Lasciami
cadere giù…
Dedicata a Tinta87 che mi ha fatto
innamorare di questo telefilm
e mi ha sostenuto durante la scrittura
e a Bellis che mi ha sostenuta e ha
letto pur non conoscendo…
#001
~ Come back.
Quando
entrò nell’enorme stanza, che - più specificatamente - era il suo posto di
lavoro, uno strano odore invase le sue narici. Si fermò, poggiando un leggero
bagaglio a terra e ad occhi socchiusi si perse nel respirare quel profumo che
non riusciva ad identificare, né aveva mai sentito.
Sapeva…
sapeva di… casa.
Nate
si soffermò a pensare a quanto fossero sconclusionati ed illogici i suoi
pensieri: fino a pochi istanti prima era pronto a giurare di non aver mai
sentito quel profumo ed ora, al contrario, riusciva a classificarlo come
familiare.
Sorrise,
quasi impercettibile: era felice di essere tornato e per quanto chiunque avesse
affermato senza dubbio che l’aria di quel posto non avesse alcun odore, per lui
in quel momento ogni cosa fosse legata al suo ritorno sapeva di casa.
Riprese
il bagaglio e fece qualche altro passo, accorgendosi quasi immediatamente di
più voci che battibeccavano poco più avanti.
«Tu
non hai motivo di lamentarti Kensi: non credo che Deeks ti dia più problemi di
quanto me ne causi questo qui!» si stava lamentando Sam, indicando il collega
che ora gli scoccava uno sguardo allucinato.
«Ah!
Non direi proprio, Sam: tu non passi tutto il giorno con lui!» si difendeva la
ragazza, spostando con gesto rapido la mano verso Marty, che smise di
dondolarsi sulla serie per ripetere pressoché lo stesso sguardo di G.
Senza
che i due imputati potessero
notarlo, i loro giudici si erano
lanciati uno rapito e malandrino sguardo d’intesa, suggellato da un sorrisetto
che non prometteva nulla di buono e che non era – ovviamente – sfuggito a Nate,
che ancora li guardava senza essere visto.
«Deeks
ha abitudini pessime ed è un vero e proprio ficcanaso!» continuò a lamentarsi
Kensi.
«Ah,
perché vogliamo dimenticare la mancanza di puntualità di G…»
«Mai
fatto!» si difese l’interessato superando la voce del collega.
«…o
il fatto che molto spesso le nostre conversazioni si riducono a monologhi?!»
concluse Sam senza curasi delle proteste di Callen.
Deeks
sbuffò: quella discussione rischiava di degenerare e già al momento non era di
certo ad un buon punto.
«Non
è che voi due siate partner perfetti, eh!» si difese, accompagnato dal forte
gesto d’assenso che muoveva la testa di G.
«Ma
sentili! Che cosa avremmo noi che non va?!» chiese con tono orgoglioso Kensi,
guardando dritto negli occhi Mary che non sembrava trovare argomenti da
contrapporre alla nuova sfida, ma apriva e chiudeva la bocca senza pronunciare
parola.
Solo
allora Nate si fece notare, muovendosi in avanti e schiarendosi la voce.
«Su,
bambini: basta litigare. Se farete i buoni, darò a tutti una caramella!»
pronunciò con accento paterno, autorevole ma divertito.
Tutti
si voltarono di scatto e averlo di fronte fu una vera e propria sorpresa.
«Nate!»
esclamarono quasi in coro, mentre Kensi corse ad abbracciarlo facendolo
sbilanciare e poco mancò che caddero entrambi.
«È
bello rivederti» gli sussurrò con gioia nella voce.
«È
bello essere tornato…» fece lo psicologo con un malcelato tremore nella voce.
Quando
l’agente lo lasciò andare, anche gli altri lo salutarono allegri con pacche
sulle spalle e strette di mani e lo stesso Marty, che pur aveva lavorato con
lui molto poco, fu ben felice di riaverlo con loro.
«Come
stai?» chiese Callen, osservandolo con un intensità che Nate aveva quasi
scordato e che parve trafiggerlo come un proiettile.
«Bene,
G» rispose con un sospiro ed un mezzo sorriso, nonostante il peso sul cuore
sembrasse farsi più pesante e il nodo alla gola minacciasse di farlo crollare.
L’agente
rimase a guardarlo per alcuni istanti e anche quando i suoi occhi azzurri
lasciarono il volto dell’amico non fu affatto convinto delle sue parole.
