Prologo
Per una persona comune, il tempo che scorre sembra sempre uguale – gli
stessi ritmi, le stesse ore, le stesse semplici azioni quotidiane.
Vi siete mai chiesti cosa accadrebbe se un giorno tutto quello che
abbiamo scomparisse per sempre?
Se tutto quello in cui crediamo, se tutte le nostre certezze fossero
spazzate via come il veloce soffio del vento fa con le foglie?
Se tutto quello che vive dentro di noi fosse sradicato, calpestato,
cosa fareste?
Lo avete mai provato?
Io sì.
È strano pensare a quanto la vita sia imprevedibile; a quanto la vita
sia ingiusta; a quanto la vita possa, in una frazione di secondo, esserci tolta.
Gli aggettivi che potremmo attribuirle sono molti, chi positivo, chi
negativo.
C'è chi dice che abbia le sembianze di una donna, chi di un uomo;
chi racconta che sia un animale, chi un enorme bilancia dentro la quale viene
pesato ogni nostro gesto, ogni nostra decisione, ogni nostra mossa.
Ho sempre pensato che l'immagine migliore cui potesse essere paragonata
fosse a quella di un terreno incolto, ricoperto da tante mine nascoste:
basta un passo falso e potresti essere morto.
Perché è così: solo alla fine della nostra vita sapremmo chi di noi ha
veramente vinto e chi, invece, ha perso.
Rimasi sola, paralizzata come una statua
di marmo bianco.
Le gambe, tremanti e stanche, cedettero
sbattendo contro il suolo.
Tutto intorno a me sembrava girare
vorticosamente; non saprei dire, però, se fossero gli alberi a ruotare o la mia
testa.
Semplicemente non m’importava.
Tentai inutilmente di afferrare qualcosa
che potesse aiutarmi, qualcosa che riuscisse a fermare la ferita;
l'unico spettacolo che riuscivo a vedere
dietro gli occhi appannati dalle lacrime era, però, il rosso del sangue.
Cercai disperatamente di urlare, di gridare,
di chiedere aiuto, ma dalla mia bocca uscivano solo singhiozzi strozzati.
Non poteva finire in questo modo.
Non era giusto.
Non poteva esserlo.
Più tentavo di rimanere lucida, più i miei
sensi si riducevano drasticamente al nulla.
Tante piccole immagini si affacciarono
dentro di me, sfilando sulla passerella della mia anima che, schiacciata, non
riuscì a sopportarne il peso.
Solo allora percepii sopra la mia mano
gelida, quella calda e liscia di qualcun altro.
La sua.
"Rin" sussurrò delicatamente,
guardandomi.
Ecco – pensai, sorridendo amaramente – ho
perso.