NOTA:
Questa storia mi è stata ispirata dall’ultima messa in onda
della serie e dalla voglia di fare giustizia per il povero Satoshi,
l’autrice è stata molto ingiusta… In originale la trama doveva essere più
fedele al manga che all’anime, ma la voglia di inserire
altri elementi come i personaggi americani, l’ha resa un po’ un miscuglio,
abbiate pazienza…
Un’altra cosa, la questione del nome: Will,
Bill, Willy, non ho mai
capito bene come si chiamasse in originale. Io l’ho chiamato William (da non
confondere con il cugino William della Mediaset alias
Tsutomu Rokutanda), spero
che questo non crei confusione.
Ultima precisazione: so bene che non è possibile che un
osservatorio si trovi nei pressi di una metropoli come Tokyo, ma fate finta che il telescopio sia puntato dalla parte opposta
rispetto alla città. Non siate fiscali, è una fanfiction!
DISCLAIMER: Tutti i personaggi appartengono a © Wataru Yoshizumi tranne Yuko Matsudaira che è una mia
invenzione quindi se vi risulta antipatica siete
liberi di prendervela con me.
YUKI-CHAN
Personaggi principali:
AKIZUKI MEIKO: 24 ANNI, SCRITTRICE
MIWA SATOSHI: 25 ANNI, ARCHITETTO
TSUCHIYA KEI: 23 ANNI, UNIVERSITARIO, PIANISTA
SAKUMA SUZU: 22 ANNI, UNIVERSITARIA, ATTRICE
KITAHARA ANJU: 24 ANNI, VIOLINISTA
MATHESON WILLIAM: 24 ANNI, ASTRONOMO
MATSUDAIRA YUKO: 30 ANNI, INSEGNATE DI MUSICA
Comparse:
KOISHIKAWA MIKI: 24 ANNI, INSEGNATE TIROCINANTE DI LETTERE
MATSURA YU: 24 ANNI, ARCHITETTO
NAMURA SHIN’ICHI “NACCHAN”: 31 ANNI, IMPIEGATO
GRANT MICHAEL: 23 ANNI, STUDENTE UNIVERSITARIO
GRANT BRIAN: 24 ANNI, GIOCATORE DI BASKET
SUO GINTA: 24 ANNI, ALLENATORE DI TENNIS
SUZUKI ARIMI: 24 ANNI, AVVOCATO TIROCINANTE
KIJIMA TAKUJI: 31 ANNI, NEGOZIANTE
MIZUTANI AKIRA: 31 ANNI, NEGOZIANTE
MOU RYOKO: 31 ANNI, INSEGNANTE
GOLDING JINNY: 24 ANNI, MODELLA
O’CONNEL DORIS: 24 ANNI
Marmalade Love Stories
Storie d’amore alla marmellata d’arance
di Yuki Delleran
1
RITORNO A TOKYO
La giovane donna attraversò di corsa l’atrio della stazione
e si fermò davanti ad un telefono pubblico per riprendere fiato, posando a
terra il leggero bagaglio che potava con sé. Si stava comportando da sciocca,
sembrava quasi che stesse scappando, ma lui non poteva certo averla seguita fin
lì. Se l’avesse fatto, se almeno avesse tentato
di farlo, ora lei non avrebbe sentito questo enorme
peso. Invece quando l’aveva vista era rimasto immobile.
Non aveva detto una parola mentre la guardava afferrare la borsa e uscire
precipitosamente. Del resto non poteva aspettarsi niente di diverso, era sempre
stata lei a inseguirlo, mai il contrario.
Con le dita ancora leggermente tremanti, sollevò il
ricevitore e compose un numero che solo da poco aveva memorizzato. Rispose una
voce nota e squillante che per un attimo le riscaldò il cuore.
«Pronto?... Pronto, chi parla?»
«Miki…»
«Meiko! Sei tu? Come stai?»
Come sempre la sua più cara amica era entusiasta di sentirla.
Era forse l’unico contatto che non aveva perso da quando si era trasferita a
Hiroshima.
«Ehm… abbastanza bene…» rispose Meiko
esitante. Come poteva dirle quello che aveva appena fatto?
«Meno male! Non ci sono problemi, vero? Ci sarai stasera?
Alla festa per l’inaugurazione della nuova casa, intendo. Ti aspettiamo tutti!
Sai, Ginta e Arimi sono già
arrivati. Dicevano di essere troppo curiosi. Anche Kei e Suzu.
