Una misteriosa ragazza arriva a Sunnydale. Spike sembra conoscerla, come mai? Una storia ricca di azione, suspence, misteri... Cosa aspettate a leggerla? ;-D [Conclusa]
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Entrarono in una cappella illuminata da centinaia di candele, ma su quel
luogo privo di crocifisso e di qualsiasi altro oggetto sacro imcombeva
un'oscurità soprannaturale, che non poteva essere rischiarata neppure dai
raggi del sole.
La donna bionda avanzava sicura di sè in mezzo alla navata gremita di
persone. La bambina era dietro di lei, intimorita da quegli sguardi che
come aghi la trapassavano da parte a parte. Quegli esseri esaminavano ogni
sua mossa, bisbigliando parole di scherno e insulti irripetibili.
-Guardate, l'impura! -Come può il Maestro accettare una simile creatura fra
di noi?! -Taci. Le sue decisioni non si discutono, io credo in lui. -Quella
mocciosa è molto potente, è uno strumento utile per ottenere la supremazia
sugli umani -Tu la sottovaluti, chissà quante possibilità ha una tale fonte
di energia!-
Si fecero sempre più vicini, avidi di curiosità.
Erano rare le creature come quella bambina.
La donna dai capelli d'oro si parò davanti la bimba per difenderla,
ringhiando e facendo accapponare la pelle a tutti i presenti fulminandoli
con uno sguardo.
-N-O-N toccatela. Sono stata chiara?- chiese con un tono che non ammetteva
obiezioni.
Gli esseri ritornarono ai loro posti, mimetizzandosi per quanto possibile con
i punti oscuri tralasciati dalle candele. I borbottii di protesta, i
sussurrii che stavano di nuovo iniziando, furono placati da una voce roca e
autoritaria: -Silenzio!
La piccola sussultò. Di fronte all'altare si trovava un uomo robusto,
vestito integralmente di nero. No,non era un uomo, constatò quando le
fiamme vermiglie delle candele gli illuminarono il volto sfigurato. Un
volto da demone. Tremò, spaventata.
La bionda si inchinò a quell'essere, e con aria trionfale:
-Finalmente sono riuscita a portartela, Maestro.
La bambina si nascose dietro la lunga gonna della donna.
-Ooooh,- intrecciò tra di loro le sue orrende mani- e dov'è il demonietto,
mh?
La bionda si scostò lateralmente di qualche passo, per far scorgere a quel
mostro la bimba. Lui sorrise.
-Non mi avei detto che fosse così splendida, Angelus.-disse con falso
rimprovero all'uomo che stava poco distante da lui.
-Me ne pento profondamente, o mio signore.
Gli occhi di lui erano fissi su di lei, simili a lame pronte a trafiggerla
se avesse fatto qualcosa di sbagliato.
-Avvicinati.- ordinò l'essere immondo.
Salì, impaurita, le tre scalette che conducevano all'altare.
Il Maestro allargò la bocca in un sorriso tremendamente innaturale con quei
suoi canini aguzzi.
-Bene, brava. Accostati ancora di più in modo che io possa assaggiarti.
Cosa? Ecco, quella era un'azione che non le andava assolutamente di
compiere. Un buon motivo per scappare. Il problema era: come?
Si girò verso Darla, sua madre, che la guardava duramente. Non c'era
neanche da discutere:doveva farlo e basta. Lanciò un'occhiata disperata
alla porta, che le sembrava distante mille miglia. Scrutò il viso di
Angelus, suo padre, che era impassibile adesso.
Un brivido gelido le corse lungo l'intero corpo.
Tutti la osservavano morbosamente, attenti alle sue singole reazioni.
D'un tratto quel luogo, i vampiri che vi stavano dentro incominciarono a
vorticare prima lentamente, dopo sempre più velocemente, finchè la sua
vista non si oscurò e cadde sul pavimento svenuta.
