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Autore: Alkimia    18/01/2011    1 recensioni
Storia partecipante al Phantom of the opera contest indetto da Kenjina e GiulyRedRose
Piccola raccolta di piccoli racconti sui piccoli personaggi del musical, i personaggi secondari, quelli di cui nelle fanfiction non si parla quasi mai, quelli che restano nient'altro che elementi di scena sullo sfondo, frammenti della scenografia, ma senza i quali lo spettacolo non sarebbe lo stesso... E Erik, il Fantasma dell'Opera, naturalmente sempre presente, ma visto attraverso i loro occhi.
Alle volte quel teatro sembrava una tomba e i morti non risorgono dalle tombe o, se lo fanno, allora sono dei fantasmi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quinto
Aspettando domani (Carlotta Giudicelli & Ubaldo Piangi)

[AMBIENTATA DURANTE LA SERA DEL DEL DON JUAN, PRIMA DELLA RAPPRESENTAZIONE]

Ubaldo Piangi fischiettava, placido come un elefante, come suo solito. Aveva finito di indossare il costume di scena e guardava la sua immagine nello specchio: quello che aveva davanti era un improbabile Don Giovanni che di trionfante aveva ben poco.
Dal camerino accanto al suo provennero un insieme di suoni molesti, rumori di qualcosa di pesante che cadeva.
Piangi sorrise e cominciò a contare: “Uno... due...”.
Al suo tre, come se fosse il segnale di un prestigiatore, lo schianto. Un monile di porcellana che veniva scagliato contro il muro e poi gli strilli di Carlotta.
Chissà le costumiste che diamine avevano combinato con le forcine. La signora Giudicelli odiava le forcine.
In verità erano ben poche le cose che la signora Giudicelli odiava davvero, ma erano tante quelle che diceva di detestare tanto per avere un pretesto per sbraitare. Del resto quello era un teatro e ognuno doveva recitare la sua parte, anche quello delle primadonna capricciosa era un ruolo da sostenere. A Ubaldo non dispiaceva, alle volte trovava persino divertente scommettere con se stesso quanti secondi Carlotta avrebbe impiegato ad esplodere e quanti minuti i direttori avrebbero impiegato per cedere alle sue richieste.
Quella sera, la primadonna dell'Opera Populaire era più nervosa del solito, perché per la prima volta i suoi capricci non erano stati esauditi.
Quando si era vista assegnare quella parte così marginale all'interno della rappresentazione di quel maledetto Don Giovanni Trionfante i suoi strilli erano echeggiati per tutto il palazzo come se fossero le Trombe dell'Apocalisse. Le avevano spiegato che era importante che tutto fosse fatto secondo le disposizioni del Fantasma, che quella era solo una messa in scena per catturarlo, che una volta consegnato alla giustizia quel criminale tutto sarebbe tornato come prima... ma lei non aveva voluto sentir ragioni e aveva continuato ad abbaiare e inveire contro il teatro, Parigi, la Francia, l'Europa e l'intera umanità per tutti i giorni dell'allestimento dello spettacolo, e mai una volta che durante le prove fosse stata collaborativa.
Durante una delle sue sfuriate, uno dei barboncini si era sentito talmente solidale con la sua padrona che si era messo a ringhiare e aveva finito per azzannare ad un polpaccio il Maestro Reyer.
Ma questa era Carlotta Giudicelli, la sua Carlotta. E Ubaldo Piangi trovava che che quello sguardo arrabbiato e che quei suoi strilli avessero un che di adorabile, come il pianto dei bambini. A lui piaceva prendersi cura di lei, forse era l'unica cosa che sapeva fare davvero bene.
Passato l'uragano di strilli e rimproveri che aveva imperversato nel camerino della primadonna, ci fu silenzio. Un silenzio lungo e pesante, come quello che si può udire in un cimitero.
