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Autore: Sumiya Sakamoto    30/01/2011    4 recensioni
Era estate, ma nonostante la stagione, quella era una grigia mattina d’agosto. Cina aveva dormito poco la notte passata, sogni inquietanti e paurosi avevano affollato la sua mente, tormentandolo e svegliandolo di soprassalto. Posò i gomiti sul tavolo delle riunioni e portò le mani a stropicciarsi gli occhi che rischiavano di chiudersi. Francia, qualche posto più in là, era silenzioso, guardava un punto fisso davanti a sé, segno che anche lui aveva dormito poco. In quel momento la porta si spalancò ed Inghilterra fece il suo ingresso, incupendo ancora di più la stanza.
Genere: Guerra, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Cina/Yao Wang, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevo per la testa l’episodio di Hiroshima e Nagasaki, così è uscita questa fic. Dato che Cina e Giappone sono fratelli, ho provato a pensare a come avrebbe potuto sentirsi Cina sapendo che suo fratello era stato colpito così duramente. Spero vi piaccia, buona lettura.
 
 
 
 
 
 
 
 
Era estate, ma nonostante la stagione, quella era una grigia mattina d’agosto. Cina aveva dormito poco la notte passata, sogni inquietanti e paurosi avevano affollato la sua mente, tormentandolo e svegliandolo di soprassalto. Posò i gomiti sul tavolo delle riunioni e portò le mani a stropicciarsi gli occhi che rischiavano di chiudersi. Francia, qualche posto più in là, era silenzioso, guardava un punto fisso davanti a sé, segno che anche lui aveva dormito poco. In quel momento la porta si spalancò ed Inghilterra fece il suo ingresso, incupendo ancora di più la stanza.
“Good morning…” bofonchiò.
“Bonjour…” rispose assente il francese.
“Ni hao…” fece eco il cinese, ad occhi chiusi. Arthur era di cattivo umore, motivo in più per cominciare a lamentarsi appena arrivato “Non capisco perché quel cretino di Alfred abbia indetto una riunione straordinaria proprio il dieci di agosto. Fa caldo, ci sono le zanzare, c’è brutto tempo e io non ho dormito!”
“Siamo in due, allora.” mormorò Francis.
“In tre.” lo corresse Yao.
“Sai qualcosa di Russia?” chiese d’improvviso Inghilterra alla Cina. Questi sgranò gli occhi, colto di sorpresa, poi rispose “Non so più nulla di lui da quando ha invaso mezza Polonia, spartendosela con Germania.”
“Traditore…” sibilò Arthur, con rancore. Si sedette al tavolo, con le mani alle tempie e rimase in silenzio. Yao fu percorso da un brivido di freddo dovuto al sonno. Socchiuse gli occhi scuri, puntandoli in direzione della porta. Nello stesso momento, la figura alta e slanciata di America fece irruzione nella stanza, abbagliando tutti con il suo sorriso infantile, che gli arrivava da un orecchio all’altro. “Hi, guys!”
“ “Hi, guys” un bel niente!” sbottò seccato Arthur “Come diamine ti viene in mente di chiamarci a quest’ora di mattina per una stupida riunione?!”
Alfred non si perse d’animo e continuando a sorridere assunse un’aria saccente “Se sapessi cos’è successo, mio caro Arthur, non ti rivolgeresti all’eroe in questo modo. I am a hero!”
“Lo sappiamo, petit…” mormorò piano Francis, ancora con lo sguardo fisso nel vuoto.
“Ma non sapete cosa ho fatto in questi giorni!” incalzò l’americano.
“Hai mangiato hamburgers.” borbottò Inghilterra.
“Hai bevuto coca cola.” continuò Cina.
“Hai indossato un costume da super eroe.” azzardò Francia.
“Ho usato la bomba atomica!” esclamò orgoglioso America.
Il silenzio calò sui quattro personaggi per qualche secondo, colmo di stupore e curiosità. Tutti gli occhi erano fissi sull’americano per una volta, il cui sorriso sembrava allargarsi ogni secondo di più. Quando si accorse che America non aveva intenzione di continuare, Francis chiese “Dove?”
“Oh beh, dato che abbiamo praticamente tutti gli stati dalla nostra parte, eccetto le Potenze dell’Asse…”
Arthur alzò gli occhi al cielo, esasperato. Gli aveva ripetuto centinaia di volte quali stati erano dalla loro parte e quali dalla parte di Germania, Italia e Giappone. Per non parlare degli stati satelliti e dei governi che le Potenze manovravano con facilità. Per Alfred invece, tutto il mondo era dalla loro parte, contro Ludwig, Feliciano e Kiku. 
