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Autore: redseapearl    24/01/2011    15 recensioni
“Credo che i miei mi vedessero così” disse, mostrando il pezzo di carta. “Un foglio di carta bianco… scialbo. È qualcosa che non vale niente, specie se chi lo possiede non ha una penna per scriverci sopra qualcosa o la voglia di farlo. Tuttavia, anche qualcosa di così insignificante ha dentro di sé un grande potenziale.”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Linda, Near
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Fiore di carta

 

 

 

Ogni giorno era sempre uguale a quello precedente e quello dopo non sarebbe mutato di una virgola.

Alle cinque del mattino, l’anziano signor Scott si sarebbe svegliato gridando che era scoppiata una guerra  e che i russi li stavano attaccando, per poi ritornare a dormire dopo essere stato tranquillizzato dal dottore che il paese viveva in pace da anni ormai.

Alle sette e mezza, quando tutti gli altri pazienti si svegliavano per la colazione, in ordine si recavano alla mensa per prendere il loro pasto e le medicine specifiche per ogni loro esigenza. La mattinata passava in modo abbastanza tranquillo: la signora Shawn tentava di concludere quella partita a scacchi che da anni giocava da sola, muovendo alternativamente i bianchi e i neri senza mai mangiare un pezzo; il giovane Smitt tentava in tutti i modi di sedurre le tre infermiere con i metodi più disparati, ovviamente senza successo; il signor McQueen continuava a ripetere sempre ad alta voce ‘Sta’ zitto!’ immaginando di parlare all’amante della moglie; e così via…

Poi c’era il pranzo, che si svolgeva con le stesse modalità della colazione e il pomeriggio era identico alla mattina. Poi arrivava la cena e infine tutti andavano a dormire nelle rispettive camere, chi volente e chi nolente.

Questa era la tipica giornata alla Wammy’s House, istituto psichiatrico diretto dal dottor Qullish Wammy.

Tuttavia, per l’infermiera Linda vi era un paziente molto speciale che con il passare dei giorni attirava sempre più la sua attenzione, insinuandole dei dubbi sulla sua reale schizofrenia: Nate River.

Era entrata in servizio tre anni prima e lui era già uno dei pazienti dell’istituto. Un ragazzo albino di circa diciotto anni, sempre vestito con un pigiama bianco, che passava le sue giornate inginocchiato in terra a comporre un puzzle, l’unico che possedeva. Non parlava mai con nessuno, tanto che si poteva dire che fosse muto, se non per quelle rare volte in cui ringraziava quando gli veniva consegnato un pasto o una medicina.

Il ruolo delle infermiere era semplicemente quello di assicurarsi che i pazienti non commettessero qualche ‘sciocchezza’ (dipendeva dall’instabilità mentale dei soggetti) e dare loro gli psicofarmaci agli orari stabiliti dal dottore.

Il soggetto ha seri problemi di integrazione sociale. Assenza di comunicazione con altre persone. Comportamento ripetitivo e stereotipato. Non sopporta il contatto fisico con altri soggetti. Affetto da Disturbo pervasivo dello sviluppo: diagnosticata possibile sindrome di Asperger1 con probabile disturbo schizoide della personalità.2

Questo è ciò che Linda aveva letto nella sua cartella clinica. Il dottor Wammy era uno psichiatra molto famoso nel suo campo e aveva curato diversi pazienti, riuscendo dove altri prima di lui avevano fallito miseramente, e Linda credeva ciecamente nelle sue diagnosi.

Tuttavia c’era qualcosa in quel ragazzo che le faceva pensare che non fosse così… che non fosse malato, ma solo incompreso.

Sapeva che avrebbe trasgredito le regole, ma voleva capire. Forse lo faceva per noia, forse per pietà o forse… forse quel giovane così solitario le piaceva davvero e voleva aiutarlo in qualche modo.

Arrivate le sei del pomeriggio, Linda avrebbe dovuto dare a Nate le pillole prescritte dal dottor Wammy. Gli si avvicinò con il consueto bicchiere d’acqua e la medicina contenuta nel blister. Gli porse il primo e Nate lo prese come sempre senza distogliere lo sguardo dal suo monocromo puzzle, stringendo le dita attorno al bicchiere solo quando lo sentì concretamente nel proprio palmo. Poi Linda gli diede le due pilloline, ma poco prima che il ragazzo le portasse alla bocca, lei gli afferrò la mano (Non sopporta il contatto fisico con altri soggetti), dicendogli sottovoce: “Non la prendere. Bevi solo il bicchiere.”