Voci familiari, che si facevano nitide e forti a mano a mano che lei
riprendeva conoscenza. Sentì un dolore acuto alla guancia destra e
sinistra. Qualcuno l'aveva schiaffeggiata per destarla.
Una voce femminile ripeteva come una cantilena, piangendo: -Siamo perduti,
siamo perduti, siamo perduti...
-Lei è la nostra rovina.- affermò tagliente una voce maschile.
Le si strinse il cuore. In quel preciso istante desiderò sprofondare
sottoterra per non subire nuovamente lo sguardo e l'atteggiamento
inquisitorio di Angelus.
Piano piano aprì gli occhi.
Si trovavano in una stanza in cui gli unici mobili erano un armadio,un
letto semplice sfondato, uno specchio e una panca. Lei era su quest'ultima.
-Ti sei svegliata: era ora.- fece Darla indifferente.
Drussilla non mostrava segni di partecipazione. Soltanto Angelus aveva gli
occhi che lampeggiavano simili a saette.
-Lo sai chi sono io? Come vengo chiamato?- domandò apparentemente
tranquillo.
La bambina scosse la testa.
-Rispondi quando ti si fa una domanda!!!-ruggì, afferrando le sue piccole
spalle e scuotendole.
-N-no.- le lacrime le pizzicavano gli occhi ma lei le ricacciò indietro.
-Smettila.- comandò perentoriamente un uomo che era apparso sulla porta di
quella sorta di camera da letto. Era William.
-Blocca quella tua maledetta lingua finchè sei in tempo. Questa faccenda è
affar mio.
-A-hem... NOSTRO, mio caro.- precisò Darla.
Angelus le sorrise sarcastico:
-Si capisce, tesoro.
Drusilla non interveniva, si limitava ad assistere alla scena. Nessuno
saprebbe dire se fosse realmente presente in quel luogo o si fosse persa in
uno dei suoi mondi. Improvvisamente sbottò a ridere. Era una risata senza
senso, da pazzoide.
William, ignorando quella folle risata che continuava insistente, indurì la
mascella e con tono di sfida:
-Ti ricordo che in questa storia non ci sei di mezzo solo tu e la puttana
del tuo Sire! Dru e io abbiamo dato pure noi parte del nostro contributo.-
disse cupamente.
-Chi hai chiamato puttana?- saltò su immediatamente Darla, adirata.
-TE, e chi altri se no?- il blu delle iridi di William si stava tingendo di
giallo.
Angelus si frappose tra i due.
-Come hai osato?!!!- gridò rivolto al vampiro giovane.
Iniziarono a combattere.
La piccola guardava la sua immagine riflessa nello specchio disadorno. Non
si vedevano altri oltre lei lì dentro.
Era sola. Di nuovo. Sempre.
Drusilla le porse la mano. Lei la squadrò. La donna le sorrise stranamente.
Era compassione quella che le si leggeva negli occhi? Poteva una creatura
come lei provare un sentimento simile? Era inconcepibile.
Malgrado ciò, le prese la mano e si fece condurre all'aperto,
momentaneamente fuori da quell'inferno.
La città di Bath giaceva ancora addormentata, immersa nelle coltri della
notte inglese. La luna emanava il suo tenue chiarore nel cielo sgombro di
nubi.
Di punto in bianco la tranquillità in cui era sprofondata la casa di Giles
fu infranta dallo squillo fastidioso del telefono. L'osservatore fu
strappato dalle braccia di Morfeo e si svegliò. Inforcò gli occhiali,
impacciato, e in uno stato di torpore andò a rispondere, brontolando.
-Pronto?- fece con voce impastata.
-Signor Giles, la disturbo? Sono Buffy.
-Tsk! Non mi disturbi affatto visto che sono le tre del mattino.- disse
sarcastico.
-Eh?! Qui in California sono le sette di sera! ...Oh, capisco, mi scusi
chiamerò un'altra volta.- concluse molto imbarazzata.
Stava per riattaccare.