Però non hanno fatto attenzione e adesso la strada di
fronte è zeppa di giornalisti, siamo assediati! Yu ha
fatto fatica a uscire per andare all’aeroporto a
prendere i suoi amici americani… Ehi, cos’è stato? Era il fischio di un treno? Meiko, sei alla stazione?»
La ragazza quasi non si era resa conto del
rumore che aveva interrotto il fiume di parole dell’amica.
«Eh? Ecco… sì… però… ho avuto un contrattempo. Non so se
riuscirò ad essere lì per questa sera.»
La voce di Miki suonò subito
delusa.
«Cosa? Che
peccato, ci tenevo tanto! Niente di grave spero.»
«No, no, non preoccuparti. Solo… un piccolo inconveniente.»
«Promettimi che la prossima volta che verrai a Tokyo ci
vedremo.» disse Miki. «Sono mesi che ci sentiamo solo per telefono.»
«Ma certo. Ora ti saluto. Scusami
ma ti devo proprio lasciare. A presto.»
Meiko riappese la cornetta
pentendosi istantaneamente delle bugie raccontate all’amica. In realtà si
trovava a poche fermate di metropolitana dalla nuova casa dove lei e Yu si erano stabiliti e quella da cui stava chiamando era
la stazione di Tokyo. La stessa stazione dove, in quella che ormai le sembrava
un’altra vita, aveva tentato di impedire all’uomo che amava di lasciarla e
dalla quale era a sua volta partita per riconquistarlo. Frammenti di dolorosi
ricordi passati si sovrapposero a quelli più recenti spingendola sull’orlo
delle lacrime.
No, non avrebbe mai potuto andare
da Miki. La casa sarebbe stata piena di risate e di allegria, gli amici si sarebbero riuniti e lei non solo
non era dell’umore giusto per festeggiare, ma avrebbe rovinato l’atmosfera
anche agli altri. Non poteva andare nemmeno dai suoi genitori, l’idea di
sorbirsi una predica o un litigio la disgustava. Al momento e con i pochi soldi
che aveva con sé, l’unica alternativa possibile era
passare la notte all’hotel della stazione. L’indomani avrebbe deciso cosa fare
del resto della sua vita.
La mezzanotte era passata da un pezzo ma Meiko
non riusciva in nessun modo a prendere sonno. Il pensiero dell’espressione
colpevole di Ryoko e di quella rassegnata di Shin’ichi la tormentavano. Possibile che fosse stata così
cieca? Così concentrata sui suoi problemi da non vedere… Sì, era possibile, in
fondo erano mesi che l’editore le stava col fiato sul collo pregandola di
scrivere qualcosa di nuovo. La sua immaginazione sembrava svanita. Prosciugata da una vita che si faceva giorno dopo giorno più
monotona e a cui aveva finito per diventare insofferente.
Quando riaccese la luce rinunciando
definitivamente all’idea di dormire, la sveglia sul comodino segnava le cinque
del mattino. Ad uno sguardo più attento di quello che aveva dato la sera prima,
la stanza si rivelò fredda e spoglia. Completamente anonima. Era tornata a
Tokyo dopo quattro anni di assenza per questo?
Improvvisamente venne presa dalla necessità di vedere
una faccia amica e senza fermarsi a riflettere si alzò, si vestì e lasciò la
stanza. Fortunatamente la metropolitana era già in funzione e
meravigliosamente deserta. Si vedevano solo sporadici operai dall’aria
stanca che rientravano dal turno di notte e impiegati altrettanto sciupati che
si recavano su un posto di lavoro troppo lontano. Quella vista trasmise alla
giovane un senso di tristezza e squallore. Quelle persone erano davvero
soddisfatte della vita che conducevano? E lei?
Appariva squallida come loro? Scacciò quel pensiero
poco costruttivo e tentò di godersi il tragitto in tutta tranquillità. Era raro
riuscire a conquistarsi un posto a sedere su quella linea e Meiko
si ripropose di prenderla di nuovo a quell’orario insolito.
Quando uscì di nuovo per strada la città
si stava svegliano e le auto si erano fatte più numerose, anche se tutto
sembrava ancora avvolto dalla nebbia rassicurante del sonno. Era piacevole
crogiolarsi in quell’illusione, anche se sapeva che
di lì a poco Tokyo sarebbe tornata ad essere la
metropoli caotica e chiassosa che era sempre stata.
