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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    02/02/2011    1 recensioni
"Il giovane chiamato Julian non rispose, i suoi grandi occhi azzurri, però, si velarono di lacrime, sapeva perché erano venuti a cercarlo sin lì, sapeva con certezza che non avrebbe potuto scappare per sempre e che, prima o poi, LUI l’avrebbe ritrovato.
Lui….
Quanto tempo era passato da quando, anche nei suoi pensieri, aveva smesso di usare il suo nome e al suo posto aveva messo quel freddo e cupo pronome?"
Fic leggermente atipica sulla coppia Julian/Sorrento, ambientata sulle assolate spiaggie della Costa Azzurra.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Nuovo Personaggio, Poseidon Julian Solo, Siren Sorrento
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL FLAUTISTA AUSTRIACO

“Julian! Julian! Aspettami!”

Una voce allegra e affannata fece voltare di scatto il giovane uomo dai folti capelli biondi che camminava a passo lento nel corridoio semibuio; un ragazzo molto più giovane di lui lo raggiunse con un balzo, sorridendogli felice: “Finalmente! Era ora che mi sentissi, è mezz’ora che ti chiamo!” esclamò lui, riprendendo fiato; l’altro sospirò, abbattuto, “Scusa, Miguel… è che è stata una brutta giornata e sono molto stanco…” replicò l’altro, sistemandosi la custodia del flauto sulla spalla assieme alla tracolla.

Miguel lo guardò storto: “Stai ancora pensando a quei tipi strani che ti stavano cercando? La direttrice li ha cacciati, vedrai che non torneranno più! Almeno avessero spiegato cosa diavolo volevano…”.

Il giovane chiamato Julian non rispose, i suoi grandi occhi azzurri, però, si velarono di lacrime, sapeva perché erano venuti a cercarlo sin lì, sapeva con certezza che non avrebbe potuto scappare per sempre e che, prima o poi, LUI l’avrebbe ritrovato.

Lui….                            

Quanto tempo era passato da quando, anche nei suoi pensieri, aveva smesso di usare il suo nome e al suo posto aveva messo quel freddo e cupo pronome?

Troppo tempo…

A volte la sensazione di mollare di nuovo tutto e tornare indietro era così forte che il giovane flautista si chiedeva come mai fosse ancora lì, nel suo piccolo appartamento alle porte di Nizza assieme a quel gentile violinista spagnolo.

Ma poi…

Ricordava.

E, mordendosi le labbra, si rimetteva sul viso quella maschera sorridente e angelica, anche se, nel profondo, moriva a ogni passo, a ogni battito del cuore.

Perché non l’aveva mai dimenticato!

E, a quanto pare, nemmeno lui.

Ma non poteva tornare indietro, doveva resistere anche per lui, per il suo bene…

“JULIAN!!!”

Il grido di Miguel lo fece sobbalzare e il flautista cadde rovinosamente a terra con una mezza imprecazione, sbattè la testa contro il muro e restò sdraiato sul pavimento, mezzo intontito e dolorante: “Ma sei scemo?!” esclamò furioso e preoccupato l’amico, tirandolo in piedi, “Guarda dove vai!” lo rimproverò, controllando se non si fosse fatto nulla, “Amico, sei proprio strano oggi!” lo rimbrottò, recuperando la borsa e passandogliela.

Il biondo si massaggiò la nuca: “Ero sovrappensiero…” confessò, riprendendo a camminare; l’altro scrollò le spalle e gli andò dietro, “Devi fare più attenzione… Io vado fuori a cena con Rojas, vieni anche tu? La mia sorellina vuole vederti da settimane ma tu non ci sei mai a casa quando viene a trovarmi!” lo invitò, ma l’amico scosse la testa con un tenue sorriso, “Penso che andrò direttamente a casa… Ho bisogno di dormire. Ci rivediamo lì.”.

§§§

Camminando per le viuzze della città vecchia, il biondo musicista rifletteva.

Non c’era un argomento preciso nella sua riflessione, si può dire che “VITA” era una categoria abbastanza ampia, però, per raggruppare tutti i suoi pensieri.

Era stanco, troppo.

Portare quel nome che per lui aveva un significato così importante era pesante, ma doveva farsi forza e continuare a esibirlo con naturalezza, come se fosse veramente il suo nome proprio, lo stesso che i genitori gli avevano dato alla nascita.

Aveva gettato alle ortiche quello vero, assieme al fardello di un passato che voleva sì ricordare, ma voleva farlo solo stando accanto al suo signore, signore che aveva purtroppo dovuto abbandonare: forse era stato un vigliacco, avrebbe dovuto parlargliene, ma non ne aveva avuto la forza.

