Effusioni
sanguinose
La tenda verde
militare era poggiata su uno strato di terreno smosso, e gelidamente
profumato
d’acqua piovana. L’odore penetrante della
vegetazione inondava la piccola
radura incantata nella quale due ragazzacci si scambiavano effusioni
che
rinfrancavano l’atmosfera fetidamente accattivante.
Il blu privo
di
luce del cielo era macchiato continuamente da venature nerastre.
Nemmeno le
sporadiche stelle riuscivano ad illuminare il luogo tenebroso.
La voce
melodiosa del ragazzo era accompagnata da un soffio di spossatezza e,
probabilmente, anche di eccitazione, che fioca si posava sul viso a
cuore della
giovinetta dalla chioma bronzea. I corpi aderivano in una trappola
d’affetto corrotto
dal corpo seminudo della fanciulla.
Il vento
alitava prepotentemente sulla schiena spoglia di entrambi. Il freddo
perforava
il sangue lercio che scorreva languido pieno di adrenalina e di frenesia.
«
Jude, vado a prendere una
coperta dalla macchina, altrimenti mi si gela la bacchetta. »
disse con voce roca,
prendendo in giro la biondina che aveva sotto le cosce possenti.
Un
piccolo ceffone scherzoso di posò con fare seducente sulla
spalla sinistra del
giovane in preda agli ormoni e una flebile risatina
rinfrescò la situazione in
bilico tra il piacere e il freddo invernale.
«
Mago Merlino, fai in fretta,
altrimenti la tua bacchetta non sarà l’unica ad
assiderarsi per il gelo. – un’
altra risatina gioiosa si diffuse nella piccola tenda. - Non avevi
detto che
oggi sarebbe stata una giornata afosa? »
disse chiudendo il battibecco con il
sapore sarcastico sulle labbra e un sottile sopracciglio alzato
scetticamente.
«
Le mie palle magiche erano
distratte dalle tue, e così, hanno sbagliato le previsioni
meteorologiche,
piccina. »
concluse mordendo l’orecchio destro di Jude.
«
Arrivo subito. »
e detto ciò, si alzò
svogliatamente prendendo un giubbotto per coprirsi dai soffi possenti
del vento.
«
Non farmi aspettare troppo, Paul.
»
rispose con voce
stanca e apprensiva.
L’uscita
di Paul lasciò il sapore d’assenza attorno alla
figura smilza della ragazza. Le
ombre della notte le avevano fatto sempre paura, ma
quell’escursione, fino ad
allora, le era sembrata davvero elettrizzante.
Passarono
minuti lunghi e scoccianti. Parecchi secondi preziosi e tanti secondi
di inquietudine.
La ragazza infreddolita si era portata al petto le gambe esili,
aspettando invano
il ritorno del suo fidanzatino.
L’animo
eccitato aveva dato spazio all’inquietudine. Forse
perché il vento ululava
perennemente, o forse era soltanto il freddo che atrofizzava i
sentimenti. La volontà
di uscire da quell’involucro protettivo era pari a zero, ma
faceva troppo
freddo. Brividi di paura le accarezzarono il ventre.
Fiaccamente
uscì aprendo rumorosamente la cerniera della tenda
guardandosi attorno con
occhi vispi. «
Tesoro, dove sei! Fa
freddo, fai in fretta! » strillò irritata ed
infreddolita.
Si
guardò attorno, ma l’unica cosa che
riuscì a scorgere chiaramente, era il verde
claustrofobico della vegetazione che si aggrappava al terreno friabile
su cui
poggiava i piccoli piedi al riparo nelle solide scarpe da trekking.
«
Cazzo Paul, non sono venuta
qua per morire assiderata, ma per stare insieme a te! »
e continuò ad
imprecare contro la coperta.
Il
silenzio le stava perforando i timpani,
tanto che cominciò
a girarsi intorno, senza mai allontanarsi troppo dalla
tenda stesa pigramente sul suolo.
«
Comincia anche a piovere,
porca puttana! Paul, dove sei? »
le
gocce lente e pesanti le bagnavano l’impermeabile bianco e
immacolato.
Oltre
al rumore monotono della pioggia non c’era nessun fragore. Ma
la pioggia non
bagnava altro che la parte destra del giubbotto, senza toccare
né i capelli
boccolati e leggermente crespi, né tutto il resto del tetro
boschetto.
Allora
lentamente Jude volse lo sguardo in alto, lungo le fronde di un
sempreverde
della mastodontica radura. Ciò che vide fu stomachevole,
disgustoso e
drammatico.
Il
corpo esangue di Paul era delicatamente infilzato
nel ramo più basso di una quercia dal diametro del tronco
enorme. Per il disgusto
e per la paura la giovane cadde a terra priva di forza. La forza del
pensiero, la
forza dell’amore.
Era
un corpo che posava lo sguardo su un’altro corpo. Un corpo di
carne. Di carne
insanguinata.
Le
gocce di sangue le trafiggeva il viso, le trapassava l’anima.
Era da sola. O
forse insieme a chissà cosa di mostruoso.
Il
suo respiro divenne affannoso, i suo cuore rombava freneticamente nel
petto, i
suoi occhi erano spalancati in un’espressione di puro
terrore, estrapolato dal frangente
spaventosamente reale.
Lo
sgomento si era avvinghiato al suo spirito da ragazzina e
così cominciò ad strepitare,
ed ad urlare. Si alzò goffamente dal tappeto di foglie
bagnare e variopinte e
cominciò a correre, ma fu investita da un uccello nero come
la pece.
Ricadde
nuovamente e quello che vide fu un uomo scolpito nel marmo, un Adone
dallo
sguardo assetato di sangue e di morte.
«
Ciao biondina. - disse Damon
sorridendole, attento a mostrare i canini affilati e ligi al dovere.
– Non so
se tu hai fame, ma il ho un certo languorino di… ».
Lasciò
la frase in sospeso di proposito. «
Ho voglia di un po’ di sangue. Del sangue di una signorina
che cede volentieri
le proprie grazie. »
e il sorriso che brillava
nel buio della notte, non lo abbandonò un momento.
Il
vento che fischiava tra le fronde delle querce, accompagnò
le urla e il sangue che
schizzava dal collo immacolato della ragazza, scandendo una melodia
demonica
che alle orecchie delle ombre della notte, parve una sinfonia di note
dolciastramente
dissetanti.