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Quel diavolo, il veleno dell'anima

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Notte, la luce filtra dalle finestre rarefatta riuscendo a  illuminare di poco il basso tavolino in severo stile vittoriano.
I rami spogli e autunnali degli alberi bussano sul vetro educatamente, il demone li ignora restando in ascolto del silenzio, ogni suono e ogni oggetto della stanza gli rammentava qualcosa, cosa se ne facesse dei ricordi neppure lui lo comprendeva.
La nostalgia era uno dei misteri dell'uomo, e lui ora ne era stato catturato.
Vide la sua mano che accarezzava quella morbida giovinezza, il senso del possesso vedendola contorcere nel dolore e nell'estasi sotto le sue cure. Osservò tutto il suo mondo sgretolarsi e annullarsi consumato dalla sua fame e dalla sua sete fino a quando l'unica cosa rimasta come appiglio per la sua lucidità mentale era lui, la morte che sorridente gli aveva sempre camminato affianco. Della quale pronunciava il nome che aveva scelto per la sua forma, fino a svuotarsi i polmoni. Ora lo Invocava sotto le sue dita come un amante implorante, ora sotto di lui lo dannava gridando ingiuriando quello stesso nome.
Di quel viso più di tutto si rammaricava di aver perso quegli occhi di un blu così tenebroso in cui si poteva annegare di disperazione senza più riuscire a sperare di risalirne la superfice.
..Che ironia, penso tra sé.

«Una bellezza crudele, quella che rimane nella mente...restando intangibile.»

Restò una statua inespressiva e onniscente puntellata con un gomito sul bracciolo nella poltrona del salotto con una mano che gli soreggeva il capo chino, le due fiammelle color cremisi che balenavano nel suo sguardo non riuscivano a nascondere del tutto il loro tormento, fissando l'anello che ora al buio rivelava la sua presenza con un fioco barlume.

«Un capriccio spietato e masochistico ciò che lega l'uomo al ricordo...
e ora questa assurda follia ha avvelenato anche me..»