Le mise nel taschino del camice bianco che indossava, attenta a non farsi vedere da occhi indiscreti.

Nate restò impassibile a guardarla, fissando gli occhi grigi sul suo viso, quasi volesse studiare la sua espressione per capire cosa significasse tutto quello. Non disse nulla. Bevve l’acqua e le porse il bicchiere ormai vuoto.

Lei gli sorrise gentile, prima di alzarsi e andare via, sentendo lo sguardo del ragazzo sulla nuca, come se volesse penetrarle il cervello con lo sguardo, alla stregua di un dardo, e leggere così i suoi pensieri.

Ripensò a ciò che aveva letto nella scheda: strano, Nate non aveva mostrato fastidio o ribrezzo quando le loro mani si erano intrecciate per un secondo.

 

 

Quella sera la ragazza non riusciva ad addormentarsi. Il ricordo di ciò che era successo quel pomeriggio le rubava il sonno. Ripensava alla mano di Nate nella sua: la pelle candida era liscia, calda. Aveva delle belle mani lui, con dita affusolate: mani da pianista, quello era il termine più appropriato che Linda riuscì a pensare.

Passeggiava nel giardino della Wammy’s House senza meta, lasciando che la brezza notturna di fine estate le rinfrescasse la pelle, come impalpabili carezze ricevute da mani fatte di aria.

Sospirò, quando una strana sensazione si impadronì di lei: la sensazione che qualcuno la stesse guardando. Forse era solo quel maniaco di Smitt che la spiava dalla sua finestra, pensando alle più turpi fantasie erotiche. Rabbrividì al sol pensiero. Quel ragazzo era un essere viscido come pochi.

Si voltò per guardare in direzione della sua camera, ma le tende erano tirate e non pareva esserci nessuno lì dietro ad osservarla con fare licenzioso. Meglio così, pensò.

Poi, quasi calamitati da una forza superiore a quella di volontà, i suoi occhi si spostarono sulla finestra della stanza di Nate.

Si spaventò quando vide la bianca figura del ragazzo vicino al davanzale che la guardava senza vergogna, simile ad un fantasma. Non provò a tirarsi indietro quando Linda notò la sua presenza, come se desiderasse essere visto, o forse non si rendeva conto che quello che stava facendo non era molto educato.

Quel giovane era un enigma per Linda. Il suo sguardo le incuteva timore a volte, ma subito dopo pareva addolcirsi, come un gatto che inizialmente si mostra diffidente per poi accertarsi che l’essere umano che ha dinanzi non è un pericolo per lui.

Linda rientrò nell’edificio. Non aveva intenzione di andare da Nate, lo stava facendo perché cominciava a sentire un po’ di freddo. Ma era davvero così?

Camminò silenziosa lungo il corridoio. Sfortunatamente per lei, andare verso la sua camera equivaleva a passare dinanzi la porta di Nate: una tentazione sul suo cammino.

Fissò quella barriera di legno per qualche secondo, incerta se osare o meno. Scosse la testa e decise di proseguire, ma dopo soli due passi si arrestò, come se vi fosse una presenza diafana che le sussurrasse di non andare. Si voltò, compiendo a ritroso quei due passi appena fatti.

Sollevò esitante la mano chiusa a pugno. Bussò una volta sola, per evitare di fare troppo rumore e svegliare qualcuno. Non ottenne risposta dall’altra parte.

Bene, poteva andare. Ci aveva provato, ma aveva fallito: non poteva rimproverarsi nulla. Tuttavia, era proprio quel fallimento che non accettava. Riprovò, più risoluta. Ancora nessuna risposta.

La cosa più sensata da fare era andare via, ma poi pensò che era Nate la persona dall’altra parte: forse riteneva superfluo dire ‘Avanti’ quando entrambi sapevano che era sveglio.