A quel giorno, non tramontava Sole senza che le parole che gli erano state rivolte lo tormentassero senza pietà, alle volte si svegliava nel cuore della notte, piangendo nel cuscino e cercando con la mano il contatto del corpo del Signore Dei Mari.

Ma era sempre solo in quel letto di fronte alla finestra, che dava su un lembo di cielo da cui riusciva a scorgere, sempre e comunque, il Gran Carro.

E spesso si chiedeva se anche lui vedesse quello stesso cielo, e si consolava un po’.

Era scappato come un cane e la solitudine era tutto ciò che si meritava; eppure, quei tipi che erano venuti a cercarlo al Conservatorio… Non poteva non riconoscerli, e anche loro dovevano averlo riconosciuto all’istante, non appena i loro occhi si erano incrociati: li aveva mandati Julian Solo, ne era certo.

E se da una parte il suo cuore scoppiava di gioia nel sapere che non era stato dimenticato, d’altra parte si sentiva profondamente infelice.

Non poteva tornare.

Lo desiderava ardentemente, ma non poteva.

Perché voleva dire mettere la persona che per lui contava maggiormente in pericolo.

Perso nelle sue elucubrazioni, la custodia del flauto e la tracolla che gli sbattevano contro la coscia, il biondo non si era accorto di aver sbagliato strada, e anziché svoltare a sinistra, imboccando la strada che lo avrebbe portato fuori dall’intrico di vicoli e vicoletti, era svoltato a destra, inerpicandosi verso il monumento all’eroina Segurana, verso il castello.

Il ragazzo se ne accorse solo quando ormai la sua immagine si era riflessa sulle vetrine dell’ufficio collocamento della Legion étrangère ; si diede dello stupido parecchie volte e allungò il passo verso il porto, sollevando al contempo il bavero della giacca per proteggersi dal vento, e anche da qualcos’altro.

Avvertiva un pericolo avvicinarsi a velocità supersonica a lui.

Il flautista scartò, schivando per un pelo il fendente di un coltello lanciato contro di lui; rotolò a terra per qualche metro, rialzandosi di scatto subito dopo e mettendosi in guardia: attorno a lui, con ghigni poco raccomandabili, c’erano dei ragazzetti, a malapena sedicenni, che lo fissavano divertiti.

“CHE VOLETE DA ME?!” gridò il biondo, evitando e colpendo al petto un nuovo aggressore con un pugno.

Questi cadde rantolando a terra.

Espèce de fag!*” esclamò cattivo uno di questi, lacerando con un solo fendente la tracolla del musicista; tutti i libri caddero a terra, assieme allo strumento, che rotolò per qualche metro, fino a finire sotto l’anfibio di uno di quei ragazzoni che lo circondavano. In quel momento, Julian ebbe veramente paura.

Come se fosse stato dato un ordine, quattro di loro gli si gettarono addosso, armati di coltelli, e cercarono di colpirlo: ma il giovane non era quello che sembrava, e lo spirito guerriero, che credeva assopito e che mai più si potesse svegliare, gli diede la forza necessaria per scrollarseli di dosso, i suoi occhi azzurri erano diventati violetti, splendenti di una luce inquietante.

Ma non era sufficiente, e lui senza Scale e senza il suo flauto non poteva fare granchè.

Senza contare che dei suoi poteri di Marinas non era rimasto quasi più nulla, solo quell’ardore guerriero che lo aveva spinto a rialzarsi, il resto era sigillato sul fondo del mare, addormentato per l’eternità.

Di nuovo, l’impeto dei suoi aggressori si abbattè su di lui con violenza e il flautista cadde a terra, mugolando di dolore e tenendosi la spalla, che splendeva alla luce dei lampioni per la lama che vi era infissa; senza possibilità di difendersi, il giovane socchiuse gli occhi, annebbiati dal dolore e dalla perdita copiosa di sangue, si sentiva debole e indifeso.

Boccheggiò tra le lacrime, mentre le belve lo circondavano, stringendosi attorno a lui, coi coltelli sguainati, doveva veramente finire in quel modo? Era sopravvissuto a una Guerra Sacra contro Athena e i suoi guerrieri e doveva concludere i suoi giorni su una strada secondaria del centro storico di Nizza, da solo, e sotto i colpi di quei demoni?

“No,” si disse, ma non aveva la forza di reagire.

Col viso schiacciato contro l’asfalto, Sorrento di Siren, ex Generale del Divino Poseidone, aspettava la fine.

§§§

I teppisti avevano seguito Sorrento sin dalla sua uscita dal Conservatorio assieme a Miguel, avevano messo gli occhi su di lui da parecchi giorni, e avevano valutato di potersi divertire un po’ con lui: dopotutto, a chi sarebbe mai importato?

