Disinnamorarmi
di te
27 giugno 2010
Dovresti chiedermi cosa
significa amare.
Perché continuo
ad inseguirti, a parlare con te
nonostante la tua evidente indisposizione alle mie inutili chiacchiere.
Sì,
esatto. Inutili parole lasciate volare in mezzo ad un vento che non
tornerà mai
più indietro.
Tu guardi gli altri e ridi.
Poi guardi me, e fingi
disponibilità, allegria. Vorresti
che io non esistessi.
Anzi, è come se
fosse così.
Mentre io… io
vorrei che tu non fossi mai nato.
Così adesso,
invece di rimanere inchiodata in questo
ospedale ad assistere alle tue filippiche sulla tua esperienza in campo
medico,
al tuo strafottente atteggiamento egoistico di chi si sente il capo
supremo
dell’universo, non avrei i brividi che si rincorrono uno dopo
l'altro per farmi
fremere il corpo chiuso sotto il camice, ma magari… magari
sorriderei con
qualche collega sulle nuove conquiste delle infermiere del reparto.
Fuggo anche questa volta,
senza apparentemente essere
adocchiata da nessuno dei presenti. Così riesco a
sgattaiolare in sala medici,
deserta per via della riunione che si teneva in hall per i piani di
quella
serata.
“Guarda che lo so
che sei scappata per colpa mia.”
Afferri la porta che io
avevo lasciato chiudersi dietro
di me.
Mi volto, curiosa di sapere
quello che ti accingevi a
dirmi.
“La tua gelosia
è inequivocabile” affermi.
“Gelosia? E di chi
sarei gelosa, sentiamo…?”
“Di me. Di me che
parlo con gli altri. Di me che parlo
con le altre. Di me che non ti mostro tutte le attenzioni che
vorresti.”
Sembrava mi avessi letto nel
pensiero.
No, peggio. Sembravi un mio
pensiero personificato.
Mi porto una mano alla
fronte.
“Visto che ti sei
risposto da solo, non ha senso che tu
rimanga qua. Vai a festeggiare con gli altri.”
“Festeggiare con
gli altri? E cosa? Che ti sei innamorata
del più stronzo degli uomini del Morandini?”
Scuoto la testa.
“Magari…
che avrai molti altri argomenti con cui
sminuirmi e denigrarmi” faccio il tuo gioco. Tanto non ho
null’altro da
perdere.
Ondeggi sulle gambe, come
irrequieto.
“Che stupida che
sei.”
“Già.
Me lo dico spesso. Ma, a quanto pare, non conta.”
Mi appoggio al tavolo al
centro della sala.
“Ti sto facendo
perdere tempo, perché non te ne vai?”
Mentre l’unica
cosa che vorrei è che tu rimanga lì, su
quella porta, anche muto. Per tutto il tempo possibile.
Di solito si dice maledetta
ipocrisia…
“Perché
invece non mi dici cosa provi per me?” azzardi,
senza sorridere.
Magari avessi io tutto il
coraggio che hai tu.
“L’hai
detto tu stesso prima, no?”
“Cosa significa
per te amare?”
Mi scappa un sorriso.
Perché era
esattamente quello che mi stavo aspettando.
“Pensare tutto il
giorno ad una persona non è abbastanza?
Sperare in un qualsiasi contatto fisico ogni volta che la si vede,
desiderare
un abbraccio, immaginare con lei la realizzazione di una
famiglia… Non sono
sciocchi viaggi mentali di un’adolescente con
un’idea contorta dell'amore. Sono…”
“Innamorata di me.
Almeno in base ai tuoi parametri.”
Aspetto con pazienza la
prossima tappa della mia
umiliazione.
“Vuoi anche tu
sempre abbracciarmi? No, perché, è
abbastanza perversa, come cosa.”
Scatto in piedi e raggiungo
la porta, senza degnarlo di
uno sguardo.
La apro e sguscio fuori, il
più velocemente possibile.
Ma non abbastanza.
Perché mi afferri
da dietro, stingendomi le braccia in
vita.
“Spero che
così i tuoi sensi siano appagati, almeno per
stasera.”
“’Fanculo.”
E mi libero dalla stretta
più facilmente di quanto
previsto.
Pensando svelta ad un metodo
plausibile per
disinnamorarmi da te.
Che si dimostrerà
vano, come tutte le cose fatte
controvoglia.