Fugace, cercò lo sguardo di Sam che comprese il tutto senza aver bisogno di
parole o più tempo di quei brevi istanti.
«L’incarico
che ti ha affidato Hetty deve esser stato davvero difficoltoso ed importante se
è durato così tanto» tentò all’indirizzo dello psicologo.
Questi
sorrise mestamente ancora una volta, cogliendo al volo in tentativo di Sam e
incrociò i suoi occhi tentando di tenere i suoi quanto più ermetici possibile,
per non farsi scappare neanche un briciolo delle emozioni che, tuttavia,
provava.
«Oh,
lungo. Solo molto lungo, Sam. Ora scusate: devo andarle a fare rapporto»
rispose, con voce che, comportandosi in modo impeccabile, non tradì neanche per
un istante la sua voglia di defilarsi da quella situazione.
Camminò
verso l’ufficio di Hetty con finta nonchalance e dopo averla abbracciata, le si
sedette di fronte, mentre sentiva da lontano lo sguardo di tutti trafiggergli
la schiena.
«Non
ha detto loro ancora nulla, dottor Gezt?» chiese la donna, pur conoscendo la
risposta.
«Non ancora» sottolineò lui.
Hetty
sorrise, in un misto tra rispetto e dolcezza.
«Era
una scelta che nessuno avrebbe dovuto
prendere con leggerezza» sottolineò senza staccare gli occhi dallo psicologo.
Nate
si lasciò scappare uno scoppio stanco di risata.
«Non
mi sto pentendo della mia scelta, se è questo che vuoi intendere. Ma questa
cosa non aiuta a… superare tutto quello che è successo: mi sento così diverso
dall’ultima volta che ci siamo parlati, da non riconoscermi più»
«Sono
sicura che il Nate che tutti siamo abituati a vedere è stato solo completato da
nuove esperienze, non schiacciato. Sei più forte di quel che credi» disse
allora lei, seria e sicura.
Uno
sguardo di pura tristezza, però, le giunse in risposta.
«Ho
imparato a non illudermi più, Hetty. Sono cambiato – e non in meglio»
Sottolineò
quelle ultime parole quasi fossero una minaccia e proprio mentre il capo stava
per ribadire, il fischio di Eric interruppe la conversazione annunciando
l’inizio di un nuovo caso.
«Ronald
Edison. Quarant’anni. Sergente della Marina. Non è sposato, ma qui risulta
avere una sorella, Margaret Edison – sposata e con una figlia…» stava spiegando
Eric, con l’aiuto di Nell, quando anche Nate ed Hetty entrarono nella sala
operativa. Il ragazzo bloccò immediatamente il resoconto, restando per qualche
istante interdetto, gli occhi fissi sulla figura inaspettata dello psicologo.
«Sembra
che lei abbia visto un fantasma, signor Beal» fece notare pungente la donna,
mentre Nate si lasciava scappare un sorriso; quando i loro occhi si
incrociarono, con un occhiolino imbarazzato, Eric rimandò i saluti continuando
a spiegare, senza tuttavia abbandonare il sorriso che gli allargava le labbra.
«È
stato trovato stamattina, in spiaggia, ucciso da tre proiettili – due al petto
ed uno alla testa» concluse diretto.
«Nessun
testimone?» chiese Kensi scettica.
«No»
le diede ragione Nell «Con molta probabilità l’assassino ha usato un
silenziatore e secondo il medico legale la morte è avvenuta tra le 4 e le 6 di
questa mattina»
«Non
proprio l’orario ideale per fare un bagno» convenne G.
«Signor
Callen, interroghi con il signor Hanna i colleghi del Sergente. Kensi, tu con
Deeks fa visita alla vedova» ordinò seria Hetty.
In
un attimo la sala operativa si era svuotata, lasciando solo Nate, Eric e Nell.
«Era
ora che ti rifacessi vivo!» lo salutò con gioia l’informatico abbracciandolo «Lei
è Nell» disse poi presentando la ragazza che sorrise all’indirizzo dello psicologo.
«Ehi,
Nate. È bello rivederti» fece, per poi voltarsi verso Eric la cui espressione sembrava
chiedere se si fosse perso qualcosa.
«Vi
conoscete?» chiese stupito, passando lo sguardo dall’uno all’altro.
«Da
un po’» lo informò Nate, sorridendo anch’egli «Hetty me l’ha presentata qualche
anno fa, prima che entrasse in squadra»
Eric
parve quasi incantarsi per alcuni istanti, poi si riscosse, distogliendo lo
sguardo.
