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Autore: Eclair    16/01/2011    4 recensioni
La stessa consapevolezza del sottile ma indistruttibile legame che aveva con Near da cui dipendeva come in una simbiosi avevano fatto in modo che quel giorno, alla base dell'SPK, le parole di Halle lo facessero riflettere, calmando la rabbia accecante che gli storceva le budella e che aveva fatto in modo che lui alzasse l'arma sul rivale. Se davvero Near sarebbe morto, lui l'avrebbe seguito spinto da un puro bisogno quasi fisiologico.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Anthony Lester, Halle Lidner, L, Mello, Near, Stephen Jevanni
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L'aereo si avventurava sopra le nuvole, e poi sempre più in alto: da quell'altezza non erano più distinguibili gli alberi e le insegne, né le strade e gli edifici.

Tokyo, dal finestrino di Near, sembrava un fitto agglomerato di luci colorate nell'inchiostro del cielo notturno. Il ragazzo sedeva in uno dei sedili più in fondo, nonostante tutti gli altri fossero liberi. Come al suo solito aveva in mano uno dei suoi giochi, un robot dai colori accesi che faceva roteare tra le dita, mentre lo osservava con attenzione, nonostante lo conoscesse già a memoria e sarebbe stato capace di smontarlo e rimontarlo identico a com'era in quel momento.

Lo sguardo sembrava totalmente perso nelle rifiniture della plastica, era curioso come riuscisse a trovarsi perfettamente a suo agio in un aereo deserto se non per due dei suoi subalterni, Lidner e Jevanni. Ma in quel momento, se gli occhi di Near sembravano concentrati sul gioco, la sua mente era estraniata, concentrata su chissà quali altri pensieri.

Era la notte dell'1 Febbraio 2010, e mentre il Giappone festeggiava l'anniversario di fondazione del paese il più grande detective del secolo – che fosse lui o il suo successore poco importava - lo lasciava silenziosamente, come silenziosamente era arrivato, a quattro giorni dall'archiviazione del caso Kira, che aveva segnato la fine di quell'incubo di quaderni, volti, nomi e morte.

Un incubo svanito per mano dei due successori di L, insieme per la prima volta che ne rappresentavano i due caratteri predominanti, e che, per un'inscindibile conseguenza, rappresentavano l'esatta copia speculare l'uno dell'altro.

Near si fermò di colpo, voltandosi verso il vetro alla sua sinistra. Provò a scorgere qualcosa fuori ma la sua attenzione fu attirata dal riflesso dei suoi occhi scuri e profondi sul vetro del finestrino, che lo scrutavano seri e pensosi.


Mello camminava svogliatamente per l'asfalto bagnato della zona fuori città, con le mani dentro le tasche della giacca. Il vento freddo che gli sferzava il viso non gli permetteva di camminare a testa alta perciò la teneva bassa fissando la strada, in modo da proteggersi con il colletto. Sentiva il freddo umido penetrargli fin dentro alle ossa ma non ne soffriva, così abituato com'era ad adattarsi a qualsiasi situazione estrema senza problemi, proprio come un animale selvatico. Continuava a camminare guardando in basso, senza fare attenzione alla campagna che si estendeva oltre le transenne della strada.

Che ore erano? Le cinque, le sei del mattino? Quanto tempo era che girava senza una meta? Non ne aveva idea. Inziò a cercare nella tasca della cioccolata, ma il suo passo si fermò improvvisamente e le labbra infreddolite alitarono un sospiro d'impazienza, mentre il ragazzo stringeva tra le mani inguantate di pelle nera della carta stagnola, accartocciata e vuota.

Magari avrebbe fatto meglio a restare a Tokyo, ormai un posto valeva l'altro e lui non aveva alcun problema con il Giapponese. Allora perchè era lì?

Non avrebbe neanche saputo dire che effetto gli facesse essere ritornato a Los Angeles così, senza uno scopo preciso, se pensava alla prima volta che aveva messo piede negli Stati Uniti a quindici anni. Allora era pieno di energie, sicuro di se stesso e di quello che voleva, così esaltato che si sentiva in grado di affrontare qualsiasi cosa con il suo obiettivo definito in mente chiaro come la luce del mattino: uccidere Near, l'ostacolo che gli impediva di essere il numero uno.

