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Autore: Cara_Sconosciuta    21/01/2011    4 recensioni
Quando varcò la soglia che, evidentemente, era stata lasciata aperta a suo uso e consumo, la scena che gli si prospettò davanti agli occhi era a dir poco mozzafiato.
Beckett, ripiegata su se stessa, si stava allacciando i lacci delle scarpe da ginnastica. E, fin qui, nulla di particolarmente eccitante, senonché la donna indossava solamente una microscopica canotta da jogging e dei calzoncini praticamente invisibili.
Non potè trattenersi dal compiere una radiografia completa del suo corpo.
“Esistono i porno per questo, lo sai?”
Un sorriso sornione fu il suo unico tentativo di scusarsi.
“Tu provochi, però.”
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Beh che dire... solo una piccola shot su un telefilm sul quale, fino ad ora, non avevo mai provato a scrivere. Non è un granchè; sono secoli che non riesco a scrivere una storia come vorrei... ma è comunque meglio del nulla assoluto!

Ovviamente, i personaggi non mi appartengono e la storia non è scritta a fini di lucro.

Fatemi sapere che ne pensate, è importante per me!! J

Un bacio a tutti,

Temperance

 

 

Narrami, o Musa...

Scrivere bene una vita è difficile quanto viverla

-L.Strachey-

 

La detective Kate Beckett se ne stava immobile, sprofondata nella sua altalena di vimini appesa alla veranda sopra al balcone di casa sua, gli occhi in continuo movimento, avanti e indietro tra le fitte parole di un libro.

Un giallo, pensò lui, pur senza riuscire, da dove si trovava, a vederne la copertina.

Un giallo o un thriller, ne era più che certo: soltanto quel genere di racconti era in grado di strappare in quel modo Beckett dalla realtà.

Strano, considerato che la sua, di realtà, avrebbe potuto tranquillamente essere sovrapposta in più punti alla trama di un qualsiasi romanzo poliziesco.

Insomma, il passato travagliato c’era, la buona motivazione per diventare poliziotta pure, per non parlare, poi, dell’incredibile mole di casi risolti. I colleghi che l’adoravano erano più che presenti e il poliziotto-non-poliziotto follemente e segretamente innamorato di lei... beh, quello era un segreto, appunto, e anche solo pensarci sarebbe stato oltremodo inappropriato.

“Che ci fai laggiù? Mi spii, ora?”

La voce lo raggiunse, inaspettata, facendolo sentire decisamente troppo simile ad un guardone.

Avanti, idiota, dove sono le tue risposte brillanti, quando servono?

“Beckett! Lo sai che quel libro è parecchio scadente?”

La donna inarcò un sopracciglio, evidentemente indecisa se ignorarlo o lasciargli cadere sulla testa il tomo incriminato.

Per come si sentiva lui in quel momento, la seconda ipotesi sarebbe stata certamente la migliore.

“Wow...” Esclamò, fingendosi profondamente impressionata. “Devi avere qualche strano superpotere per leggere, dalla strada, il titolo che io, diversi metri sopra di te, sto parzialmente coprendo con le mani.”

Colpito e affondato.

Silenzio.

Trovare una battuta brillante non era affatto così facile come si sarebbe potuto pensare.

“Beh? Sei venuto per spiarmi o hai qualcosa da dirmi?”

Come se l’illuminazione divina l’avesse appena colpito, l’uomo alzò un dito e prese fiato, come per parlare, ma le parole gli morirono in gola.

Beckett era scomparsa.

Decise che, forse, salire e non farle perdere ulteriormente sarebbe stata una buona idea.

O, per lo meno, sarebbe stato utile a mantenere la sua incolumità almeno per i successivi dieci minuti.

Quando varcò la soglia che, evidentemente, era stata lasciata aperta a suo uso e consumo, la scena che gli si prospettò davanti agli occhi era a dir poco mozzafiato.

Beckett, ripiegata su se stessa, si stava allacciando i lacci delle scarpe da ginnastica. E, fin qui, nulla di particolarmente eccitante, senonché la donna indossava solamente una microscopica canotta da jogging e dei calzoncini praticamente invisibili.

Non potè trattenersi dal compiere una radiografia completa del suo corpo.

“Esistono i porno per questo, lo sai?”

Un sorriso sornione fu il suo unico tentativo di scusarsi.

“Tu provochi, però.”

Beckett si bloccò un istante, lanciando uno sguardo smarrito al proprio corpo.

Non ci trovava proprio nulla di sexy.

L’uomo sorrise, intenerito: a volte la sua ingenuità era a dir poco disarmante.

“Dai, Beckett, stavo scherzando!”

Gli occhi, da persi, tornarono severi.

“Quanto tempo hai intenzione di farmi perdere ancora, Castle?” domandò, poggiandosi le mani sui fianchi sottili.

“Giusto, giusto.” Con aria fintamente professionale, lo scrittore sedette sul divano, disponendo ordinatamente sul tavolino i tre plichi di carte che aveva portato con sé.