Portò la mano alla maniglia, avvolgendola nel palmo della mano. Uno, due, tre…

L’abbassò con uno scatto secco, spingendo poi lentamente per aprire uno spiraglio, quel tanto che le bastava per vedere all’interno della camera.

Nate era lì, seduto in terra, nella sua consueta posa con un ginocchio piegato verso il petto. Non diede segni di essersi accorto della presenza della ragazza, ma era chiaro che sapeva chiaramente che lei era lì.

Ormai era fatto, inutile indugiare. Entrò e si richiuse la porta alle spalle il più silenziosamente possibile.

“Ciao, Nate” lo salutò. Ma cosa stava facendo?

Quel giorno stava continuamente trasgredendo al regolamento dell’istituto. Se l’avessero scoperta avrebbe perso immediatamente il posto di lavoro, senza ripensamenti. Ma la curiosità, la sete di conoscenza erano più forti di qualunque altra cosa: Nate River era davvero malato?

“Immagino che ti starai chiedendo perché sono qui, o perché oggi non ti ho fatto prendere la medicina, o chissà quante altre cose…” Si sentiva terribilmente in imbarazzo e Nate non faceva nulla per farla sentire più a suo agio. Impassibile continuava a comporre il puzzle che portava sempre con sé (Comportamento ripetitivo e stereotipato), non degnandola di uno sguardo. Neanche pareva che la stesse ascoltando.

Restare in piedi, vicino alla porta, non era la prospettiva migliore per Linda. L’unica seduta possibile era il letto singolo a ridosso del muro alla sua sinistra.

Sedersi sul letto di Nate poteva sembrare una mossa azzardata, ma aveva bisogno di stare comoda, almeno fisicamente. Si accomodò sull’angolo più estremo, precisamente quello dall’altra parte rispetto a dove si trovava lui. Meglio non accorciare troppo le distante: non sapeva come avrebbe reagito il ragazzo ad una vicinanza simile… e nemmeno come avrebbe reagito lei.

“Posso chiederti da quanto tempo sei qui?” gli domandò.

“Avevo cinque anni.” Praticamente da tutta la sua vita. Quel ragazzo aveva sempre vissuto là dentro, non conoscendo altro che le mura di quell’edificio e il suo puzzle, e le uniche persone che avesse mai incontrato erano dei pazzi.

Linda provò una certa tenerezza per quel giovane dai capelli bianchi come il latte.

“E in tutto questo tempo il dottor Wammy non è riuscito a guarirti?”

“Forse perché non ho nulla che vada curato” rispose prontamente lui, come se già si aspettasse quella domanda. Forse non aveva nulla: quella possibilità pareva molto probabile ora per Linda.

Vivere da sempre in un posto frequentato da persone psicologicamente instabili: avrebbe fatto impazzire chiunque. Ma non Nate. Lui era rimasto perfettamente lucido, la sua mente si era mantenuta assolutamente integra. Probabilmente, isolarsi e non interagire con nessuno era la sua unica arma per sopravvivere (Assenza di comunicazione con altre persone) e restare sano.

Stranamente, ogni tessera di quell’intricato puzzle combaciava perfettamente con i dubbi di Linda, trasformandoli in certezze.

“Perché sei qui allora?”

“Mi hanno portato i miei genitori. Probabilmente non mi volevano o credevano che ci fosse qualcosa di sbagliato in me. Forse preferivano avere un bambino più vivace, più colorato, e vedendo me non mi sentivano figlio loro.” Nate non sembrava arrabbiato mentre confessava le sue ipotesi sui sentimenti dei genitori. Non pareva neanche provare rancore: dopo tanto tempo se ne era fatto una ragione.

Lui non voleva essere guarito. Preferiva stare lì, piuttosto che tornare a casa, dove non avrebbe trovato né amore né comprensione. “Credo che siano morti. Sono anni che non vengono più qui.”

Era agghiacciante la pacatezza e il distacco con cui il ragazzo parlava della tragica dipartita della madre e del padre. Ma, in fondo, lui era lì da quando aveva cinque anni: poteva davvero considerare quelle due persone suoi genitori? Per quanto gli riguardava, Qullish Wammy era l’unica persona più vicina al concetto di parente per Nate.

