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Autore: Evazick    30/01/2011    4 recensioni
Quattro ragazzi popolari.
Una ragazza nuova.
Una notte di Halloween.
Una casa.
E un incubo da affrontare e da cui sarà difficile scappare.
“Su una cosa avevi ragione, sai?” disse con un sorriso mentre il ragazzo singhiozzava. “Questo è stato davvero il miglior Halloween della mia vita.”
(Titolo ispirato da "Maneater" di Nelly Furtado e scritta con l'aiuto di "Lacrymosa" degli Evanescence)
Genere: Dark, Horror, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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“Ma chi si crede di essere, quella là?”

“Snobbarci così, in quella maniera…”

“Deve avere qualche problema, poveretta!”

“Già, forse viene da un altro pianeta!”

Risate. Risate sporche, risate fatte alle spalle di un’altra persona. Risate in realtà piene di rabbia.

C’era una nuova ragazza alla Marbley High School, al secondo anno, lo sapevano tutti. Si chiamava Emily e aveva sedici anni. Capelli neri a caschetto, occhi castani, pelle bianca. Nessun segno particolare, nessun interesse specifico. Non stava con le puttanelle, né con le emarginate. Non era dark, gothic, emo, figlia-di-papà o secchiona. Era la persona più normale di quella scuola, ma tutti la conoscevano per un unico, semplice fatto.

Non era rimasta minimamente impressionata dai Quattro.

Già, i Quattro. I quattro ragazzi più belli e popolari della scuola, quelli che le ragazze si contendevano ogni singolo giorno.

Andreas, star della squadra di basket.

Luke, nuotatore pluri-medagliato.

Justin, futuro attore (oppure pornodivo. Le scommesse erano sempre aperte).

Shane, il ragazzo che tutte le cheerleader avrebbero voluto nel loro letto.

Non che a loro Emily interessasse veramente: nessuno di loro voleva come ragazza la tizia timida appena trasferitasi in città. Ma sapere che esisteva qualcuno capace di resistere al fascino dei Quattro era un affronto intollerabile. Era una macchia nera sul loro curriculum di belli e fascinosi.

Era una radice maligna che andava estirpata al più presto.

Era per questo motivo che i ragazzi si erano ritrovati nel cortile della scuola durante la pausa pranzo. Ogni tanto qualche ragazza arrivava dalle loro parti e li salutava con un ‘Ciao, ragazzi’ oppure un ‘Posso rimanere con voi?’, ma se ne andava presto con la coda tra le gambe e un’espressione delusa in faccia.

Quando la campanella di fine pausa suonò, i Quattro non si mossero dai gradini dove erano seduti e restarono lì a rimuginare. Esisteva un modo per far pagare alla nuova arrivata il suo affronto, di questo ne erano sicuri: ma doveva essere una punizione tremenda, qualcosa di così tremendo e spaventoso da far capire a Emily Force chi comandava alla Marbley. E così loro avrebbero avuto di nuovo il potere dell’intera scuola nelle loro mani, e avrebbero anche guadagnato una nuova ammiratrice. Costretta con la forza, certo, ma pur sempre un’ammiratrice.

“E se la mettessimo sotto con la macchina?” propose Luke mentre giocherellava con un portachiavi a forma di lucchetto.

“Idiota, così ci denunciano!” esclamò Andreas. “Non dobbiamo farle del male fisicamente, ci basta solo farla spaventare un po’.”

“Potremmo rinchiuderla a scuola e poi lasciarcela per tutta la notte,” disse Shane.

I ragazzi continuarono a fare progetti. Justin, solitamente il più chiacchierone del gruppo, se ne stava in silenzio come se stesse pensando a qualcosa. E quando alla fine esclamò “Trovato!” tutti si girarono verso di lui, aspettando di sapere quale colpo di genio lo aveva fulminato.

“Tra due giorni è Halloween, no? Andiamo a casa sua di nascosto e, quando meno se l’aspetta, sbuchiamo fuori travestiti! Vi posso garantire che le verrà un mezzo infarto e la situazione sarebbe risolta!”

Passò qualche attimo di silenzio prima che gli altri ragazzi dessero delle pacche sulle spalle a Justin e si complimentassero per la sua idea geniale. Rientrarono velocemente in classe, tutti decisamente di umore migliore.