Il posto che stava cercando si trovava poco distante e lo rintracciò
senza difficoltà. Svoltando un angolo le si aprì
davanti agli occhi la vista del quartiere residenziale ancora silenzioso. Era
una zona graziosa, con molto verde lungo le strade e vi si respirava
un’atmosfera familiare. Si fermò davanti a una
villetta con un piccolo giardino dall’aspetto molto curato. Sulla targhetta
sopra la cassetta della posta si poteva leggere “KOISHIKAWA E MATSURA”. Era
molto diversa dalla villa bifamigliare su cui Meiko aveva visto quella stessa targhetta anni addietro, ma
decisamente più adatta ad una giovane coppia non
ancora sposata. Allungò la mano verso il campanello e si bloccò a mezz’aria
lanciando un’occhiata all’orologio. Non segnava ancora le sei. Presentarsi a
casa di qualcuno a quell’ora era poco meno di un atto
criminale.
Sospirando sulla propria impulsività, Meiko
si voltò per andarsene quando la porta della villetta si spalancò per lasciar
uscire tre figure dall’aria assonnata. Due erano indubbiamente Miki e Yu, la terza era un
giovane uomo dai capelli neri. Portava una camicia spiegazzata e parzialmente
infilata in un paio di jeans sbiaditi. Nel complesso aveva un aspetto piuttosto
trasandato. Dopo una serie di saluti, lo sconosciuto si voltò per raggiungere
il cancello e fu allora che Meiko si trovò a fissare
due profondi occhi blu.
«A… Akizuki?» balbettò il ragazzo
strofinandosi gli occhi per accertarsi che non si trattasse di un’allucinazione.
«Cosa? Miwa?»
fece Meiko quasi più stupita di lui.
Non ebbe il tempo di dire altro che si trovò stretta
nell’abbraccio di Miki, che aveva superato di slancio
l’amico per saltarle al collo.
«Meiko! Allora sei venuta! Sono
così felice di vederti!» esclamò la ragazza. «Hai l’aria
stanca, hai viaggiato tutta la notte? Non era necessario che te la
prendessi tanto, i guasti non sono colpa di nessuno.»
«Guasti?» fece Meiko confusa.
«Ai treni. E’ per questo che ieri
hai detto di non poter venire, vero? L’inconveniente di cui mi parlavi.»
La ragazza capì l’equivoco in cui era caduta l’amica ma
annuì ugualmente poiché le consentiva di non dare le spiegazioni necessarie
sulla sua presenza lì in quel momento.
«Vorrei tanto farti entrare a riposare,»
continuò Miki. «ma purtroppo
non abbiamo più un posto libero. La stanza degli ospiti è occupata da Anju e Suzu, Michael
e Brian si sono addormentati sul divano, e Willy e Kei hanno occupato
entrambe le poltrone. Nel mio letto sta dormendo Arimi…»
«… e nel mio quel matto di Ginta.» disse Yu
sopraggiungendo. «Se non si sveglierà tra poco farà tardi al lavoro.»
«Non c’è pericolo.» disse Miki facendogli l’occhiolino. «Sia io che Ginta abbiamo preso un giorno di
ferie. Comunque il problema resta. Non se ne parla di
lasciar andare via Meiko
dopo che è venuta fin qui.»
«Bhè, la casa di Satoshi è grande…» suggerì Yu.
«Cosa?! No, no, non preoccupatevi!
Ho preso una stanza all’hotel della stazione.»
Meiko si era sentita arrossire
senza una ragione a quell’eventualità. Quando spostò
lo sguardo sul giovane rivide il sorriso affascinate
del rappresentante degli studenti dei tempi delle scuole superiori. Non si era
mai resa conto che le fosse mancato.
«Non esiste che tu vada in uno
squallido albergo quando casa mia è a due passi. Forza, seguimi.» disse Satoshi passandole un
braccio attorno alle spalle e trascinandosela dietro verso un’auto parcheggiata
all’angolo.
A metà strada si voltò di nuovo.
«A proposito, buon riposo, Miki. Quanto a te, Yu, ci vediamo allo studio
tra due ore. Ti voglio impeccabile come al
solito!» esclamò.
Yu rispose con una smorfia
reprimendo uno sbadiglio.
«Che seccatura quando il tuo migliore amico è anche il tuo
socio…»
Quando salirono in macchina,
un’elegante decappottabile argentata, Meiko si
rivolse di nuovo a Satoshi.