«Com’è
andata laggiù?» chiese incerto.
«Oh,
bene. Almeno sono tornato tutto intero» commentò con distaccata leggerezza –
non da lui – lo psicologo, soffermandosi a guardare la foto dell’ufficiale
ucciso, il sangue che macchiava la pelle e i vestiti…
Eric
indugiò a lungo su quella figura di spalle, sperando – e forse anche temendo – che continuasse il discorso;
tuttavia il silenzio rimase come unico ospite della stanza. Nell coglieva a
pieno la tensione che aleggiava nell’aria: Nate era diverso dall’ultima volta
che lo aveva visto e pur non essendo stata tanto a lungo a contatto con lui,
non le era certamente sfuggito il dolore che si portava silenziosamente dietro
e che non riusciva ad esprimere, nonostante quelli a cui avrebbe dovuto dirlo
fossero i suoi colleghi, i suoi amici.
«Prima
hai detto che le mie accuse erano infondate» disse ad un tratto Sam, fermando
la macchina e guardando G «Ma ora siamo in macchina da dieci minuti e per
quanti tentativi abbia fatto per aprire una conversazione, mi sono puntualmente
scontrato con il tuo muro di silenzio. Che hai?»
Come
se si fosse svegliato da un sogno ad occhi aperti, le iridi cielo di G
tornarono vivide in quelle scure del collega.
«Pensavo
a Nate. Hai visto come stava…? Mi chiedo cosa gli sia successo in Afganistan…»
«La
guerra, G. Non è una cosa sufficiente?»
«Certo!
Ma i suoi occhi… I suoi occhi avevano una disperazione in fondo, così densa e
forte… Deve essere successo qualcosa di preciso, Sam; qualcosa che l’ha
cambiato fino a questo punto»
Le
parole di G trasudavano quasi irritazione, ma agli occhi esperti dell’agente
Hanna non poterono nascondere la sensazione di impotenza che le alimentava.
«A
volte vorrei essere bravo quanto lui…» concluse Callen.
«Quando
vorrà dirci cosa gli è successo in questi mesi e cosa lo ha tanto sconvolto,
sarà lui a venire da noi – sa dove trovarci» fece saggio Sam «Se c’è una cosa
che ho imparato da Nate è l’importanza del tempo in situazioni simili»
G
sorrise brevemente, mentre il collega rimetteva in modo, percorrendo il breve
tragitto che li separava dalla rimessa.
Quando
arrivarono, ricevettero senza perdere tempo due colleghi del defunto – il Sergente
Mike Terril e il Capitano Paola Luisani.
«Conoscevate
da molto il Sergente Edison?» esordì con una domanda di convenzione Sam.
«Io
da soli sei mesi, il Capitano da più di un anno» rispose il Sergente e l’altra
annuì lievemente.
«La
sua morte è una cosa assurda… Non ha alcun senso: Ron era una persona molto
altruista sul lavoro – avrebbe fatto di tutto per un collega in difficoltà.
Forse si lanciava nelle missioni con troppa enfasi, ma non era uno sprovveduto,
anzi! Aveva alle spalle molti anni di esperienza e se mai qualcuno avesse
voluto ucciderlo, non si sarebbe fatto prendere alla sprovvista …»
«Lei
crede che la sua morte non sia stata premeditata?» chiese Callen, cogliendo l’allusione
della donna.
«Dico
solo che mi sembra davvero strato che qualcuno possa avercela con lui» chiarì
il militare. «Potrebbe essere stato coinvolto in qualche progetto o missione
segreta, senza che voi l’abbiate saputo?»
«No»
fu la semplice risposta del ragazzo «Ron era una delle persone più trasparenti
che io abbia conosciuto: nel bene o nel male non era capace di dire una bugia o
di tenerla in piedi a lungo. Gli si poteva chiaramente leggere in viso qualunque
emozione provasse, forse perché aveva una sensibilità unica».
Sam
sospirò: quel sergente doveva essere stato davvero una brava persona, ma tutto
questo non li aiutava a dargli giustizia.
«Per
ora è tutto, grazie. Vi chiediamo solo di mantenervi a disposizione nel caso
avessimo bisogno di maggiori informazioni» spiegò convenzionalmente G,
accompagnandoli alla porta.
«Trovateli»
fu l’ultima richiesta dei due militari prima di lasciare la rimessa.
