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Autore: Gwen Chan    30/01/2011    3 recensioni
Flusso di coscienza che in modo molto sintetico tratta la storia e i pensieri di Germania, il suo rimorso, i suoi vani tentativi di farla finita, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale al crollo del muro di Berlino.
Germania centric
Genere: Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Germania/Ludwig
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Voci. Milioni di voci.
Rimbombano nelle orecchie.
Nella testa.
Voci.
Continue.
Insistenti.
Un’ossessione.
Cerca di scappare, ma è inutile.
Non può fuggire da se stesso.
Senso di colpa. Oppressione.
Grida.
Non serve tapparsi le orecchie.
Nemmeno aspettare. Non si placheranno.
Mai.
Parleranno in eterno.
Si ripete che hanno fatto tutto loro. Che ha dovuto obbedire agli ordini.
Non vale nulla.
Loro…solo loro.
non lui… Non era lui a gioire per quello che faceva.
Ha riso. Davanti all’orrore.
Non lui. Un altro. Un altro sé. La sua parte oscura. Quella era stata la sua gioia, la sua follia.
Giustificazioni.
Scuse.
Continue.
Vane.
Berlino è distrutta, divisa, annientata.
Un muro la attraversa.
Distrutto.
Diviso.
Annientato.
Se avesse un cuore farebbe male.
Ma ha perso il suo.
Dimenticato.
Abbandonato.
Chissà dove.
Sepolto da qualche parte.
Per quanto ha fatto non ha diritto a un cuore.
Uno stato non ne ha bisogno.
È solo una marionetta, un burattino.
È stato solo un burattino.
Nella mani di pazzi.
Norimberga.
Accuse. Colpa. Vergogna.
Ancora giustificazioni.
Ancora vergogna.
Sguardi. Pieni d’odio. Disgusto. E ne hanno il diritto.
Si aggrappa alle sbarre della gabbia.
Come una bestia.
Quello che è stato.
Voci. Sentenze. Disappunto. Mormorii.
Rimorso.
Quando le guardie lo scortano fuori, non osa voltarsi.
Non ci riesce.
Non ancora.
A Norimberga ha lasciato un pezzo della sua anima. Uno dei tanti seminati in giro.
Un pezzo per ogni colpa.
Per ogni morto.
Se morendo potesse espiare, lo farebbe.
Ma uno stato non muore.
Crolla.
Cade.
Scompare.
Ma non muore.
Su Berlino piove. Forse è ora di farla finita.
Prende la pistola. Pesante, scura, fredda.
Toglie la sicura. Per la prima volta è puntata contro di lui.
Quanta gente ha ammazzato?
Un colpo.
Dolore. Sangue.
Fine.
Vita. Di nuovo. Ancora, all’infinito.
Si risveglia. Come se nulla fosse accaduto. Nessuna ferita.
Solo frustrazione.
Rabbia.
Urla.
Polonia.
Scuote la testa. Tanto da farsi male. Non vuole ricordare. Non di nuovo.
Non vuole ricordare quello che ha fatto.
Lo ha calpestato. Lo ha umiliato. Lo ha deriso.
Annientato.
E ne ha gioito.
Gli è piaciuto.
Inutile mentire.
Ha detto troppe bugie.
Il burattino ride. Una risata folle.
I fili si tirano e il burattino ride.
Calpesta la piccola nazione.
Peggio di un oggetto.
Per cinque anni.
Troppi. Troppi per dire di non aver avuto scelta. Troppi per chiedere scusa.
Non basta.
Non basterà mai.
La corda sembra robusta. Ruvida al tatto, grossa e robusta.
Ha fatto talmente tanti nodi che il gesto gli viene automatico.
Per una volta il cappio è attorno al suo collo.
Dura un attimo.
La corda preme.
Si sente soffocare.
I piedi dondolano.
Pochi secondi e sarà tutto finito.
Si risveglia.
Di nuovo.
Illeso. Svuotato.
Il cappio dondola ancora. Lì, terribile e inutile.
Se avesse un marco per tutte le persone che hanno impiccato, che ha impiccato, la crisi economica del dopo guerra non sarebbe più un problema.
Erano nemici. Solo nemici.
Quante volte lo ha ripetuto?
Quante spiegazioni vuote?
Italia.
Gli occhi colpi di stupore.
Il tentativo di non credere all’evidenza.
L’innocenza tradita.
Botte.
Calci.
Il burattino non si risparmia.
Suppliche.