-Ehm... Buffy? Lascia perdere, ormai il sonno perduto non me lo ridà più
nessuno, neanche se mi rimetto tra le coperte. Quindi, dimmi quello che
devi ...spero per te che sia importante.- la ammonì.
-Ah, sì, certo... uhm, forse non tanto importante...-adesso era indecisa.
Si sentiva a disagio a parlare con il suo ex osservatore, lui era quasi
diventato un estraneo per lei.
-Santo cielo,Buffy!- scoppiò Giles- Mi telefoni a notte fonda solo per
riferirmi una cosa che a pensarci bene non era tanto urgente?!
Si era davvero spazientito.
-Sto aspettando.
-Willow...
-Oh, mio dio! Sta bene? Le è successo qualcosa?-chiese apprensivo.
-Giles, ora è lei che non mi fa parlare.- gli fece notare la cacciatrice,
seria.
-Ah, sì. Scusami.
-Will l'altra sera ha incontrato una ragazza, non l'ha vista bene in
faccia, che ha poteri simili ai suoi se non superiori. Ha raccontato che
quella con l'unica forza mentale è riuscita a sbattere un tizio contro un
muro, sospenderlo in aria e procurargli squarci profondi al petto. Si rende
conto, signor Giles? Senza muovere un dito e il suo corpo non ha risentito
del minimo sforzo, a quanto Will ha potuto dedurne!
-Mmmh.- era pensieroso.
-Signor Giles, è del tutto normale che ci sia una strega al mondo così
potente,vero?
-No, senza risentire delle sue magie. Ti dirò di più: non è una faccenda da
prendere sotto gamba. Devo consultare dei libri...
-Ma perchè? In fondo ha solo mal ridotto quel tipo con magie simili a
quelle di Will.
-Simili, non uguali.- le fece osservare.
-Ok,però a noi basta sapere che è una strega. STOP.-disse Buffy sbrigativa.
-In realtà mi preoccupa un altro punto della questione. Ultimamente pare
che nel mondo dei demoni ci sia un grande fermento: stanno cercando una
ragazza, probabilmente speciale in qualche maniera. Faccio delle ricerche e
poi ti chiamo, va bene?
-Sì, sì... crede che sia una cosa grave?
-Non lo so.
-Non è rassicurante come risposta.- e sospirando-Buonanotte.
-Grazie...ah! Tieni gli occhi aperti.
-Ci può giurare.
Ballava al ritmo frenetico di una musica che dopo tutto non le piaceva
neanche tanto. Era sudata. Danzava per scaricarsi, per non pensare a
niente. A quanto si sentiva stanca di ogni cosa. Continuava a vivere quella
monotona routine con da una parte il suo lavoro da cacciatrice e quello di
consigliere studentesco alla scuola.
Cercava di distrarsi. Usciva il più possibile con Willow, Xander o Dawn
accompagnandola a fare shopping, si allenava nei cimiteri al riparo da
sguardi indiscreti. Intraprendeva qualsiasi attività pur di non rimanere
sola e ...pensare. Sarebbe scoppiata in lacrime, lo sapeva.
Non doveva essere così. Lei era quella dura, forte, in gamba, autonoma. Il
fatto era che lei si sentiva persa in quella giungla zeppa di insidie della
sua vita. Forse aveva incominciato a provare quella sensazione da quando,
un anno prima, era tornata bruscamente in vita. Era passato del tempo da
quell'avvenimento. Troppo.
Era a disagio nel mondo reale per quel motivo o ... c'era dell'altro?
La musica finì e iniziò una canzone lenta. Adesso sul palco del Bronze era
salita una donna con una voce dolcissima.
Nobody knows the pain I feel
Nobody knows but it's for real
I can feel it,I do
Nobody knows that I miss you
Nobody knows but it's the truth
I can feel it,I do
Si recò al tavolo dove c'era anche Willow che tentava di mostrarsi allegra
raccontando un episodio buffo capitato a lei e Xander quel pomeriggio.