“Che cosa sono?” Domandò Beckett, accomodandosi accanto a lui.

“Queste” Rispose, indicando la prima e la seconda busta. “Sono scartoffie riguardanti due casi che il dipartimento mi ha gentilmente chiesto di farti avere. Mentre questa...” Lo sguardo divenne piuttosto eloquente.

Beckett, naturalmente, colse al volo.

“No.”

“Cosa no?”

“No, questa volta non mi compri.”

“Ma...”

“Che mi stai offrendo? La prima di qualche film? Una vacanza? Ingresso gratuito a tutte le biblioteche del paese? Non mi comprerai, razza di...”

“Abbonamento alla stagione dei Red Sox.”

Beckett si bloccò.

“I Red Sox hai detto?”

“Sì, baby.” Replicò lui, assumendo la classica posa da gangster consumato. “È un’offerta che non puoi rifiutare.”

La donna parve combattuta.

“Tutta la stagione?”

Le si avvicinò impercettibilmente.

“Ogni singola partita.”

“Che cosa vuoi in cambio?”

La risposta che avrebbe voluto darle non avrebbe di sicuro potuto essere mandata in onda in fascia protetta.

“Sapere se saresti disposta a fingerti attratta da un criminale, e fino a che punto, per arrivare a catturarlo.” Pausa. “Per il romanzo, s’intende.”

Beckett sospirò, scuotendo la testa.

“Castle, io...”

“Red Sox.”  Incredibilmente meschino, da parte sua, ne era cosciente, ma quell’informazione gli serviva... e ottenerla sarebbe stato incredibilmente divertente.

“E va bene!” Esclamò la detective, rassegnata. “Ma sarò breve, totalmente priva di particolari e dopo non voglio altre domande.

Castle annuì, come un bravo scolaretto.

E lei iniziò a raccontare.

“È successo una volta sola, prima che entrassi alla omicidi. Si trattava di un caso di droga, mi pare. Per riuscire a prendere un certo narcotrafficante mi avevano dato l’incarico di avvicinarlo il più possibile e io, ansiosa di fare carriera, avevo accettato al volo, senza rendermi conto del guaio in cui mi stavo cacciando. Mi ero finta da subito fortemente attratta da lui, anche se in realtà ogni contatto con quel corpo mi faceva inorridire fino alla soglia della nausea. Quel giorno lui mi aveva chiamato nel suo appartamento... disse che mi avrebbe fatto un regalo, che lo aveva preparato bene e che mi sarebbe piaciuto tantissimo. Non ci volevo andare... sapevo che cosa mi aspettava, ma sapevo anche di essere costantemente sorvegliata, quindi non avrebbero dovuto esserci problemi. Mi sedetti sul divano di quella catapecchia accanto a lui, esattamente come sto ora rispetto a te. Solo che lui, logicamente, non è rimasto lontano per tanto. Lentamente, come un serpente viscido, il suo braccio è andato a posarsi intorno alle mie spalle, mentre lui continuava a ripetere che ero bellissima, che non aveva mai visto una ragazza come me... ma non prendi appunti?”

L’interruzione nel racconto lo riscosse, proprio mentre stava pensando che il narcotrafficante non aveva torto ad asserire quelle cose, per quanto il suo fine non fosse certamente dei più nobili.

“Ehm... no, non... mi basta ascoltare.” Replicò, non trovando nulla di meglio da dire.

Beckett, comunque, assorbita dal suo stesso racconto, non parve fare caso all’assenza della sua proverbiale risposta pronta.

“Insomma, andò avanti a dire quelle frasi per un po’, spingendosi sempre più vicino, fino a che anche le nostre gambe entrarono in contatto.”

Quasi sicuramente senza accorgersene, la detective prese ad eseguire esattamente le stesse azioni che stava raccontando, mandando in brodo di giuggiole il povero scrittore.

“Io non sapevo che fare, quell’idiota continuava ad avvicinarsi e a toccarmi sempre più insistentemente e io non avevo idea di come reagire per non lasciarlo andare troppo oltre senza smascherarmi e senza espormi a rischi inutili.”

Una mano di lei si posò sulla sua gamba, provocandogli un numero incredibile di sensazioni troppo forti per poter essere definite in maniera lucida.

Forse era davvero la sua occasione, forse gli stava lanciando dei messaggi.

Forse, dopotutto, anche lei lo voleva...

“Poi, però, il bastardo fece un passo di troppo: tentò di spingere la mia testa verso il basso per farsi fare... beh, hai capito, e le parole dolci diventarono appellativi sempre più insistenti e volgari. Io non ci ho visto più e...”

Avvenne tutto in maniera decisamente troppo rapida.

Mentre lui ancora era preso a pianificare un modo per trovare quell’idiota e farlo fuori senza dare troppo nell’occhio, la donna estrasse qualcosa dal bracciolo del divano dietro di lei e glielo puntò contro l’inguine.

L’uomo sbiancò.

No, non poteva essere davvero quello che pensava, non poteva, non...