Piagnucolii.
Gemiti.
Pugni.
L’italiano supplica. Implora pietà. Non è stato lui, il popolo è stanco, le bombe fanno paura. È stato costretto.
Ha dovuto firmare l’armistizio.
L’italiano aveva cercato in ogni modo di fermarlo.
Inutile.
Lo aveva ridotto in fin di vita.
Aveva visto il sorriso svanire da quelle labbra.
E dire che pensava fosse la sua sola espressione.
Le pillole sono bianche. Bianche e lisce.
Insapori.
Ne manda giù una.poi un’altra e un’altra ancora. Ne mangia a manciate.
Una dose più che sufficiente a far fuori un cavallo.
Lo stomaco si stringe. Si ribalta.
La nausea lo assale, violenta, terribile
. La nausea del rimorso e del senso di colpa.
Che lo porta a rigettare l’anima.
Almeno finalmente potrà liberarsene.
Fa un male cane.
Ma non importa.
Non basterebbe comunque per espiare. Non basterà mai.
E ancora si dimostra tutto vano.
Uno stato non muore.
Vorrebbe essere una persona, un semplice cittadino a cui sia permesso morire.
Il fuoco lambisce i mobili della casa. I libri bruciano. I vetri esplodono.
Forse le fiamme finalmente lo uccideranno.
Si ricorda della notte dei cristalli.
Notte di follia.
Una delle tante.
Annegate nell’alcol e nel sangue.
Ma nemmeno il fuoco funziona.
E lui si è stancato.
Basta.
Gli anni passano. Uno dopo l’altro.
I ricordi sbiadiscono.
Gli incubi si placano.
Le voci si calmano.
Ci sono, ci saranno per sempre, ma ha imparato a conviverci. Ad ascoltarle.
Il muro crolla.
Berlino esulta.
È di nuovo libera.
Completa.
Un pezzo del suo cuore, della sua anima, gli viene restituito.
Polonia.
Gli dà le spalle. Da quel giorno di settembre gli ha sempre dato le spalle. Ascolta.
Annuisce.
Le parole non sono sufficienti, lo sa. Però sono l’unica cosa che può offrire. Se potesse tornare indietro, riportare in vita i morti, lo farebbe.
E invece ha solo parole.
E Polonia ascolta. Si volta.
L’espressione è indecifrabile.
Condanna.
Perdono.
Un altro pezzo di cuore torna al suo posto.
Italia.
Evita il suo sguardo. Si fissa le ferite. Cammina in silenzio.
Poi ride.
Sono passati quasi quarant’anni. È stanco di piangere. Di pensare alla guerra.
Non è capace di provare rancore.
Anche lui ha avuto i suoi rimorsi.
La sua colpa.
La sua vergogna.
Sono stati solo dei burattini.
Alza gli occhi, dopo tanti anni lo guarda e sorride.
L’anima del burattino cresce ancora.
Le altre nazioni hanno perdonato.
I loro occhi ora sono diversi.
Umani.
Non lo additano più. Non lo evitano come la peste.
Ognuno ha le sue colpe.
L’importante è non dimenticare.
Non ripetere.
A Norimberga era stato un pazzo in gabbia.
Ora è di nuovo un uomo.
Una nazione.
Con un cuore che batte.
Vivo, non più un’ombra che cammina.
I fili sono tagliati.
Il burattino è libero.
Quanto è stato ora è scritto sui libri di storia.
Li apre.
Li richiude.
Non ha il coraggio di leggere.
Di rivivere.
E invece legge, legge ogni cosa.
Colpa. Sente un opprimente senso di colpa.
Ma ormai ha imparato a conviverci.
Uccidersi non serve a nulla.
Lo ha imparato a sue spese.
È da codardi.
Forse per questo non ne ha mai avuto la possibilità.
Vivere.
Per espiare.
Correggere gli errori.
Evitarli.
Per riconquistare il diritto di esistere.
Per non essere mai più un burattino.
Perché non si ripeta.

Note Dopo tanti mesi di assenza di efp, eccomi tornata. Sinceramente ho scritto questa storia di getto, dopo aver riscoperto quanto mi piace Hetalia e il suo universo. Ero indecisa tra rating giallo e arancione, alla fine ho scelto giallo perché non ci sono descrizioni esplicite. In questa ff è Italia del Nord a firmare l'armistizio l'8 settembre 1943. Spero sia di vostro gradimento.

   
 
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