Un brutto presentimento colse Ubaldo Piangi come uno spiffero sulla nuca e lo fece rabbrividire, una morsa di superstiziosa angoscia gli serrò la gola per qualche secondo e il corpulento tenore fu costretto a passare un dito all'interno del colletto della camicia di batista per respirare meglio.
Si guardò attorno, immerso nel silenzio e nella luce tremula del lume e di poche candele. Deglutì nervosamente ed uscì dalla stanza. Attorno a lui tutto era come sempre: ballerine che correvano avanti e indietro, sarti armati di ago e filo per rimediare ai danni di qualche attore maldestro che si era strappato il costume, macchinisti e inservienti che si scambiavano le ultime istruzioni.
Allora Piangi ebbe una chiara idea di cosa fossero le maschere: ritagli di normalità fittizia su distese sconfinate di straordinario. Perché quella sera aveva un che di straordinario in effetti, quella poteva essere la sera in cui sarebbe stato catturato il Fantasma dell'Opera, e a dirla tutta Ubaldo non si sentiva poi tanto soddisfatto della cosa. Aveva sempre avuto l'impressione che quell'individuo fosse l'anima di quel teatro, il trucco dietro lo stupore della magia ma senza il quale la magia non si compie. Ma quell'uomo aveva minacciato e ucciso, forse era giusto che venisse fermato.
“Sembro una sciocca vedova!” una voce alle spalle del tenore lo strappò ai propri pensieri e rese quegli stessi pensieri stupidi, irrazionali, inconsistenti.
Carlotta si lisciava la seta nera della gonna, dietro di lei c'era una cameriera inginocchiata a terra che tentava di sistemarle i pizzi dell'abito. La cantante batté il ventaglio sulle mani dell'inserviente e sospirò infastidita.
Ubaldo la guardò inclinando il capo,
“E invece questo abito ti dona, mia cara” le disse
“Sciocchezze! È lugubre e non si intona né al mio incarnato né ai miei capelli. Persino i miei cani hanno stentato a riconoscermi poco prima... ah, ma dopo stanotte...”
“Dopo stanotte,” la interruppe l'uomo con lo sguardo che si faceva profondo e tenero “perché non ce ne andiamo? Torniamo in Italia e...”.
Il tenore lasciò la frase incompiuta, pronto a sentire la donna sbraitare qualche frase ironica su quanto fosse assurda quella proposta. E invece Carlotta se ne stava lì, a fissarlo perplessa.
“E cosa?” chiese con un filo di voce, con la sua voce dolce, quella che in quel teatro nessuno a parte lui conosceva,
“E, non so... ci sposiamo...”.
La donna ammutolì, stupita, smarrita. Boccheggiò incapace di rispondere. Conosceva la risposta, semplicemente non si aspettava che qualcuno, un giorno, le avrebbe rivolto quella domanda.
“Signori! In scena tra un minuto!” esclamò il Maestro Reyer, seguito dai suoi orchestrali.
Carlotta Giudicelli era ancora lì, per una volta la voce le era stata tolta davvero, e senza la diavoleria di nessun Fantasma.
Ubaldo sorrise,
“Non rispondermi adesso. Dopo stanotte ci sarà tutto il tempo...”.
Tutto il tempo, sì. Pensò Carlotta mentre qualcuno la prendeva sottobraccio e la portava verso il palco.



NOTE: Allora. Il mio collo sarà a disposizione dei vostri plassi, ma prima lasciatemi spiegare.
Io sono convinta che quei due lì si vogliono veramente tanto tanto bene. Piangi potrà apparire come un inetto, ma la sera della Masquerade quando Erik arriva tuonando contro il mondo intero e punta (assai poco galantemente, diciamocelo) la spada contro Carlotta, lui che si fa avanti e si frappone tra lei e la lama è tenerosissimo. E Carlotta, che mentre il teatro va a fuoco, cerca Piangi, lo trova morto e incurante dell'incendio e tutto il resto si butta sul cadavere e scoppia in lacrime è... è... romantica.  Per una volta ho pensato che potesse essere carino raccontare il retroscena “dolce”, e anche triste se vogliamo, della storia di questi due.
Prossimamente il capitolozzo conclusivo con la star dei personaggi secondari ;-)
   
 
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