Lo avrebbero malmenato un po’, poi avrebbero trovato qualcos’altro da fare.

Quel ragazzino con le sembianze di donna faceva venire loro il nervoso, misto a un senso di disgusto che, avevano ragionato, poteva semplicemente andarsene solo in un modo.

Ed ecco che, ridendo sguaiatamente con l’oggetto del loro divertimento serale sotto i piedi, si erano sentiti potenti e quasi invincibili.

E già si compiacevano della loro superiorità e virilità, quando un colpo preciso allo stomaco mandò a sbattere il capo della combriccola contro la muraglia che delimitava la via che conduceva al castello, un altro ancora venne colpito nelle parti intime e venne lasciato a rantolare a terra; disordinatamente, i teppisti cercarono  di riorganizzarsi, alcuni di fuggire, ma vennero colpiti senza pietà.

Alcuni uomini vestiti elegantemente di nero, in poco, ne avevano fatto polpette.

“Que diable se passe?!*” esclamò qualcuno tra quelli che poteva ancora muoversi ; all’improvviso, il caporione, rialzatosi, venne afferrato per  il collo da una mano apparentemente sbucata dall’oscurità, la presa si strinse sin quasi a soffocarlo mentre le sue gambe si muovevano inconsultamente, preda di spasmi nervosi.

“Vous, morceau inutile de déchets humaines… Vous allez payer pour ça!*” ringhiò tra i denti, sbattendolo nuovamente contro il muro, i lunghi capelli biondi smossi dal vento e gli occhi azzurri che sembravano plasmati nel ghiaccio; poi, fece un segnale ai misteriosi figuri vestiti di nero, che presero in consegna i teppisti e li portarono via, lasciandolo da solo nella strada deserta.

Con aria cupa, il giovane uomo si chinò sulla figuretta rimasta a terra e tremante: seppur privo di sensi, il flautista era scosso dai tremiti nervosi causati dal colpo; con cautela, lo prese tra le braccia, tamponando il sangue della ferita con la sua camicia, e ne osservò il viso: era stanco, glielo leggeva chiaramente, e soffriva profondamente.

Σ 'αγαπώ.*” gli sussurrò, baciandolo piano sulle labbra.

§§§

Sorrento ne era sicuro.

Quella non era la sua camera, e certamente non era il suo letto!

Lenzuola di seta, cuscini morbidissimi e una trapunta pesante abbastanza da proteggere dal fresco della notte primaverile; seppur con la vista annebbiata, il ragazzo era riuscito a scorgere un lembo di esterno dalla finestra lasciata spalancata.

Vedeva il mare.

E dall’angolazione che aveva, doveva trovarsi nei pressi della Promenade Des Anglais, forse proprio dentro il Negresco, uno degli alberghi più famosi della Costa Azzurra.

La domanda era, chi lo aveva portato lì?

Ricordava l’aggressione, il dolore alla spalla…

Σ 'αγαπώ*.

Era stato solo un sogno oppure qualcuno gli aveva veramente sussurrato quelle parole? Poteva fidarsi dei suoi ricordi o aveva semplicemente sovrapposto le parole del suo signore lontano…?

Il flautista scosse energicamente la testa, lasciandosi ricadere sul materasso; con le dita, sfiorò lo stretto bendaggio che gli cingeva la spalla ferita, non sentiva più dolore. Ma chi mai poteva averlo soccorso?

Esausto, sospirò e richiuse gli occhi, beandosi del suono di quella voce così familiare che gli sussurrava quelle parole che tanto gli erano mancate; si, forse era stata solo la sua immaginazione, ma il suo cuore desiderava perdersi in quella fantasia.

Nel torpore che precede lo scivolare nel sonno, il giovane sentì un peso poggiarsi sul materasso vicino a sé, percepì il tocco familiare di una mano morbida a sfiorargli le labbra e la fronte, e il suo cuore ebbe un sobbalzo nel sentire quella voce che tanto amava implorarlo di svegliarsi.

Sentì qualcosa dentro di lui spezzarsi irrimediabilmente, cercò di resistere ma non ci riusciva, si era sentito troppo solo in quei mesi; con gli occhi gonfi per le lacrime che avevano cominciato a scendere, il  musico cercò di puntellarsi col gomito, ma le fitte alla spalla ferita non gli permisero di farlo e anzi, finì a faccia in giù nei cuscini.

Qualcuno lo prese per le spalle con delicatezza, senza sforzare il muscolo sfregiato, e lo mise seduto: “Non sforzarti, te la sei vista brutta.” gli disse a bassa voce, facendogli poggiare la schiena contro i cuscini.