“E’ per questo quindi che preferisci restare qui? Non hai un posto dove andare. Perché è così, non è vero? Tu sai che se lo volessi potresti uscire da qui quando vuoi, dimostrando che sei un ragazzo perfettamente sano.” Uscire? Nate non aveva mai preso neanche in considerazione l’idea di poter andare via un giorno da quel luogo. Non si stava male dopotutto.

Aveva un tetto sulla testa. Persone che si prendevano cura di lui. Tre pasti caldi al giorno. E c’era lei… l’infermiera Linda.

A Nate piaceva Linda. Non trattava i pazienti con sdegno o con un’aria di superiorità tipica delle altre infermiere. Li trattava come esseri umani, elargendo sorrisi e parole carine a tutti. Persino a lui, che mai aveva ricevuto un po’ di affetto da qualcuno.

Poi, quel pomeriggio, lei non gli aveva dato la medicina. E Nate aveva compreso: Linda si era accorta che lui era diverso da tutti gli altri.  E se lo aveva notato significa che lo aveva osservato a lungo, che si era interessata a lui e Nate si era sentito oggetto di attenzione per qualcuno. Ma non un soggetto da studiare per mettere in pratica gli studi; si era sentito guardato per quello che era: un ragazzo incompreso.

Nate si alzò in piedi, prendendo una pagina dal blocconote che aveva sul piccolo scrittoio accanto a lui.

“Credo che i miei mi vedessero così” disse, mostrando il pezzo di carta.

Linda aggrottò le sopracciglia a quell’affermazione. “Scusami Nate, ma non credo di capire.”

“Un foglio di carta bianco… scialbo. È qualcosa che non vale niente, specie se chi lo possiede non ha una penna per scriverci sopra qualcosa o la voglia di farlo.”

Linda comprese ciò che gli stava dicendo il giovane. I suoi lo vedevano come un essere inutile, incapace di ricevere o dare amore. Una pagina pulita di quaderno, da qualunque prospettiva la si guardi, era sempre un oggetto privo di attrattiva.

Eppure la ragazza non vedeva nulla di tutto quello. Dinanzi a lei vi era un giovane puro, immacolato, che non aveva mai ricevuto niente e per questo non sapeva cosa volesse dire dare qualcosa.

Questi le si avvicinò, sedendosi sul letto poco distante da lei, facendo infossare un po’ il materasso sotto l’esile peso.

“Tuttavia, anche qualcosa di così insignificante ha dentro di sé un grande potenziale.” Iniziò a piegarlo con una maestria che stupì Linda. Le sue dita sottili lo stavano lentamente modellando in qualcosa che ancora non era definibile, quasi fosse un pezzo d’argilla che lentamente prendeva forma sotto le abili mani di uno scultore.

Quando Nate finì la sua opera, porse a Linda il risultato della sua creatività: la corolla di un fiore; più precisamente sembrava una piccola, graziosa rosa bianca.

Forse Nate sapeva cosa volesse dire dare qualcosa.

La ragazza allungò la mano per afferrare il dono e le loro dita si sfiorarono ancora una volta quel giorno. “Grazie.” Una rosa nata da un foglio di carta: che fosse un modo criptico per Nate di dirle che anche lui, come quella pagina, poteva sbocciare e divenire qualcosa di più di un paziente della Wammy’s House?

Linda sentiva che quel grazie non era sufficiente. Voleva dirgli che aveva inteso tutto e ricambiare un po’ quel gesto galante. Senza pensarci troppo, si sporse per dargli un fugace bacio sulla guancia.

Le sue labbra erano morbide, delicate come petali. Nate si sentì smarrito per la prima volta nella sua vita. Sentì un piacevole calore germogliargli dentro: una sensazione inebriante che non aveva mai provato prima.

“E’ la prima volta che ricevi un bacio?” gli domandò Linda, notando la sua espressione pensosa e stupita.

“Sì.”

“Ti è piaciuto?”

“Sì.”

“Ne vorresti un altro?” A quella domanda inaspettatamente audace da parte di Linda, Nate girò il capo per guardarla negli occhi: il suo sguardo aveva risposto di sì, sostituendo quelle parole che sarebbero state solo superflue.