Aveva lasciato l'Inghilterra, si era trovato un posto solo suo nel mondo dimostrando a se stesso quanto valeva davvero senza il minimo accenno di paura o ripensamento. Si era inoltrato per cattive strade con cattive compagnie, ci aveva messo poco per guadagnarsi la loro fiducia e ancora meno per guadagnarsi la loro stima. Era diventato adolescente tra le ristrettezze della vita di strada, conosciuto l'illegalità, la violenza, aveva visto il sangue e la morte: tutte cose che Near non avrebbe mai conosciuto direttamente nella sua vita da detective dietro un monitor, rispettato e riverito.

Gli era stato necessario arrivare ad un punto di non ritorno così estremo per rendere impossibile il confronto con Near, per la prima volta i loro test non avevano gli stessi quesiti. Allora si sentiva pronto per la sfida decisiva, che gli avrebbe permesso di scavalcare l'odiato rivale.

Quanto era cambiato rispetto a quel ragazzino di pochi anni prima?

Si era accorto che la smania di batterlo era la spinta che lo faceva andare avanti ogni giorno, l'odio che provava verso il rivale era stata l'unica emozione forte che avesse mai conosciuto. Si era spesso chiesto come sarebbe stato se Near non fosse mai esistito, se lui fosse stato il numero uno alla Wammy's House, se fosse diventato il successore ufficiale di L.

Sarebbe stato tutto diverso, non solo la sua intera vita, ma anche lui stesso. Come sarebbe stato un Mello cresciuto senza complesso d'inferiorità, senza nessuna sfida quotidiana a metterlo alla prova? Forse non sarebbe stato il temerario impulsivo che era adesso. Magari sarebbe cresciuto annoiato da tutto, proprio come era Near. E lui, davvero avrebbe voluto essere così?

Più ci rifletteva, più realizzava che, senza il rivale, la sua intera vita attuale non avrebbe avuto un senso. La possibilità che morisse, che la loro sfida fosse troncata in asso senza un risultato lo aveva terrorizzato, si era sentito la terra scivolargli via da sotto le scarpe, il suo corpo aveva reagito d'impulso e aveva rapito Kiyomi Takada, pur sapendo che così facendo sarebbe morto quasi sicuramente.

La stessa consapevolezza del sottile ma indistruttibile legame che aveva con Near da cui dipendeva come in una simbiosi avevano fatto in modo che quel giorno, alla base dell'SPK, le parole di Halle lo facessero riflettere davvero, calmando la rabbia accecante che gli storceva le budella e che aveva fatto in modo che lui alzasse l'arma sul rivale. Se davvero Near sarebbe morto, lui l'avrebbe seguito spinto da un puro bisogno quasi fisiologico.

A ripercorrere quelle vie si sentiva totalmente svuotato, proprio come la carta laminata che stringeva tra le dita. Aveva perso persino Matt, il suo migliore amico, che pur non avendo interesse alcuno per la disfatta di Near l'aveva aiutato e basta, senza dire il suo parere, e per lui era morto. Tutto sembrava confuso e intorpidito nella sua mente, la sfida era finita e qualcosa dentro di lui si era spezzata in mille pezzi pronta a rigenerarsi in qualcosa di nuovo, come una fenice dalle sue stesse ceneri.



L'aereo atterrò in uno spiazzo deserto tra la campagna fuori di Los Angeles per questioni di sicurezza. Near lasciò il suo posto e, preceduto dall'agente Jevanni, scese la scaletta dell'aereo. Iniziava ad albeggiare e la luce nuova del mattino illuminava il viso del ragazzo che dovette aggrottare le sopracciglia dal fastidio. Si sentiva totalmente fuori luogo, all'aperto e illuminato da una luce che non era quella artificiale che rendeva evidente tutto il reale pallore della sua pelle e i decisamente fuori dall'ordinario capelli bianchi, e quando era in piedi era molto più palese tutta la magrezza e fragilità del suo corpo. Così, mentre i due agenti scaricavano i bagagli, Near andò a rannicchiarsi accanto ad una vecchia chiesa semidiroccata sul lato della strada, iniziando un castello di carte nell'attesa di Lester con l'auto che li avrebbe portati al quartier generale di Los Angeles.


Mello aprì gli occhi di scatto, accorgendosi di essersi addormentato con la testa poggiata alla parete esterna di quella piccola chiesa di pietra e muschio dove si era fermato. Mentre camminava a grandi passi per la strada che aveva percorso quella mattina, intenzionato ad andare via, i suoi stivali si bloccarono sull'alfalto come se fossero improvvisamente diventati di piombo, le ciglia dorate tremarono mentre strabuzzava involontariamente gli occhi: dall'altra parte della strada, come una bizzarra apparizione, c'era Near, perso nella costruzione di una torre di carte in quel contesto così fuori luogo per lui. Mello sentì qualcosa dentro che gli diceva di andare da lui, come se la vista della sua persona avesse evocato dal sonno un bisogno di parlargli che gli toglieva il respiro, un bisogno che poco prima non sapeva neppure di possedere. Mentre faceva questi pensieri si accorse di essere già giunto ad appena un metro dal rivale.