Quel pomeriggio stesso si ritrovarono a casa di Andreas per preparare accuratamente il piano: decisero cosa fare, andarono a comprare la roba per i travestimenti e tutto il resto, e alla fine si guardarono soddisfatti e con dei ghigni poco tranquillizzanti in faccia. “Signori, se posso dirlo questo sarà l’Halloween migliore che Emily Force abbia mai festeggiato!” esclamò Shane, iniziando poi a ridere insieme agli altri.

 

Il 31 ottobre i Quattro si incontrarono all’inizio della via dove abitava Emily, e si diressero verso la casa in perfetto silenzio. Avevano perfezionato l’idea iniziale e non si erano travestiti: si sarebbero limitati a fare un po’ di rumore attorno alla casa della ragazza per farla letteralmente cacare addosso. Nessuno stava nella pelle e tutti si pregustavano il momento in cui avrebbero sentito quelle urla femminili di spavento.

Davanti a casa di Emily, Luke e gli altri si diressero immediatamente verso il campanello, da dove avrebbero poi iniziato il divertimento. “Justin, tu vai di là con Andreas. Shane e io suoniamo qui e poi andiamo…” iniziò, ma non fece in tempo a finire la frase che la porta davanti a loro si spalancò, facendo uscire all’aperto il visino di Emily, sorpresa di vederli lì. Non appena si riprese, disse: “Ehi! Voi che ci fate da queste parti?”

“Noi…” balbettò Luke, spinto ad andare avanti da un calcio di Shane. “…Noi eravamo andati in giro a fare dolcetto o scherzetto.”

“Non vi sembra di essere un po’ cresciuti?” disse lei, iniziando a ridere e contagiando anche gli altri. Alla fine li guardò con i suoi occhi castani e propose: “Vi va di venire in casa mia? Anch’io non ho niente da fare.”

I Quattro si guardarono stupiti: non riuscivano a credere alla loro fortuna! Sarebbe stato più divertente portare a termine il loro piano dentro la casa. Andreas si girò verso la ragazza e disse: “Certo, perché no?”

Lei sorrise di nuovo, ignara, e spalancò la porta, facendo entrare i ragazzi e poi richiudendola alle loro spalle. I ragazzi si guardarono intorno, meravigliati: l’ingresso era abbastanza grande, e sia a sinistra che a destra si intravedeva un salotto. Davanti a loro c’era un tavolino rotondo con una tovaglia di merletto e un candelabro nero sopra, e dietro una scala portava al piano superiore. Emily superò il tavolino e iniziò a salire le scale, ma, arrivata al quarto gradino, si girò verso i ragazzi e disse loro: “Vado a finire di prepararmi e poi torno qui, okay? Non scappate, mi raccomando!”

I Quattro la guardarono sparire di sopra, poi Shane si girò verso gli altri e sussurrò: “Okay, sparpagliamoci in giro per la casa e non facciamoci trovare. Ricordatevi di prendere la roba per fare rumore, altrimenti il piano va a pu…”

“A proposito, Luke, come ti è andata la gara sabato?”

La voce di Emily dal piano di sopra gelò i ragazzi nella posizione in cui erano. Shane fece cenno all’interpellato di rispondere, e così fece. “B… Bene. Però sono arrivato secondo.”

“Oh, che peccato.” Nella voce della ragazza c’era veramente una nota di tristezza, come se le avessero appena detto che era morto il gatto della sua migliore amica. Continuò: “E tu, Andreas? Come va il campionato?”

Andò avanti così per dieci minuti, e per i ragazzi era impossibile spostarsi dall’ingresso: ogni volta che uno di loro cercava di allontanarsi, la voce al piano di sopra lo richiamava e gli chiedeva della scuola, della sua famiglia o dei suoi interessi. Quando si zittì e loro pensarono di avere campo libero, dei passi iniziarono a scendere le scale, accompagnati da quella voce familiare: “Eccomi! Scusate se ci ho messo così tanto, ma questo vestito non mi si infila mai nel modo giusto!”

“Oh, non ti preoccupare…” mormorò a denti stretti Shane, ma la sua rabbia sparì insieme a quella degli altri ragazzi non appena Emily comparve davanti a loro sulle scale: indossava un lungo vestito nero che le copriva perfino i piedi, con un minuscolo scollo a semicerchio e le maniche strette ai polsi con del pizzo nero tutto intorno a essi. Si girò un momento per prendere qualcosa dal gradino dietro di sé, rivelando un immenso scollo sulla schiena, dal collo fino alle mutande. I Quattro erano decisamente sbalorditi: davvero Emily Force era così sexy? Come cavolo avevano fatto a non accorgersene prima?