La ragazza gli si avvicinò, ma non mirò alla guancia come si aspettava lui, bensì alle sue labbra, sino a farle congiungere con le proprie come due tessere di un puzzle. Quando il viso di lei si allontanò, riecheggiò flebile il suono di uno schiocco, ma che alle orecchie di entrambi parve forte come una detonazione.

“Come è stato?” gli chiese subito dopo. Lui era rimasto impassibile, come se non avesse provato nulla: un timore che cominciava a farsi spazio nel cuore di Linda, lacerandola intimamente, dolorosamente.

“Bagnato” disse inaspettatamente Nate. “Bello” aggiunse poi, come se stesse lentamente assaporando il retrogusto di quel bacio, elencando poi tutte le sfumature che percepiva.

“Vorresti baciarmi ancora?”

Nate rifletté attentamente su quella proposta così esplicita. Baciarla ancora: che si stesse immaginando tutto? Sarebbe stato bello sì, anzi sublime, ma era una relazione troppo pericolosa. Per lei forse era solo un gioco. Magari a scuola lo aveva fatto con altri ragazzi, così, solo per divertirsi, ma per lui non c’era niente di dilettevole in quello.

Il giorno dopo sarebbe tornato tutto alla normalità e lui avrebbe visto quel tiepido raggio di sole che gli aveva illuminato il volto scomparire di nuovo dietro le nubi della sua solitudine.

“E’ meglio se ci fermiamo qui” le disse risoluto. “Potremmo fare qualcosa di sconveniente.”

“Sconveniente per chi?” domandò Linda, come se il bacio appena dato fosse stato solo l’antipasto di uno squisito banchetto a cui non voleva rinunciare. Si stupì della propria audacia, mai ostentata prima con nessuno.

Aveva avuto solo un fidanzato in vita sua, durante gli anni del liceo. Una semplice infatuazione che le aveva portato via anni di struggimento per quello che reputava essere il grande e romantico amore della sua vita, nonché le aveva preso la verginità illudendosi che lui, Damian, fosse il ragazzo giusto per lei.

Da allora era sempre stata molto recalcitrante ad avere relazioni con altri ragazzi, sebbene avesse avuto altre occasioni. Sino a conoscere Nate, un giovane che l’aveva attratta per la sua singolarità, con il quale, contro ogni aspettativa, non si sentiva poi tanto a disagio.

“Sei un’infermiera: non dovresti avere certi legami con i tuoi pazienti, non è professionale” le rispose Nate pacato, attorcigliandosi una ciocca di capelli tra le dita.

Linda non la pensava così. In quel momento, in quella stanza, non c’erano un’infermiera e un paziente, ma una ragazza e un ragazzo, che il destino aveva unito in un modo bizzarro e insolito, irrimediabilmente attratti l’uno dall’altra.

La professione di Linda era un dettaglio del tutto secondario.

“Non mi importa del mio lavoro, Nate. Il mio turno finisce alle dieci di sera: in questo momento non sono un’infermiera ma una ragazza come tante. Potrei essere tua amica o anche…”

“Non ne ho mai avute” la interruppe Nate, senza però specificare cosa esattamente non aveva mai avuto. Amiche o fidanzate? Linda dedusse che si riferiva ad entrambe e un sorriso intenerito le si distese sul volto.

Forse Nate aveva solo paura di legarsi a qualcuno e soffrire, e preferiva troncare sul nascere ogni possibile rapporto umano prima di trovarsi coinvolto in qualcosa che non conosceva e che non poteva gestire con la sua solita freddezza.

La ragazza poggiò in terra il fiore di carta che aveva ricevuto in dono, per timore di sgualcirlo. Nate era un po’ come quel fiore: bianco e delicato che se maneggiato scorrettamente poteva sporcarsi o rovinarsi, perdendo così la sua algida bellezza.

Gli si avvicinò per baciarlo e lui restò immobile ad osservarla, come se stesse studiando ogni particolare del suo viso. Non si mosse, lasciando che fosse lei a fare tutto, opponendo una resistenza passiva: non voleva allontanarla da sé, ma al contempo non voleva lasciarsi andare, così decise di restare quanto più neutrale possibile, sperando che fosse lei a separarsi.