Con commozione, gli occhi azzurri di Sorrento si specchiarono in quelli di Julian Solo.

“Sono arrivato appena in tempo.” disse serio l’uomo, coprendogli le gambe con la trapunta: “Ancora qualche istante e di te sarebbe rimasto ben poco.” Aggiunse con rabbia, era furibondo nei confronti di quei teppisti e si era preso la sua giusta vendetta minacciando il console francese di far scoppiare una crisi diplomatica tra Francia e Grecia per quell’aggressione se i responsabili non fossero stati adeguatamente puniti.

Poteva permetterselo, visto che Sorrento aveva passaporto greco e risultava residente presso Villa Solo, vicino al Pireo.

“Ma ora, per favore. Dammi una spiegazione.” gli chiese lui con un filo di voce, accarezzando il viso del suo ex Generale con affetto: “Ho passato dei mesi a cercarti. Sei scomparso nel cuore della notte, senza dire nulla, senza avvertire…” disse Solo, intrecciando la sua mano con quella del musico.

All’ostinato silenzio in cui però il Marinas continuava a nascondersi, il greco cominciava a spazientirsi: finalmente l’aveva ritrovato e lui si comportava in quel modo?

Arrabbiato, si alzò in piedi, trascinandolo su con sé: “Sorrento, parlami, dì qualcosa!” esclamò esasperato, per poi abbracciarlo di slancio, “Cosa ti è successo?”.

Da parte sua, Siren non ce la faceva più, ma se da una parte, l’intenzione di rivelare tutto al suo signore era forte, quasi insostenibile, dall’altra la durezza delle parole dei servitori e della baronessa lo gettarono ancora di più nello sconforto.

“La prego…” sussurrò il biondo, singhiozzando, “Mi lasci perdere…” mormorò tra le lacrime, cercando debolmente di divincolarsi dalla presa, ma era troppo debole e Julian troppo testardo per starlo a sentire: “No, io esigo delle spiegazioni. E le esigo ora! Sorrento, guardami!” esclamò Solo, afferrandogli il mento e avvicinando il viso del flautista al suo, “Se è stata colpa mia, io…” ma il biondo scosse energicamente la testa, poggiando la guancia contro il suo petto.

Julian restò un attimo interdetto, poi lo avvolse nella sua stretta: “Cosa è successo?” gli domandò nuovamente, però questa volta con estrema dolcezza. Vedendolo aggrapparsi a lui con forza, e vedendone le gambe tremare, lo prese tra le braccia, depositandolo sul letto, con la testa del ragazzo più giovane poggiata in grembo alla reincarnazione di Poseidone.

E questa volta Sorrento non si fece pregare, gli era mancato troppo il contatto col corpo del suo signore; come un ubriaco, il musicista buttò fuori tutto, raccontò delle minacce subite da parte della baronessa, spiegò ogni cosa, chiedendo scusa tra le lacrime all’uomo che gli stava accanto, stringendogli le mani.

Alla fine del racconto, Sorrento si sentiva esausto e allo stesso tempo leggero e libero come una farfalla.

Si era tolto un grande peso dal cuore.

Un paio di labbra fresche e morbide si poggiarono sulle sue: “Già una volta mi sono preso l’impegno di starti accanto, non più come Dio e Generale, ma semplicemente come due esseri umani che si amano reciprocamente. Sorrento, sai come la penso in questo caso, e l’unico rimprovero che posso muoverti è stato quello di non avermi rivelato sin dall’inizio questa situazione, avrei potuto proteggerti. Avrei dovuto proteggerti. Ma te ne sei andato e io sono rimasto da solo. Però, però ho continuato a cercarti. Perché il mio destino è legato al tuo.” gli disse, accarezzandogli la fronte sudata.

Poi si alzò in piedi, guardandolo dritto negli occhi: “Tornerai a casa con me?”.

§§§

Una jeep bianca sollevava un polverone color avorio dalla strada sterrata che collegava quell’angolo di paradiso dal resto del mondo; un giovane uomo alla guida, con occhiali scuri a coprirgli parte del viso abbronzato sorrise nel vedere la figura massiccia di una villa stagliarsi di fronte a loro.

Ridendo, scosse gentilmente il ragazzo addormentato sul sedile del passeggero accanto a sé: “Svegliati, siamo a casa.”.

 

*Le frasi in francese si traducono così:

1) "Razza di frocio"

2) "Che diavolo sta succedendo?"

3) "Tu, razza di rifiuto umano. Pagherai per questo"

*Mentre la frase il greco è traducibile così:

Ti Amo.

Ovviamente, Julian è greco e parla nella sua lingua (che bella cosa *-*)

   
 
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