sarebbe stata concessa la libertà vigilata.
Alla fine si era ricordata di essere figlia di due ricconi con fior d’avvocati.
* *
-Chiudi gli occhi e apri la bocca!-
Era stata svegliata da poco da Keith. Quello era il suo primo giorno di libertà. Libertà!!
Si era messa i vestiti nuovi e dopo essere passata per il bagno si era precipitata giù in cucina, dove Keith l’aspettava con  il giornale aperto in una mano ed una gigantesca tazza di caffè nell’altra.
-Perché dovrei farlo?-, chiese lui sospettoso sorseggiando il suo caffè.
-Oh, insomma!-, Megan gli coprì gli occhi con la mano e gli ficcò in bocca un lecca lecca.
-Ciliegia?-, chiuse lui storcendo la bocca.
-Si, il mio preferito. Ma ora sa di caffè.-, gli rispose sorridendo.
Keith sbuffò, seppellendosi nel giornale. Era solo il primo giorno e quella lì si prendeva già così tanta confidenza, roba da matti…
-Come vanno i buchi? Fanno ancora male?-, chiese distrattamente a Meg sfogliando il Daily News.
-Oh, che carino, ti preoccupi per me!-, esclamò lei scompigliandogli i capelli neri.
Pop the Cherry!!
Il primo giorno di libertà per Meg fu meno peggio del previsto.
Per gran parte della mattinata le era toccato ripulire il Central Park, il polmone della Grande Mela, con una brutta tuta arancione addosso e delle vecchie scarpe da ginnastica. Aveva girato il parco per quasi cinque ore con un bastone dal puntale metallico ed un grosso sacco della spazzatura nero, in cerca di cartacce. Il suo vero problema era la totale assenza di vere esperienze lavorative: il part-time di cinque anni prima consisteva nel distribuire volantini in centro, e non erano necessari grandi requisiti.
-Ma tu guarda…-, si lamentava di continuo ogni volta che trovava una lattina di Cola per terra o una bottiglietta d’acqua.
-Uff…-, tornò sbuffando alla stazione di polizia dopo aver svuotato i sacchi.
-Puntualissima Drake! Puoi cambiarti in bagno.-, l’accolse la segretaria, una bionda sulla trentina.
-Keith non c’è?-
-Dovrebbe arrivare tra un po’, ha avuto problemi sulla ventiquattresima.-, rispose la donna dal computer.
Megan non si sentiva molto a suo agio lì. Quel posto le ricordava troppo la prigione. Era terribile quel senso di costrizione che provava in cella…
-Oh, si è bloccato di nuovo!-, si lamentò la segretaria picchettando con l’unghia il tasto sinistro del mouse.
…da quant’era che Megan non vedeva un computer? Si avvicinò lentamente. Quella zona era off-limits per lei… ma Keith non era nei paraggi.
Diede una sbirciata allo schermo, pieno di cartelle uguali e collegamenti doppi.
Quella… Rebekah, così si chiamava, non doveva essere molto brava ad usarlo.
-Aggiorna il sistema operativo, è obsoleto, se ce la fai uppa l’antivirus e il firewall. Poi fai la pulizia del disco e lo frammenti, così va più veloce e ha più memoria.-, i suggerimenti di Meg erano precisi e mirati, e Rebekah ci mise un po’ per rispondere.
-…eh?!-

Quando Keith tornò in centrale trovò la segretaria intenta a farsi le unghie seduta sulla scrivania, mentre Megan era seduta sulla sedia girevole e cliccava serafica il mouse.
-Oh, ciao. Puoi aspettare due minuti? Aggiorno e finisco!-
Lui fece un respiro profondo.
Un pirata informatico al computer della centrale di polizia di New York.
Aveva bisogno di tanto, tanto caffè.

Starbucks era davvero affollato, e nonostante fossero schiacciati in coda per uscire, Keith sorseggiava pacifico il suo caffè.
-Quella roba ti renderà iperattivo!-, lo rimproverò Meg sgusciando fuori dalla caffetteria.
-Affatto.-, replicò questo con calma.
Avevano già pranzato al Mc più vicino ed ora stavano tornando a piedi in centrale.