Ma, per sua fortuna (o disgrazia?) Linda non pareva intenzionata ad andare via. Al contrario. Lo cinse per le spalle con le sue esili braccia, disegnandogli poi il contorno delle labbra con la punta della lingua, invitandolo ad assecondarla, a lasciarsi un po’ andare.

Il respiro di Nate accelerò, anche se impercettibilmente. Voleva abbracciarla, voleva baciarla… oh sì che lo voleva, ma non poteva, trattenuto da una forza invisibile che lo teneva legato come una camicia di forza.

“Vuoi abbracciarmi?” bisbigliò lei sulle sue labbra. Nate fece un cenno di assenso con la testa. Esaudendo la sua richiesta, Linda gli prese le mani conducendole poi attorno alla propria vita sottile. “Vuoi baciarmi?” Un altro cenno affermativo.

Il ragazzo osò dischiudere le labbra, accogliendo quel bacio a cui, fino a quel momento, si era opposto. Era calda e morbida la lingua di Linda sulla sua. Si sentì rabbrividire. Cominciò ad accarezzarla sulla schiena, intrecciando le dita ai lunghi capelli biondi, salendo sino alla nuca e poi scendere fino al bacino e di nuovo, in un lento movimento ascendente e discendente.

“Vuoi toccarmi?” Sì, rispose la testa di Nate e le sue mani furono condotte al seno piccolo e grazioso di lei. Non si sentiva imbarazzato, perché Linda sapeva farlo sentire a suo agio, ma la sua inesperienza lo costringeva alla immobilità, nell’attesa che fosse lei a guidarlo.

“Come ti senti?”

“Diverso.” Era strano come quel ragazzo rispondesse spesso in modo incomprensibile alle sue domande. Cosa voleva dire diverso? Che fosse un suo modo personale di dire che non aveva mai provato prima una sensazione del genere, diversa appunto? O non riusciva nemmeno lui a capire cosa gli stesse succedendo?

Una cosa era certa: Linda non doveva avere timore di essere più esplicita o diretta. Con Nate non esistevano le formali regole femminili come ‘E’ l’uomo che deve fare il primo passo’ e questo le piaceva, perché la faceva sentire libera di comportarsi come più preferiva, senza avere timore di essere giudicata male.

Si sentiva partecipe di un gioco di seduzione al contrario.

Nate si lasciava solo guidare: la sua incredibile forza interiore, che lo aveva preservato dalla follia in tutti quegli anni, dinanzi quella ragazza vacillava. La sua mente aveva risposto di no a tutte le domande che gli erano state rivolte, ma, quasi contro la propria volontà, il suo corpo aveva reagito guidato dall’istinto, muovendo il capo in segno di assenso.

“Vuoi amarmi?” La risposta, come per i precedenti quesiti, fu sì.

 

 

La mattina dopo, Nate avrebbe potuto pensare che si fosse trattato tutto di un sogno: il corpo di Linda, le sue carezze, i suoi baci, il suo calore… ogni singolo gemito trattenuto per non far rumore, ogni singolo respiro ansante sulla pelle, ogni singolo sussulto di piacere fisico. Tutto poteva essere un parto onirico della sua mente, ma quando al risveglio sentì tra le braccia la ragazza che dormiva placidamente, con la testa poggiata sul suo petto nudo, cullata dal battito cardiaco regolare, e poi aprì gli occhi vedendo come prima cosa la chioma liscia e bionda di lei, ogni dubbio sulla realtà di ciò che era accaduto fu spazzato via.

A giudicare dalla luce del sole, doveva essere poco dopo l’alba. Non era auspicabile per Linda farsi trovare nella sua stanza, specialmente in quelle condizioni che ben facevano intendere cosa fosse successo quella notte.

A malincuore, perché era troppo bella mentre dormiva, dovette svegliarla.

“Oh Cielo: è l’alba!” esclamò lei, superato il torpore del sonno per ritornare alla realtà.

I vestiti giacevano scompostamente sul pavimento, raggrinziti e attorcigliati. Si vestì più celermente che poté, una velocità decisamente opposta rispetto a quella che aveva adoperato qualche ora prima per spogliarsi.

Nate assistette a tutta la scena in silenzio, senza mai distogliere lo sguardo dal suo corpo che veniva coperto da sempre più indumenti. Forse c’era qualcosa da dire in quei momenti, un copione che solitamente si interpretava dopo una notte d’amore, ma Nate preferì tacere, preservandosi quindi dal dire qualcosa di inappropriato.