«Ora puoi pure portarmi alla stazione. So che hai accettato
di ospitarmi solo per non far sentire in colpa Miki,
ma non devi darti pensiero. Ho davvero preso una stanza in albergo.»
Il ragazzo la fissò stupito.
«E casa mia è davvero qui vicino.
Dopo quattro anni che non ti vedo, cosa ti fa pensare che ti lascerò scappare
così?»
All’espressione scandalizzata di Meiko,
si affrettò ad aggiungere: «Oh, lo so che sei una donna sposata. Ti assicuro
che non ho nessun fine diverso dall’ospitalità amichevole. Ho solo una gran
voglia di ricordare i bei tempi andati in tua compagnia, Akizuki…
anzi, scusami, dovrei dire Namura.»
La ragazza abbassò gli occhi e si limitò a rispondere: «Va
bene Akizuki.»
Quando l’auto si fermò di fronte a
una villetta dalla forma insolita, Meiko spalancò gli
occhi. Era grande quasi il doppio di quella di Miki e
Yu e dipinta di un pallido colore celeste. Davanti
all’ingresso si stendeva un piccolo giardino con cespugli di rose ai lati e un
giovane ciliegio in un angolo.
«Che bella casa!» esclamò Meiko. «Complimenti!»
«Davvero ti piace? Mi fa molto piacere.» rispose
Satoshi orgoglioso. «E’ una mia creatura. L’ho
progettata insieme a mio padre durante l’ultimo anno di liceo e una volta
costruita è diventata un po’ il simbolo dello studio ‘Miwa & Matsura’.»
«Uno studio tutto vostro? Ricordo che Miki mi aveva accennato qualcosa. E’ fantastico!»
«Già. Inizialmente lavoravamo entrambi con
mio padre, poi abbiamo deciso di staccarci e aprire uno studio
indipendente. E’ stato un colpo di testa e per il momento siamo ancora agli
inizi, ma l’attività è abbastanza avviata da
permettere a me di mantenete questo gioiellino e a Yu di iniziare la convivenza.»
Satoshi guidò l’ospite all’interno e le mostrò le
stanze fino all’accogliente camera degli ospiti. La carta da parati celeste e i
mobili di legno chiaro la davano un aspetto quasi infantile e Meiko si trovò a sorridere. Satoshi
aprì le imposte e la luce filtrò attraverso le tende candide rendendola ancora
più graziosa.
«Accomodati e fai come se fossi a casa tua. Ti assicuro che
non è una frase fatta quindi mettiti pure comoda.»
disse.
«Ma non sarà un disturbo per…» Meiko esitò. «… la tua fidanzata?»
«Questa casa è mia e solo mia. L’unica donna che ha il
permesso di entrarci è mia madre e anche lei viene
molto di rado, quindi basta scrupoli, ok?»
Davanti al suo sorriso accattivante Meiko
si sentì quasi in colpa.
«Cosa
sto facendo? Se continuo così non sarò migliore di lui…»
«Purtroppo tra poco devo andare in ufficio, quindi vado a
farmi un doccia. Mi dispiace di lasciarti sola ma non
posso farne a meno.» continuò. «Se vuoi preparati un
tè o qualcosa da mangiare trovi tutto in cucina, nella credenza di fronte ai
fornelli.»
Detto questo si allontanò nel corridoio sotto lo sguardo di Meiko brontolando: «Se Miki e Yu si azzardano ad organizzare di nuovo una festa in un
giorno lavorativo, è la volta buona che li pianto in asso…»
Quando Satoshi
uscì dal bagno, la casa era silenziosa. Troppo silenziosa, si disse colpito da
un’idea improvvisa.
«Non se ne sarà
andata?»
Armeggiando con la cravatta nel tentativo di fare un nodo
decente, prese a girare tutte le stanze e infine scoprì che Meiko
si era addormentata sul letto della camera degli ospiti. I lunghi capelli
ramati si erano sparsi sul cuscino finendole anche sul viso e quando Satoshi le si accostò per
allontanarli notò che aveva le guance bagnate di lacrime. Mentre
indugiava con le dita sulla pelle umida, Meiko
afferrò la sua mano nel sonno.
«Shin-chan… perché…» mormorò.
A quelle parole l’espressione del ragazzo si oscurò. Si
liberò delicatamente dalla stretta e uscì.
CONTINUA…