“Piccola birbantella, non devi starmi sempre appiccicata,” disse lei, voltandosi di nuovo verso i ragazzi e raggiungendoli, tenendo in mano una piccola palla bianca. Quando fu più vicina, videro che era una minuscola gattina con due occhi azzurri che li guardava con aria sognante. Justin allungò una mano e le fece una carezza, sotto lo sguardo di fuoco di Shane. Diavolo, non è così che doveva andare!

La gattina lanciò una zampata verso la mano di Justin, che però la ritrasse subito con una risatina. Emily sembrò per un attimo imbarazzata, poi disse: “Scusala, non è abituata agli estranei.”

“Non ti preoccupare,” le disse il ragazzo, poi le chiese: “Dove sono i tuoi genitori?”

“Fuori. Stavano fuori tutta la sera, ma non so dove,” si affrettò a rispondere lei. Mentre apriva la bocca per aggiungere qualcos’altro, il lampadario sopra di loro fece Fzzz e la lampadina si spense, e così anche tutte le altre. Al buio più pesto, si sentì solo il respiro affannato della ragazza. I ragazzi videro la sua sagoma abbassarsi per mettere a terra la gatta, e poi raggiungere il tavolino e accendere con un accendino che aveva in tasca la candela sul candelabro nero. Si girò di nuovo verso di loro e disse: “È colpa di questa casa, è troppo vecchia e l’impianto elettrico funziona male. Qualcosa di voi sa dove può essere il generatore per far ripartire la luce?”

E che ne sappiamo? Questa è casa tua! pensò arrabbiato Shane, e si incazzò ancora di più non appena vide che Justin si faceva avanti e diceva: “Ti accompagno io. Casa mia è simile a questa, penso sia nel ripostiglio.”

“Davvero?” Un guizzo strano passò negli occhi della ragazza, ma scomparve subito e lei sorrise dolce. “Allora ti faccio strada.”

Il ragazzo mosse un passo per seguirla, ma Shane lo afferrò per il braccio. Lui, però, si scrollò la sua mano di dosso e seguì Emily che, mano a mano che si allontanava, lasciava gli altri sempre più al buio. Non appena furono soli, Luke esclamò: “Che idiota! Possibile che gli basti solo una schiena scoperta per dimenticare cosa dovevamo fare?”

“Che figlio di puttana,” continuò Andreas. “Non appena torna qui, usciamo da questa casa e gli facciamo un cazziatone.”

Shane fece per commentare, ma in quel preciso momento Emily tornò con la candela in mano. E senza Justin.

“La luce dovrebbe ripartire fra poco, se il vostro amico non si è sbagliato,” disse con una risatina.

“Justin dov’è?” chiese Luke, poco tranquillo.

“È andato un attimo in bagno. Non preoccupatevi, ci raggiungerà tra poco.” Shane la guardò: c’era qualcosa nella sua voce, nei suoi occhi, persino nel suo vestito che non gli piaceva, e quella parte primitiva del suo cervello, quella dominata dall’istinto di sopravvivenza, gli stava urlando di andarsene di lì, di allontanarsi da quella ragazza. Vide che Andreas e Luke stavano provando la stessa cosa, e prese in mano la situazione. “Digli che ci raggiunga a casa mia. Adesso dobbiamo proprio andarcene.” Fece dietrofront e mise una mano sulla maniglia della porta ma, per quanto tirasse e spingesse, lei si rifiutò di aprirsi.

“Non vorrete andarvene adesso? La festa è appena cominciata.” Emily fece una risata che di umano aveva ben poco, e improvvisamente la candela si spense tra le sue mani e i ragazzi non riuscirono nemmeno più a vedere la sua sagoma tra le ombre. Shane fece appena a sentire il respiro affannoso e spaventato di Luke alla sua destra, e poi il ragazzo si lasciò scappare un urlo e scappò via, lontano dall’ingresso, addentrandosi dentro quella casa maledetta. “Luke, dove vai? Torna indietro, razza di coglione!” gli urlò Andreas, ma l’altro non gli rispose, limitandosi a smettere di urlare. Shane fece per aggiungere qualcosa, ma in quel preciso istante le urla iniziarono di nuovo, insieme a delle esclamazioni di aiuto e pietà. Dopo poco cessarono del tutto e il tonfo di un corpo che cadeva per terra risuonò in tutte le stanze.