Aveva sentito dei passi decisi e l'inconfondibile rumore di metallo che generava Mello quando camminava, a causa delle cerniere dei suoi abiti che collidevano, e per un secondo la sua immagine gli aveva attraversato la mente. Ma non aveva intenzione di sollevare lo sguardo, anche se si trovava davvero lì non voleva vedere la sua figura allontanarsi e sparire.
Prese nuova coppia di carte per aggiungerle alla torre, ma quando i pantaloni neri di Mello entrarono nel suo campo visivo le mani si bloccarono a mezz'aria.


E' finita così, Near?”

Non ne sei soddisfatto, Mello?” disse, tornando imperturbabile alla sua costruzione.

Mi aspettavo che tutto andasse diversamente” rispose Mello, parlando più a se stesso che all'altro, tanto che non attenzionò più di tanto all'abitudine di Near di rispondere a una domanda con un'altra domanda.

Effettivamente, avevi detto che mi avresti aspettato al traguardo”

Senza il mio contributo non l'avresti mai raggiunto” e saresti anche morto. Queste ultime parole non fecero parte della tagliente frase pronunciata dal ragazzo, ma riecheggiarono nelle orecchie di entrambi.

Sei venuto fin qui per farti ringraziare, Mello?”


A quelle parole tutto l'autocontrollo di quest'ultimo venne a mancare e in un'attacco d'impeto Mello fece un passo avanti calpestando la torre. Le carte francesi ruppero il loro equilibrio e iniziarono a cadere una dopo l'altra, inesorabili, incontrando la pietra umida. Mello aveva afferrato violentemente un braccio di Near e con l'altra mano lo aveva sollevato in piedi per il pigiama che, al contrario da quello che si aspettava, non era così largo da lasciare scivolare via Near dal suo interno.

Ed ecco che all'orizzonte il sole era apparso del tutto, illuminando quella scena così bizzarra mentre il tempo aveva deciso, in quell'occasione, di rallentare il suo corso. La nera figura di Mello sollevava da terra quella bianca di Near, quel Near, sua nemesi ed eterno rivale. Quel Near da cui era stato ossessionato per tutta una vita, che avrebbe voluto vedere morto ma allo stesso tempo vivo in eterno, per non mettere fine alla sua sfida. I suoi occhi celesti avevano incontrato per la prima volta quelli grigi dell'altro a pochi centimetri di distanza, contrariati e sbalorditi da quel gesto, e tutto era sembrato congelarsi.

Near vide gli occhi azzurri, attraversati dalla cicatrice di pelle bruciata mai risanatasi, perdere la focalizzazione delle sue pupille. Mello lo stava fissando negli occhi ma non lo vedeva davvero, perso nei ricordi, nei pensieri e nelle sensazioni che si erano scatenate dentro di lui.

Poco più indietro, una lacrima solcò la guancia di Halle Lidner che guardava attonita e silenziosa la scena, prima di essere raggiunta poco dopo da Jevanni.


Come il re di quadri adesso calpestato dallo stivale:
dallo stesso busto due volti, insieme identici ed opposti.

Come la fenice che si rigenera dalle sue ceneri.



When you say thank you to me,

for some reason it hurts.

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Eccomi qui, tornata dopo tanto tempo con una one-shot che è tutto tranne innovativa, non so come farmi perdonare perchè non piace neanche a me! Prendela un po' come un'esperimento. Avevo bisogno, infatti, di scrivere qualcosa da pubblicare per uscire dal blocco che sto passando perchè inizia a piacermi sempre meno il mio stile di scrittura. Ma meno scrivo e meno miglioro, quindi da qualche parte bisognerà pur iniziare :) Volevo far notare che reputo anche io le frasi in inglese che non c'entrano mai nulla alla fine della maggior parte delle mie one-shot terribili, ma sono sempre prese dalla canzone che mi ha dato l'idea fulminante che mi ha fatto scrivere e non mi sento mai di cancellarle. Spero vi sia piaciuta e se volete recensire sarei molto contenta di leggere cosa ne avete pensato :)
Adesso vi saluto, promettendovi di impegnarmi a migliorare per quest'anno nuovo e nel frattempo augurando ache a voi di impegnarvi ed ottenere quello che volete. A presto, ve lo prometto!

Arrenuccya

  
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