-In cosa consiste il tuo lavoro?-, Meg si chinò sul computer di Keith, esaminando critica la tastiera piena di polvere.
-Andare in giro, controllare gli altri, firmare carte, controllarti.-, rispose lui.
-La cosa che hai appena detto è un po’ ambigua, lo sai?-, Meg si chinò sulla scrivania sorridendo.
-Tirati su, si vede tutto.-, Keith si girò dall’altra parte mentre Meg si sistemava la maglietta.
-Mamma mia, sei come un pezzo di legno! Davvero ligio al dovere, Mr. Madison!-
Keith iniziò a firmare moduli, timbrare carte e leggere plichi di fogli legati da cordini, che tentava ogni volta di rimettere al loro posto.
-Non è che possiamo prenderci una pausa?-, lo implorò Meg dopo ore di ozio,che odiava con tutta se stessa.
-Finisco questo e poi andiamo.-, rispose Keith tirando fuori da un cassetto il suo timbro personale.
* *
Per tornare a casa evitando la congestione pomeridiana Keith decise di allungare un po’ il tragitto prendendo una via che entrava direttamente in periferia.
All’improvviso sterzò bruscamente ed accostò.
-Che fai?-, chiese Meg stupita mentre lui usciva dall’auto sbattendo la portiera.
Stava camminando a passo di marcia verso un gruppetto di ragazzine che sembravano delle medie, alcune appoggiate ad un lampione. Erano vestite in modo provocante e il trucco sui loro visi strideva in modo incredibile.
La ragazza abbassò il finestrino e si sporse dalla portiera per osservare quel bizzarro spettacolo.
Keith sembrava litigare con quelle ragazzine che lo deridevano. Non era decisamente tagliato per parlare ai giovani.
-Oddio, eccone uno nuovo. Ehi, rompipalle…-, gli si avvicinò una ragazza più truccata delle altre, con una minigonna leopardata e i tacchi a spillo.
-Ti conviene andartene se non vuoi rovinarti la serata, agente.-, disse tracciando la sagoma di un coltello su una borsa.
-Primo, sono un ispettore distrettuale, non un agente.-, puntualizzò un po’ seccato.
-Secondo, contieni il tono.-
La scena che seguì fu parecchio confusionaria. La ragazza aveva infilato la mano nella borsa, mentre altre due si erano lanciate contro Keith, ma erano state colpite da due zeppe di legno che le aveva colpite con forza alla testa.
-Ehi nane, non rompete le palle ed andate a casa a giocare con le Barbie. A casa ho un computer da aggiornare ed un mucchio di download da fare.-
-Stewie…-, le ragazze fissarono il loro capo prima di disperdersi, lasciando Meg gloriosa a piedi nudi sul marciapiede e Keith che fissava stupefatto la scena.
-Beh, non era necessario che intervenissi tu.-, la rimproverò Keith salendo in macchina.
-Si invece. Tu saresti ancora lì a farti prendere in giro.-
Megan era troppo esaltata: a casa aveva un vecchio PC sul quale mettere le mani… ed un gruppo di ragazzine idiote vestite da prostitute le facevano perdere tempo!
Dopo qualche minuto, Keith ruppe quel silenzio: -Le hai salvate.-
-Torneranno.-, rispose Meg prima di far scoppiare un’enorme bolla rosa, -Sanno di valere.-
Keith si voltò a guardarla, interrogativo.
-Quella Stewie, lei è il capo. Gira con i pezzi grossi e guida le altre. Quelle che ti volevano bloccare erano le sue vice. Quelle più dietro erano le vergini. Quelle valgono di più nel giro.-, gli spiegò.
-E tu come fai a saperlo?-, chiese Keith sospettoso, fissandola di sottecchi.
-Cultura underground. Quelle più brave finiscono a fare snuff movies ed essere uccise, su internet girava un mucchio di roba simile, un giro molto fruttuoso.-, rispose lei con tranquillità.
Cultura underground?
Giusto. Keith non si doveva dimenticare di avere davanti una delle più grandi hacker degli Stati Uniti, che era riuscita ad infettare addirittura i computer della Central Bank…
Anche se si era ritirata dalla scena un po’ di anni fa doveva essere rimasta una delle migliori.
Snuff movies… parlava con calma di video illegali su omicidi e…
-Capisco. Tu saresti terribilmente utile nelle indagini della nostra squadra informatica.-
-Scherzi?-, Meg scartò la sua quarta gomma, -Sono fuori dal giro da troppo. Anch’io mi devo aggiornare.-

-Piove!-, esclamò seccato Keith correndo fino al pianerottolo di casa con la giacca a coprirgli la testa. Meg se la stava prendendo comoda; i capelli erano tutti bagnati e il mascara le stava colando dalle guance, ma non sembrava importarle.
-Che fai? Così ti bagni tutta!-
-Oh, ecco un’altra frase ambigua Comunque, mi piace la pioggia. E’ da un mucchio che non la provo dal vivo.-
-Lava via tutto e pulisce l’aria.-, confermò Keith entrando in casa.
-E sembra quasi che ti rinfreschi dentro.-, bisbigliò Meg prima di aggiungere con tono allegro:
-Keith, ti piacciono le ciliegie? Perché io sono ancora vergine!-
E Keith, sputando fuori tutto il caffè rispose: -E che centra?!-
 Glitter Eyes?! 