I due ragazzi ancora nell’ingresso si scambiarono un’occhiata al buio e, senza parlare, si diressero senza fare rumore verso il salotto alla loro destra. Dovevano nascondersi, sfuggire a Emily o a qualunque cosa ci fosse in quella casa. Shane era talmente immerso nei suoi pensieri che fece un salto quando Andreas lo afferrò per un braccio e gli indicò qualcosa vicino al muro: l’altro si girò, annuì e si infilò veloce dentro l’armadio di legno vicino a una vecchia poltrona. Andreas fece per raggiungerlo, ma qualcosa lo afferrò e lo trascinò sempre più lontano, verso l’ingresso, tra le sue urla, così simili a quelle che Luke aveva fatto poco prima di morire. Shane chiuse veloce le ante e rabbrividì dentro l’armadio mentre sentiva gli ultimi suoni provenienti dall’amico e un colpo sul pavimento. Dei passi, sicuramente non quelli del ragazzo, si fecero per un secondo più vicini al salotto, e poi tornarono indietro, salendo lentamente le scale.

Shane sforzò di calmarsi. Okay, calmati. Puoi ancora uscire da questa casa, se sei abbastanza silenzioso. Gli dispiaceva non essere riuscito a salvare gli altri tre, ma al momento si preoccupava soltanto della sua vita, al resto avrebbe pensato dopo. Quando fu certo che i passi erano completamente scomparsi dal pianterreno, sbucò fuori dall’armadio e si avvicinò a una delle finestre del salotto. Provò ad aprirla, e ad aprire anche quella accanto: niente.

Fece tutto il giro del piano inferiore, provando ad aprire porte e ad alzare finestre: era tutto inutile, erano tutte chiuse, e qualcosa gli diceva che, anche se avesse provato a spaccare il vetro con qualcosa di pesante, quello non si sarebbe nemmeno schiantato e gli avrebbe impedito di fuggire da quella casa.

Mentre tornava verso l’ingresso, inciampò in qualcosa per terra e rischiò di crollare sul pavimento, ma per fortuna riuscì a mantenere l’equilibrio. Fissò la cosa per terra e ebbe un brivido quando riconobbe una figura umana distesa. Con le mani tremanti, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una minuscola torcia elettrica e la puntò addosso alla figura.

Dovette trattenere sia un urlo che un conato di vomito.

Steso sulla schiena, il corpo senza più vita di Justin lo fissava con gli occhi castani vitrei e spalancati, e la bocca aperta in un’espressione terrorizzata. A parte questo, il viso era ancora intatto, ma non si poteva dire lo stesso del torace: c’era un grosso… un grosso buco nel punto dove doveva esserci il cuore. Il sangue coagulato lì intorno era nero come petrolio, e sembrava che stesse continuando a sgorgare dalla ferita, come quella sostanza chimica nera cade dalle ali di un gabbiano tuffatosi in acqua nel momento e nel luogo sbagliato. Inoltre, mancavano il braccio sinistro e parte della gamba destra. Shane si chinò leggermente sul corpo dell’amico e si coprì la bocca con una mano quando vide che del cuore non c’era più traccia: sembrava fosse stato strappato con le mani dal petto con una ferocia disumana.

Il ragazzo lasciò perdere la cautela e si diresse a tutta velocità verso la porta principale. Cercò di aprirla, ma quella rimase chiusa esattamente come prima: non se ne curò e continuò a spingere, tirare, spingere, tirare, per uscire da quella casa, da quell’incubo.

Qualcosa si sfregò contro la sua gamba e gli soffiò contro. Arrabbiato, Shane prese per la collottola e si portò all’altezza degli occhi il gatto bianco di Emily, che miagolava e cercava di colpirlo con gli artigli. “Stupida bestiaccia, tornatene da quel mostro della tua padrona!” gli sibilò, scaraventandolo contro le scale. Il gatto fece un miagolio ancora più forte e il ragazzo impallidì quando dei passi iniziarono a scendere i gradini.

Lasciò perdere la porta e tornò nel salotto dove si era nascosto l’armadio, ma si rese conto di essere stato beccato non appena ebbe quella strana sensazione di essere osservato alla nuca. Senza smettere un solo secondo di tremare, si voltò di nuovo verso l’ingresso e rimase stupito dalla scena che vide.