“Nate… questa notte è stato… diverso…” esordì lei esitante, adoperando la medesima parola che aveva usato il ragazzo, trovandola estremamente calzante a ciò che voleva dire, sebbene neanche lei sapeva di preciso cosa.

“Nuovo” rispose Nate, esprimendo il suo parere al riguardo, anche se in modo molto laconico e poco romantico, pensò Linda; ma lui era fatto così.

“Verrò da te come ieri sera, intanto ci comporteremo come sempre” si raccomandò la ragazza, anche se sapeva che con Nate non c’era pericolo che qualcuno scoprisse quella loro relazione clandestina.

Prese il fiore di carta che era rimasto sul pavimento per tutta la notte, silente testimone dell’amplesso avvenuto tra i due giovani e che avrebbe conservato quel licenzioso segreto tra i petali della sua corolla cartacea.

Linda avrebbe tanto voluto appuntarlo al taschino del camice da infermiera, alla stregua di come una promessa sposa mostri il diamante regalatole per il fidanzamento, ma non poteva farlo: avrebbe attirato sguardi e domande indiscrete.

Ma Nate non era un ragazzo da vantare come un trofeo davanti alle amiche. No, lui era diverso, unico. Avrebbe custodito la loro relazione con gelosia, come un prezioso tesoro.

E chissà che un giorno, quando avrebbe avuto sufficiente autorità in quell’istituto psichiatrico, non lo avrebbe fatto uscire per sempre da lì, portandolo con sé e donargli così una vita vera, serena e felice.

 

 

 

 

 

 

1.     1. La Sindrome di Asperger (abbreviata in SA, o AS in inglese) è considerata un Disturbo pervasivo dello sviluppo imparentata con l'autismo e comunemente considerata una forma dello spettro autistico "ad alto funzionamento".Gli individui portatori di questa sindrome (la cui eziologia è ancora ignota) sono caratterizzati dall'avere una persistente compromissione delle interazioni sociali, schemi di comportamento ripetitivi e stereotipati, attività e interessi molto ristretti. Diversamente dall'autismo classico, non si verificano significativi ritardi nello sviluppo del linguaggio o dello sviluppo cognitivo.

2.     2. Il disturbo schizoide di personalità (così come definito secondo i criteri diagnostici DSM-IV–TR e, similmente, nel ICD-10) è un disturbo di personalità del Gruppo A, il cui tratto principale è la mancanza del desiderio di relazioni strette con altri esseri umani, e il “distacco” emotivo del soggetto rispetto alle persone e alla realtà circostante.La personalità schizoide manifesta chiusura in sé stessa o senso di lontananza, elusività o freddezza. La persona tende all’isolamento oppure ha relazioni comunicative formali o superficiali, non appare interessata a un legame profondo con altre persone, evita il coinvolgimento in relazioni intime con altri individui, con l'eccezione eventuale dei parenti di primo grado.

 

 

Note dell’autrice

Dopo l’incredibile, inaspettato e soprattutto graditissimo successo di ‘Remember you’ eccomi di nuovo alla carica con una nuova shot Near x Linda! Vorrei dedicarla a Katy93 che ha deciso di adottare questa coppia non solo come lettrice, ma anche come autrice: vi sto infettando! XD

Oh, immagino che dovrei dire qualcosa su questa shot ma è talmente lunga che ho letteralmente esaurito le parole, per cui lascio a voi lettori il giudizio. Forse alcuni sono rimasti delusi dall’assenza della lemon, altri magari apprezzano questa scelta perché la considerano più ‘delicata’ (in effetti immaginare Near in simili circostanze non è facile, specie con una ragazza). Per questa volta ho voluto fare passo, perché l’ho considerato più appropriato! ^^

Spero che vi sia stata gradita e se vorrete farmi sapere cosa ne pensate, anche con poche parole, ne sarò sempre molto felice!





Questa fic partecipa alla challenge indetta da starhunter Vitii et Virtutis, i vizi e le virtù.

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Questa storia partecipa alla challenge: Diamo visibilità a chi non ne ha.

   
 
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