“…eccetto le Potenze dell’Asse,” continuò America “potevo scegliere tra Italia, Germania e Giappone.”
Silenzio. Pareva che Alfred si beasse di quel momento, nel quale tutti pendevano dalle sue labbra e intendeva prolungarlo il più possibile.
“Ebbene?” insisté Cina.
“Provate a indovinare.” ridacchiò l’americano.
“Germania.” rispose automaticamente Inghilterra.
“Italia.” mormorò Francia con voce roca e lievemente intimorita, ma Alfred scosse il capo “Giappone.”
Cina ebbe un tuffo al cuore. Si dimenticò di respirare e sentì improvvisamente le mani e il naso freddi. Giappone. Suo fratello. No, Giappone no, tutti ma non lui. Senza accorgersi si alzò di scatto, marciando verso Alfred. Con una forza impressionante per uno della sua corporatura, prese l’americano per i vestiti e lo sbatté contro il muro.
“Cina!” esclamò allarmato Francis, mentre Arthur si era alzato per intervenire.
“Che cosa gli hai fatto?” sibilò feroce il cinese, gli occhi ridotti a due fessure, che trapassavano quelli azzurri di Alfred, che ora non sorrideva più. “Che cosa gli hai fatto, bastardo?” gridò Cina scuotendo America. Sentì le mani di Inghilterra posarsi sulle sue spalle. “Cina, calmati.”
“Calmarmi? Ha lanciato una delle più potenti bombe al mondo contro mio fratello, dovrei calmarmi?” tornò a rivolgersi all’americano “Cosa gli è successo? Dimmi cosa gli hai fatto, dove l’hai lanciata?”
“Ad Hiroshima e tre giorni dopo a Nagasaki.”
“Cosa?!” gridò il cinese in preda al panico “Ne hai lanciate due! Due! Sei impazzito?! Sei… io… io ti…” fu evitato uno scontro fisico soltanto grazie all’intervento di Inghilterra che prese Yao di peso e lo trascinò lontano da Alfred e da Francia che si parò davanti all’americano, posandogli le mani sul petto e mormorandogli di calmarsi con il suo dolce accento francese.
“Tu sei morto! Sei una nazione morta!” gridò Yao mentre tratteneva a stento le lacrime.
“Questa è guerra, Cina!” gli urlò di rimando Alfred “Che cosa ti aspettavi combattendo contro Kiku? Che non l’avremmo toccato solo perché è tuo fratello? È un nemico e come tutti i nostri nemici va distrutto!”
“Smettila! Smettila!” gemette il cinese dibattendosi ancora nella presa di Arthur. Aveva completamente perso il controllo, non era da lui, ma quando aveva sentito di suo fratello non aveva più ragionato. Riuscì a liberarsi dalle mani dell’inglese ma invece di aggredire Alfred cadde in ginocchio, tremando e mordendosi a sangue il labbro inferiore per costringersi a non piangere. Conficcò le unghie nei palmi delle mani, guardando il pavimento e cercando di trattenersi dall’urlare o dal picchiare America, controllando il respiro per quanto poteva e tentando di calmarsi, anche se era difficile. Molto difficile.
Francia lo osservava. Capiva cosa stava provando, spesso gli capitava di essere in apprensione per Italia o di fare incubi notturni sul fratello più piccolo, che era stupido, ingenuo, ma in fondo gli voleva bene. Quella guerra li stava distruggendo. Si erano ridotti a lottare fratello contro fratello e a litigare persino fra alleati. Sospirò, avvicinandosi lentamente al cinese. Si accucciò accanto a lui e gli spostò una ciocca dei lunghi capelli dietro l’orecchio, scoprendo uno spicchio di viso. Guardò gli occhi lucidi di Yao senza dire nulla, notò come piccole gocce di sangue si stessero formando sul labbro martoriato dai denti bianchi della Cina. Gli fece una carezza gentile sul mento, sfiorando il labbro inferiore con un dito, come ad invitarlo di smetterla di farsi del male, mentre con l’altra mano lo accarezzava sulla schiena leggermente curva per la posizione assunta, per rincuorarlo “Yao…” chiamò dolcemente il francese. Di scatto, gli occhi velati di lacrime della Nazione orientale si incontrarono con quelli azzurri della Francia, che gli sorrise teneramente.