Buffy era sprofondata su una poltrona, sembrava attenta a ciò che la sua
amica le stava dicendo.
You cannot pretend that I don't even matter
You and I know better
You've been away from me for too long
It's time for you to come on home
No one can say what it is right for me
I need for you to come on over
I'll be waiting
In verità, l'ascoltava con finto interesse: la sua mente era altrove. Ormai
le era diventato automatico scrutare la gente del Bronze nella speranza di
scorgere una testa biondo platino e, successivamente, i caratteri spigolosi
e decisi del suo volto che conosceva talmente bene.
I am nothing without you baby
Nothing it's driving me crazy
Nothing,no one,I'm so alone
Nothing without you baby
Ogni sera andava a poco a poco affievolendosi in lei la speranza di vederlo
lì o in qualsiasi altro luogo di Sunnydale. Ogni notte e giorno percepiva
il vuoto, la voragine che si era creata nella sua anima allargarsi e la
cosa frustrante era che non poteva colmarla in alcun modo.
No one can see inside of me
No one can see how much I care
I need you,I do
Nobody sees the tears I cry
No one is there to dry my eyes
I need you,I do
Abbassò per un attimo lo sguardo focalizzandolo su Willow, nel tentativo di
concentrarsi finalmente sui suoi futili discorsi annuendo e sorridendo.
Ad un tratto il sorriso le morì sulle labbra.
Le mancò il respiro.
L'aveva visto.
Non si rese conto che Willow ora la stava guardando sorpresa e che aveva
smesso di parlare. Spike non l'aveva notata e quando si accorse di avere
degli occhi puntati su di lui, alzò i suoi e i loro sguardi si
incontrarono. In quel momento fu come se il tempo si fosse fermato e ci
fossero stati solamente lui e Buffy nel Bronze.
Le iridi di Spike, però, cambiarono colore passando dal blu al ghiaccio, e
con fatica immane riuscì a distogliere lo sguardo da lei e ad abbandonare
il locale.
Buffy scese violentemente dalle nuvole gettandosi al suo inseguimento
mentre una Willow allibita la vedeva andarsene senza riuscire a spiccicare
parola.
I don't care what they say about you
They don't know how I feel for you
I don't care what they say about me
They don't know and they can't see
Non gli avrebbe permesso di lasciarla di nuovo da sola!
Il cielo notturno di Londra era offuscato dalle miriadi di luci che
provenivano dalla città e producevano un massiccio inquinamento luminoso.
Quentin Travers stava sorseggiando del tè, assorto nei suoi pensieri.
Si trovava nel quartiere generale degli osservatori che era chiassoso come
una centrale di polizia.
Neanche nel suo studio si poteva stare in pace in quel periodo! Tutti i
"dipendenti" in quegli ultimi giorni erano agitati e preoccupati
perchè una nota setta composta da demoni e affini e addirittura umani aveva
abbandonato all'improvviso le sedi in Inghilterra e si era dileguata nel
nulla. Tracce cancellate ad opera d'arte, come soltanto i membri erano in
grado di fare. Questo lo innervosiva, più del frastuono di voci e di
telefoni che squillavano di continuo fuori dal suo ufficio.
Non avevano piste da seguire, di nessun genere.
Si lisciò l'esigua barba che aveva. Doveva trovare un modo per ...
Di colpo la porta si aprì e entrò Giles trafelato. Senza dire -A- appoggiò
l'enorme catasta di libri, che reggeva con entrambe le mani, sul tavolo di
Quentin con un tonfo.
-Giles- fece Quentin con superiorità- nessuno ti ha detto che si bussa
prima di entrare?
-Dubito che mi avresti sentito con tutto quel baccano.
Quentin rimase in silenzio. Odiava dover dare ragione a Giles che era una
delle tante persone che non poteva soffrire.
-Cosa sono?- chiese indicando i libri.