Pioveva ormai da settimane, e se questo rendeva Keith di pessimo umore, esaltava al contempo Meg, divenuta quasi iperattiva.
-Non capisco cosa ci trovi di bello-, Keith era seduto sul divano e faceva zapping, mentre Meg era in cucina a giocare con una console portatile che le aveva comprato Keith per non sentirla lamentarsi.
-Beh, non lavoro. E poi è bellissimo! Quando le luci dei fari illuminano le gocce sul parabrezza sembra che il vetro sia un cristallo!-, trillò lei pigiando frenetica i tasti.
-Non esagerare. Blocca il traffico ed è… bagnata.-
Dopo quasi un mese di convivenza forzata Meg iniziava a comprendere Keith.
Incredibilmente legato a doveri e moralità, per lui doveva sempre andare storto qualcosa, che paranoico. Meg riusciva a manipolarlo solo sulle piccole cose, come borsette nuove o una chiavetta USB. Insomma, l’animo del buon poliziotto Anche se era rigido come un pezzo di legno, era il suo pezzo di legno, quello che solo il caffè riusciva a piegare.

Meg aveva stretto subito amicizia con Rebekah, che ogni tanto le lasciava usare il computer in ufficio. Era davvero simpatica, anche se a volte faceva delle uscite di un cinismo assurdo.
Un giorno, per caso, si erano ritrovate a parlare di uomini.
-Bryan è un figo. Hai visto che spalle? Però è sposato. E Pedro ha quel fascino esotico così irresistibile…-, Rebekah si era messa a commentare ogni collega della centrale, con l’accortezza di aver chiuso la porta.
-Mah…-, Megan non sembrava molto convinta, anche perché passava poco tempo lì e non riusciva ancora bene ad abbinare nomi e volti.
-Per me il migliore rimane Keith.-
Ormai la sua cotta era ufficiale.
-Che gusti…-, Rebekah sembrava quasi compassionevole, -Avrà pure un bel faccino, ma è uno sfigato. Garantisco io! Dove siete arrivati?-
Meg non mollava. A ventisette anni quella era la sua prima “cotta che può diventare qualcosa di più”, dato che alle superiori si era auto-isolata, così come per i quattro anni successivi. Aggiungendo cinque anni di gattabuia, anni che non aveva vissuto, e che erano scorsi via uguali, uno dopo l’altro… aveva esperienza zero, e si sentiva ancora una ventiduenne praticamente appena uscita dalle superiori.
-Non abbiamo fatto nulla di nulla.-
-Ecco, vedi? Il tuo è solo senso di gratitudine perché ti ha tirata fuori di lì.E poi… dai! E’ davvero sfigato!-
-No invece.-, ribattè Meg combattiva, -E’ dolcissimo. Ok, un po’ rompe, ma è d’oro. Ed è troppo carino quando arrossisce.-
Rebekah sembrava disgustata, -Arrossisce? Alla sua età? Ma quello è una ragazzina, altro che!-
In verità si era intenerita. Megan sembrava un’adolescente da come si comportava, e non che Keith sotto questo aspetto fosse migliore. Aveva troppo l’aria del verginello.
-Ti insegno un trucco, la tecnica suprema delle donne: gli occhi dolci!-
A mali estremi, estremi rimedi!
* *
Al suo ritorno a casa, il primo giorno di beltempo, Keith non rinunciò a passare dalla periferia.
Come aveva previsto, Stewie era là al solito incrocio, circondata dal gruppetto di bambine.
Come da copione, Keith scese ringhiando dall’auto, ma questa volta anche Megan lo seguì subito.
-Guardate, arriva l’agente!-, gridò sguaiatamente Stewie battendo un pugno sulla spalla della sua amica.
-E’ un’ispettore distrettuale, poppante.-, intervenne Megan, convinta a togliersi questo fastidioso grattacapo.
-E cambia tattica. Non puoi tenere sempre le stesse tre a fare il premio sostanzioso, i tuoi clienti non sono scemi.-, era iniziato il suo attacco, e sembrava intenzionata a non far parlare Keith.
-Quindi… vuoi smetterla. Certo! Se vedono che hai sempre le solite i clienti spariscono finchè non puoi uscire dal giro, è questo che pensi? Beh, ti sbagli!-
Aveva fatto centro. Ma come? Keith l’osservava un po’ preoccupato. Era feroce, ed il tono della sua voce sembrava… spaventoso.
-Credi che il tuo amico ti lascerà andare dopo tutti i bei regali che t’ha fatto? No, tesoro.-
Era simile ad un fiume in piena, terribile e potente.
-Ti prenderà, ti porterà in una bella stanza piena di telecamere e giocherà con te aiutato da un po’ d’amichetti, giusto per divertirsi. E quando non sarai più divertente ti uccideranno e si divertiranno in modo hardcore, e con le registrazioni faranno più soldi di tutta la tua famiglia alla Casa Bianca per tre anni. Snuff movies, mai sentiti nominare?-
Si, Megan ci aveva visto giusto. Stewie, che all’inizio si mostrava spavalda, sembrava vacillante.
Lei lo sapeva. Mentre Meg le sputava addosso tutte quelle parole, le tornava in mente…
-Vuoi fare una bella cosa? Vieni in centrale.-, Keith aprì bocca per la prima volta.
-Venite tutte. Vi metteremo sotto protezione federale, la vostra collaborazione può essere preziosissima, e non ci saranno mafiosetti o gentaglia a costringervi a fare cose che non volete fare.-
Stewie sembrava incerta, e Meg sbuffò.
-Tu, come ti chiami. Anche oggi ho le zeppe, quindi ti conviene fare come dice questo qui.-
E la ragazzina crollò in ginocchio a piangere, l’espressione sbruffona di prima finita chissà dove.
-Grazie sorellona!-, gracchiò tirando su col naso, mentre le sue amiche cercavano dei fazzoletti nelle borse troppo piccole.