In un istante, Beckett, abbandonò la presa su qualsiasi cosa stesse premendo sul suo corpo e si accasciò sul divano, ridendo a crepapelle.

“Scusami, Castle, sto... avresti dovuto vedere la tua faccia! Cioè... tu hai davvero pensato che quella fosse una pistola!”

Lo scrittore sbattè un paio di volte le palpebre. Non c’era spiegazione: Beckett doveva essere ubriaca.

Poi, lentamente, abbassò gli occhi sui propri pantaloni, onde poi essere colto da un improvviso attacco d’ilarità.

Dove avrebbe dovuto esserci la canna di una pistola, lo squadravano gli occhietti neri di un grosso maiale di cristallo Swarovski.

Ripresosi dallo shock, l’uomo scattò in piedi e la statuina cadde a terra, finendo in mille pezzi.

Nessuno la degnò di uno sguardo.

“Ah, è così che l’hai fatto desistere? Puntandogli addosso un porcello?” Domandò l’uomo, chinandosi su di lei e prendendo a farle il solletico.

La donna, intanto, non riusciva a smettere di ridere e si agitava sul divano, imprecando contro Castle in modi piuttosto fantasiosi e coloriti.

Era bellissima, pensò lo scrittore, senza riuscire a levarsi dal volto un sorriso vagamente ebete, bellissima e, in quel momento, estremamente vulnerabile.

Forse avrebbe potuto...

Non aveva ancora finito di pensarlo, che già il suo corpo aveva agito, portandolo ad inginocchiarsi sul pavimento davanti a lei e a posare le labbra sulle sue, ancora semiaperte in una risata che le morì in gola.

 

Richard Castle si lasciò sprofondare nella poltrona, chiudendo gli occhi, stremato.

Prima di partorire quella scena, non credeva che scrivere potesse stancarlo fisicamente in quel modo.

In effetti, non sapeva nemmeno di possedere un lato così tremendamente romantico.

Diamine, era una dichiarazione in piena regola, quella!

Pubblicarla sarebbe stato un salto nel buio, ne era perfettamente a conoscenza, ma oramai la frittata era fatta e tirarsi indietro sarebbe stato da codardi.

Beckett lo avrebbe ucciso.

O cacciato a calci.

O baciato.

Era abbastanza convinto che il bacio fosse una possibilità piuttosto remota, ma almeno nessuno lo avrebbe più accusato di essere un codardo.

Era una scena perfetta, una delle sue migliori e , stranamente, gli era venuta bene al primo colpo, senza doverla correggere e rivedere.

Ora doveva solo cambiare i nomi di Castle e Beckett con quelli di Nikki Heat e del suo partner ed inviarla all’editore...e poi sarebbero davvero stati tutti affari suoi.

In quel momento, lo squillo del telefono lo richiamò all’ordine e l’uomo si alzò, abbandonando sulla poltrona il portatile acceso.

Il suo suicidio letterario avrebbe potuto aspettare per il tempo di una telefonata.

Quando tornò, dopo avere lungamente discorso con sua madre se fosse meglio un fondotinta un po’ più chiaro o una cipria un po’più colorata, si rese immediatamente conto che qualcosa non andava.

Ok lo schermo nero del computer: la funzione standby non aspettava nessuno.

La mancanza del rumore della ventola e delle lucine sulla tastiera, però, erano due particolari profondamente inquietanti.

Con mano tremante, lo scrittore sfiorò il touch pad del notebook per farlo tornare alla vita.

Nulla.

Tasto destro.

Niente.

Tasto sinistro.

Desolazione totale.

Batteria esaurita.

“Oh, meraviglioso!” Esclamò, lasciandosi cadere a peso morto sul divano.

Ore per convincersi a scrivere quella dannata scena, altrettanto tempo per stenderla nero su bianco su quel foglio virtuale... e tutto per vederla scomparire in una nuvola di pixel.

Lui e la sua stupida mania di non salvare i lavori fino alla fine...

Evidentemente, per quella volta, Beckett non lo avrebbe ucciso e lui avrebbe sempre potuto riscrivere il capitolo in un secondo momento, quando gli fosse passata l’arrabbiatura.

Poi, però, proprio mentre stava per alzarsi e mettere sotto carica l’aggeggio traditore, la voce di sua figlia gli risuonò in testa, chiara e vivace, esattamente come l’aveva sentita quella mattina stessa.

“Niente accade per caso, papà!” Gli aveva detto Alexis, sostenendo che non era una coincidenza che proprio Beckett, e non un altro detective lo avesse chiamato per una consulenza quel giorno, un anno e mezzo prima.

“Niente accade per caso...” si ripetè un paio di volte, prima di comprendere a pieno il significato di quella frase.

Poi sorrise, chiudendo il portatile e posandolo sul tavolino davanti a sé.

Forse, dopotutto, per Nikki Heat e il suo creatore il momento di amarsi non era ancora arrivato.

 

I libri migliori sono proprio

Quelli che dicono ciò che già sappiamo

-George Orwell-

   
 
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