-Informazioni vitali.- affermò Giles, serio.
-Ah,sì?- alzò un sopracciglio Quentin, non molto convinto.
-Non ti fidi perchè la maggior parte dei libri non è ammuffita e polverosa
tipo quelli che possiede un normale osservatore che si rispetti?- domandò
con una nota di sarcasmo.
-Giles, non essere sempre sul piede di guerra ...sono sulla setta?
-Sì, la setta di Marcus, precisamente.
-Vedi di non nominare il nome intero, non si sa mai.-lo rimproverò.
Quentin li sfogliò velocemente.
-Cosa stanno cercando esattamente?
-Interessante, ottimo lavoro Giles.- chiuse l'ultimo libro- Niente di
particolare a quanto mi risulta...
-Ti risulta male, allora. Per quello che ne so io stanno cercando una
ragazza.- rivelò Giles, sospettoso. Quentin non gli stava dicendo il vero
ed era profondamente irritante.
-Non credo.- disse atono, tornando a bere il tè.
-Quentin.
Lui voltò la sua sedia girevole di pelle nocciola verso la grande finestra
che dava sulla strada.
-E' tutto qui, Giles. Puoi andare a casa per stasera. Terrò io il materiale.
Giles lo squadrò con vivo odio. L'avrebbe strozzato se avesse potuto.
Invece uscì dalla stanza sbattendo rumorosamente la porta dell'ufficio.
Quentin levò gli occhi al cielo, scuotendo la testa.
Una villa bianco neve si stagliava su un pendio scosceso.
Un giardino enorme pieno di gelsomini, belli di notte e altri fiori
notturni.
Una donna e una ragazzina sedevano su delle sedie da giardino all'ombra, al
riparo dai tenui raggi del sole primaverile.
La ragazzina osservava curiosa la donna mora che stava mischiando dei pezzi
di carta ingialliti e consumati dal tempo. Erano dei tarocchi.
-Che cosa sono?- chiese la ragazzina.
-Shhh... questo non ha importanza.- rivelò misteriosa, disponendo le carte
sul tavolino davanti a lei con le sue mani di candido marmo e le dita
affusolate.
La ragazzina non fece più domande, sapeva che non avrebbe ottenuto
risposta. Si limitò a sbattere i suoi occhi blu oceano con dipinta sul viso
un'espressione interrogativa.
La mora mugolò qualcosa tra sè e sè che lei non riusì a comprendere.
La donna alzò gli occhi color malva verso di lei. Poggiò i gomiti sul
tavolino e intrecciò le mani. La fissava attentamente. Sembrava che stesse
guardando fino in fondo alla sua anima.
-Scegli tre carte.
La ragazzina ne scoprì lentamente tre.
La donna le stava analizzando. All'inizio sorrideva soddisfatta ma di botto
la sua faccia si contrasse in una smorfia di disgusto orribile.
Cadde dalla sedia. Camminando carponi andò ad appoggiarsi al tronco della
quercia che incombeva su di loro, come se per lei avesse costituito
un'ancora a cui aggrapparsi.
-Ti senti bene, mamma?
La ragazzina le si avvicinò e le toccò un braccio. Drusilla, colta da un
moto di rabbia, la respinse graffiandogli una mano.
-Sorella, sorella, SORELLA!- gridò- Vattene!Allontanati da me!
Cominciò a piangere sommessamente.
La ragazzina dai capelli castano scuro la guardava sbalordita.
Intanto Drusilla si era rannicchiata ai piedi della quercia, mormorando
parole sconnesse:
-Non dovevi esistere... tu sei nostra non sua... chi è?CHI?... o COSA?
Angelus dove sei? Dove? ...perchè?
Si alzò di scattò e scuotè in modo violento la ragazzina.
-Chi è? Dimmelo, ti prego, io devo saperlo.- si lagnò.
-Wi... William!!!- chiamò con quanto fiato aveva in gola la castana,
disperata.- Williaaaaaaam!!!!!