Erano tornati a casa alle dieci, Keith e Megan, e anche se lui era super-soddisfatto di aver vinto la sua battaglia personale, Megan era un po’ infastidita. Diavolo, era in super ritardo!
Dato che dovevano ancora cenare, Keith aveva messo in forno un po’ di patate e aperto delle buste che conservava per le emergenze.
-Giusto. Da quand’è che sono diventato “questo qui”?-, chiese mentre posava i piatti in tavola, con un grembiule bianco e gli occhiali che gli stavano quasi per cadere.
-Te la sei presa?-, sghignazzò Meg alzandosi dalla sedia, -“Questo qui” viene dal greco “tose ti”. Mai fatto Aristotele?-, gli si avvicinò saltellando.
-Non ho fatto filosofia all’università. Che vuol dire?-, stava tirando fuori le patate dal forno.
-Vuol dire che sei unico e nessuno è come te.-, Megan gli sfilò gli occhiali appannati e lo guardò dal basso.
Keith strizzò gli occhi un paio di volte, e con un filo di esasperazione Meg gli stampò un grosso paio di labbra fuxia sulla guancia sinistra, prima di correre di sopra.
-Rebekah ha ragione, sei uno sfigato!-, gli urlò dalle scale.
E Keith, con i guanti di spugna, la teglia in mano, un grembiule bianco e gli occhiali appannati non potè fare a meno di restare immobile in cucina.
-Eh?-

Megan stava provando la tecnica segreta di Rebekah allo specchio. Il suo primo tentativo prima con Keith era fallito alla grande: lui era rimasto imbambolato come un cretino senza fare nulla. Insomma!
Era immersa nella vasca da bagno colma d’acqua calda e schiuma rosa, e con uno specchietto in mano si stava rimirando. Tra un po’ si scioglieva lei, diamine!
Lanciò uno sguardo al lavello, vicino al quale erano appoggiati gli occhiali di scorta di Keith, e decise di provarli, così.
Non appena l’indossò e cercò di guardarsi allo specchio chiuse subito gli occhi.
Ahi! Erano per astigmatici! E quindi… lui la sua super tecnica occhi dolci non l’aveva nemmeno vista.
-Che ingiustizie!-, si lamentò prima di entrare con la testa nell’acqua e rimanere in apnea.
Sarebbe stata dura, ma… lei non era certo pronta a desistere.
Era Megan Drake, non una donna comune.
In qualche modo ce l’avrebbe fatta.

Partecipante al contest Elements indetto su EFP Forum da Mary e Pepi :)

Le note sono tante, ohssì. Dovrei aver corretto la maggior parte degli errori di battitura, spero che Word non mi abbia giocato brutti scherzi xD
"Pop the cherry" vuol dire "far saltare la ciliegia" letteralmente, in slang è più "deflorare" in modo anche volgare. La storia degli snuff movies è vera, ahimè.
Noterete una cosa, la storia non ha un finale. Non avevo tempo di copiare il capitolo per il concorso, così scrissi un finale raffazzonato che non mi piaceva.
Nonostante sia una one-shot, ho intenzione di postare un secondo capitolo con il vero finale, ancora sul foglio protocollo nel mio armadio xD e il finale per il concorso, tipo bonus.
Mi piacerebbe davvero che ne pensate :D
Nyappy
   
 
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