«È
il quinto!»
Deeks
si voltò verso la collega con aria interrogativa.
«Come?»
«E’
il quinto caffè che bevi, in poco più di un’ora! Odio dovermi fermare ogni
cinque minuti per farti fare i tuoi bisognini:
sei peggio di un cane!»
Marty
la guardò fintamente offeso e mise il broncio, voltandosi dall’altro lato e
guardandola di sbieco; Kensi abbassò lo sguardo lasciandosi scappare un
sorrisetto; poi, controllando l’indirizzo che Eric aveva mandato loro, si
accorse di essere a poche abitazioni di distanza.
«Siamo
arrivati» informò subito il collega con tono serio e in un attimo l’atmosfera
cambiò completamente: i due agenti si ricomposero e dopo aver parcheggiato
scesero, avviandosi verso la casa dal civico 1041.
«La
donna già sa del fratello?» chiese Deeks.
«Sì,
deve averla avvisata la polizia stamattina» disse l’altra «Problemi?»
«No,
ma sai che non è mai piacevole dare certe notizie» si difese l’altro con un
tono di voce basso, quasi si vergognasse.
Lei
gli sorrise mesta.
«Di
solito non siamo noi a dare queste notizie, ma ti capisco»
Marty
annuì bussando alla porta che fu aperta quasi immediatamente da una donna. Tutto
quello che accadde negli istanti successivi fu talmente rapido che gli stessi
agenti faticarono a comprendere il tutto. Dal fondo della strada si sentì un’improvvisa
sgommata e in pochi istanti davanti alla casa sfrecciò – quasi si fosse
materializzata – una vettura nera con i finestrini scuri, dalla quale sporgeva
una mitraglietta automatica. Deeks fu il primo a rendersene conto, ma ebbe
appena il tempo di spingere a terra Kensi e la donna che una scarica di
proiettili invase l’aria.
Il
dolore fu improvviso e assurdo, lo bloccò senza lasciargli neanche la
possibilità di gridare. Da lontano avvertì, come fosse miglia e miglia
distante, la macchina fuggire via e con essa il pericolo. Accanto a lui sentì
la collega muoversi stordita e pregò di essere stato in grado di proteggerla.
Kensi
si alzò frastornata, guardando la strada come se la vettura fosse ancora lì. Un
istante dopo si rese conto che accanto a lei Deeks era a terra.
«Marty!
Marty!» gridò allarmata, rendendosi conto che il collega perdeva sangue dal
ventre; provò a fare pressione sulla ferita per limitarne la fuoriuscita di
sangue, mentre con una mano chiamava freneticamente Eric.
«Dimmi, Kensi»
«Eric,
un ambulanza! Deeks è stato sparato, presto!» fu la supplica della donna che lasciò
cadere il cellulare quasi fosse incapace di tenerlo in mano, mentre l’agente
continuava a perdere sangue e la donna che i due avrebbero dovuto interrogare
guardava la scena senza dire parola.
Poi
gli occhi chiari di Marty si aprirono tremanti, fino a mettere a fuoco la
figura nevrotica di Kensi.
«Ehi..
Principessa..» la chiamò, un blando sorriso che tentava di nascere sulle labbra.
«Ssh.. l’ambulanza sta arrivando. Tieni duro, Deeks, tieni duro!»
sussurrò lei con voce incrinata, smorzata dal dolore e dalla paura che le
avevano afferrato la gola.
«Va
tutto bene… sta tranquilla… » lo rassicurò lui, mentre le forze scappavano via.
Poi
lo abbandonarono del tutto, lasciandolo sulla porta di casa, incosciente. Kensi
era sola.
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Ok, prima che qualcuno
di voi corra a vomitare.. A mia discolpa ho da dire.. che.. ehm.. *si guarda
intorno* No ok, non ho alcuna scusa per questo orrore se non che il telefilm di
cui parliamo è troppo coinvolgente perché mi trattenessi dallo scriverci su…
E quindi ecco come
vedo io il ritorno di Nate dalla misteriosa missione in Afganistan di Hetty..
Cosa mai sarà successo? E chi sono quelli che hanno sparato a Deeks?
Beh, per ogni
spiegazione, non resta che aspettare il prossimo capitolo!
Ringrazio in anticipo
chiunque leggerà o lascerà un commento (positivo o meno, sarebbe gradito –
anche solo per dirmi di non continuare a pubblicare xD)
A presto. Un bacio..
Alchimista ~ ♥