Disclaimer: Lo sceneggiato appartiene alla Fox. Io ci scrivo su senza guadarci nulla.
The Cage
Tears have turned from
sweet to sour and hours to days
You're hiding yourself away
From our cruel world's embrace
And as your days turn to weeks
You'll cry yourself to sleep
In the cage
HIM – The Cage
Acqua e cibo non gli mancano e sembra apprezzare la
sua gabbia. Dagli un po’ di tempo e tra poco canterà di nuovo.
Questo era quello
che gli aveva detto Blaine guardando l’uccellino rinchiuso nella sua gabbietta
dorata e, per un istante, Kurt si era sentito sollevato: Pavarotti stava bene.
Non appena Blaine
se ne fu andato però Kurt si rese conto di quanto quelle parole descrivessero
non solo la vita del piccolo volatile, ma anche la sua.
Aveva cibo e
acqua, la sua gabbia – la Dalton Academy – gli piaceva. Certo, le classi erano
più difficili, ma i compagni molto più gentili, quindi non aveva di che
lamentarsi. Come l’usignolo però, Kurt si sentiva chiuso in gabbia. Costretto
in una realtà più facile che però gli tappava le ali. A differenza di quanto
accadeva alla McKinley – e nella fattispecie al Glee club - alla Dalton non era
nessuno. Solo uno dei tanti studenti. Forse uno dei pochi gay (nonostante
all’inizio avesse pensato il contrario), e questo in qualche modo gli
permetteva comunque di essere speciale… però gli mancava la libertà. Sentiva la
mancanza del tradizionalista signor Schuster e dei suoi compagni che, in un
modo o nell’altro, riuscivano sempre – o quasi - ad ottenere quello che
volevano.
Non riuscì a
trattenere una risata ripensando a quella settimana ‘teatrale’ in cui –
esibendosi con le ragazze – era andato in giro per la scuola vestito con una
delle tanti folli e assurde mise di Lady Gaga. Certo, al ricordo i piedi gli
facevano ancora male, però era stato in grado di cantare, ballare, camminare e
sfilare senza problemi. Gaga sarebbe
stata molto orgogliosa di lui.
Il pensiero di
come avrebbero reagito gli studenti della Dalton ad una simile esibizione lo
divertì non poco. La scuola era bella – la
sua gabbia gli piaceva – ma gli stava stretta. Troppe regole, troppo poco
spazio per dare libero sfogo alla sua espressività e al suo bisogno di essere
una star. Sì, era nel coro, poteva cantare, ma che gusto c’era a passare tutto
il tempo a produrre semplicemente musica con la sua voce mentre davanti ai suoi
occhi Blaine eseguiva tutti i brani. Neanche al Glee – dove comunque la
precedenza l’avevano sempre Finn e Rachel, e solo talvolta Mercedes – era stato
così poco considerato… anzi. Il Glee della
McKinley era stata per lui una famiglia e Schuster aveva fatto in modo che
comunque – a parte per i suoi prediletti che avevano sempre e comunque
l’occasione di primeggiare – ognuno di loro potesse esibirsi in totale libertà,
fare il proprio numero e – ogni tanto – brillare sotto la luce dei riflettori.
Tra i Warblers
invece c’era posto solo per Blaine e tutti coloro che ne facevano parte
dovevano limitarsi ad essere dei semplici coristi, delle voci che producevano
musica, ma senza cantare davvero.
Kurt sospirò
rigirandosi l’iPhone tra le mani.
Solo due
settimane prima aspettava i regolari messaggi che Blaine gli inviava, trovando
nelle parole del ragazzo una sorta di rassicurazione che permetteva di
convivere con la realtà scolastica oramai a lui ostile.
Ora invece… Nulla.
Neanche gli amici
del Glee lo contattavano. Nemmeno Finn che al matrimonio se n’era uscito con la
storia del Furt. Nonostante i pensieri di Kurt fossero quasi sempre rivolti a
Blaine, il pensiero di Finn e del nome che avevano trovato per loro due – quasi
come una coppia, non come fratelli acquisiti – gli faceva battere il cuore e
perdere la cognizione del tempo e dello spazio.
Finn però aveva Rachel.
Storse le labbra
al pensiero di quando aveva fatto notare alla ragazza che nessuno dei due
avrebbe mai potuto averlo... non gli era mai piaciuta particolarmente Rachel,
ma esclusivamente perché anche lei voleva Finn. A livello canoro aveva sempre
riconosciuto il suo grande talento ed era ogni volta una sfida fare meglio di
lei, cercare di superarla e mostrare quanto anche lui valesse al suo confronto.
Anche se spesso perdeva – il signor Shue aveva decisamente le sue preferenze e
non era neanche particolarmente bravo a nasconderle – la continua competizione
era stimolante. Molti preferivano un ruolo marginare – Mike, Tina, Artie e gli
stessi Puck, Brittany e Santana – ma lui voleva brillare. Così come Rachel,
così come Finn (anche se brillava più per volere di Shue che suo), Mercedes e
lui. E mai una volta si era sentito ridicolo all’idea di mettersi in gioco
contro delle ragazze, esibendosi in pezzi prettamente femminili o indossando
costumi fuori dall’ordinario… per citare
ancora una volta Lady Gaga.
Questo suo voler
splendere però non era ammissibile alla Dalton. A cominciare dalle divise per
finire con le esibizione dei Warblers. Troppo statiche, troppo… un ‘troppo’ che non sapeva realmente
definire, ma di sicuro era un ‘troppo’
negativo. Sapeva che se fossero riusciti a superare le provinciali, alle
regionali contro i Vocal Adrenaline non avevano alcuna possibilità. E già era
sicuro che non sarebbero riusciti a superare il suo ex Glee Club. Avevano voci
incredibili – e Kurt sperava vivamente che il signor Shue facesse la decisione
giusta e non giocasse ancora una volta la carta Rachel-Finn-Mercedes – e
ballerini straordinari. Forse nessuno aveva mai dato troppo importanza alla
cosa, ma l’occhio su Mike Chang gli era caduto diverse volte e per quanto gli asiatici
non fossero il suo tipo (non che fosse brutto, ma per lui esisteva solo Finn ai
tempi) aveva visto il ragazzo sfidare la legge di gravità a passi di danza. I Warblers
non facevano nulla, eccetto che creare un semicerchio attorno a Blaine mentre
copiavano alcune note o si limitavano a fare esercizi vocali che ricalcavano la
natura della canzone mentre il ragazzo si lasciava trasportare
dall’interpretazione del brano. Accennavano di tanto in tanto a qualche passo,
ma le loro mosse erano paragonabili a quelle di un Glee annoiato, totalmente
privo della gioia di vivere. A vedere le esibizione dei Warblers si chiedeva
davvero dove fosse l’animo che stava dietro al nome stesso del progetto – glee:
allegria, gioia, felicità.
Non era quella la
vita adatta a lui.
Kurt era fatto
per brillare, non per essere l’ombra di un riflesso.
Il ragazzo guardò
l’usignolo ancora una volta assicurandosi che stesse bene: come gli aveva detto
Blaine, acqua e cibo ne aveva e la sua gabbia sembrava piacergli.
Forse anche lui,
come Pavarotti, presto avrebbe potuto riprendere a cantare e splendere.
O forse, semplicemente, Kurt aveva dato troppo
importanza alle parole di Blaine.
Note dell’autrice:
Sì, ecco. Io che
scrivo su glee.