Drusilla inarcò di lato la testa con uno sguardo indecifrabile.
-Perchè non me lo vuoi dire?
Le tre carte erano ancora sul tavolino, scoperte.
Il diavolo, la morte e la luna.
Dov'era finito?
Si guardava intorno freneticamente.
Ad un tratto sentì un rumore in un vicolo vicino.
Ci andò.
Un topo.
Ma perchè? Perchè diavolo era scappato?
Sbattè qualcuno contro il muro con un movimento fulmineo. Pensava che fosse
uno dei soliti vampiri: si sbagliava.
Era Spike.
Spike la guardava con un'espressione seccata e distaccata.
Buffy sentì freddo allo stomaco. Come poteva essere così indifferente?
Mollò la presa. Non aveva il coraggio di guardare i suoi occhi. Si
allontanò.
-Come, cacciatrice? Prima mi rincorri e poi te ne vai?- chiese
lui,schernendola.
Lei si bloccò.
-Sei cambiato.- disse piano.
-Sì, dolcezza, e non immagini quanto!- rise.
Adesso era proprio dietro di lei, percepiva il suo odore inebriante a cui
non sapeva resistere.
-Vattene e giuro che non ti impaletto.
-Vuoi veramente che esca dalla tua vita?
-Qual è il problema? L'hai già fatto una volta.-voleva essere il più
possibile glaciale, ma la sua voce era incrinata: stava per piangere. Si
trattenne.
Lui la girò e le prese il mento, di modo che lei fu costretta a guardarlo
dritto negli occhi.
-Stavolta, allora, uscirò per sempre di scena, baby. Non tornerò da te come
un cane fedele. Mi sono stancato.
Buffy era sconvolta e ipnotizzata all'unisono dal suo sguardo. Non riusciva
a liberarsene.
Spike rise. Sembrava divertito.
-Cacciatrice, cacciatrice ...non mentirmi. Non ne sei capace.
Possibile che doveva essere così ogni volta? Doveva sempre avere
maledettamente ragione?!
Cosa si aspettava d'altronde? Che lui fosse tornato per fare ancora il suo
zerbino?
C'era qualcosa di diverso in lui, di negativo. Era esattamente quello che
credeva.
-Allora? Il gatto ti ha mangiato la lingua?
Quel sorriso sarcastico. O Dio no, pregò tutti gli dei esistenti sulla
terra che non fosse ...
Spike stava compiendo una enorme fatica per non lasciar trasparire le sue
reali emozioni.
Era difficile resistere a quei suoi grandi occhi verdi che lo fissavano
perplessi.
Era meglio in quel modo. Recitare la parte da cattivo, di demone
senz'anima, menefreghista e strafottente. Si era nascosto dietro quella
facciata per un'eternità, perchè mostrare un differente lato di sè davanti
a una donna ingrata del suo amore?
Sì, anche questi erano i pensieri di Spike. Avere un'anima non significava
necessariamente essere buoni o poco obiettivi. Aveva i sensi di colpa,
riconosceva i mille delitti che aveva compiuto, si sentiva un verme per
aver violentato la splendida creatura che gli stava di fronte, però anche
lei non era stata da meno.
Non aveva dimenticato le miriadi di volte che l'aveva respinto, pure dopo
aver passato l'ennesima notte d'amore con lui negava l'evidenza o almeno
era quello che intuiva.
Ora Spike non era sicuro di volerle dichiarare per la centesima volta il
suo amore. Non era certo che lei lo volesse e ...sarebbe stata la cosa migliore?L'ultimo
tentativo di fare pace con lei c'era stato e si erano fatti
male,estremamente. No, doveva portare avanti la sua recita. Buffy non
sarebbe mai stata felice con lui. Il loro amore scottava troppo ed era
rischioso bruciarsi nuovamente.