Riusciva a vederla perfettamente, Emily, anche se la luce non c’era: sembrava quasi che risplendesse da sola attraverso la pelle pallida. Lo stava fissando, col lungo vestito nero ancora in ordine e i capelli neri che le si erano improvvisamente allungati fino alle gambe e che si muovevano intorno a lei come serpenti. Sul suo viso c’era quello stesso sorriso dolce, ma stavolta era più crudele, e intorno alla bocca, come rossetto nero, c’era un sacco di sangue. E dietro di lei… oh, Shane le vedeva benissimo, anche se non sapeva cosa fossero. Ombre, che si muovevano e cercavano di protendersi verso di lui. Ombre spaventose, strani incubi, parti del Male o di una mente malata, tutti impazienti di stringerlo tra le loro braccia e non lasciarlo andare mai più.

Cercò di muovere un passo, ma era come pietrificato.

Emily si mosse lentamente, un passo alla volta, finchè non se lo ritrovò davanti e lo guardò negli occhi con i suoi. Anche quelli erano cambiati: non erano più castani, ma rossi come il sangue che le circondava le labbra, e la cornea aveva un contorno nero come l’oscurità di una notte senza luna.

Si accorse che Shane stava fissando un punto dietro di lei e rise. “Hai paura dei miei amichetti, non è così?” Gli passò un dito lungo la guancia. “Non devi averne. Non ti faranno del male, se farai il bravo bambino. Altrimenti, chissà… potrei dire loro di divertirsi. E i loro divertimenti sono alquanto perversi.” Sorrise di nuovo.

Il ragazzo non aveva smesso un solo secondo di tremare e stava per scoppiare a piangere, ma decise che non lo avrebbe fatto. Non poteva mostrarsi così debole, non davanti a quel mostro

“Debole? Mostro?” Emily lo guardò stranita e rise di nuovo. Prese il suo viso con la mano destra.“Ti sei già mostrato debole, non è una cosa che mi devi dimostrare. E tra noi due il vero mostro, qui, sei tu.

“C…Cosa?” riuscì finalmente a balbettare lui.

“Sì, hai capito benissimo.” Gli occhi della ragazza si accesero, diventando ancora più rossi, e i suoi capelli neri le si rizzarono quasi sopra la testa, sfidando la legge di gravità. “Tu e i tuoi amici volevate spaventare una ragazzina sconosciuta soltanto perché non vi rispettava e non vi considerava ‘dei’. Sei curioso di sapere il perché, Shane Huger?” Avvicinò la sua bocca all’orecchio di lui e sussurrò: “Vedi, ho visto gli dei più di una volta. E posso garantirti che tu e quegli altri tre patetici idioti non eravate nemmeno la metà di loro.”

Eravate? Al suono di quella parola, il ragazzo scoppiò a piangere. “Pietà, pietà!” urlò.

Come osi chiedere pietà?” urlò lei arrabbiata. “Voi non avreste avuto pietà con me, cosa ti fa credere che io ti riserverò un trattamento diverso?”

Il ragazza non smise di piangere neanche quando la ragazza gli avvicinò la mano destra al petto e avvicinò la sua bocca al collo. “Ti prego, ti prego, non lo fare! Non mordermi, non voglio diventare un vampiro!”

Emily si fermò e stavolta lo guardò davvero stupita. “Un… vampiro?” mormorò incredula. Scoppiò in una risata che aveva il suono di centinaia di pipistrelli in volo e poi fissò Shane negli occhi. “È questo quello che credi io sia? Un vampiro?” Si avvicinò ancora di più. “Mi dispiace deluderti, mio caro, ma io non sono un succhiasangue della loro razza. Il sole non mi intacca minimamente, e non devo preoccuparmi ogni volta che passo davanti a una chiesa.” Fece una pausa. “Ma posso garantirti che sono molto più pericolosa e antica di loro.”

Riportò di nuovo la bocca al collo del ragazzo, ma poi cambiò idea e la riportò di nuovo al suo orecchio. “Su una cosa avevi ragione, sai?” disse con un sorriso mentre il ragazzo singhiozzava. “Questo è stato davvero il miglior Halloween della mia vita.”

Shane si era preparato al morso che i denti della ragazza gli avrebbero fatto nella carne, ma non era assolutamente preparato a quello che invece successe.

Proprio mentre un orologio a pendolo iniziava a battere la mezzanotte, Emily affondò la mano nel petto del ragazzo, e strappò e tirò fuori il suo cuore, che continuò a batterle in mano per qualche secondo.

E nessuno sentì le ultime grida di dolore e spavento di Shane Huger.

 

The End.

  
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