Arthur intanto aveva fatto il giro della stanza, arrivando fino ad Alfred e i due avevano cominciato a discutere piuttosto concitatamente in inglese, anche se sottovoce. Francis li ignorò, continuando a guardare Yao “Vuoi sederti?” gli chiese con gentilezza. L’altro abbassò lo sguardo, smettendo di tormentarsi il labbro inferiore che ormai si era colorato di scarlatto e cominciando a succhiarlo piano per pulirlo dal sangue. Annuì, con lo sguardo assente. Il francese l’aiutò ad alzarsi e a mettersi seduto su una sedia accanto al tavolo. Dopo qualche secondo di silenzio da parte del cinese, questi chiese, tentando di articolare la voce rotta “Potresti almeno dirmi quali sono state le conseguenze di questi bombardamenti, America?” il suo tono era gelido, tagliente, ma il tremolio della voce tradiva la sua paura e la sua apprensione. L’americano smise di parlare con Arthur e rivolse lo sguardo a Yao. Dopo pochi secondi che per la Cina furono interminabili, America parlò “Non sappiamo quante sono le vittime, ma crediamo che il numero raggiunga le centomila come minimo e le duecentomila come massimo. Civili perlopiù.”
Francis sentì Cina soffocare un gemito strozzato. Aveva fatto una strage, una carneficina. Aveva colpito Kiku in due delle sue città più importanti e aveva ucciso molte persone, troppe. Kiku non l’avrebbe sopportato. Kiku amava la sua gente, non avrebbe permesso che ciò accadesse, invece… invece era accaduto. Il cinese socchiuse la bocca come a voler parlare, ma non ne uscì alcun suono. Serrò le labbra, per paura di non riuscire a trattenersi dal piangere o dal gridare se avesse parlato ancora. Francia parve comprendere la sua situazione, perché chiese “Giappone come sta?”
Cina levò lo sguardo speranzoso e pieno di angoscia verso l’americano, che si limitò ad alzare le spalle e a dire “Non ne ho idea, credo non stia affatto bene. Spero almeno che annunci la sua resa, altrimenti dovrò andare avanti…”
“Che cosa?!” gridò di nuovo Cina alzandosi in piedi, pronto ad aggredirlo stavolta, se non fosse stato per Francia che, prendendolo per le braccia lo trasse verso di sé, mormorando “Sta’ tranquillo, non dice sul serio…” e guardando Alfred con uno sguardo così intenso da farlo ammutolire. Arthur, dopo aver scambiato uno sguardo con il francese, disse “America, forse è meglio se andiamo a parlarne fuori, qui fa piuttosto caldo.” Era una scusa banale, ma l’americano apparentemente parve capire e dopo aver lanciato un’ultima occhiata a Yao, forse dispiaciuta, forse rancorosa e arrabbiata o forse soltanto stupita, uscì dalla stanza, assieme all’inglese.
Nella sala calò un silenzio carico di dolore e angoscia, mentre il cinese lentamente si rimetteva a sedere e si portava le mani agli occhi per scacciare con rabbia le lacrime che gli annebbiavano la vista. Quando li riaprì vide un fazzoletto davanti a lui, portogli da Francis “Xie xie ni…” mormorò, prendendo il pezzetto di stoffa. L’altro gli sorrise e non rispose. Attese che l’orientale si fosse asciugato gli occhi e si fosse calmato un po’, poi cominciò “Non preoccuparti Yao, Kiku è forte. Ne ha viste molte in vita sua, è una Nazione antica e saggia, sa cavarsela, anche se tu lo credi sempre il tuo piccolo fratellino.” Il cinese scosse il capo “Non è per questo, o meglio… anche per questo, ma… Francis, la bomba atomica! Non una, due… in… in tre giorni… Su due città importanti!” sospirò “L’ha distrutto, ne sono certo.”
“Cina…”
“No, Francia, tu non sai… lui… io lo conosco… spero… spero solo che si arrenda. Per il suo bene, perché si salvi. Vorrei tanto poterlo vedere. Vorrei…” poterlo abbracciare. Vorrei tanto dirgli quanto sono stato stupido a combattere contro di lui. Vorrei dirgli che gli voglio bene e che per quanto possa crescere rimarrà sempre il mio fratellino. Vorrei poter curare le sue ferite e vegliare su di lui, giorno e notte. Vorrei… “Vorrei che la guerra finisse.” mormorò improvvisamente, mentre gli occhi gli si riempivano di nuovo di lacrime, che questa volta fu Francis ad asciugare. “Finirà, Yao.” gli disse con dolcezza. “Finirà presto, Cina.”
O almeno era ciò che entrambi speravano.
 
 
 
 
 
Xie xie ni: dovrebbe essere “ti ringrazio” in cinese. 

  
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