Aveva ucciso? Ci metteva la mano sul fuoco, era da tempo immemorabile che
Spike desiderava togliersi quel dannato chip dalla testa, non ci si era per
niente abituato del tutto a quel marchingegno. Lo rendeva un animale in
gabbia.
Buffy si accorse che era impotente di fronte a lui. Non era capace di agire
o di muovere un singolo dito. Se l'avesse colpita lei non si sarebbe
difesa, forse non subito. Non era un atteggiamento da tenere nei riguardi
di un vampiro che, probabilmente, era attivo e nel pieno delle sue forze.
No, non se la sentiva di affrontarlo. Se era ritornato come una volta non
sarebbe stato facile fronteggiarlo. Non restava altra soluzione che
allontanarlo.
Cacciò fuori una croce di legno.
Spike indietreggiò, ringhiando.
-E' questa la tua risposta?- domandò,quasi meravigliato.
Buffy non parlava e lo guardava cercando di assumere un'espressione ferma.
Se avesse risposto, sapeva benissimo che la sua voce avrebbe tremato.
Spike rise. Sembrava una risata isterica.
-Come vuoi. Come vuoi, cacciatrice.
Le voltò le spalle e sparì poco a poco nelle tenebre.
Buffy rimanè a fissare l'oscurità per un tempo che le parve infinito.
Esausta dal suo cuore in subbuglio e dalle parole di lui, glaciali come i
suoi occhi.
-Buffy! Finalmente ti ho trovata ...- Willow si interruppe, seriamente
preoccupata per la sua amica che aveva una faccia stravolta.
-Buffy?- chiamò, titubante, appoggiandole una mano sulla spalla.
Lacrime silenziose iniziarono a scendere sulle gote della bionda.
-Willow...- le rivolse lo sguardo. E la rossa vide nei suoi occhi verdi
l'immenso dolore che aveva celato a lei e ai suoi amici per tre lunghi,
estenuanti mesi.
Si abbracciarono.
Intanto, dall'alto, su un edificio non lontano, si trovava una ragazza
bruna che aveva visto ogni cosa. Aveva gli occhi, che in quell'istante
erano neri simili alla pece, stretti in due fessure e accesi di una strana
luce sinistra.
Sentì di odiare quella donna bionda con tutto il suo essere.
Una melodia dolce. Un carillon. Una bambina lo osservava. Il suono sembrava
estraniarla dalla realtà. Una realtà macabra e opprimente.
Era rovesciato e la melodia non si udiva bene. Lo raddrizzò. Al centro
dell'oggetto, che le pareva fatato perchè non ne aveva incontrato uno prima
di quella notte, c'era una ballerina in tutù rosa confetto che girava
lentamente su se stessa. Era sporca di sangue, come ,del resto, l'intero
carillon.
La bambina tentò di ripulirlo ma il liquido denso si stava già raggrumando.
Lo squadrò spazientita.
Qualcuno la invitò ad alzarsi tendendole una mano. Era un uomo biondo col
viso sfigurato e con la bocca scarlatta, macchiata della medesima sostanza
presente sul carillon.
-Cavoli, orsacchiotta, avevi fame, eh? Andiamo?
La bimba lo guardò imbronciata. Indicò il carillon.
-Lo voglio. Uno identico.
William le sorrise.
-Sicuro, però tu mi devi garantire che continuerai a nutrirti da sola tipo
stanotte senza che io ti doni più il mio sangue. Affare fatto?
Lei annuì, abbozzando un sorriso. I canini della bambina erano decisamente
sviluppati ed un po' di liquido rosso era colato sul suo mento.
William la prese in braccio e insieme uscirono da quella stanza.
Il carillon suonava. Accanto ad esso si trovava un bambino disteso per
terra. Aveva gli occhi rivolti al cielo, simile a una richiesta d'aiuto a
un dio che non l'aveva soccorso. Aveva due piccoli fori su un lato del
collo e i vestiti imbrattati di sangue.
Il carillon suonava. Il bambino era morto.